Lucía Sánchez Saorni
Rosanna de Longis
Giulia Tassi
È impossibile non leggere la vicenda biografica di Lucía Sánchez Saornil come un rispecchiamento di momenti ed esperienze cruciali del Novecento e delle donne che in questo secolo sono vissute. La sua figura è emersa dall’oscurità grazie all’antologia curata nel 1975 da Mary Nash, tradotta successivamente in italiano (Mujeres libres - Donne libere: Spagna 1936-1939, Ragusa, La Fiaccola, 1991), dedicata al periodico e all’omonima organizzazione delle donne anarchiche fondati da Lucía nel corso della Guerra civile spagnola; ma è merito della recente e documentata ricerca di Michela Cimbalo (Ho sempre detto noi: Lucía Sánchez Saornil, femminista e anarchica nella Spagna della Guerra Civile, Roma, Viella, 2020) averne ricostruito la biografia in tutto il suo spessore e la sua ricchezza. Sánchez Saornil nasce a Madrid il 13 dicembre 1895 da una famiglia di braccianti agricoli emigrata due anni prima dalla meseta settentrionale in cerca di migliori opportunità nella capitale in piena espansione economica e urbanistica. Tuttavia, condizioni di lavoro precarie e alto costo della vita non consentono alla giovane coppia – Eugenio e Gabriela – e ai loro quattro figli – due dei quali moriranno in tenera età – di risollevare le proprie sorti e condurre una esistenza meno dura. Nel 1908, quando Lucía ha dodici anni e sua sorella Concepción due di meno, la madre muore durante un’epidemia di tubercolosi. Figlia di genitori analfabeti, dotata di scarsissimi mezzi, la ragazza è tuttavia animata da una grande fame di sapere: riceve sicuramente un’istruzione di base se a diciotto anni padroneggia a tal punto la scrittura da inviare a un giornale madrileno, La Correspondencia de España, una lettera nella quale auspicava che fosse istituita anche per le ragazze un’associazione analoga a quella dei giovani esploratori: era in realtà una timida rivendicazione a favore delle donne spagnole, prive di spazi e costrette a vivere senza ossigeno nelle strade cittadine. D’altro canto – sosteneva – godere di una maggiore libertà di movimento avrebbe consentito alle donne di adempiere meglio alle loro funzioni di spose e madri. Lucía si firmava come alunna del Centro de Hijos de Madrid, un’istituzione benefica fondata da imprenditori e intellettuali che offriva opportunità di istruzione e di formazione professionale alle fasce più bisognose della popolazione con un’attenzione particolare alle donne.
All’inizio dell’anno seguente il settimanale Avante pubblicava le prime prove poetiche di Lucía Sánchez Saornil, presentandola come una giovane e promettente scrittrice. La vena letteraria si svilupperà negli anni successivi portando Lucía a pubblicare su numerose altre testate fino ad approdare nel 1916 sulle pagine di Los Quijotes, una rivista letteraria edita a Madrid. Firmando con lo pseudonimo maschile di Luciano de San Saor – quasi un anagramma del proprio nome – Lucía si esprime in versi carichi di passione e di desiderio rivolti a una donna. La partecipazione a Los Quijotes si rivela un punto di svolta per la maturazione della giovane, sia sotto il profilo artistico che politico: nel 1918 il gruppo redazionale della rivista confluirà nel movimento dell’avanguardia spagnola noto come Ultraismo e in quello stesso ambiente Lucía verrà a contatto con l’anarchismo. L’Ultraismo fu un movimento ibrido che attinse a diverse tendenze artistiche degli inizi del secolo, dal futurismo al dadaismo al cubismo, da cui mutuò alcune parole d’ordine come l’antipassatismo, lo sperimentalismo linguistico ed estetico, l’esaltazione della scienza e della tecnica come tratti distintivi della modernità. Fino all’esaurirsi della parabola ultraista, nel corso degli anni Venti, Lucía continuò a pubblicare sulle testate vicine al movimento, come Gran Guiñol, Tableros, Ultra, Vertices, Plural e sull’importante rivista argentina Martin Fierro alla quale contribuiva Jorge Luis Borges.
