Bessie Smith
Laura Coci




Laura Zemik

 

«Sto seduta nella mia casa, e ho mille cose nella mente,
guardo l’orologio e non riesco neppure a leggere l’ora.
Vado alla finestra e guardo fuori dalla porta,
vorrei che il mio uomo tornasse di nuovo a casa sua.
Non riesco a mangiare, non riesco a dormire,
son così debole che non riesco ad attraversare la stanza
mi sento di gridare all’assassinio, di farmi prendere ancora dalla squadra della polizia.
Mi hanno svegliata prima dell’alba, e avevo la mente sconvolta,
mi torcevo le mani e gridavo, camminavo per la stanza, urlavo e piangevo.
Prendeteli, non lasciate che i blues entrino qui dentro
mi scuotono nel mio letto, non riesco a sedermi sulla sedia.
Oh, i blues mi hanno messo la frenesia addosso
hanno girato intorno alla mia casa, entrando e uscendo dalla porta principale».

(da In the House Blues, registrato a New York l’11 giugno1931, disco Columbia 14611-D, traduzione di Luciano Federighi).

Bessie Smith in un celebre ritratto fotografico del 1923 (autore non noto)

«Con tutta probabilità Bessie non sarebbe stata una così grande cantante se non avesse avuto una vita così drammatica e amara». Così scrive il grande studioso di blues e folklore afroamericano Paul Oliver nella biografia Bessie Smith (Cassell & Co., London 1959). Una ragazza di colore nata nel 1894 (il 15 aprile), a Chattanooga, Tennessee, da una famiglia poverissima, la cui casa è costituita da una baracca di legno con un’unica stanza. I genitori e una sorella muoiono prima che lei compia i nove anni e la sorella maggiore Viola cerca, come può, di provvedere a quel che rimane della famiglia e di tenerla unita. Proprio a nove anni Bessie esordisce all’Ivory Theatre della sua città, contribuendo, grazie alla sua particolarissima voce, a rimpolpare le magre entrate familiari; quando i Rabbit Foot Minstrels, guidati da Will ‘Pa’ Rainey e dalla sua giovanissima moglie Gertrude ‘Ma’ Rainey, arrivano in città, ascoltano la piccola Bessie e non esitano a ingaggiarla come cantante bambina: è l’inizio della tumultuosa carriera della più grande cantante di blues di tutti i tempi. Racconta Gian Carlo Roncaglia nel suo splendido libro Il jazz e il suo mondo (Einaudi, Torino 1979): «[…] quando la Columbia, grazie al fiuto di Frank Walker, la ingaggiò, ottenne tali utili dalla vendita dei suoi dischi da risollevare le sorti economiche del suo bilancio, messe in pericolo, proprio in quegli anni, da non brillanti decisioni manageriali. E Bessie, con la sua parte di guadagno, poté trasferire la sua famiglia da Chattanooga a Philadelphia, acquistando contemporaneamente una fattoria nel New Jersey, nella quale si sarebbe per un non breve periodo stabilita».

E ancora Paul Oliver: «…solo dieci anni prima era una ragazza-prodigio che ballava in uno spettacolo di minstrels per un dollaro al giorno: ora poteva chiedere mille, millecinquecento dollari per ogni spettacolo. Quando veniva pubblicato uno dei suoi dischi riceveva un pagamento anticipato di mille dollari e il cinque per cento sulle vendite dopo il superamento della cifra di mille dollari». Il denaro non le concede la felicità: una testimonianza attendibile racconta, per esempio, che nel solo anno 1926, in sei mesi, Bessie riuscì a spendere 16.000 dollari in gin, abiti e pellicce; ma anche in beneficenza, compiendo gesti leggendari: celebre l’interruzione di una tournée per correre dalla moglie del suo impresario per aiutarla ad accudire il figlio gravemente ammalato, facendole da cameriera e nurse fino a quando il bambino non guarisce.

Bessie Smith in un fotogramma del cortometraggio St. Louis Blues, diretto da Dudley Murphy nel 1929

Così, invece, la descrive il clarinettista Milton ‘Mezz’ Mezzrow (il cui vero cognome era Mesirov), nato a Chicago da una coppia di ebrei russi immigrati, curiosa figura di musicista ma anche spacciatore di stupefacenti che, bianco per nascita, cercò in tutti i modi, senza riuscirci, di far riportare sui propri documenti che era di razza “negra”: «Bessie era una vera donna dalla testa ai piedi: tutta la femminilità del mondo riunita in un dolce involucro. Alta, la pelle scura, con due grandi fossette che le solcavano le guance: una bellezza voluttuosa, massiccia e formosa, ma solenne, con un magnete ad alta tensione per personalità. Quando era nel suo camerino era come se la sua vitalità si addensasse in una spessa nube che tutto riempiva fino a far scoppiare i muri. Non aveva nessuna posa, nessuna affettazione: quelle sue note d’oro uscivano luminose dalla sua bocca senza nessuno sforzo. Essa non faceva altro che mettersi a cantare, e allora tutto l’amore, tutta l’allegria, tutta la tristezza del mondo uscivano dal suo cuore con violenza». (da Milton ‘Mezz’ Mezzrow/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, New York 1946). Della sua ben nota dipendenza dall’alcol Bessie Smith cantò più volte, come nella celebre Me and My Gin (registrato a New York il 25 agosto 1928, disco Columbia 14384-D, qui nella bella traduzione di Walter Mauro):

