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 Eleonora Álvarez de Toledo y Osorio

(Alba de Tormes, Spagna, 1522 – Pisa, 1562)

 

Non esistono intitolazioni in suo onore, nonostante la città di Firenze le debba molto sul piano storico e artistico.

 

L’ago della bilancia di Cosimo I


di Barbara Belotti e Alessandra Rossi

Era intelligente e bella Eleonora. Queste doti avevano fatto sì che Giovanni Bandini, il delegato di Cosimo I de’ Medici incaricato di scegliere la sua futura moglie tra le quattro figlie di Don Pedro di Toledo, Viceré di Napoli, ripiegasse sulla giovane Eleonora piuttosto che su sua sorella Isabella, come Don Pedro avrebbe preferito.
In uno dei dipinti più famosi che la ritraggono, quello realizzato dal Bronzino nel 1545, la giovane duchessa di Firenze ci appare racchiusa in tutta l’altezzosità della sua bellezza: lo sguardo sereno diretto verso lo spettatore e il sorriso appena accennato sono quelli di una donna giovane abituata al potere; l’impassibilità e il distacco ne fanno una figura degna del suo ruolo di comando.
Eleonora fu una donna innamorata: nonostante questo termine possa sembrare anacronistico per l’epoca, il matrimonio tra lei e Cosimo de’ Medici si presenta ai nostri occhi come un matrimonio illuminato dall’amore. Alcune testimonianze dell’epoca sono preziose per comprendere quanto fosse solido il loro legame: per Cosimo non si trattava di dire “io” ma “noi” (“Siamo entrati in possesso del palagio maggiore” scriveva nel raccontare il momento del trasferimento della coppia da Palazzo Medici in Palazzo Vecchio); il viaggiatore inglese William Thomas racconta che il duca “la ama così tanto che non va in nessun luogo senza di lei “, mentre per la duchessa di Camerino Caterina Cybo “El Sr. Duca e Duchessa innamoratissimi insieme, mai stà l’uno senza l’altro”.
Eleonora era nata in Spagna nel 1522; il 4 settembre di dieci anni dopo il padre aveva ricevuto l’incarico di Viceré di Napoli e così tutta la famiglia si era trasferita in Italia; nella città partenopea Eleonora trascorse gli anni dell’adolescenza ricevendo un’istruzione coerente con il suo rango, imparando a muoversi con stile tra le feste sontuose e abituandosi a seguire le rigide regole di una rigorosa etichetta di corte. 
Cosimo I vide in questo matrimonio un mezzo per legarsi indissolubilmente alla figura dell’imperatore Carlo V dopo che era stata rifiutata la sua richiesta di sposare Margherita d’Austria, figlia naturale del sovrano e vedova del suo predecessore Alessandro de’ Medici. Ripiegare sulla giovane Eleonora aveva determinato un contratto di nozze basato su una dote inferiore rispetto a quella proposta da Don Pedro per la figlia Isabella, ma questo “ripiegamento” costituì in realtà una fortuna per il giovane Cosimo.
Era il 30 giugno del 1539 quando la chiesa di San Lorenzo e, successivamente, il palazzo di via Larga ospitarono la fastosa cerimonia di nozze; nei giardini dove la famiglia Medici era solita rifugiarsi per fuggire il caldo sole estivo, i numerosi invitati assistettero a una commedia che doveva celebrare le fortune di Firenze e di questa giovane coppia che si accingeva a governare lo Stato. Nello stesso palazzo di via Larga che aveva ospitato il banchetto nuziale, la coppia trascorse i primi tempi della vita coniugale lasciandolo in seguito per trasferirsi in Palazzo Vecchio. A questo spostamento si deve un incredibile rinnovamento dell’edificio in Piazza della Signoria: gli appartamenti destinati alla duchessa, chiamati il Quartiere di Eleonora, vennero sistemati in un primo tempo da Giovanni Battista Del Tasso e terminati da Giorgio Vasari, che scelse come soggetti dei dipinti murali figure femminili importanti, storiche o leggendarie, allo scopo di richiamare il ruolo centrale di Eleonora di Toledo all’interno della famiglia Medici.
La duchessa, che fu determinante per le molte iniziative prese in ambito artistico, dimostrò una grande sintonia con la visione politica del marito tanto da condividendo con lui la necessità di valorizzare, anche attraverso l’arte, il nuovo volto e lo straordinario peso raggiunto dalla famiglia Medici a Firenze. Eleonora acquistò, per il casato fiorentino, Palazzo Pitti che da questo momento divenne il simbolo della felice unione tra i due sposi. Insieme Cosimo ed Eleonora arricchirono le stanze del nuovo palazzo con opere sottratte alla famiglia durante i periodi dell’esilio e Eleonora curò, da attenta e raffinata committente quale era, la riqualificazione del giardino di Boboli. Palazzo Pitti fu trasformato così in una reggia degna di una casa regnante. L’idea di Eleonora era di lasciare l’aria malsana della città per i profumi e la freschezza della natura e della campagna, in cui non solo i duchi ma soprattutto i loro figli e le loro figlie potessero vivere in salute. Sembra che fosse suo anche il progetto di realizzare in un angolo del giardino un orto per avere sempre a disposizione frutta e verdure da consumare fresche. Era una versione più ampia e organizzata degli “orticini che sempre lei volle realizzare nei ballatoi di Palazzo Vecchio. Amante della natura, Eleonora condivideva con il marito anche l’amore per le battute di caccia e le corse di cavalli.