Nel 1916 Lucía aveva iniziato a lavorare presso una compagnia telefonica di Madrid. Le società telefoniche, in Spagna come altrove, impiegavano infatti in larga parte manodopera femminile, specie ai livelli più bassi e meno qualificati della struttura aziendale: era tuttavia un impiego che non aveva i tratti e le caratteristiche del lavoro operaio, né si svolgeva in fabbrica. Era perciò appetibile sia dalle donne di ceto medio sia dalle proletarie, per le quali poteva rappresentare una possibilità di ascesa economica e sociale, come nel caso di Lucía. Era comunque un lavoro estremamente duro, con orari gravosi, obblighi e norme che influivano pesantemente sulla vita privata, come la clausola di nubilato. Nel 1924 l’azienda dove lavorava Lucía venne assorbita dalla Compañia Telefónica Nacional de España. A questa società anonima il governo dittatoriale di Primo de Rivera, salito al potere nel 1923, affidò in regime di monopolio la riorganizzazione del servizio telefonico del Paese. La maggiore azionista della Ctn era la società statunitense Itt (International Telephone and Telegraphic), che mirava a introdurre forme di razionalizzazione tayloristica nel lavoro al fine di ottimizzare i tempi e conseguire un maggiore rendimento. Le forti agitazioni che segnarono questa fase di modernizzazione del servizio telefonico riguardarono soprattutto la manodopera maschile: poche le donne che vi presero parte, tra queste Lucía, che nel 1927 venne trasferita a Valencia. Quattro anni dopo, nel 1931, veniva licenziata. Cadute nel 1930 la dittatura di Primo de Rivera e, l’anno dopo, la monarchia, a seguito delle elezioni che avevano espresso una maggioranza repubblicano-socialista, non si era attenuata la conflittualità sociale: lavoratrici e lavoratori della Telefónica scesero in agitazione in opposizione al monopolio privato dei servizi telefonici introdotto dalla dittatura. In realtà nei conflitti di lavoro i governi repubblicani, dopo alcune iniziali promesse, non avevano cambiato rotta e avevano continuato a favorire le forme di conciliazione già introdotte in precedenza, metodi che il sindacato anarchico, la Cnt, a differenza di quello socialista, l’Ugt, aveva sempre respinto: le proteste sindacali videro perciò non solo lo scontro diretto tra governo e Cnt, ma anche gravi contrasti tra i due principali sindacati spagnoli.
Una volta licenziata, Lucía iniziò a guadagnarsi da vivere come giornalista e attivista anarchica. Collaborò a molti giornali, tra cui El Libertario, settimanale dalla vita assai discontinua legato alla Federación Anarquista Ibérica (Fai); dal 1933 entrò, unica donna, nella redazione del quotidiano Cnt, organo del sindacato nazionale. Al centro dell’attenzione di Lucía e dei suoi interventi sulla stampa fu la “questione femminile”, un tema da sempre caro al pensiero anarchico, che affrontò da una prospettiva se non eterodossa certamente indipendente da quella assunta dal movimento. In un’ottica autenticamente anarchica di contestazione del sistema rappresentativo, Lucía critica il diritto di voto che la repubblica ha concesso alle donne, in assenza di una rivendicazione da parte delle donne stesse: tuttavia non si limita ad affermare che esso rappresenta una strumentalizzazione e un’assimilazione delle donne alle logiche dello Stato, ma afferma la necessità di una specifica iniziativa delle anarchiche, in totale autonomia – politica e organizzativa – dal movimento. Di fatto è l’annuncio di quanto Lucía realizzerà pochi anni dopo, fondando nell’aprile 1936, insieme con Mercedes Comaposada, il periodico Mujeres Libres, luogo di discussione e di aggregazione politica delle donne, vicino all’anarchismo ma del tutto indipendente. Identificando nel termine femminismo una parola d’ordine tesa a ottenere una mera equiparazione con gli uomini, Lucía e le sue compagne della redazione ne rifiutano gli obiettivi in nome di una visione radicale che considera le donne avanguardia di una società futura. La Guerra civile che scoppia di lì a poco è il terreno su cui si misura la capacità di iniziativa femminile. L’organizzazione Mujeres libres, che arriverà a riunire ventimila donne, presterà aiuto ai combattenti e alle loro famiglie, si adopererà negli approvvigionamenti e nella distribuzione di viveri, nell’assistenza alla popolazione e all’infanzia, organizzando mense, asili, corsi di alfabetizzazione e di puericultura. E il ruolo delle donne diventò ancora più incisivo nella dimensione internazionale: Lucía Sánchez fu tra le principali responsabili del progetto di sostegno intorno a cui nacque Solidaridad Internacional Antifascista (Sia); anche questa rete dedicò molta attenzione all'infanzia non limitandosi all’assistenza ma propugnando nuovi metodi educativi. Lucía organizzò colonie per bambine/i e adolescenti, rivolte soprattutto ad accogliere figli e figlie dei militanti anarchici, con lo scopo di assicurare alla gioventù un ambiente protetto dalle violenze della guerra.