«Sta’ alla larga da me, perché son tutta un peccato,
se questo posto crolla è tutta colpa del gin che ho in corpo.
Che nessuno mi provochi, perché tanto non la spunterebbe,
posso fronteggiare l’esercito e la marina con il gin che ho in corpo.
Ogni contrabbandiere è amico mio,
perché una vecchia, buona bottiglia di gin può fare miracoli.
Quando sono su di giri non c’è niente che non farei,
riempimi di alcol e sarò certo molto carina con te.
Non voglio vestiti, non ho bisogno di un letto,
non voglio braciole di maiale, dammi solo del gin.»

In Gimmie a Pigfoot (registrato a New York il 24 novembre 1933, disco Okeh 8945, traduzione di Gian Carlo Roncaglia), in uno dei quattro brani dell’ultima seduta di registrazione della cantante, la trasgressione, non solo quella dell’alcol, diviene collettiva:

«In Harlem ogni sabato sera
quando i negri si riuniscono
succede un pandemonio.
Vengono da ogni dove per ballare tutta la notte
e ce la mettono tutta. […]
Mi va di spassarmela come dico io,
date da bere al pianista, che mi sta stendendo.
Eccolo che ha preso il ritmo, ah sì,
quando batte i piedi mi sento stordire.
Mettete via coltelli e pistole
sennò va a finire che facciamo a botte e vengono le madame.
Voglio un boccale e una bottiglia di birra,
su, che vuoi che m’importi?
Suona, tanto che m’importa?»

Nei suoi blues Bessie Smith parla spesso di amore e di sesso, anche al limite della pornografia come in Empty Bed Blues (registrato a New York il 20 marzo 1928, disco Columbia 14312-D, traduzione di Walter Mauro):

«Mi sono svegliata stamattina con un terribile mal di testa,
mi sono accorta che il mio nuovo amore mi aveva lasciata,
con camera e letto vuoto.
Eppure lui sapeva come eccitarmi, lo faceva notte e giorno,
faceva l’amore in un modo così diverso che quasi mi levava il fiato.
Mi aveva insegnato cose che non avevo mai appreso da nessuno,
questo mio nuovo amore mi aveva insegnato tante cose nuove;
pensate un po’, quando ebbe finito di insegnarmi tutto,
io mi iscrissi di nuovo a scuola».

In altre occasioni Bessie utilizza un frasario zeppo di doppi sensi, come in You’ve Been an Old Good Wagon (con l’accompagnamento di un giovane Louis Armstrong, registrato a New York il 14 gennaio 1925, disco Columbia 14079-D, nella traduzione, ancora una volta, di Walter Mauro):

«Senti un po’, tesoro, bisogna proprio che te lo dica,
per favore levati di torno,
siamo pari, me ne vado stanotte;
hai fatto il tuo tempo, non mettere su il muso,
sei stato una splendida fuori serie, tesoro, ma adesso hai chiuso.
Ora faresti bene ad andare in officina a farti mettere in sesto,
non hai più nulla che possa far crollare una donna in gamba;
vedi, nessuno vuole un moccioso quando può avere un uomo come si deve,
sei stato una splendida fuori serie, tesoro, ma adesso hai chiuso.
Bisogna battere il ferro finché è caldo,
l’automobile funziona, ma non ce la fai più a correre come prima;
quando eri in forma ti piaceva scorrazzare in su e in giù,
sei stato una splendida fuori serie, amore, ma adesso hai chiuso».

Il celebre critico musicale Joachim E. Berendt, nella sua fondamentale opera Il libro del jazz. Dal New Orleans al free jazz (traduzione italiana di L. Luzzatto, Garzanti, Milano 1973) nota:

«È difficile stabilire in che cosa consista il fascino della sua voce. Forse sta nel fatto che la sua voce aspra e rauca sembra essere velata da una profonda tristezza, anche nelle melodie più scatenate e allegre. Bessie cantava come la rappresentante di un popolo che per secoli aveva vissuto in schiavitù e che dopo l’abolizione della schiavitù doveva subire peggiori discriminazioni di quanto fosse accaduto nel periodo più nero della schiavitù. Il fatto che la sua tristezza si esprima senza un’ombra di sentimentalismo proprio nell’asprezza e nella maestosità della sua voce, è un suo segreto».

 

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Bessie Smith in un ritratto fotografico del 1936 (Carl Van Vechten, Library of Congress) Bessie Smith in una fotografia del 1925 circa (Michael Ochs Archives / Getty Images

Sei anni di grande successo, dal 1923 al 1929, poi un rapido declino, concomitante con il periodo drammatico della Grande depressione statunitense: il pubblico, quello ancora in grado di comprare dischi e andare ai concerti, vuole solo musica disimpegnata e divertente e così finisce la carriera di tanti musicisti e cantanti che fino a quel momento erano stati gli idoli delle folle. L’ultima seduta di incisione, dopo oltre due anni di silenzio, è del 1933 e viene organizzata per il mercato britannico; tra i musicisti che accompagnano Bessie Smith anche un giovane clarinettista bianco, Benny Goodman: di fatto un passaggio di consegne tra due epoche musicali lontanissime tra loro.