Fu una donna sapientemente orientata verso gli investimenti finanziari. Oltre a dare lustro al casato Medici, Palazzo Pitti rappresentava un ottimo incremento economico per le casse della famiglia, così come lo furono le tenute nella Maremma pisana e livornese e i feudi di Castiglion della Pescaia e isola del Giglio. Eleonora si occupava del lato finanziario in modo diretto, senza ricorrere alle magre risorse della famiglia, ma attingendo dal proprio ingente patrimonio.
Scrive Bruce Edelstein che “gli interessi economici di Eleonora si dispiegano secondo una vasta gamma di obiettivi: dall’apicultura alle miniere, dalla sericultura alla coltivazione, non tralasciando il commercio dei principali prodotti di prima necessità dell’epoca (legname, bestiame, formaggi, carni, vino, zucchero …). Soprattutto Eleonora fece coltivare e vendere grano e biade in larga scala […] Nelle speculazioni condotte […] diede mostra di saper mettere a rischio il proprio capitale e, approfittando della posizione privilegiata […] offriva un consistente sostegno alle misure politiche adottate dal marito. L’insieme delle attività di Eleonora permise di costruire un patrimonio veramente considerevole”. La duchessa era quindi autonoma dal punto di vista economico e, in nome della sua forza patrimoniale e delle indubbie capacità dimostrate, gestiva le risorse sue e quelle del marito Cosimo. Chiedeva in prestito a banchieri cospicue somme che poi investiva nell’acquisizione di immobili e latifondi; dallo sfruttamento delle terre otteneva la produzione di grandi quantità di grano che in parte dirottava per l’uso della famiglia e della corte, in parte distribuiva ai conventi o, in caso di carestie, alla popolazione bisognosa, ma che soprattutto vendeva. Sempre in base agli studi di Bruce Edelstein, nel 1554 la duchessa poté realizzare un bel profitto dalla compravendita del grano proveniente dalle terre di Levante: “se confrontiamo il prezzo di acquisto per ogni sacco levantino con quello di rivendita, troviamo fino al 35% di aumento”. Un volto da vera manager moderna.
Le cronache del tempo ci dicono che questo pallino per gli affari fosse accompagnato dal gusto particolare per il gioco d’azzardo. Scommetteva molto e di frequente Eleonora, arrivando anche a puntare sul sesso dell’erede che stava per nascere. Per la sua terza gravidanza, però, né il fiuto di scommettitrice né l’amore di mamma la aiutarono a leggere nel futuro e, prevedendo l’arrivo di un maschio, perse la scommessa con la nascita della figlia Isabella.
Eleonora era molto religiosa, generosa nel compiere opere di carità per le persone bisognose e nell’aiutare con la dote le ragazze povere e senza famiglia che, prive di qualsiasi sostegno economico, non avrebbero avuto modo di sposarsi e sarebbero cadute nella trappola della prostituzione.
Era cattolica ma tollerante. Educata a Napoli dalla gentildonna ebrea Benvenida Abrabanel, fu rispettosa delle comunità ebraiche, soprattutto quella fiorentina, e della loro cultura tanto da essere ricordata molto tempo dopo nell’Elogio di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, protettrice degli Ebrei Toscani di Menashshèsh ben Israel, stampato nel 1650 ad Amsterdam.
Il matrimonio fra Cosimo ed Eleonora fu particolarmente prolifico. Fecundissima fu definita la duchessa che diede alla luce undici creature, quattro femmine e sette maschi, in quattordici anni di matrimonio; aveva accettato e accolto tra le sue braccia materne anche Bia de’ Medici, la figlia naturale di Cosimo avuta da un amore di gioventù; la famiglia era stata così, per alcuni anni, animata da un’atmosfera gioiosa e da sentimenti positivi rispetto al futuro della casata che presentava orizzonti radiosi e stabili.
Purtroppo tutto si rivelò effimero: dopo la morte della piccola Bia, la stessa infausta sorte toccò alla primogenita diciassettenne Maria (1557) e alla più giovane Lucrezia (1661). Ma l’anno più devastante per la famiglia fu il 1562. Cosimo era stato abituato a recarsi personalmente nelle città del suo Stato per ribadire con la presenza il suo potere e il suo ruolo e Eleonora lo seguiva quasi sempre.
Proprio durante il mese di novembre i due coniugi, insieme ai figli Giovanni, Garzia e Ferdinando, si recarono a controllare i lavori di bonifica in Maremma. Qui si consumò la grande tragedia: Garzia, quindicenne, Giovanni, diciannovenne e Ferdinando, tredicenne, si ammalarono di malaria e solo l’ultimo riuscì a sopravvivere; pochi giorni dopo, a dicembre, Eleonora, già cagionevole di salute a causa della tubercolosi e duramente provata dalla perdita dei figli, contrasse lo stesso morbo e si spense all’età di quarant’anni. Cosimo aveva perso così il suo “ago della bilancia”.

Fonti:

Marcello Fagiolo, Effimero e giardino: il teatro della città e il teatro della natura, in Il potere e lo spazio. La scena del Principe, Firenze, 1980, p.46.