Nel 1937, ritornata nuovamente a Valencia, Lucía vi conobbe América Barroso detta Mery, che sarà da allora la sua compagna di vita. Alla caduta della repubblica, nel 1939, fuggì in Francia, con quella che sarebbe stata da allora in avanti la sua famiglia: Mery, il padre Eugenio e la sorella Concepción con i quali si era riunita. Ma dopo l’occupazione nazista del Paese e la nascita del governo di Vichy, Lucía e i suoi sono costretti nuovamente a fuggire e a rientrare clandestinamente in Spagna, stabilendosi prima a Madrid e poi, definitivamente, a Valencia grazie all’aiuto della famiglia Barroso. Lucía muore il 2 giugno 1970, per un tumore ai polmoni; Mery le sopravvive per sette anni. Nell'ultimo periodo dell'esistenza, Lucía riprende a scrivere poesie, rimaste in gran parte inedite, molto diverse da quelle composte in gioventù, segnate dalla passione. Lontani ormai gli anni della militanza, cifra degli ultimi scritti non è più il “noi”, la dimensione collettiva, ma l’accento intimista, percorso dalle angosce della sconfitta, dalla paura della malattia e della morte incombente, e anche da un sentimento religioso incerto, tuttavia alimentato dalla speranza che la vita non sia finita. Sopra un fascio di poesie inedite conservato dalla famiglia Barroso si legge un titolo vergato dalla mano di Lucía: Siempre puede volver la esperanza (Poemas).
Traduzione francese
Guenoah Mroue
Il est impossible de ne pas lire l’histoire biographique de Lucia Sánchez Saornil comme un reflet des moments et des expériences cruciales du XXe siècle et des femmes qui ont vécu au cours de ce siècle. Sa personne est sortie de l’obscurité grâce à l’anthologie éditée en 1975 par Mary Nash, traduite ensuite en italien (Mujeres libres - Femmes libres : Espagne 1936-1939, Ragusa, La Fiaccola, 1991), dédiée au périodique et à l’organisation homonyme des femmes anarchistes fondées par Lucia au cours de la guerre civile espagnole; mais c’est grâce à la recherche récente et documentée de Michela Cimbalo (J’ai toujours dit: Lucia Sánchez Saornil, féministe et anarchiste en Espagne de la Guerre Civile, Rome, Viella, 2020) en a reconstruit la biographie dans toute son épaisseur et sa richesse. Sánchez Saornil est né à Madrid, le 13 décembre 1895, dans une famille d’ouvriers agricoles émigrés deux ans plus tôt de la meseta du Nord à la recherche de meilleures opportunités dans la capitale en pleine expansion économique et urbaine. Cependant, les conditions de travail précaires et le coût élevé de la vie ne permettent pas au jeune couple - Eugène et Gabriel - et à leurs quatre enfants - dont deux mourront en âge prècoce- de redresser leur sort et de mener une existence moins dure. En 1908, quand Lucia a douze ans et sa sœur Concepción plus jeune de deux ans, sa mère meurt lors d’une épidémie de tuberculose. Fille de parents analphabètes, dotée de moyens très faibles, elle est cependant animée d’une grande faim de savoir : elle reçoit sûrement une instruction de base si, à dix-huit ans, elle maîtrise à tel point l’écriture qu’elle envoie à un journal madrilène, La Dencorresponcia de España, une lettre dans laquelle elle souhaitait qu’une association analogue soit instituée pour les jeunes filles à celle des jeunes explorateurs : c’était en réalité une revendication timide en faveur des femmes espagnoles, privées d’espace et contraintes à vivre sans oxygène dans les rues de la ville. D’autre part - soutenait-elle - jouir d’une plus grande liberté de mouvement permettrait aux femmes de mieux remplir leurs fonctions d’épouses et de mères. Lucia se signa comme élève du Centro de Hijos de Madrid, une institution caritative fondée par des entrepreneurs et des intellectuels qui offrait des possibilités d’éducation et de formation professionnelle aux couches les plus nécessiteuses de la population avec une attention particulière pour les femmes.
Au début de l’année suivante, l’hebdomadaire Avante publiait les premières épreuves poétiques de Lucia Sánchez Saornil, la présentant comme une jeune et prometteuse écrivain. La veine littéraire se développa dans les années suivantes, conduisant Lucia à publier dans de nombreux autres journaux jusqu’à arriver en 1916 sur les pages de Los Quijotes, une revue littéraire éditée à Madrid. En signant sous le pseudonyme masculin de Luciano de San Saor - presque un anagramme de son nom - Luciano de San Saor s’exprime dans des vers chargés de passion et de désir adressés à une femme. La participation à Los Quijotes se révèle un tournant pour la maturation de la jeune fille, tant du point de vue artistique que politique : En 1918, le groupe de rédaction de la revue fusionnera avec le mouvement de l’avant-garde espagnole connu sous le nom d’ultraisme et dans ce même milieu, Lucia entrera en contact avec l’anarchisme. L’Ultraisme fut un mouvement hybride puisant dans différentes tendances artistiques du début du siècle, du futurisme au dadaïsme en passant par le cubisme, d’où elle emprunta quelques mots d’ordre comme l’antipaxysme, l’expérimentalisme linguistique et esthétique, l’exaltation de la science et de la technique comme traits distinctifs de la modernité. Jusqu’à l’épuisement de la parabole ultraiste, au cours des années 1920, Lucia a continué à publier dans les journaux proches du mouvement, comme Gran Guiñol, Tableros, Ultra, Vertices, Plural et l’importante revue argentine Martin Fierro à laquelle contribuait Jorge Luis Borges.