Sulla morte prematura della cantante, a quarantatré anni, è circolata a lungo una storia molto drammatica, rivelatasi poi lontana dalla realtà: non è vero che le rifiutarono i soccorsi perché di colore, quando restò mortalmente ferita in un incidente stradale a Clarksdale, Mississippi; è vero, però, che l’ambulanza che avrebbe dovuto portarla all’Afro american hospital, un ospedale riservato alla gente di colore (e basterebbe questo particolare per descrivere l’oscenità della società statunitense dell’epoca, appena attenuatasi nei decenni successivi), giunse con un certo ritardo: Bessie non si sarebbe salvata in ogni caso. È il 26 settembre 1937: cala, definitivamente, il sipario.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

«Je suis assise dans ma maison, et j’ai mille choses en tête,
je regarde l’a montre et je ne peux même pas lire l’heure.
Je vais à la fenêtre et je regarde par la porte,
je voudrais que mon homme revienne chez lui.
Je ne peux pas manger, je ne peux pas dormir,
je suis si faible que je ne peux pas traverser la pièce
que je me sens crier au meurtre, me faire attraper encore par l’équipe de police.
Ils m’ont réveillée avant l’aube, et j’avais l’esprit bouleversé,
je me tordais les mains et je criais, je marchais dans la pièce, je criais et je pleurais.
Prenez-les, ne laissez pas les blues entrer
ici me secouer dans mon lit, je ne peux pas m’asseoir sur la chaise.
Oh, les blues m’ont mis la frénésie
autour de ma maison, entrant et sortant par la porte d’entrée».

(de In the House Blues, enregistré à New York le 11 juin 1931, disque Columbia 14611-D, traduction de Luciano Federighi).

1.Bessie Smith dans un célèbre portrait photographique de 1923 (auteur inconnu)

«Bessie n’aurait probablement pas été une si grande chanteuse si elle n’avait pas eu une vie aussi dramatique et amère». C’est ce qu’écrit le grand chercheur en blues et folklore afro-américain Paul Oliver dans la biographie Bessie Smith (Cassell & Co., London 1959). Une fille de couleur née en 1894 (le 15 avril), à Chattanooga, Tennessee, d’une famille très pauvre, dont la maison se compose d’une cabane en bois avec une seule pièce. Les parents et une sœur meurent avant l’âge de neuf ans et la grande sœur Viola essaie, comme elle le peut, de subvenir aux besoins de ce qui reste de la famille et de la garder unie. À l’âge de neuf ans, Bessie fait ses débuts au Ivory Theatre de sa ville natale, contribuant, grâce à sa voix particulière, à étoffer les maigres revenus familiaux; quand les Rabbit Foot Minstrels, dirigés par Will 'Pa' Rainey et sa très jeune épouse Gertrude 'Ma' Rainey, ils arrivent en ville, écoutent la petite Bessie et n’hésitent pas à l’engager comme enfant chanteuse: c’est le début de la carrière tumultueuse de la plus grande chanteuse de blues de tous les temps. Gian Carlo Roncaglia raconte dans son splendide livre Le jazz et son monde (Einaudi, Turin 1979) : «[... ] quand Columbia, grâce au flair de Frank Walker, l’engagea, obtint des bénéfices tels que la vente de ses disques lui permettait de redresser le sort économique de son bilan, mis en péril, au cours de ces années, par de vaines décisions de gestion. Et Bessie, avec sa part de gain, put transférer sa famille de Chattanooga à Philadelphie, en achetant simultanément une ferme dans le New Jersey, dans laquelle on serait pour une période non brève établie »

Et encore Paul Oliver : «... seulement dix ans auparavant, c’était une fille prodige qui dansait dans un spectacle de minstrels pour un dollar par jour : maintenant elle pouvait demander mille, mille cinq cents dollars pour chaque spectacle. Lorsqu’un de ses disques était publié, elle recevait un paiement anticipé de mille dollars et cinq pour cent sur les ventes après avoir dépassé le chiffre de mille dollars». L’argent ne lui donne pas le bonheur : un témoignage fiable raconte, par exemple, qu’en la seule année 1926, en six mois, Bessie réussit à dépenser 16000 dollars en gin, vêtements et fourrures; mais aussi à la charité, en accomplissant des gestes légendaires : célèbre l’interruption d’une tournée pour courir chez la femme de son entrepreneur pour l’aider à s’occuper de son fils gravement malade, en lui servant de servante et de nurse jusqu’à ce que l’enfant guérisse.