Marcello Vannucci, I Medici. Una famiglia al potere, Newton Compton editori, 1989.

Marcello Vannucci, Le donne di casa Medici, Newton Compton editori, 1999.
Maria Pia Paoli, Di madre in figlio: per una storia dell’educazione alla corte dei Medici , in https://www.academia.edu/4838459/Educazione_Medici_2008_testo_in_Annali_di_Storia_di_Firenze
Bruce L. Edelstein, Eleonora di Toledo e la gestione dei beni familiari: una strategia economica? in https://www.academia.edu/3728321/_Eleonora_di_Toledo_e_la_gestione_dei_beni_familiari_una_strategia_economica_
Caroline P. Murphy, Isabella de’ Medici, Il Saggiatore, 2011.
Daniela Stiaffini, Cosimo I ed Eleonora de Toledo. Vita coniugale a Pisa, Pisa, 2016
http://www.treccani.it/enciclopedia/eleonora-de-toledo-duchessa-di-firenze_(Dizionario-Biografico)/

http://museicivicifiorentini.comune.fi.it/palazzovecchio/visitamuseo/quartiere_eleonora.htm

https://izi.travel/it/540c-agnolo-di-cosimo-bronzino-ritratto-di-eleonora-di-toledo-e-del-figlio-giovanni/it
http://bia.medici.org/DocSources/Home.do
www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/cartedidonne/cdd_02_arrivo.pdf

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Leonora Álvarez de Toledo y Colonna

 

(Firenze, 1553 - 1576)

 

Non esistono intitolazioni di strade in suo onore

 

L’ardente vita di Leonora

di Annalisa Cassarino

 

Leonora Álvarez de Toledo y Colonna, confidenzialmente chiamata anche Dianora,nasce a Firenze nel 1553 ed è la terzogenita di Don García e di Vittoria di Ascanio Colonna.

La vita di Leonora è travagliata, paragonabile quasi alla triste pellicola di un film. Fatta di inganni, interessi economici e politici, intrighi e sofferenza, la sua esistenza ha infatti dato spunto a diverse opere di carattere letterario e lirico soprattutto nel XIX secolo.

Leonora trascorre i primi anni di vita, dopo la morte della madre, alla corte della zia Eleonora di Toledo, sorella del padre, e di Cosimo de’ Medici, allevata insieme ai figli e alle figlie della coppia, in particolare con la piccola Lucrezia, futura signora di Ferrara.

Il triste destino della fanciulla inizia a prendere forma quando il padre e lo zio Cosimo, che ha per lei un sincero affetto, decidono di avviare le trattative matrimoniali per farla sposare con Pietro, ultimogenito della prolifica coppia medicea nonché suo cugino carnale. Il giovane rampollo fiorentino non ha un’indole facile: è irascibile, violento, sgradevole nei modi, poco incline alla cultura, definito emotivamente disturbato; Leonora invece è bella, dai modi gentili e amabili, dotata di fascino ed eleganza innati.

Il contratto matrimoniale viene stipulato nel 1568: la famiglia Medici rafforza la propria presenza a livello internazionale confermando gli stretti legami con la potente dinastia spagnola degli Álvarez, i quali, a loro volta, consolidano la loro forza in Italia. Inoltre con Leonora arriva anche una cospicua dote: 40.000 ducati e altri 5000 in gioielli preziosi.

I due giovani non potranno consumare il matrimonio fino a quando la loro giovane età non lo consenta, per questo Pietro viene mandato in Spagna; è necessaria inoltre la dispensa papale per poter celebrare le nozze fra cugini. Si tratta, ancora una volta, di un’unione politico-economica, in cui i sentimenti non hanno, né possono avere, alcun ruolo rilevante. Sarà, per la giovane donna, un’unione infelice e tragica.

Che il legame fra Pietro e Leonora presenti più di un problema si evince da un fatto particolare: fino al 1572 il matrimonio non viene consumato e, considerando l’età non più adolescenziale dei due giovani, una sicura discendenza garantiva solidità al contratto matrimoniale stipulato, il fatto appare perlomeno anomalo.  Leonora non è felice, ma può contare su due potenti alleati: Cosimo I, che nutre per lei una profonda stima, e sua figlia Isabella che nei confronti della più giovane cugina comincia a manifestare attenzioni e interesse.

Da donna sposata, Leonora segue il marito e il granduca a Pisa, a Firenze e nelle numerose residenze medicee; nelle epistole che Cosimo invia al cognato Don Garcia, la nuora viene descritta come una brava moglie, capace di adempiere ai propri doveri, già pronta a dare al marito un figlio, che infatti nascerà nel 1573 e al quale viene dato il nome di Cosimo.