En 1916, Lucia a commencé à travailler dans une compagnie de téléphone à Madrid. En effet, les sociétés de téléphone, en Espagne comme ailleurs, employaient en grande partie de la main-d’œuvre féminine, notamment aux niveaux les plus bas et les moins qualifiés de la structure de l’entreprise : c’était pourtant un emploi qui n’avait pas les traits et les caractéristiques du travail ouvrier, elle ne se déroulait pas à l’usine. Elle était donc attractive aussi bien pour les femmes de classe moyenne que pour les prolétaires, pour lesquelles elle pouvait représenter une possibilité d’ascension économique et sociale, comme dans le cas de Lucia. C’était un travail extrêmement difficile, avec des horaires pénibles, des obligations et des règles qui affectaient lourdement la vie privée, comme la clause de célibat. En 1924, l’entreprise où travaillait Lucia fut absorbée par la Compañia Telefónica Nacional de España. C’est à cette société anonyme que le gouvernement dictatorial de Primo de Rivera, arrivé au pouvoir en 1923, confia en monopole la réorganisation du service téléphonique du pays. Le principal actionnaire de la CTN était la société américaine ITT (International Telephone and Telegraphic), qui visait à introduire des formes de rationalisation tayloristique dans le travail afin d’optimiser les temps et d’obtenir un rendement plus élevé. Les fortes agitations qui marquèrent cette phase de modernisation du service téléphonique touchèrent surtout la main-d’œuvre masculine : peu de femmes qui y prirent part, parmi lesquelles Lucia, qui en 1927 fut transférée à Valence. Quatre ans plus tard, en 1931, elle a été licenciée. La dictature de Primo de Rivera est tombée en 1930 et, l’année suivante, la monarchie, à la suite des élections qui avaient exprimé une majorité républicaine-socialiste, n’a pas atténué la conflictualité sociale : les travailleuses et les travailleurs de Telefónica sont tombés dans l’agitation en opposition au monopole privé des services téléphoniques introduit par la dictature. En réalité, dans les conflits du travail, les gouvernements républicains, après quelques promesses initiales, n’avaient pas changé de cap et avaient continué à favoriser les formes de conciliation déjà introduites auparavant, méthodes que le syndicat anarchiste, la CNT, contrairement au syndicat socialiste, l’Ugt, avait toujours rejeté : les protestations syndicales virent donc non seulement l’affrontement direct entre le gouvernement et le CNT, mais aussi de graves oppositions entre les deux principaux syndicats espagnols.
Une fois licenciée, Lucia commence à gagner sa vie en tant que journaliste et militante anarchiste. Elle collabore à de nombreux journaux, dont El Libertario, hebdomadaire à vie très discontinue lié à la Federación Anarquista Ibérica (FAI); à partir de 1933, elle entre, seule femme, dans la rédaction du quotidien Cnt, organe du syndicat national. Au centre de l’attention de Lucia et de ses interventions sur la presse fut la "question féminine", un thème depuis toujours cher à la pensée anarchiste, qu’elle affronta d’une perspective sinon hétérodoxe certainement indépendante de celle assumée par le mouvement. Dans une optique authentiquement anarchiste de contestation du système représentatif, Lucia critique le droit de vote que la république a accordé aux femmes, en l’absence de revendication de la part des femmes elles-mêmes : cependant, elle ne se limite pas à affirmer qu’elle représente une instrumentalisation et une assimilation des femmes aux logiques de l’État, mais elle affirme la nécessité d’une initiative spécifique des anarchistes, en totale autonomie - politique et organisationnelle - du mouvement. En effet, c’est l’annonce de ce que Lucia réalisera quelques années plus tard, en fondant en avril 1936, avec Mercedes Comaposada, le périodique Mujeres Libres, lieu de discussion et d’agrégation politique des femmes, proche de l’anarchisme mais tout à fait indépendant. Identifiant dans le terme féminisme un mot d’ordre visant à obtenir une simple égalisation avec les hommes, Lucia et ses compagnes de la rédaction rejettent ses objectifs au nom d’une vision radicale qui considère les femmes avant-gardistes d’une société future. La guerre civile qui éclate peu à peu est le terrain sur lequel se mesure la capacité d’initiative féminine. L’organisation Mujeres libres, qui parviendra à réunir vingt mille femmes, prêtera aide aux combattants et à leurs familles, s’emploiera dans les approvisionnements et dans la distribution de nourritures, dans l’assistance à la population et à l’enfance, en organisant des cantines, des crèches, des cours d’alphabétisation et de puériculture. Et le rôle des femmes devint encore plus incisif dans la dimension internationale : Lucia Sánchez fut parmi les principales responsables du projet de soutien autour duquel naquit Solidaridad Internacional Antifascista (Sia), ce réseau a également consacré beaucoup d’attention à l’enfance, non seulement en ce qui concerne les soins, mais aussi en ce qui concerne les nouvelles méthodes d’éducation. Lucia organisa des colonies pour les filles/adolescents, destinées surtout à accueillir les fils et les filles des militants anarchistes, dans le but d’assurer à la jeunesse un milieu protégé des violences de la guerre.