Bessie Smith dans un cadre du court métrage St. Louis Blues,réalisé par Dudley Murphy en 1929

Ainsi, par contre, le clarinettiste Milton 'Mezzrow' (dont le vrai nom était Mesirov), né à Chicago d’un couple de juifs russes immigrés, curieuse figure de musicien mais aussi trafiquant de stupéfiants qui, blanc de naissance, chercha de toutes les manières, sans y parvenir, de faire rapporter sur ses documents qu’il était de race "noire" : «Bessie était une vraie femme de la tête aux pieds: toute la féminité du monde réunie dans une douce enveloppe. Grande, la peau foncée, avec deux grandes fossettes qui sillonnaient ses joues: une beauté voluptueuse, massive et formée, mais solennelle, avec un aimant haute tension pour personnalité. Quand elle était dans sa loge, c’était comme si sa vitalité s’épaississait dans un épais nuage que tout remplissait jusqu’à faire éclater les murs. Elle n’avait aucune pose, aucune affectation: ses notes d’or sortaient brillantes de sa bouche sans aucun effort. Elle ne faisait que chanter, et alors tout l’amour, toute la joie, toute la tristesse du monde sortaient de son cœur avec violence». (de Milton 'Half Row/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, New York 1946). Bessie Smith chanta plusieurs fois de sa fameuse dépendance à l’alcool, comme dans le célèbre Me and My Gin (enregistré à New York le 25 août 1928, disque Columbia 14384-D, ici dans la belle traduction de Walter Mauro):

«Reste loin de moi, car je suis tout un péché,
si cet endroit s’écroule, c’est tout le gin que j’ai dans mon corps.
Que personne ne me provoque, parce que ça ne la fera pas gagner,
je peux affronter l’armée et la marine avec le gin que j’ai dans le corps.
Chaque contrebandier est mon ami,
car une bonne vieille bouteille de gin peut faire des miracles.
Quand je suis excitée, il n’y a rien que je ne ferais pas,
remplis-moi d’alcool et je serai très gentille avec toi.
Je ne veux pas de vêtements, je n’ai pas besoin de lit,
je ne veux pas de côtes de porc, donnez-moi juste du gin.»

Dans Gimmie a Pigfoot (enregistré à New York le 24 novembre 1933, disque Okeh 8945, traduction de Gian Carlo Roncaglia), dans l’un des quatre morceaux de la dernière séance d’enregistrement de la chanteuse, la transgression, et pas seulement celle de l’alcool, devient collective:

«Dans Harlem, tous les samedis soirs
quand les nègres se réunissent,
il se passe un vacarme.
Ils viennent de partout pour danser toute la nuit
et ils font de leur mieux. [... ]
J’ai envie de m’éclater comme je dis,
donnez un verre au pianiste, qui est en train de m’endormir.
Le voilà qui prend le rythme, ah oui,
quand il bat les pieds je me sens étourdi.
Rangez vos couteaux et vos flingues, sinon on se fait tabasser et les Dames viennent.
Je veux une chope et une bouteille de bière,
Aller, qu'est-ce que cela peut m'apporter?
Joue, qu’est-ce que ça me fait ?»

Dans ses blues, Bessie Smith parle souvent d’amour et de sexe, même à la limite de la pornographie comme dans Empty Bed Blues (enregistré à New York le 20 mars 1928, disque Columbia 14312-D, traduction de Walter Mauro)

«Je me suis réveillée ce matin avec un terrible mal de tête,
je me suis aperçue que mon nouvel amour m’avait quittée, avec chambre et lit vide.
Et pourtant il savait comment m’exciter,il le faisait nuit et jour,
il faisait l’amour d’une manière si différente qu’il me coupait presque le souffle.
Il m’avait appris des choses que je n’avais jamais apprises de personne,
ce nouvel amour m’avait appris tant de choses nouvelles;
pensez un peu, quand il eut fini de tout m’apprendre,
je m’inscrivis de nouveau à l’école».

À d’autres occasions, Bessie utilise un phrasé bourré de doubles sens, comme dans You’ve Been an Old Good Wagon (accompagné d’un jeune Louis Armstrong, enregistré à New York le 14 janvier 1925, disque Columbia 14079-D, dans la traduction, encore une fois, de Walter Mauro):

«Écoute, chérie, il faut vraiment que je te le dise,
s’il te plaît, dégage de mon chemin,
On est quittes, je pars ce soir,
tu as fait ton temps, ne fais pas la tête,
tu as été une belle excentrique, chérie, mais c’est fini.
Tu ferais bien de t’en aller pour te faire soigner,
tu n’as plus rien qui puisse faire craquer une femme brillante,
tu vois, personne ne veut d’un morveux quand il peut avoir un homme convenable,
tu as été une belle excentrique, chérie, mais maintenant c’est fini.
Il faut battre le fer tant qu’il est chaud, l
a voiture fonctionne, mais tu ne peux plus courir comme avant;
quand tu étais en forme tu aimais courir de haut en bas,
tu as été une merveilleuse hors série, amour, mais maintenant c’est fini».

Le célèbre critique musical Joachim E. Berendt, dans son œuvre fondamentale Le livre du jazz. De la Nouvelle-Orléans au free jazz (traduction italienne de L. Luzzatto, Garzanti, Milan 1973) remarque:

«Il est difficile d’établir en quoi consiste le charme de sa voix. Peut-être est-ce dû au fait que sa voix rugueuse et rauque semble être voilée par une profonde tristesse, même dans les mélodies les plus déchaînées et joyeuses. Bessie chantait comme la représentante d’un peuple qui avait vécu en esclavage pendant des siècles et qui, après l’abolition de l’esclavage, devait subir de pires discriminations que ce qui s’était passé dans la période la plus sombre de l’esclavage. Le fait que sa tristesse s’exprime sans une ombre de sentimentalisme précisément dans la dureté et la majesté de sa voix, est son secret».