Leonora continua a essere infelice, costretta a vivere accanto a un marito che la trascura e tra persone che spesso le sono ostili, soprattutto l’altro cugino e cognato, il primogenito di casa Medici, Francesco, destinato a ereditare il potere. La donna trascorre questi anni aggrappandosi ai suoi interessi, molti dei quali culturali; le è accanto la vera protagonista di Firenze in quegli anni, l’affascinante Isabella che la introduce nella sua cerchia di amicizie intellettuali, colte e raffinate. Queste danno vita a un cenacolo, la cosiddetta Accademia degli Alterati, che due volte alla settimana si riunisce per dissertare di poesia, opere teatrali, problemi di tipo linguistico. Se Isabella è la vera stella di questo gruppo intellettuale, Leonora le è accanto assecondando con passione la sua natura curiosa, il suo spirito intelligente. La vicinanza con Isabella si dimostra un rifugio sicuro in cui dimenticare l’infelice vita alla corte medicea: Pietro continua a trascurarla e, insieme a lei, trascura anche gli affari di famiglia, impiegando le giornate a sperperare il proprio patrimonio e ad abbandonarsi a passioni amorose mai riservate alla moglie; Francesco non perde occasione di mettere in cattiva luce la cognata informando anche Don Garcia sulla condotta riprovevole della figlia, colpevole a suo dire di spese eccessive e superflue; pure Camilla Martelli, la moglie morganatica di Cosimo, la biasima denunciando una condotta morale riprovevole a causa delle sue amicizie maschili che la corteggiano a dalle quali si fa corteggiare. Ormai Leonora non condivide più col marito neppure il letto nunziale e la sua situazione si aggrava quando, alla morte di Cosimo de’ Medici nel 1574, viene meno la protezione sicura e benevola del capofamiglia. L’ambasciatore ferrarese Sottile la descrive come “la più sfortunata Principessa e la più malcontenta che viva”. Ora il suo isolamento all’interno della corte fiorentina si acuisce in un climax ascendente da vera tragedia.

La sera del 9 luglio 1576, nella villa medicea di Cafaggiolo in Mugello, Leonora de Toledo muore per mano del marito Pietro, che utilizza “una lazza da cane” o forse uno “sciucatoio” per strangolarla. Alcune fonti sostengono che la donna abbia tentato di difendersi urlando, dimenandosi sul letto in cui viene strozzata, mordendo due dita del suo assassino che chiede l’aiuto di due uomini per porre fine alla vita della consorte. Alle sei del mattino del giorno successivo il suo corpo viene trasportato a Firenze all’interno di una bara che era già pronta per lei. Laconico il testo della missiva che Pietro de’ Medici invia al fratello Francesco I: “Serenissimo Signore, stanotte a set'hore è venuto huno acidente a mia mogle et la morte, però V.A. se lo pigli in pace et mi scriva quello che io ho f[ar'] et se io ho venire costà et quello che facia no altro. Humile ser.re et fratello, don Pietro de Medici.”

Per molto tempo la morte di Leonora è stata ritenuta un delitto d’onore, la punizione estrema per una donna colpevole di aver vissuto una relazione extraconiugale, quella con Bernardo Antinori. I documenti del tempo, però, permettono di ricostruire altre verità. A volere la morte di Leonora potrebbe essere stato soprattutto il cognato Francesco I, forse il vero mandante dell’omicidio. Si tratterebbe quindi di una tela ordita alle spalle di Leonora che più che essere uccisa per gelosia, viene uccisa per essersi legata ad amicizie pericolose, come quella con Pierino Ridolfi, uno dei protagonisti della congiura dei Pucci contro la famiglia Medici. Ritenuta una traditrice dal nuovo Granduca, Leonora muore anche per non aver nascosto la sua insoddisfazione verso il marito Pietro, per non essere stata capace di sopportare la sua infelice vita matrimoniale, per aver sfidato l’isolamento della corte cercando una sua strada libera. Neanche il suo cognome, quello della famiglia Toledo, riesce a proteggerla: i continui cambiamenti nelle alleanze internazionali e le mutate strategie politiche del granducato non rendono inviolabile il legame fra i due casati.

 

Fonti:

Bastiano Arditi, Diario di Firenze, Firenze, 1970

Banni Bramanti, Breve vita di Leonora di Toledo (1555-1576), Firenze, 2007

Marcello Vannucci, Le donne di casa Medici, Roma, 2011

Caroline P. Murphy, Isabella de’ Medici, Milano, Il Saggiatore, 2011.

http://www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/cartedidonne/cdd_02_arrivo.pdf

http://bia.medici.org/DocSources/Home.do

 

 

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 Giovanna d'Asburgo

(Praga, 1547 – Firenze, 1578)

Non esistono intitolazioni in suo onore

 

La prima granduchessa di Toscana

di Livia Cruciani

 

Moglie di Francesco I de’Medici e figlia di Ferdinando d’Asburgo.
Sono queste le prime cose che ci vengono in mente quando si pensa a Giovanna d’Austria. Ma chi è stata veramente questa donna? Che cosa ha significato la sua vita, che l’ha vista passare dalla corte nordica degli Asburgo al caldo sole della Toscana?