En 1937, de retour à Valence, Lucia y fait la connaissance d’América Barroso dite Mery, qui depuis, sera sa compagne de vie. À la chute de la République, en 1939, elle s’enfuit en France, avec ce qui sera désormais sa famille : Mery, son père Eugène et sa sœur Concepción avec qui elle s’était réunie. Mais après l’occupation nazie du pays et la naissance du gouvernement de Vichy, Lucia et ses hommes sont à nouveau contraints de fuir et de rentrer clandestinement en Espagne, s’installant d’abord à Madrid puis, définitivement, à Valence grâce à l’aide de la famille Barroso. Lucia meurt le 2 juin 1970 d’un cancer du poumon ; Mery lui survit pendant sept ans. Dans la dernière période de son existence, Lucia recommence à écrire des poèmes, restés en grande partie inédits, très différents de ceux composés dans sa jeunesse, marqués par la passion. Après les années de militantisme, le chiffre des derniers écrits n’est plus le "nous", la dimension collective, mais l’accent intimiste, parcouru par les angoisses de la défaite, par la peur de la maladie et de la mort imminente, et aussi par un sentiment religieux incertain, mais nourri par l’espoir que la vie n’est pas finie. Sur un paquet de poèmes inédits conservés par la famille Barroso, on peut lire un titre écrit par la main de Lucia : Siempre puede volver la esperanza (Poemas).
Traduzione inglese
Syd Stapleton
It is impossible not to read the biographical story of Lucía Sánchez Saornil as a reflection of crucial moments and experiences of the twentieth century, and of the women who lived in that century. Her figure emerged from obscurity thanks to the anthology edited in 1975 by Mary Nash, subsequently translated into Italian (Mujeres libres - Donne libere: Spagna 1936-1939, Ragusa, La Fiaccola, 1991), dedicated to the periodical and to the anarchist women's organization of the same name, founded by Lucía during the Spanish Civil War. But it is thanks to the recent and documented research of Michela Cimbalo (Ho sempre detto noi: Lucía Sánchez Saornil, femminista e anarchica nella Spagna della Guerra Civile, Rome, Viella, 2020) that we have her biography reconstructed in all its depth and richness. Sánchez Saornil was born in Madrid on December 13, 1895 to a family of farm laborers who emigrated two years earlier from the northern plateau in search of better opportunities in the capital, at that point in full economic and urban expansion. However, precarious working conditions and the high cost of living didn’t allow the young couple - Eugenio and Gabriela - and their four children (two of whom died at an early age) to raise their fortunes and lead a less difficult existence. In 1908, when Lucía was twelve and her sister Concepción was two years younger, her mother died during an epidemic of tuberculosis. The daughter of illiterate parents in difficult economic circumstances, Lucia as a young girl was nevertheless animated by a great hunger for knowledge. She certainly received a basic education, since at eighteen she had mastered writing to the point of sending a letter to a Madrid newspaper, La Correspondencia de España, in which she said she hoped that an association similar to that of the young explorers would also be established for girls. It was actually a modest request, in favor of Spanish women, deprived of space and forced to live without oxygen in the city streets. She argued that enjoying greater freedom of movement would allow women to better fulfill their functions as wives and mothers. Lucía signed up as a student of the Centro de Hijos de Madrid, a charity institution founded by entrepreneurs and intellectuals that offered education and professional training opportunities to the poorest sections of the population with particular attention to women.
At the beginning of the following year, the weekly Avante first published poetry by Lucía Sánchez Saornil, presenting her as a young and promising writer. Her literary output developed in the following years to the point that Lucía was published in numerous other newspapers, until arriving in 1916 on the pages of Los Quijotes, a literary magazine published in Madrid. Signing with the male pseudonym of Luciano de San Saor - almost an anagram of her own name - she expressed herself in verses addressed to a woman, full of passion and desire. Participation in Los Quijotes proved to be a turning point in the young woman's development, both from an artistic and political point of view. In 1918 the editorial team of the magazine merged into the Spanish avant-garde movement known as Ultraismo and in that same environment Lucía came into contact with anarchism. Ultraism was a hybrid movement that drew on different artistic trends of the beginning of the century, from futurism to Dadaism to cubism, from which it borrowed ideas such as antipassatismo (down with the past), linguistic and aesthetic experimentalism, and the exaltation of science and of technology as hallmarks of modernity. Until the ultraist movement dissapated during the 1920s, Lucía continued to be published in newspapers close to the movement, such as Gran Guiñol, Tableros, Ultra, Vertices, Plural and in the important Argentine magazine Martin Fierro to which Jorge Luis Borges contributed.