 

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Bessie Smith dans un portrait photographique de 1936 (Carl Van Vechten, Library of Congress) Bessie Smith dans une photographie de 1925 (Michael Ochs Archives / Getty Images)

Sur la mort prématurée de la chanteuse, à quarante-trois ans, a longtemps circulé une histoire très dramatique, qui s’est révélée loin de la réalité : il n’est pas vrai qu’on lui refusa les secours parce que de couleur, quand elle fut mortellement blessée dans un accident de voiture à Clarksdale, Mississippi; il est vrai, cependant, que l’ambulance qui aurait dû l’emmener à l’Afro american hospital, un hôpital réservé aux personnes de couleur (et cela suffirait pour décrire l’obscénité de la société américaine de l’époque, à peine atténuée dans les décennies suivantes)Bessie ne se sauverait pas de toute façon. Nous sommes le 26 septembre 1937 : le rideau tombe définitivement.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Settin' in the house with everything on my mind
Lookin' at the clock and can't even tell the time
Walkin' to my window, an' lookin' out of my door
Wishin' that my man would come home once more
Can't eat, can't sleep, so weak I can't walk my floor
Feel like hollerin' murder, let the Police Squad get me once more
They woke me before day with trouble on my mind
Wringin' my hands and screamin', walkin' the floor hollerin' and cryin'
Catch 'em, don't let them blues in here
They shakes me in my bed, can't set down in my chair
Oh, the blues has got me on the go
Oh, they've got me on the go
They runs around my house, in and out of my front door

(From In the House Blues, recorded in New York on June 11,1931, Columbia disc 14611-D)

Bessie Smith in a famous 1923 photographic portrait (photographer unknown)

"In all probability Bessie would not have been such a great singer if she had not had such a dramatic and bitter life." So writes the great scholar of African American blues and folklore Paul Oliver in the biography Bessie Smith (Cassell & Co., London 1959). A black girl, she was born April 15, 1894, in Chattanooga, Tennessee, to a very poor family whose home consisted of a one-room log cabin. Her parents and a sister died before she turned nine, and her older sister Viola tried, as best she could, to provide for what was left of the family and keep it together. At the age of only nine, Bessie made her debut at the Ivory Theatre in her hometown, helping, thanks to her very special voice, to replenish the meager family income. When the Rabbit Foot Minstrels, led by Will 'Pa' Rainey and his very young wife Gertrude 'Ma' Rainey, came to town, they heard little Bessie and didn’t hesitate to hire her as a child singer. It was the beginning of the tumultuous career of the greatest blues singer of all time. Gian Carlo Roncaglia recounts in his splendid book Il jazz e il suo mondo (Einaudi, Turin 1979), "[...] when Columbia, thanks to Frank Walker's flair, hired her, they obtained such profits from the sale of her records that they were able to lift the economic fortunes of their enterprise, endangered, precisely in those years, by poor managerial decisions. And Bessie, with her share of the profits, was able to move her family from Chattanooga to Philadelphia, at the same time buying a farm in New Jersey, on which she would settle for a not short time."

" And again Paul Oliver: "... only ten years earlier she was a girl-prodigy dancing in a minstrels' show for a dollar a day: now she could charge a thousand, fifteen hundred dollars per show. When one of her records was released she received an upfront payment of one thousand dollars and five percent on sales after the thousand dollar figure was exceeded." Money did not grant her happiness. Reliable testimony relates, for example, that in the year 1926 alone, in six months, Bessie managed to spend $16,000 on gin, dresses and furs - but also on charity, making legendary gestures. Famous is her interruption of a tour to run to her impresario's wife to help her care for her seriously ill son, acting as her maid and nurse until the child recovered.

Bessie Smith in a frame from the short film St. Louis Blues,directed by Dudley Murphy in 1929.

In contrast, clarinetist Milton 'Mezz' Mezzrow (whose real last name was Mesirov), born in Chicago to a Russian Jewish immigrant couple, a curious figure of a musician but also a drug dealer who, white by birth, tried unsuccessfully to have his documents state that he was of the "Negro" race, describes her this way: "Bessie was a real woman from head to toe: all the womanhood of the world gathered in a sweet wrapper. Tall, dark-skinned, with two large dimples furrowing her cheeks: a voluptuous beauty, massive and shapely, yet solemn, with a high-voltage magnet for personality. When she was in her dressing room it was as if her vitality thickened into a dense cloud that filled everything until the walls burst. She had no pose, no affectation - those golden notes of hers came brightly out of her mouth without any effort. She did nothing but set to singing, and then all the love, all the cheerfulness, all the sadness of the world came violently out of her heart." (from Milton 'Mezz' Mezzrow/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, New York 1946).

