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Carolina Invernizio

(Voghera, 1851 – Cuneo, 1916)

La scrittrice che seppe portare al successo il romanzo d'appendice italiano tra XIX e XX secolo è presente nella toponomastica di diverse città come Voghera, che le diede i natali, Milano, Torino e Cuneo dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, ma manca incredibilmente a Firenze, a lungo sede della sua attività letteraria. Nel 2014, il gruppo di Toponomastica femminile ha proposto il suo nome per l'intitolazione di una scuola in risposta a un bando del 1° Circolo didattico di Cuneo.

La signora del romanzo popolare
di Saveria Rito


Nacque il 28 marzo 1851 a Voghera, all'epoca città piemontese, da Anna Tettoni e Ferdinando Invernizio, funzionario del Regno di Sardegna, e nel 1865 si trasferì con la famiglia a Firenze dove frequentò l'Istituto Magistrale. Sin da giovanissima dimostrò un notevole interesse per la scrittura, una passione che le fece rischiare l'espulsione da scuola per aver divulgato un racconto audace su un principe senza cuore che aveva sedotto la lavandaia del castello.
Il lavoro d'esordio ufficiale fu Un autore drammatico, pubblicato da Carlo Barbini nel 1876, e l'anno dopo uscì Rina o l'angelo delle Alpi, inizio di una duratura collaborazione con l'editore fiorentino Adriano Salani, che continuò a corrisponderle sempe la modesta cifra di 600 lire a romanzo.
Si può affermare che Invernizio portò a una rapida diffusione e al successo il romanzo popolare italiano, ispirato a modelli francesi già collaudati; lunghissima è la lista delle sue opere, scrisse ininterrottamente fino alla morte e pubblicò anche più volte l'anno per un totale di circa 130 titoli. Molti suoi racconti uscirono a puntate sulla Gazzetta di Torino o l'Opinione Nazionale di Firenze, poi raccolti in volumi, attesi da un pubblico sempre più numeroso, principalmente proletario o della piccola borghesia. Al favore del pubblico, tuttavia, non corrispondeva quello della critica che ne ebbe scarsa considerazione e giudizi spesso poco lusinghieri ("onesta gallina della letteratura popolare" la definì Antonio Gramsci, pur consapevole del fatto che un pubblico insaziabile si gettasse "avidamente nei suoi gialli" e che fosse stata tra i pochissimi romanzieri a far trionfare la letteratura popolare nel nostro paese), ma lei non sembrava curarsene e rispondeva così in un'intervista del 1904:  "Io dei critici ho un'allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici ed amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle". Solo recentemente Carolina Invernizio è stata riscoperta e studiata proprio per l'ampio fenomeno di consumo sviluppatosi attorno ai suoi libri caratterizzati da emozionanti colpi di scena: protagoniste erano quasi sempre delle eroine femminili che vestivano i panni di seduttrici fatali, nobildonne o avventuriere, operaie, sigaraie e guantaie (riprendendo alcuni titoli), donne che riuscivano a sciogliere con abilità trame intricate giallo-noir, talvolta ispirate a fatti di cronaca dell'epoca. La suspence era assicurata e Invernizio puntava su aspetti della vita intima e personale, su frustrazioni e desideri; la famiglia, tra intrighi, misteri e tradimenti, delitti e morte, ritrovamenti e rivelazioni sensazionali, era il luogo di ambientazione ideale. Invernizio scrisse anche un romanzo in piemontese, Ij delit d'na bela fia, uscito a puntate in appendice a ‘L Birichin, giornale dialettale torinese, tra il 1889 e il 1890 e alcune storie per l'infanzia (La fata turchina, Cuori di bimbi, I sette capelli d'oro della fata Gusmara); molti suoi lavori furono tradotti in spagnolo e portoghese già ai primi del Novecento e ispirarono registi del cinema muto e sonoro. Sempre nel 1890 fu pubblicato ne La donna italiana un breve testo di una conferenza, Le operaie italiane, in cui denunciava le condizioni di povertà e lo sfruttamento di madri impiegate nelle fabbriche e sottolineava l'importanza del lavoro delle donne per l'economia familiare: "Se entraste, signore mie, in certi quartieri di operaie, nei nostri centri principali, vi sentireste stringere il cuore di ribrezzo, di pietà, vi chiedereste se siamo davvero in un secolo civile e se possiamo veramente chiamarci cittadine di una grande Nazione".
Si trasferì con la famiglia a Torino nel 1896 e infine a Cuneo dove in via Barbaroux 3, come recita una targa commemorativa, aprì un salotto letterario: tra le personalità che lo frequentavano c'era la poetessa Alice Galimberti. Morì a Cuneo di polmonite il 27 novembre 1916 ed è sepolta nel cimitero di Torino. Sulla sua tomba fu deposta dall'editore Salani una corona di bronzo che reca inciso: "Il suo nome non sarà dimenticato".

Fonti:
Giuseppe Zaccaria, Invernizio Carolina in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, vol. LII, pp. 535-538.
Eugenia Roccella, Carolina Invernizio in Italiane. Dall'unità d'Italia alla prima guerra mondiale, a cura di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Pari opportunità,  2004, vol. 1, pp. 109-110.
Antonio Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Roma, Editori Riuniti, 1991.
Riccardo Reim, Introduzione: candide nefandezze e timorate perversioni in Carolina Invernizio, Nero per signora, Roma, Editori Riuniti, 1986, pp. XXI-XXXVIII.
Carolina Invernizio: il romanzo d'appendice. Atti del convegno "Omaggio a Carolina Invernizio", Cuneo 25-26 febbraio 1983,  a cura di Guido Davico Bonino, Torino, Gruppo editoriale Forma, 1983   
http://it.wikipedia.org/wiki/Carolina_Invernizio

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