In 1916 Lucía started working for a Madrid telephone company. The telephone companies, in Spain as elsewhere, largely employed female labor, especially at the lowest levels of the company structure. Nevertheless, it was work that didn’t have the characteristics of blue-collar work, nor was it carried out in a factory. It was therefore attractive to both middle-class women and proletarians, for whom it could represent a possibility of economic and social ascent, as in the case of Lucía. It was, however, extremely hard work, with long hours, obligations and rules that heavily affected private life, such as forbidding female workers to marry (clausola di nubilato). In 1924 the company where Lucía worked was absorbed by the Compañia Telefónica Nacional de España. The dictatorial government of Primo de Rivera, which came to power in 1923, entrusted the reorganization of the country's telephone service to this corporation. The largest shareholder of CTN was the US company IT&T (International Telephone and Telegraphic), which aimed to introduce forms of Taylorist rationalization in work in order to optimize time and achieve greater profits. The turmoil that marked this phase of modernization of the telephone service mainly concerned the male workforce - few women took part in it, including Lucía, who in 1927 was transferred to Valencia. Four years later, in 1931, she was fired. After the fall of Primo de Rivera's dictatorship in 1930 and, the following year, the monarchy, following the elections that had expressed a republican-socialist majority, the social conflict had not subsided. Workers from Telefónica organized in opposition to the private monopoly of telephone services introduced by the dictatorship. In reality, the republican government, after some initial promises, had not changed course in labor conflicts, and had continued to favor the forms of conciliation already introduced, methods that the anarchist union, the CNT, had always rejected, unlike the socialist UGT. The trade union protests therefore involved not only the direct clash between the government and the CTN, but also serious conflicts between the two main Spanish unions.
Once fired, Lucía began earning a living as a journalist and anarchist activist. She collaborated with many newspapers, including El Libertario, an irregularly published weekly linked to the Federación Anarquista Ibérica (FAI). In 1933 she was the only woman in the editorial office of the CNT newspaper, the organ of the national union. At the center of Lucía's attention and her interventions in the press was the "women's question", a theme that has always been dear to anarchist thought, which she tackled from a perspective which was, if not unorthodox, certainly independent from that assumed by the movement. From an authentically anarchic viewpoint, of contesting the parliamentary system, Lucía criticized the right to vote that the republic granted to women, in the absence of demands by women themselves. Further, she didn’t limit herself to stating that it represented an exploitation and an assimilation of women to the logic of the state, but asserted the need for specific initiatives by anarchist women, in total autonomy - political and organizational - from the movement. The assertion of these ideas foreshadowed what Lucía would achieve a few years later. In April 1936, together with Mercedes Comaposada, she founded the periodical Mujeres Libres, a place for discussion and political organization by women, close to anarchism but completely independent. By identifying in the term feminism a slogan aimed at obtaining a mere equality with men, Lucía and her editorial teammates rejected that objective in the name of a radical vision that considered women to be the vanguard of a future society. The Civil War that broke out shortly thereafter became the terrain on which women's capacity for initiative was tested. The Mujeres Libres organization, which brought together twenty thousand women, helped the fighters and their families, worked in procurement and distribution of food, in assisting the population and children, organizing canteens, kindergartens, literacy courses and childcare. And the role of women became even more incisive on the international scene. Lucía Sánchez was among the main leaders of the support project around which Solidaridad Internacional Antifascista (SIA) was born. This network also devoted a lot of attention to children, not limiting itself to assistance but advocating new educational methods. Lucía organized colonies for young children and adolescents, aimed above all at accepting the sons and daughters of anarchist militants, with the aim of ensuring the youth an environment protected from the violence of war.
In 1937, when she returned to Valencia, Lucía met América Barroso, known as Mery, who became her life-long partner. At the fall of the republic, in 1939, she fled to France, with what would henceforth be her family - her father Eugenio, her sister Concepción, with whom she was reunited, and Mery. But after the Nazi occupation of the country and the birth of the Vichy government, Lucía and her family were again forced to flee and returned illegally to Spain, settling first in Madrid and then, finally, in Valencia thanks to the help of the Barroso family. Lucía died on June 2, 1970, of lung cancer. Mery survived her for another seven years. In the last period of her existence, Lucía resumed writing poems, largely unpublished, marked by her passion, and very different from those composed in her youth. Gone were the years of militancy - the central figure of the later writings is no longer the "we", the collective dimension, but an intimate accent, marked by the anguish of defeat, by the fear of illness and impending death, and also by a generic religious sentiment, fueled by the hope that life is never over. Above a bundle of unpublished poems preserved by the Barroso family we can read a title written by the hand of Lucía: Siempre puede volver la esperanza [Hope can always return] (Poemas).