Bessie Smith sang several times of her well-known addiction to alcohol, as in the famous Me and My Gin (recorded in New York on August 25, 1928, Columbia disc 14384-D):

Stay away from me 'cause I'm in my sin
Stay away from me 'cause I'm in my sin
If this place gets raided, it's me and my gin

Don't try me nobody, oh, you will never win
Don't try me nobody 'cause you will never win
I'll fight the army, navy just me and my gin

Any bootlegger sure is a pal of mine
Any bootlegger sure is a pal of mine
'Cause a good ol' bottle o' gin will get it all the time

When I'm feeling high, ain't nothing I won't do
When I'm feeling high, ain't nothing I won't do
Get me full of liquor and I'll sure be nice to you

I don't want no cloak and I don't need no bed
I don't want no cloak and I don't need no bed
I don't want no porkchop, just give me gin instead

In Gimmie a Pigfoot (recorded in New York on November 24, 1933, Okeh disc 8945), in one of four tracks from the singer's last recording session, transgression, not just that of alcohol, becomes collective:

Up in Harlem every Saturday night
When the high-browns get together it's just too tight
They all congregate at an all night strut
And what they do is tut-tut-tut

[...]

I feel just like I wanna clown
Give the piano player a drink because he's bringing me down

He's gotta rhythm, yeah, when he stomps his feet
He sends me right off to sleep
Check all your razors and your guns
We gonna be rasslin' when the wagon comes

I wanna pigfoot and a bottle of beer
Send me 'cause I don't care
Blame me 'cause I don't care

In her blues Bessie Smith often talks about love and sex, even bordering on pornography as in Empty Bed Blues (recorded in New York on March 20, 1928, Columbia disc 14312-D):

I woke up this morning with a awful aching head
I woke up this morning with a awful aching head
My new man had left me, just a room and a empty bed
Bought me a coffee grinder, that's the best one I could find
Bought me a coffee grinder, that's the best one I could find
Oh, he could grind my coffee, 'cause he had a brand-new grind

He's a deep sea diver with a stroke that can't go wrong
He's a deep sea diver with a stroke that can't go wrong
He can stay at the bottom and his wind holds out so long
He knows how to thrill me and he thrills me night and day
Oh, he knows how to thrill me, he thrills me night and day

He's got a new way of loving, almost takes my breath away
Lord, he's got that sweet somethin' and I told my girlfriend Lou
He's got that sweet somethin' and I told my girlfriend Lou
From the way he's raving, he must have gone and tried it too

At other times, Bessie uses a phraseology chock-full of double entendres, as in You've Been an Old Good Wagon (with accompaniment by a young Louis Armstrong, recorded in New York on January 14, 1925, Columbia disc 14079-D):

Looka here, Daddy, I want to tell you, please get out of my sight
I'm playin' quits now, right from this very night
You've had your day, don't sit around and frown
You've been a good old wagon, Daddy, but you done broke down

Now, you'd better go the blacksmith shop and get yourself overhauled
There's nothing about you to make a good woman fall
Nobody wants a baby when a real man can be found
You've been a good old wagon, honey, but you done broke down

When the sun is shinin', it's time to make hay
Automobiles operate, you can't make that wagon pay
When you were in your prime, you love to run around
You've been a good old wagon, honey, but you done broke down

Renowned music critic Joachim E. Berendt, in his seminal work The Book of Jazz. From New Orleans to Free Jazz (Italian translation by L. Luzzatto, Garzanti, Milan 1973) notes, "It is difficult to determine in what the charm of her voice consists. Perhaps it lies in the fact that her harsh, raspy voice seems to be veiled by a deep sadness, even in the wildest and most cheerful tunes. Bessie sang as the representative of a people who had lived in slavery for centuries and who were to suffer worse discrimination after the abolition of slavery than they had during the blackest period of slavery. The fact that her sadness is expressed without a shadow of sentimentality precisely in the harshness and majesty of her voice is a secret of hers."

 

)

Bessie Smith in a 1936 photographic portrait (Carl Van Vechten, Library of Congress) Bessie Smith in a circa 1925 photograph (Michael Ochs Archives / Getty Images)

After six years of great success, from 1923 to 1929, then came a rapid decline, coinciding with the dramatic period of the Great Depression in the United States. The public, those still able to buy records and go to concerts, wanted only disengaged, fun music, and so ended the careers of so many musicians and singers who up to that time had been the idols of the crowds. Her last recording session, after more than two years of silence, was in 1933 and was arranged for the British market. Among the musicians accompanying Bessie Smith was a young white clarinetist, Benny Goodman. It was a handover between two musical eras that were far apart.

A very dramatic story circulated for a long time, about the singer's untimely death at age forty-three - turned out to be far from the truth. It is not true that she was refused aid because she was black when she was fatally injured in a car accident in Clarksdale, Mississippi. It is true, however, that the ambulance that was supposed to take her to the Afro American Hospital, a hospital reserved for black people (and this detail alone would be enough to describe the obscenity of U.S. society at the time, which has barely abated in the decades that followed), arrived rather late, but Bessie would not have been saved in any case. It is September 26, 1937, and the curtain falls, for good.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

«Estoy sentada en mi casa y tengo mil cosas en la cabeza,
miro el reloj y ni siquiera puedo leer la hora.
Voy a la ventana y miro por la puerta,
me gustaría que mi hombre volviera a su casa.
No puedo comer, no puedo dormir,
estoy tan débil que no puedo cruzar la habitación
me antoja gritar al asesinato, que me atrape de nuevo la policía.
Me despertaron antes del amanecer, y mi mente estaba perturbada,
me retorcía las manos y gritaba, caminaba por la habitación, gritaba y lloraba.
Tómenlos, no dejen que los blues entren
aquí me sacuden en mi cama, no puedo sentarme en la silla.
Oh, los blues me han puesto nerviosa
han dado vueltas alrededor de mi casa, entrando y saliendo por la puerta principal».