La piccola Giovanna nasce a Praga in un rigido gennaio del 1547. La sua venuta al mondo è semplicemente una delle tante della coppia reale: è l’ultima dei quindici fra figlie e figli del futuro imperatore del Sacro Romano impero, Ferdinando d’Asburgo, e della sua consorte, Anna Jagellona. Una famiglia non solo numerosa, ma anche molto influente in tutta Europa. Attraverso la sua prole l’imperatore stringe legami con le casate più potenti del secolo: Jagellone, Wittelsbach, Gonzaga, Este, Asburgo. Così anche alla piccola Giovanna si deve trovare un buon partito. Non le mancano i pretendenti, anche se non si può dire che sia bella. Bassa, curva per una deformazione della colonna vertebrale, con il viso lungo e appuntito, gli occhi sporgenti. Ma l’apparenza, si sa, inganna: lei porta un titolo nobiliare come dote! Per l’ambiziosa famiglia Medici, che desidera raggiungere per nome le grandi casate, è un’occasione da non perdere: il matrimonio con una principessa asburgica può essere considerato un grande successo diplomatico. Cosimo I inizia le trattative per darla in sposa a suo figlio Francesco, riuscendo ad avere la meglio sui rivali, con non poca fatica. E non solo. Cosimo ha dovuto lottare anche con lo stesso Francesco che non aveva alcun desiderio particolare di sposare questa giovane ragazza straniera, lui che era legato alla bella, intraprendente e intrigante Bianca Cappello. Ma lei è già sposata e la famiglia Medici desidera senza scrupoli il riconoscimento imperiale del titolo di Granducato della Toscana: dopotutto, il matrimonio non vieta al fiorentino e alla veneziana di continuare la loro liaison d’amore.
Le trattative per avere la mano di Giovanna durano oltre due anni: finalmente però arriva il 1565 con l’assenso di Massimiliano II a dare in sposa sua sorella minore. Una Asburgo sta per fare il suo trionfale ingresso a Firenze! Lei che ha vissuto a fianco dell’Imperatore del Sacro Romano Impero! Lei che è cresciuta per diciassette anni nella severa e religiosa corte di Vienna! Cosimo I deve mostrarsi degno di stringere una simile parentela. Come fare se non attraverso l’arte, nel cui campo Firenze può contare ben pochi rivali? Si convocano immediatamente gli artisti Vasari, Borghini e Caccini: tutta la città deve essere parata a festa, si deve celebrare il matrimonio come l’evento del secolo.
Il 18 dicembre Giovanna fa il suo ingresso trionfale attraverso la Porta al Prato, ad accoglierla trova uno sfarzo incredibile: archi di trionfo, statue, fontane ad adornare la città. La giovane coppia viene unita nel sacro vincolo del matrimonio nella Basilica di Santa Maria Novella e i festeggiamenti che seguono durano mesi: giostre, spettacoli, tornei, mascherate. L’aspetto urbano, che viene modificato con addobbi e scenografie, vede anche la costruzione permanente di nuove strutture. È per questa straordinaria occasione che viene realizzato il Corridoio Vasariano, un percorso sopraelevato che collega la residenza del Granduca al palazzo del governo, oggi Galleria degli Uffizi e Palazzo Pitti. Questa decisione comporta anche lo spostamento del mercato delle carni, che abitualmente si teneva su Ponte Vecchio: per evitare l’odore nauseante, la compravendita viene traslocata in un altro luogo e sostituita con botteghe di orafi e gioiellieri, caratteristici ancora oggi di questa parte della città.
Il cortile di Palazzo Vecchio è decorato con stucchi e pitture a secco che riproducono centri urbani dell’Impero austriaco in onore della sposa: Praga, Vienna, Innsbruck, Costanza. Per concludere l’omaggio un’iscrizione in latino sulla parete est dà il benvenuto alla sposa e a tutto ciò che il suo ingresso in città rappresentava: “Caesaris invicti augusti pulcherrima proles”.
L’evento del matrimonio inaugura una nuova stagione nello spettacolo di corte e sarà un modello di riferimento per le celebrazioni future. È questa l’occasione in cui viene portata in scena la commedia La Cafonaria di Francesco D’Ambra, il cui cuore sono i ricchi intermezzi con la storia di Amore e Psiche affidati alle scenografie di Bernardo Buontalenti. Un vero trionfo.

Giovanna è pronta così per iniziare la sua nuova vita.
Che aspettative abbia non lo sapremo mai. Forse spera di trovare quella considerazione che nella corte di suo padre, con i suoi quattordici fra fratelli e sorelle, non aveva ricevuto; oppure no. Qualunque siano i suoi desideri non ci sono dubbi che la sua vita, una volta entrata in Firenze, non è particolarmente felice. Il marito Francesco sopporta poco la sua presenza, sebbene non si sia mai sottratto ai suoi doveri coniugali! Giovanna rimane spesso incinta e il suo ventre sembra generoso. Eppure non riesce a dare alla luce il tanto desiderato erede maschio, colui che può portare avanti la casata medicea. E solo due delle prime sei bambine riescono a giungere all’età adulta e a sposarsi. In questo modo la sua posizione a corte appare sempre più debole e sempre più in ombra rispetto alla grande rivale, l’onnipresente Bianca Cappello, che ormai passeggia spudoratamente al braccio di Francesco il quale non fa mistero della sua passione amorosa. Suo unico protettore può essere considerato Cosimo I, anche se non mancano pure con lui motivi di attrito, in particolare quando questi si risposa con la giovane Camilla Martelli nelle cui vene non è possibile trovare traccia di sangue nobile.
Come moglie di un Medici e come arciduchessa d’Austria ottiene qualche piccolo successo diplomatico, aiutando a dissipare l’attrito tra la corte medicea e quella asburgica che in quegli anni va maturando.
Il favore del Granduca e la sua influenza politica non durano molto perché, a causa di una rapida decadenza fisica, Cosimo muore, lasciando il figlio libero di gestire a suo piacimento la vita privata. Forse l’anno più infausto della triste e infelice vita di Giovanna può essere considerato il 1576, quando si pensa che la sua rivale abbia dato alla luce un bambino, Antonio, figlio illegittimo, ma pur sempre un maschio. Sembra, perché la storia di questo fanciullo è avvolta dal mistero: si dice che sia una gravidanza simulata e che il bambino sia di una serva.
Che si tratti di un intrigo o meno, Giovanna deve aver vissuto non poca angoscia nell’animo. Lei, nonostante il ruolo di potere, resta una donna straniera, che non ama e non ha mai amato Firenze che, a sua volta, non l’ha mai accettata né apprezzata. Invano ha anche richiesto al fratello di tornare a Vienna, perché trascurata dal marito; naturalmente prevale la ragion di Stato e la sua richiesta non è nemmeno presa in considerazione. L’anno successivo Giovanna partorisce per la settima volta: questa volta è un maschio, il tanto desiderato erede legittimo. Filippo è il suo nome, purtroppo con lui la vita non è particolarmente generosa perché muore ancora infante all’età di soli quattro anni. Un ennesimo dispiacere, a cui la madre, però, non assiste: Giovanna, nuovamente gravida, muore infatti in seguito a una caduta dalle scale del palazzo Ducale nel 1578, dando alla luce un bambino morto.
Le sue esequie si tengono con grande fasto e viene seppellita nella chiesa di San Lorenzo in Firenze. Il suo corpo è ancora caldo quando il marito si risposa, a solo un mese di distanza, con la sua amante.

