BIANCA BIANCHI

Di Fiorenza Taricone

Bianca Bianchi nasce a Vicchio di Mugello (Firenze) nel luglio del 1914, alla vigilia della Grande Guerra, da Adolfo e Amante Capaggi. Laureata in Pedagogia e Filosofia, insegna in diversi istituti superiori di Firenze, Mantova, Cremona, Genova.

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MARIA AGAMBEN FEDERICI

Di Fiorenza Taricone

Maria Agamben nasce a L’Aquila il 19 settembre del 1899 da Alfredo e Nicolina Auriti. Laureata in Lettere, insegna Italiano e Storia nelle scuole medie superiori e svolge attività giornalistica.

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ADELE BEI 

di Ilaria Biagioli

Adele Bei (Cantiano, 4 maggio 1904 – Roma, 15 ottobre 1974), padre boscaiolo, terza di undici figli, cresce in un ambiente sensibile alle discussioni politiche. Incontra Domenico Ciufoli, dirigente prima del partito socialista e poi tra i fondatori del partito comunista, che diventa suo marito e padre dei suoi due figli (Angela e Ferrero).

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Memorie

   MEMORIE 1  Memorie 2

 

La storia e la memoria femminile sono mutilate e incomplete, quando non del tutto cancellate. Spesso le giovani generazioni non conoscono quanto, in passato, è stato costruito in termini di espressioni culturali, ricerche scientifiche, esperienze politiche, battaglie civili e sociali, ignorano quanto le donne hanno contribuito alla definizione del mondo in cui viviamo. 

Illuminare di luce nuova i traguardi e le conquiste raggiunte dalle donne nel passato può guidare verso il rafforzamento dei rapporti intergenerazionali, verso la difesa delle eredità ricevute e può concorrere a far rispettare il valore delle differenze, sviluppando al tempo stesso un pensiero critico alternativo ai dominanti modelli maschili e femminili, ancora fortemente stereotipati e conformisti.

Attraverso testi biografici e momenti ludici, questo spazio vuole contribuire a riequilibrare i nostri saperi riscoprendo le memorie femminili, affinché alle donne del passato sia riconsegnato il giusto riconoscimento.

Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità!

                                                                             Cristina Trivulzio di Belgioioso

PROFILI

 Dalle targhe stradali alla ricostruzione delle storie femminili.

 

PRIME DONNE

 Per arrivare ad essere Le Prime la strada è sempre stata molto tortuosa e in salita. 

 

LE COSTITUENTI

 

 

  

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Giovanna Zangrandi

(Galliera (BO), 1910 - Borca di Cadore, 1988)

Una via le è stata dedicata a Borca di Cadore, il paese dove visse per molti anni.