(de In the House Blues, grabado en Nueva York el 11 de junio de 1931, disco Columbia 14611-D, a partir de la traducción italiana de Luciano Federighi).

Bessie Smith en un famoso retrato fotográfico de 1923 (autor desconocido)

«Bessie no habría sido una gran cantante si no hubiera tenido una vida tan dramática y amarga». Eso afirma el gran estudioso del blues y folclore afroamericano Paul Oliver en la biografía de Bessie Smith (Cassell & Co., Londres 1959). Una niña de color nacida en 1894 (el 15 de abril) en Chattanooga, Tennessee, de una familia muy pobre, cuya casa consiste en una choza de madera de una sola habitación. Sus padres y una hermana mueren antes de que ella cumpla nueve años y su hermana mayor, Viola, trata de proveer para lo que queda de la familia y mantenerla unida. A los nueve años, Bessie debuta en el Ivory Theater de su ciudad, ayudando, gracias a su particularísima voz, a contribuir a los escasos ingresos familiares; cuando los Rabbit Foot Minstrels, dirigidos por Will ‘Pa’ Rainey y su joven esposa Gertrude ‘Ma’ Rainey, llegan a la ciudad, escuchan a la pequeña Bessie y no dudan en contratarla como cantante infantil: es el comienzo de la tumultuosa carrera de la mejor cantante de blues de todos los tiempos. Gian Carlo Roncaglia relata en su espléndido libro Il jazz e il suo mondo (Einaudi, Turín, 1979): «[...] cuando la Columbia, gracias al olfato de Frank Walker, la contrató, obtuvo tantos beneficios de la venta de sus discos que mejoró la situación económica de la empresa, que , precisamente en aquellos años, se encontraba en dificultades a causa de malas decisiones administrativas. Y Bessie, con sus ganancias, pudo trasladar a su familia de Chattanooga a Filadelfia, adquiriendo al mismo tiempo una granja en Nueva Jersey, en la que se establecería durante un largo un período».

Y de nuevo Paul Oliver: «...sólo diez años antes era una niña prodigio que bailaba en un espectáculo de los Minstrels por un dólar al día: ahora podía pedir mil, mil quinientos dólares por espectáculo. Cuando se publicaba uno de sus discos, recibía un adelanto de mil dólares y el cinco por ciento de las ventas después de haber superado la cifra de mil dólares». El dinero no le da la felicidad: un testimonio fidedigno dice, por ejemplo, que sólo en 1926, en seis meses, Bessie consiguió gastar 16.000 dólares en ginebra, ropa y pieles; pero también en obras de beneficencia, realizando gestos legendarios: es celebre la interrupción de una gira para correr a la casa de la mujer de su empresario para ayudarla a cuidar de su hijo gravemente enfermo, sirviéndole de camarera y niñera hasta que el niño se recupeó`.

Bessie Smith en un fotograma del cortometrajeSt. Louis Blues,St. Louis Blues, dirigido por Dudley Murphy en 1929

Así la describe, en cambio, el clarinetista Milton ‘Mezz’ Mezzrow (cuyo verdadero apellido era Mesirov), nacido en Chicago de una pareja de judíos rusos inmigrantes, curiosa figura de músico, pero también de narcotraficante que, siendo blanco de nacimiento, intentó por todos los medios, sin éxito, hacer constar en sus documentos que era de raza “negra”: «Bessie era una verdadera mujer de pies a cabeza: toda la feminidad del mundo reunida en una dulce envoltura. Alta, de piel oscura, con dos grandes hoyuelos atravesando sus mejillas: una belleza voluptuosa, maciza y esculpida, pero solemne, con un imán de alta tensión en cuanto a personalidad. Cuando estaba en su camerino, era como si su vitalidad se concentrara en una espesa nube que lo llenaba todo hasta hacer reventar las paredes. No tenía poses, ni era afectada: sus notas doradas salían luminosas de su boca sin esfuerzo. No hacía más que ponerse a cantar, y entonces todo el amor, toda la alegría, toda la tristeza del mundo salían de su corazón con violencia». (en Milton ‘Mezz’ Mezzrow/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, Nueva York 1946). Sobre su conocida adicción al alcohol, Bessie Smith cantó varias veces, como en el famoso Me and My Gin (grabado en Nueva York el 25 de agosto de 1928, disco Columbia 14384-D, aquí traducido de la versión italiana de Walter Mauro):

«Aléjate de mí, porque toda yo soy un pecado,
si este lugar se derrumba, es por culpa de la ginebra en mi cuerpo.
Que nadie me provoque, porque de todas formas no ganaría.
Puedo enfrentar al ejército y a la marina con la ginebra que tengo en mi cuerpo.
Todo contrabandista es mi amigo,
porque una buena botella de ginebra envejecida puede hacer milagros.
Cuando estoy en movimiento no hay nada que no haría,
lléname de alcohol y seré muy agradable contigo.
No quiero ropa, no necesito una cama.
ni quiero chuletas de cerdo, sólo dame un poco de ginebra.»