 

Fonti

Giorgia Arrivo, Una dinastia al femminile. Per uno sguardo diverso sulla storia politico-istituzionale, in A. Contini, A. Scattigno (a cura di), Carte di donne. Per un censimento regionale della scrittura delle donne dal XVI al XX secolo, vol. II, Atti della giornata di studio, Firenze, Archivio di Stato, 3 febbraio 2005, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2007

Maria Fubini Leuzzi, Straniere a corte. Dagli epistolari di Giovanna D’Austria e di Bianca Cappello, in Per Lettera. La scrittura epistolare tra archivio e tipografia secoli XV – XVII a cura di Gabriella Zarri, Viella, 1999
Nicoletta Lepri, Spettacolo della memoria e memoria dello spettacolo. Arte e mito mediceo nelle feste Fiorentine del 1565, in La question du sens, a cura di H. Casanova-Robin, C. Lévy, in collaborazione con D. Coppini, M. Regoliosi, Actes du Colloque (Paris 2012), “Camenulae”, 7 (2014), 11
Marcello Vannucci, Le donne di casa Medici, Newton Compton editori, 2016
http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanna-d-austria-granduchessa-di-toscana_(Dizionario-Biografico)/
http://www.nove.firenze.it/firenze-1565-della-magnificenza-civile-gli-apparati-per-le-nozze-di-francesco-de-medici-e-giovanna-daustria.htm
www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/cartedidonne/cdd_02_arrivo.pdf 
 
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(Oudenaarde, 1522 – Ortona, PE, 1586)

A Margherita d’Austria sono state dedicate strade a Ortona e Leonessa; la ricordano anche piazza Madama, Palazzo Madama e Villa Madama a Roma. Anche Castel Madama, comune laziale, il Lago della Duchessa e i Monti della Duchessa sono toponimi in suo onore.