Storia di una donna e di un rifugio
di Paola Gardin
 
Giovanna Zangrandi nasce a Galliera, nella pianura bolognese, col nome di Alma Bevilacqua. Niente fa pensare che una ragazza, nata lì nel 1910, aspirasse ad altro che ad una vita “normale”, matrimonio e maternità, simile a quella di tutte le altre donne. Al massimo maestra, l’unico “mestiere” che, conciliando casa e lavoro, è ritenuto adatto ad una donna; ma “scrittrice e montanara”, mai!
Il padre Gaetano  è veterinario, la madre, Maria Ebe Tardini, casalinga: sarebbe una famiglia normale, benestante, se  il marchio della pazzia, che serpeggia tra i numerosi fratelli del padre, non gettasse un’ombra cupa sull’infanzia della piccola Alma. Da allora forse comincia il suo desiderio di nascondersi, di fuggire dal pericolo, di tramutarsi in qualcosa d’altro, il più lontano possibile dalla nevrosi e dalla schizofrenia.  Forse le spetterebbe un altro destino se non avesse una madre  dal carattere forte. A lei, in ossequio alla legge del tempo, che privilegiava i maschi rispetto alle femmine, era stato impedito di continuare negli studi , ma proprio per questo trasmetterà alla figlia l’amore per la lettura e le permetterà di studiare fino alla laurea.  Il padre ben presto manifesta i sintomi della malattia, inutilmente la famiglia si trasferisce a Desenzano del Garda per cercare di sollevarlo dalla depressione.  Qui, dove  Alma prosegue gli studi con ottimi voti, il clima è mite, il paesaggio sereno, ma l’ombra non scompare: nel 1923 il padre si suicida. Nello stesso anno Alma con la madre si trasferisce a Bologna: pur non amando la città, l’ambiente familiare e quello scolastico prosegue i suoi studi fino alla laurea in Chimica, cui segue l’abilitazione professionale in Chimica e Farmacia e  l’assistentato volontario in Geologia.
Nel 1937, con la morte della madre, l’ultimo legame si spezza. Una vita nuova può iniziare: insegnante di Scienze a Cortina,  dove nessuno conosce il marchio dei Bevilacqua. Lì tra le montagne che già  aveva apprezzato durante  le vacanze, può respirare libera. Prova l’arrampicata, diventa  maestra di sci, guida alpina e  scrittrice. Non ha ancora idee politiche precise, ha frequentato solo scuole fasciste respirandone la retorica ma, come sua madre, condanna le imposizioni, la propaganda, le manifestazioni roboanti del regime. Si fa i primi nemici fra le persone che aderiscono o che simpatizzano per il Partito fascista. Nel settembre del 1943 entra nella  Resistenza e fa parte della Brigata Garibaldina “Pier Fortunato Calvi”. Prende il nome di “Anna” ed è il primo vero cambio di pelle. C’è un comandante, Severino Rizzardi, che le piace, ma non è solo per amore che sfida il pericolo: ce ne vuole di coraggio per passare il confine stabilito a Dogana, prima di Cortina, portando informazioni e documenti falsi che nasconde tra carte di insegnante. Trasporta anche armi e come  staffetta sa di rischiare la vita, né più né meno dei suoi compagni. E’ un’insegnante, non dovrebbe destare sospetti , ed  è autorizzata ad andare e venire, alla fine capisce di essere tenuta d’occhio. Per mesi si nasconde in montagna, di cui conosce i boschi, le rocce ed anche gli spartani ricoveri. Fame e paura spesso le mordono lo stomaco.
La guerra finisce ma è destino che non tutto vada bene: il comandante partigiano di cui si è innamorata muore poco prima della Liberazione. Il sogno abbozzato insieme, quello di gestire un rifugio alpino, sembra sfumare.
 Alma-Anna non assomiglia al padre, ha la forza della madre: non si arrende.
Dopo la guerra tante cose sono cambiate, anche lei ricostruisce la sua nuova vita piena di attività.
Fonda  e dirige un giornale, il Val Boite, che ha il nome del torrente che da Campo Croce, a 1800 m, scende impetuoso fino al Piave.  Come un torrente  corrono le sue parole su quei fogli: non si limita ad informare, spesso attacca e critica i “voltagabbana” e quanti vogliono nascondere il passato fascista indossando nuovi panni. Si impegna nelle istituzioni pubbliche locali. E’ il momento di cambiare una seconda volta la pelle: rinuncia all’insegnamento dedicandosi  solo alla scrittura e al suo sogno “impossibile”: gestire un rifugio. Poiché non ce n’è uno disponibile lo costruisce, dirigendo i lavori e partecipando attivamente alla costruzione. Non è uno di quei rifugi su un passo o un colle raggiunti da una strada carrabile, ma un vero rifugio alpino a 1796 metri, sulla sella di Pradonego, ai piedi del gigantesco Antelao. E con quel nome lo chiama, il nome del Monte, del Re delle Dolomiti, la temibile piramide di roccia con la cima, a più di tremila metri, quasi perennemente immersa nelle nuvole. Sale al Rifugio, passo dopo passo, dal paese fino alla sella col suo zaino stracarico, il piede pesante ma sicuro,  quasi sempre sola. Col suo fisico tozzo, i grossi fianchi, le gambe robuste, è guardata un po’ con rispetto e un po’ con circospezione. E’ un mondo maschile quello in cui si è inserita e anche se alcune idee sono mutate il posto di una donna - seppur quello di una donna originale, scrittrice, insegnate, partigiana - è ancora a casa accanto al focolare, a disposizione di marito e figli, e non certo su e giù per i sentieri a portar mattoni e calce. Indossa i calzoni, come un uomo, quando perfino le sportive, se proprio devono usare i pantaloni, li nascondono sotto ampie gonne.