Traduzione spagnola
Giulia Calì
Es imposible no leer la biografía de Lucía Sánchez Saornil como el reflejo de momentos y experiencias cruciales del siglo XX y de las mujeres que vivieron durante ese siglo. Su figura emergió de la oscuridad gracias a la antología editada por Mary Nash en 1975 (Barcelona, Tusquets), luego traducida al italiano (Mujeres libres - Donne libere: Spagna 1936-1939, Ragusa, La Fiaccola, 1991), dedicada al periódico y a la homónima organización de mujeres anarquistas fundados por Lucía durante la Guerra Civil española; pero solo gracias a la reciente y documentada investigación de Michela Cimbalo se pudo reconstruir la biografía en todo su importancia y riqueza. Sánchez Saornil nació en Madrid el 13 de diciembre de 1985 en una familia de obreros agrícolas que dos años antes había emigrado de la meseta septentrional en busca de mejores oportunidades en la capital en plena expansión económica y urbanística. Sin embargo, condiciones de trabajo precarias y un alto costo de la vida no le permitieron a la joven pareja –Eugenio y Gabriela– y a sus cuatro hijos –dos de los cuales morirán a temprana edad– mejorar su propio destino y llevar una existencia menos dura. En 1908, cuando Lucía tenía doce años y su hermana Concepción dos menos, su madre murió durante una epidemia de tuberculosis. A pesar de ser hija de padres analfabetos y pobre de recursos, la chica estaba animada su por gran hambre de conocimiento: recibió sin duda una educación básica pues con dieciocho años dominaba hasta tal punto la escritura que envió una carta a un periódico madrileño, La Correspondencia de España, en la que deseaba que también se instituyera una asociación análoga a la de los jóvenes exploradores para las chicas: en realidad se trataba de una tímida reivindicación en favor de las mujeres españolas, privadas de un espacio propio y obligadas a vivir sin oxígeno en las calles de la ciudad. Por otra parte –sostenía– gozar de mayor libertad de movimiento permitiría a las mujeres cumplir mejor con sus funciones de esposas y madres. Lucía se firmaba como alumna del Centro de Hijos de Madrid, una institución benéfica fundada por emprendedores e intelectuales que ofrecía oportunidades de educación y formación profesional a las capas más necesitadas de población, con especial atención a las mujeres.
A principios del año siguiente el semanario Avante publicaba las primeras pruebas poéticas de Lucía Sánchez Saornil, presentándola como una escritora joven y prometedora. Su vena literaria se irá desarrollando en los años siguientes llevándola a publicar en muchos otros periódicos hasta llegar en 1916 a las paginas de Los Quijotes, una revista literaria editada en Madrid. Firmando con el seudónimo masculino de Luciano de San Saor –casi un anagrama de su nombre– Lucía se expresa en versos cargados de pasión y deseo hacia una mujer. La participación en Los Quijotes se revela un punto de inflexión para la maduración de la joven, tanto desde el punto de vista artístico como político: en 1918 el grupo de redacción de la revista confluirá en el movimiento de vanguardia española conocido como Ultraísmo y en ese mismo ambiente Lucía entrará en contacto con el anarquismo. El Ultraísmo fue un movimiento híbrido que recurrió a diferentes tendencias artísticas de principios de siglo, desde el futurismo hasta el dadaísmo y el cubismo, de los que tomó algunas palabras clave como el antipasatismo, el experimentalismo lingüístico y estético, la exaltación de la ciencia y de la técnica como rasgos distintivos de la modernidad. A lo largo de los años Veinte, hasta que se agotó la parábola ultraísta, Lucía siguió publicando en los periódicos cercanos al movimiento, como Gran Guiñol, Tableros, Ultra, Vertices, Plural y la importante revista argentina Martin Fierro a la que contribuía Jorge Luis Borges.