En Gimmie a Pigfoot (grabado en Nueva York el 24 de noviembre de 1933, disco Okeh 8945), en uno de los cuatro temas de la última sesión de grabación de la cantante, la transgresión, no sólo la del alcohol, se vuelve colectiva:

 

«En Harlem todos los sábados por la noche
cuando los negros se reúnen
hay un pandemonio.
Vienen de todas partes para bailar toda la noche.
y lo dan todo.
[…]
Quiero divertirme como digo yo.
Pónganle algo al pianista que me está deprimiendo.
Ahí está el ritmo, ah, sí,
cuando lo marca con los pies, me siento aturdida.
Guarden sus cuchillos y pistolas.
si no, acabaremos peleándonos y vendrá la bofia.
Quiero una jarra y una botella de cerveza,
vamos, ¿qué quieres que me importe?
Toca, ¿qué me importa?»

(a partir de la traducción italiana de Roncaglia).

En sus blues Bessie Smith habla a menudo de amor y sexo, incluso al borde de la pornografía como en Empty Bed Blues (grabado en Nueva York el 20 de marzo de 1928, disco Columbia 14312-D):

«Me he despertado esta mañana con un terrible dolor de cabeza,
me di cuenta de que mi nuevo amor me había dejado,
con habitación y cama vacía.
Pero él sabía cómo excitarme, lo hacía de noche y de día,
me hacía el amor de una manera tan distinta que casi me quitaba el aliento.
Me había enseñado cosas que nunca había aprendido de nadie,
este nuevo amor mío me había enseñado muchas cosas nuevas;
pensad un poco, que cuando terminó de enseñármelo todo,
me matriculé, otra vez, en la escuela»

(a partir de la traducción italiana de Walter Mauro).

En otras ocasiones, Bessie utiliza un vocabulario lleno de dobles sentidos, como en You’ve Been an Old Good Wagon (con el acompañamiento de un joven Louis Armstrong, grabado en Nueva York el 14 de enero de 1925, disco Columbia 14079-D):

«Escucha , cariño, tengo que decírtelo,
por favor, lárgate,
estamosempatados, me voy esta noche;
has pasado de moda, no pongas esa cara,
fuiste un maravilloso fuera de serie, cariño, pero ahora se ha terminado.
Ahora, será mejor que te vayas al taller y te arrreglen la carrocería,
ya no tienes nada para correr tras  una mujer .
mira, nadie quiere un mocoso cuando puede tener un hombre como se debe,
fuiste un maravilloso fuera de serie, cariño, pero ahora se ha terminado.
Hay que batir el hierro mientras está candente,
el coche funciona, pero no puedes correr como antes;
cuando estabas en forma te gustaba correr arriba y hacia abajo,
fuiste un espléndido fuera de serie, amor, pero ahora se ha terminado»

(a partir de la traducción italiana de Walter Mauro).

El célebre crítico musical Joachim E. Berendt, en su obra fundamental El el jazz. De Nueva Orleans los años Ochenta (traducción española Reuter, Utrilla y Colón Gómez, Fondo de Cultura 1986) señala: «Es difícil establecer en qué consiste el encanto de su voz. Tal vez sea el hecho de que su voz áspera y ronca parece estar cubierta por una profunda tristeza, incluso en las melodías más desenfrenadas y alegres. Bessie cantaba como la representante de un pueblo que había vivido durante siglos en la esclavitud y que, tras la abolición de la esclavitud, sufría peores discriminaciones que durante el período más oscuro de la esclavitud. El hecho de que su tristeza se exprese sin una sombra de sentimentalismo precisamente en la dureza y la majestuosidad de su voz, es un secreto suyo».

 

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Bessie Smith en un retrato fotográfico de 1936 (Carl Van Vechten, Biblioteca del Congreso) Bessie Smith en una fotografía de aproximadamente 1925 (Michael Ochs Archives / Getty Imágenes)

Seis años de gran éxito, de 1923 a 1929, luego un rápido declive, concomitante con el dramático período de la Gran Depresión de los Estados Unidos: el público, el que todavía puede comprar discos e ir a los conciertos, sólo quiere música sin ataduras y divertida y así termina la carrera de muchos músicos y cantantes que hasta ese momento habían sido los ídolos de las multitudes. La última sesión de grabación, tras más de dos años de silencio, se organiza para el mercado británico; entre los músicos que acompañan a Bessie Smith hay un joven clarinetista blanco, Benny Goodman: en efecto, el relevo entre dos épocas musicales muy lejanas entre ellas.

Acerca de la muerte prematura de la cantante, a los 43 años, circuló durante mucho tiempo una historia muy dramática, que luego resultó alejada de la realidad: no es cierto que se le negó ayuda por ser negra, cuando resultó mortalmente herida en un accidente de tráfico en Clarksdale, Mississippi; sin embargo, sí es cierto que la ambulancia que iba a llevarla al Afro American Hospital, un hospital reservado para la gente de color (y esto ya sería suficiente para describir la obscenidad de la sociedad estadounidense de la época, apenas paliada en las décadas sucesivas), llegó con cierto retraso: Bessie no se habría salvado de todos modos. Es el 26 de septiembre de 1937: se baja definitivamente el telón.