 Ha un cane, Attila, che condivide le sue fatiche e i rari  momenti di  pace con  gioiosità, accompagnandola nelle lunghe escursioni. Con Attila può mostrare la sua tenerezza: Alma è’ solitaria e poco affabile, ama i  monti, la gente delle “terre alte” più chiusa e rude di quella di pianura o di città,  ma allo stesso tempo solidale e tenace, in lotta e in simbiosi con la natura parca di comodità.  E’ affascinata dalla grande solitudine, dai panorami  superbi,austeri, dalla gente  sincera e autentica, tanto da legarsi al Cadore per tutta la vita. Per i cadorini, per quanto possano in fondo ammirare il suo impegno e i suoi meriti, resta pur sempre una forestiera, una che “viene da fuori” in un paese di persone accumunate da salde parentele, da una lingua propria, da abitudini e stili di vita che la fanno apparire un corpo  estraneo.
Del resto non si è mai piaciuta: il fisico robusto le è servito ad affrontare le fatiche, le alzate mattutine, i pesi da portare da valle  in montagna, le giornate sugli sci e quelle sulle rocce.   È  intelligente e forte, ma non certo graziosa.  Nelle fotografie  in cui è molto giovane, tutte in bianco e nero, si vede una ragazza con lunghi capelli scuri, il viso con la freschezza dell’età.  In quelle successive non concede nulla alla femminilità, alla moda: piccola,  robusta, in  pantaloni  larghi e con l’“eterna” giacca scura, (che sarà la protagonista di un suo racconto), il volto già segnato da rughe, lo sguardo indomito, a volte  ironico e a volte dolce come nella foto che la ritrae col suo cane.  
Gestisce il rifugio per circa quindici anni con molta determinazione anche se i suoi  atteggiamenti, la poca cura per se stessa, il suo fisico e il suo carattere così poco “femminili” non le accattivano la simpatia altrui, tranne fra le poche persone che sanno vedere la sua anima generosa oltre la rude “scorza”.
 Scrivere  è la sua passione  che la porta al successo  nel 1951 con le Leggende delle Dolomiti. Adotta diversi pseudonimi: “Ada”, poi “Anna” il suo nome da partigiana, e infine Giovanna; già che c’è cambia anche il suo cognome che evoca troppa acqua e prende quello più “montano” di Zangrandi.
Come Giovanna Zangrandi  la zona d’ombra della sua giovinezza è alle spalle, ora è una scrittrice. Nel 1954 ottiene il premio Deledda con il libro I Brusaz,  romanzo  con  personaggi  inventati ma vivi e veri, soprattutto quello forte e indimenticabile di Sabina.  Scrivi tanti altri testi, una  guida di Borca di Cadore, articoli, saggi, racconti. Nel 1959 Il Campo Rosso,  la storia della costruzione del suo Rifugio, riceve il premio “Bagutta”. Narra la tua esperienza nella Resistenza, quei giorni esaltanti, intensi e pericolosi ne I Giorni Veri pubblicato nel 1960. L’anno dopo deve riconoscere che gestire il rifugio non è stata un’attività remunerativa  e lo cede al Cai. Non è la prima volta che si deve arrangiare, si improvvisa  affittacamere, trasportatrice e anche bracconiera. Si sposta da Cortina  a Borca di Cadore, ma non dentro al paese che, se pur piccolo, è per lei troppo affollato:  si sistema in una  casa vicino al bosco. Non hai mai fatto parte di circoli letterari, ha fama di essere più burbera di quel che è. Si isola, ha pochissimi amici, cominciano i giorni tristi della malattia, il morbo di Parkinson a causa del quale perderà progressivamente l’autonomia e la capacità di scrivere. Forse   trova consolazione nel bere, ma continua a lottare.  Adesso la lotta è contro qualcosa che la minaccia da dentro, qualcosa che sta tradendo il suo forte fisico; ma la  volontà è ancora intatta e dal 1966 al 1970 scrive ancora molto: Anni con Attila, Racconti partigiani e no, Il Diario di Chiara ambientato in Trentino nel 1848. Forse si riconcilia anche col suo passato, con la giovane Alma e i suoi fantasmi attraverso Gente alla Palua, il libro di racconti di vita emiliana.
Viene anche il tempo della resa: per ritegno non chiede volontariamente aiuti ad estranei, ma deve accettare una donna che venga in casa, tocchi le tue cose senza sapere il valore che hanno per lei le sue carte. Alla fine ad assisterla e vegliarla le rimane un solo amico, il partigiano “Volpe” del suo libro I Giorni veri: Arturo Fornasier le starà vicino, con rispetto, amicizia e lealtà in quei lunghi anni della malattia.
Alma lascia questa vita il 20 gennaio del 1988. All’ex-partigiano restano  le sue carte in disordine, i suoi racconti inediti, le bozze, gli appunti, la corrispondenza, tutto l’archivio di una vita. La sua famiglia lo custodisce ancora nella casa di Pieve di Cadore. Una studiosa,  Myriam Trevisan , sistema con cura tutto il materiale, inventariando carte e appunti.
Per suo volere è sepolta a Galliera, nella tomba di famiglia. Lì Giovanna torna Alma e riposa in pace.
Lo spirito è ancora lassù, in alto, sopra le montagne. Il rifugio, cui hai voluto dare il nome del grande Antelao, è ancora lì sulla sella di Pradonego  e questo, insieme ai suoi libri, è il suo lascito più bello.