En 1916 Lucía había empezado a trabajar en una compañía telefónica de Madrid. De hecho, las empresas telefónicas en España, como en otras partes, empleaban en gran medida mano de obra femenina, sobre todo en los niveles más bajos y menos cualificados de la estructura empresarial: sin embargo, era un empleo que no tenía los rasgos del trabajo obrero, ni se llevaba a cabo en la fábrica. Por eso era atractivo tanto para las mujeres de clase media como para las proletarias, para las que podía representar una posibilidad de ascenso económico y social, como en el caso de Lucía. Aun así, era un trabajo muy duro, con horarios pesados, obligaciones y normas que influían notablemente en la vida privada, como la cláusula de soltería. En 1924 la empresa donde trabajaba Lucía fue absorbida por la Compañía Telefónica Nacional de España. El gobierno dictatorial de Primo de Rivera, que llegó al poder en 1923, confió la reorganización del servicio telefónico del país en régimen de monopolio a esta empresa anónima. La mayor accionista de la CTN era la empresa estadounidense ITT (International Telephone and Telegraphic), que aspiraba a introducir formas de racionalización taylorista en el trabajo con el objetivo de optimizar tiempos y obtener un mayor rendimiento. Las fuertes protestas que marcaron esta etapa de modernización del servicio telefónico afectaron sobre todo a la mano de obra masculina: pocas mujeres tomaron parte en ellas, entre ellas a Lucía, que en 1927 fue trasladada a Valencia. Cuatro años después, en 1931, la despidieron. Cuando cayeron la dictadura de Primo de Rivera, en 1930, y la monarquía el año siguiente, tras las elecciones que habían expresado una mayoría republicano-socialista, no se había atenuado la conflictividad social: la clase trabajadora de la Telefónica se levantó contra el monopolio privado de los servicios telefónicos introducido por la dictadura. En realidad, los gobiernos republicanos, tras algunos compromisos iniciales, no habían cambiado de rumbo en los conflictos laborales y seguían favoreciendo formas de conciliación ya antes introducidas, métodos que el sindicato anarquista, la CNT, al contrario que el socialista, la UGT, siempre había rechazado: así que las protestas sindicales vieron no solo el enfrentamiento directo entre gobierno y CNT, sino también graves contrastes entre los dos principales sindicatos españoles.
Tras su despido, Lucía empezó a ganarse la vida como periodista y activista anarquista. Colaboró en muchos periódicos, entre los cuales El Libertario, semanario con publicación discontinua asociado a la Federación Anarquista Ibérica (Fai); desde 1933 entró en la redacción del periódico CNT, órgano del sindicato nacional donde era la única mujer. El foco de atención de Lucía y de sus intervenciones en la prensa fue la “cuestión de la mujer”, un tema importante para el pensamiento anarquista, que lo abordó desde una perspectiva si no heterodoxa, sin duda independiente de la adoptada por el movimiento. En una óptica auténticamente anarquista de refutación del sistema representativo, Lucía critica el derecho de voto que la República concedió a las mujeres, sin que lo hubieran reivindicado ellas mismas: sin embargo, no se limita a afirmar que eso representa una instrumentalización y una asimilación de las mujeres a las lógicas del Estado, sino que afirma la necesidad de una iniciativa específica de las anarquistas, en total autonomía –política y organizativa– del movimiento. De hecho, es el anuncio de lo que Lucía realizará pocos años después, fundando en abril de 1936, junto con Mercedes Comaposada, el periódico Mujeres libres, lugar de debate y de agregación política de las mujeres, cercano al anarquismo pero totalmente independiente. Identificando en el término feminismo una palabra clave dirigida a obtener una mera equiparación con los hombres, Lucía y sus compañeras de la redacción rechazan sus objetivos en nombre de una visión radical que considera a las mujeres como vanguardia de una sociedad futura. La Guerra Civil que estalla poco después es el terreno en el que se mide la capacidad de iniciativa de las mujeres. La organización Mujeres libres, que llegará a reunir a veinte mil mujeres, prestará ayuda a los combatientes y a sus familias, trabajará en el abastecimiento y en la distribución de víveres, en la asistencia a la población y a la infancia, organizando comedores, guarderías, cursos de alfabetización y de puericultura. Y el rol de las mujeres se hizo aún más decisivo en la dimensión internacional: Lucía Sánchez fue una de las principales responsables del proyecto de apoyo alrededor del cual nació Solidaridad Internacional Antifascista (SIA); también esta red dedicó mucha atención a la infancia, sin limitarse a la asistencia sino propugnando nuevos métodos educativos. Lucía organizó colonias para infantes y adolescentes, dirigidas sobre todo a acoger a los hijos e hijas de los militantes anarquistas, con el fin de asegurar a la juventud un ambiente protegido de las violencias de la guerra.
En 1937 Lucía volvió nuevamente a Valencia, donde conoció a América Barroso, llamada Mery, quien desde ese entonces será su compañera de vida. A la caída de la república en 1939 huyó a Francia, con la que de ahí en adelante sería su familia: Mery, su padre Eugenio y su hermana Concepción, con los que se había reunido. Pero después de la ocupación nazi del país y del nacimiento del gobierno de Vichy, Lucía y los suyos se vieron obligados a huir nuevamente y a volver clandestinamente a España, estableciéndose primero en Madrid y después definitivamente en Valencia gracias a la ayuda de la familia Barroso. Lucía murió el 2 de junio de 1970 por un cáncer de pecho.