Madama d’Austria

di Barbara Belotti

È una erede bastarda Margherita d’Austria, frutto della relazione fra l’uomo più potente del mondo di allora, l’imperatore Carlo V, e una giovane ragazza, figlia di un arazziere. Illegittima sì, ma pur sempre una figlia che, nella logica della ragion di stato, può trasformarsi in un vantaggioso strumento di azione politica.
È il 28 dicembre 1522 quando nasce a Oudenaarde, in Belgio. Il padre non la accoglie a corte ma si impegna per il suo mantenimento e sceglie per lei guide sicure che possano affiancarla nella fase della crescita.
A pochi anni di vita viene trasferita a Bruxelles, affidata alla famiglia di Andries Douvrin, signore di Drogenbos e Sint-Martens-Bodegem, e posta sotto la tutela della Governatrice dei Paesi Bassi Margherita d’Asburgo, zia di Carlo V; quando quest’ultima muore, nel 1530, la tutela passa alla zia Maria d’Austria, sorella dell’imperatore. Carlo V riconosce la bambina solo nel 1529 e con la legittimazione arrivano una serie di vantaggi, una vita agiata, una buona educazione, ma anche tanti doveri che Margherita impara a conoscere molto presto.
Ha sette anni quando si cominciano a progettare le sue nozze con un giovane rampollo di casa Medici, Alessandro, ritenuto erede naturale del duca di Urbino Lorenzo de’ Medici, ma che più di una voce indica come figlio di papa Clemente VII. Dopo la grave crisi fra papato e impero, culminata con il sacco di Roma del 1527, si moltiplicano gli sforzi diplomatici per ritrovare l’equilibrio politico in Italia e il matrimonio di una rampolla asburgica con un discendente del Magnifico, benché entrambi figli illegittimi, appare un passaggio fondamentale.
Nel 1533 viene deciso il trasferimento di Margherita dal Belgio in Italia, un lungo viaggio che la porta, con molte tappe in cui riceve gli onori degni di una principessa imperiale, prima a Firenze, poi a Roma e infine a Napoli, meta conclusiva. Margherita fa sosta nella villa medicea di Poggio a Caiano, dove venivano accolte, prima di giungere a Firenze, le fidanzate e le spose straniere dei membri della famiglia. La principessa asburgica riceve l'omaggio della giovane Caterina de’ Medici e di altre aristocratiche; solo successivamente si reca a Firenze dove incontra il fidanzato Alessandro e dove in suo onore si svolgono dieci giorni di grandi festeggiamenti e spettacoli, dalla caccia al toro al gioco del calcio, dagli spettacoli teatrali ai balli.
Dopo Firenze è la volta di Roma: qui è papa Clemente VII ad accoglierla con una sontuosa festa e con il prezioso dono di una parure di diamanti. Dopo quasi sei mesi di viaggio, Margherita giunge a Napoli dove è previsto che le venga impartita una educazione raffinata degna di una nobildonna rinascimentale. Studia il latino, l’italiano, lo spagnolo; impara i modi di corte e cura le relazioni importanti scrivendo, su indicazione del padre, al papa, alla sua tutrice Maria d’Austria, al fidanzato. Tutte le sue lettere sono firmate con l’appellativo “Margarita d’Austria” come è giusto che sia e come l’imperatore le ricorda in continuazione.
Il 27 febbraio 1536, tre anni dopo il suo arrivo a Napoli, alla presenza dell’imperatore Carlo V gli sposi si scambiano gli anelli; due giorni dopo la partenza per Firenze dove il corteo che accompagna la sposa giunge a fine maggio. Di nuovo Margherita viene accolta nella villa di Poggio a Caiano, in attesa della celebrazione delle nozze che avvengono il 13 giugno nella basilica di san Lorenzo. A Madama, come veniva chiamata la principessa d’Asburgo, la corte fiorentina piace, come piace il giovane sposo, che invece è inviso dal popolo. Il matrimonio ha breve durata: il duca Alessandro, signore autoritario di Firenze, viene ucciso il 6 gennaio 1537 da Lorenzino de’ Medici. Dopo poco più di sei mesi, Margherita è vedova prematuramente e senza eredi. Torna a essere una pedina nelle mani del padre: vista la sua giovane età è possibile farne di nuovo un utile strumento di alleanza con la corte papale e rendere più decisa l’influenza imperiale sul territorio italiano. Carlo V non dà quindi seguito alla proposta matrimoniale di Cosimo I de’ Medici, nuovo signore di Firenze succeduto ad Alessandro, ma guarda alla famiglia Farnese che ora ha sul trono di Pietro un suo membro, papa Paolo III. Seguono lunghe trattative, vengono stipulati complessi accordi economici e si fissa la data delle nozze fra Margherita e Ottavio Farnese, nipote del papa, per il mese di novembre 1538. Il papa favorisce Madama d’Asburgo nella causa intentata contro di lei sull’eredità di Alessandro, vuole compiacere la futura sposa ma soprattutto l’imperatore. Tutti vedono con favore queste nozze, tranne lei, la sposa.
Margherita giunge a Roma, ma vi arriva ancora con il nero vedovile che non abbandona nonostante sia ora promessa sposa; disdegna lo sposo che ha tre anni meno di lei e che ritiene un bambino. Ubbidiente fino ad allora, Margherita si ribella come può. Il 4 novembre cede alla volontà di chi ha pianificato la sua vita: le nozze avvengono nella Cappella Sistina alla presenza del papa, che è anche il nonno dello sposo; riferiscono le cronache che la giovane non abbia risposto alla formula di rito e con il silenzio abbia voluto manifestare il suo dissenso. Dopo queste piccole scaramucce, che di fatto non interferiscono con quanto deciso ai più alti livelli, Margherita ha una sola arma e la usa: rimanendo a vivere nel palazzo un tempo dimora romana della famiglia Medici, divenuta sua con l’eredità dal marito Alessandro, rifiuta di consumare il matrimonio lasciando Ottavio fuori dal talamo nuziale, accusandolo di lavarsi poco e di vivere secondo usi poco consoni al suo rango. Scandalo, preoccupazione, sconcerto, perfino le frecciate delle pasquinate romane si intrecciano nel primo periodo di vita romana dell’erede asburgica. Voci del tempo, raccolte da un rappresentante