Opere Principali:

Leggende delle Dolomiti, Milano, L’Eroica, 1951
I Brusaz, Milano, Mondadori, ‘La Medusa degli italiani’(Premio Deledda), 1954
Orsola nelle Stagioni,  Mondadori, ‘La Medusa degli italiani’, 1957
Il Campo Rosso, Editore  Ceschina, ( Premio Bagutta),  1959
I Giorni Veri (1943 – 1945), Milano, Mondadori, ‘Il Tornasole’, 1963   
Anni con Attila,  Milano, Mondadori, ‘Il Tornasole’, 1966  
Borca di Cadore. Cenno storico e turistico, Belluno, Tip. Piave, 1970
Il diario di Chiara, Milano, Mursia, 1972
Racconti partigiani, Belluno, Nuovi sentieri, 1975
Gente della Palua. Racconti, Belluno, Nuovi sentieri, 1976

Fonti
Myriam Trevisan, Giovanna Zangrandi. Una biografia intellettuale, Carocci Editore, 2011
L’Archivio di Giovanna Zangrandi,  a cura di Myriam Trevisan, Pubblicazione degli Archivi di Stato- Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato- n. 107
L’Archivio di Giovanna Zangrandi,  a cura di Myriam Trevisan, Carocci Editore, 2005
http://www.dols.it/2014/12/15/giovanna-storia-di-una-donna-e-di-un-rifugio/
http://archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Quaderno_107.pdf
http://www.comune.galliera.bo.it/upload/galliera_ecm8/gestionedocumentale/GIOVANNA%20ZANGRANDI_784_2428.pdf http://www.museogalvani.eu/galvani-resistenza/scrittrici-partigiane/giovanna-zangrandi

 

  

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Antonietta Klitsche De La Grange

 (Roma, 1832 - Allumiere (RM), 1912)

Alla scrittrice sono dedicati un viale all’interno del parco pubblico di Villa Sciarra a Roma e una strada nella cittadina di Allumiere.

Una scrittrice prolifica

Barbara Belotti

La vita letteraria di Antonietta Klitsche De La Grange è stata scandita dalla pubblicazione di numerosi romanzi e racconti, spesso di carattere storico e religioso, molti dei quali pubblicati su giornali e riviste del tempo come romanzi d’appendice. Alcune fonti affermano che ne scrisse più di cento. Eppure non è facile trovare informazioni sulla sua vita e le scarne notizie biografiche ce la descrivono in maniera piuttosto sommaria, anche se con alcuni tratti curiosi.
Le sue sono nobili origini. Il padre, il barone Theodor Friedrich Klitsche de la Grange, era figlio naturale del principe Luigi Ferdinando di Prussia e della contessa Maria Adelaide de la Grange, vissuto a Roma a partire dagli anni Venti del XIX secolo prima come agente diplomatico per il Duca Ferdinando Federico di Anhalt-Köthen e in seguito come capitano nello stato maggiore pontificio di Pio IX.  Sua madre era la nobildonna romana Teresa Costanzi.
Antonietta la descrivono di struttura alta, vigorosa, con gli occhi e i capelli scuri. La sua vita sentimentale fu breve e dolorosa. Nell’ottobre 1867 il suo fidanzato, lo zuavo pontificio Emanuel de Fournel, morì combattendo contro le truppe garibaldine. Antonietta decise, da quel momento, di vestirsi a lutto, come fosse una vedova, e di rimanere fedele al ricordo del giovane per tutta la vita. Sentimentalmente legata a quel breve periodo amoroso, fu libera di dedicarsi all’altra passione della sua vita, la scrittura.
Di lei si ricorda un tratto particolare: Antonietta Klitsche De La Grange è stata la prima donna a scrivere sulle pagine dell’Osservatore Romano. Questa collaborazione editoriale ebbe inizio nel 1867, quando il giornale pontificio pubblicò a puntate il romanzo Un episodio della vita di Guido Reni, cui seguiranno i testi di Leone il muratore e de Il declamatore. Un romanzo fatale. Negli anni scrisse per molti periodici, compresa L'Arcadia sulle cui pagine firmava con il nome di Asteria Cidonia.
Alcune testimonianze derivano direttamente dalla sua famiglia, in particolare dalla nipote Daniella Annesi Klitsche che fu educata e avvicinata alla letteratura dalla zia scrittrice. In un ritratto letterario Daniella ricorda come i modi di Antonietta, nel corso degli anni, assunsero caratteri piuttosto mascolini, “si virilizzassero e come George Sand prendeva il vizio del sigaro”.
Molti romanzi e racconti di Antonietta Klitsche De La Grange hanno un taglio storico, non senza sfumature moraleggianti e riferimenti religiosi. Sembra ‒ è il pronipote Rodolfo Palieri a raccontarlo alla giornalista Silvia Guidi in un’intervista pubblicata sull’Osservatore Romano del 28 luglio 2011 ‒ che stendesse le pagine dei suoi testi dettando «al primo alfabetizzato che gli capitava a tiro o buttava giù i pensieri come venivano, considerando la rilettura una specie di menomazione, un’ammissione di incapacità».
i suoi personaggi appaiono “scolpiti” in maniera netta e privi di sfumature: i cattivi sono davvero perfidi e privi di scrupoli, le persone buone appaiono ingenue in maniera quasi esasperante, dedite così tanto alla rettitudine morale e materiale da spingersi fino a grandi sacrifici. Nelle ambientazioni Antonietta cerca di sostenere con veridicità storica i suoi racconti e imbastisce intorno alla finzione letteraria scenari spaziali e temporali verosimili.
Gran parte della sua vita la trascorse ad Allumiere, fra i monti della Tolfa, vicina alla famiglia del fratello Adolfo che in zona dirigeva le miniere per l’estrazione dell’allume. Qui, nel 1871, venne nominata Ispettrice delle Scuole Elementari femminili, incarico che le derivò, probabilmente dal successo letterario dei suoi racconti.
È ancora Daniella a raccontare della zia scrittrice. Nella prefazione al libro Resurrezione: un romanzo per signorine, scritto dalla figlia Giuliana Palieri Annesi nel 1932, scrive: «La sera del trapasso io lasciai la culla della mia bimba per correre nell’attigua stanza a raccogliere l’ultimo respiro della diletta Zia, e alla funebre bara Giuliana tese ignara le braccia quasi per invocare ed accogliere in sé qualche cosa della grande scomparsa». Sulla sua tomba Antonietta Klitsche De La Grange volle che fosse scolpito: «Visse nubile, scrisse molto, soffrì moltissimo, ora felice si riposa in Dio».

Elenco dei principali racconti e romanzi scritti da Antonietta Klitsche De La Grange:

Bernardo da Sarriano o il Castello di Celano (1895) 

Bruna (1898)

Il Cavaliere di Malta

Cesare Agrippa
Cesare o l’ebrea: scene romane

Cignale il muratore (1895)

Donne illustri

Il declamatore. Un romanzo fatale (1875)

Il denaro maledetto: racconto (1880)

Dimo: scene romane della vita di Traiano (1860)

Due cuori (1897)

Isa o occhi di zaffiro

Un episodio della vita di Guido Reni (1867)

Le figlie dell’impiccato o Andrea Vesalio (1882)

Le figlie di Pier delle Vigne o il Cavaliere del Toro

Guido Cavalcanti ossia le discordie civili fiorentine (1877)

La leggenda delle Gangalandi

Leone il muratore (1868)

La maledizione (1866)

Manuelle nero: racconto storico (1889)

Il Marchese di Monferrato (1908)

Il navicellaio del Tevere (1867)

Per vie occulte

Pomponio Leto (1871)

Ottavia

Il racconto del guardiano del cimitero

Lo spettro di Framoriale (1877)

La torre del corvo (1897)

Tribolata (1874)

Gli ultimi giorni di Gerusalemme (1869)

La Vestale (1865)

Vinegia

La vittoria: episodio della Guerra dei Trent’anni (1868)

Virtù

 

Fonti:

http://www.letteraturadimenticata.it/Klitsche.htm
https://sottoosservazione.wordpress.com/tag/antonietta-klitsche-de-la-grange/
https://de.wikipedia.org/wiki/Antonietta_Klitsche_de_la_Grange