della corte granducale toscana, parlano, per esempio, di una malattia del giovane Ottavio che altro non sarebbe stato che un “mostaccione”, un gran colpo al viso sferrato da Margherita al giovane sposo probabilmente per sottrarsi alle avances. Madama d’Austria teme per il suo rango e il suo potere, vede nel suo matrimonio con un Farnese un possibile salto indietro rispetto ai titoli del precedente marito, al suo personale patrimonio e ai suoi cospicui beni. In fondo chi è questo Ottavio, cosa offrono la famiglia e lo stesso papa, che Margherita ritiene molto vecchio e ormai prossimo alla fine? È lei che, in virtù delle sue ricchezze, dell’ascendenza imperiale, dei possedimenti, porta prestigio alla famiglia Farnese e non viceversa, è lei che offre loro l’ingresso fra le dinastie familiari più potenti in Italia e in Europa. Lucida, determinata, consapevole Margherita esprime al padre i suoi timori e gli chiede di essere tutelata. Per diversi mesi, fino al 1540, a nulla valgono le esortazioni del papa, le imposizioni paterne: Margherita, rifiutando ogni contatto con il marito, cerca la sua via per l’annullamento, almeno fino a quando Carlo V, in una lettera, riesce a convincerla a rivedere le sue posizioni.
Consumato finalmente il matrimonio, l’unione di Margherita con Ottavio non sarà mai un’unione felice. Si legge in una lettera al Cardinale Gonzaga del 1541, a proposito dei “nuovi garbugli” tra loro, che
«piuttosto in Madama non si conosce molta contentezza et verso il suo consorte non par che faccia quelli segni d’amore che si converrebbono». La loro sarà principalmente un’alleanza politica, caratterizzata spesso da lontananza, in cui entrambi giocano le mosse opportune per raggiungere e confermare il potere.
L’erede asburgica ha un ruolo importante nella trattativa con l’imperatore per l’attribuzione al marito di un ducato e, in seguito, si impegna per il mantenimento dei possedimenti di Parma e Piacenza e per l’affermazione del figlio Alessandro, nato nel 1545 da un parto gemellare, sopravvissuto al fratello Carlo morto in tenera età, e destinato a un radioso futuro militare e politico. Di Ottavio non si fiderà mai ciecamente, come non riuscirà mai a eliminare la ruggine con la famiglia Farnese; rimane invece fedele al volere del padre e al compito che le è stato assegnato.
Nel 1559 parte per Bruxelles dopo che il re di Spagna Filippo II, suo fratellastro, l’ha nominata governatrice dei Paesi Bassi, un’area con forti tensioni autonomiste e grande instabilità. Non è un compito agevole controllare la situazione, soprattutto per Margherita non è semplice arginare le richieste di pugno di ferro che provengono dalla corte spagnola. Lei, che propone una politica di conciliazione, non ha vita facile eppure riesce nel compito, fino a quando il re non invia nei Paesi Bassi il duca d’Alba con il compito di intervenire con durezza sulla situazione locale. L’amarezza spinge Margherita alle dimissioni e al ritorno in Italia. Dopo un iniziale soggiorno a Parma con la sua famiglia, preferisce ripartire, questa volta per l’Abruzzo dove ha molti possedimenti e dove si era già recata nel 1540; viene nominata Governatrice generale di quelle zone nel 1569, comincia la sua azione di governo nei suoi feudi trascorrendo tempo a Leonessa, Cittaducale, Montereale e stabilendo infine la sua corte a L’Aquila. L’Ordinamento giudiziario dello Stato d’Abruzzo e i successivi Ordinamenti di Margherita, del 1571, costituiscono un corpus legislativo che dimostra la volontà politica della duchessa di creare uniformità amministrativa, politica e di governo in quei territori, ponendo così fine alla consuetudine di lasciare spazio alle decisioni arbitrarie dei suoi rappresentanti, che creavano profondo malcontento fra la popolazione.
Torna un’ultima volta nei territori dei Paesi Bassi, fra il 1579 e il 1581, su richiesta di Filippo II: per lei si tratta di una rivincita, perché il fratello è costretto a riconoscere che il pugno di ferro attuato dal duca d’Alba non ha risolto le controversie, anzi le ha aggravate. Questa seconda nomina a Governatrice la rinfranca anche perché le viene affiancato, per le sole questioni militari, il figlio Alessandro; purtroppo l’ambizione del figlio si trasforma in ostilità nei suoi confronti e la crisi nei Paesi Bassi, suo malgrado, invece di diminuire si acuisce. Maddalena, che da tempo ha chiesto al re di Spagna di revocare la sua nomina e permetterle il rientro in Italia, lascia i Paesi Bassi nel 1584. Di nuovo passa per il Ducato di Parma e Piacenza per poi proseguire per l’Abruzzo. Questa volta la sua meta è Ortona, città marinara dal clima più mite rispetto ai rigori invernali de L’Aquila, dove decide trasferirsi e di far costruire una dimora privata degna del suo rango. Margherita d’Austria non vedrà mai conclusi i lavori del suo nuovo palazzo: muore il 18 gennaio 1586. Le sue spoglie riposano nella Chiesa di San Sisto a Piacenza.

Fonti:
Marcello Vannucci, Le donne di Casa Medici, Newton Compton editori, 2016
Giuseppe Bertini,
Margherita d'Austria e i Farnese negli anni romani (1538-1550): nuovi documenti
http://bia.medici.org/DocSources/Home.do  https://www.academia.edu/20154449/MARGHERITA_DAUSTRIA_E_I_FARNESE_NEGLI_ANNI_ROMANI_1538-1550_NUOVI_DOCUMENTI
https://www.academia.edu/10180271/Una_corte_rinascimentale_poco_men_che_reale_il_palazzo_di_Margherita_dAustria_tra_ingressi_feste_e_cerimoniali
http://www.treccani.it/enciclopedia/margherita-d-austria-duchessa-di-firenze-poi-duchessa-di-parma-e-piacenza_(Dizionario-Biografico)/
www.patriziadebicke.com/ita/rac_margheritaaustria.pdf
http://www.leonessa.org/art6.htm
http://www.prolococittaducale.it/cittaducale-il-territorio/margherita-daustria-a-cittaducale/
https://it.wikisource.org/wiki/Francesco_Marchi_e_le_medaglie_di_Margherita_d%E2%80%99Austria


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