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Marie Paradis

(Chamonix, 1778 – 1839)

A lei sono intitolate una strada di Chamonix ed una scuola elementare di Sant-Gervais-les-Bains.

http://toponomasticafemminile.com/index.php?option=com_content&view=article&id=9227&Itemid=9340

 

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Madeleine Pelletier

(Parigi, 1874 – Epinay-sur-Orge, 1939)

A lei è intitolata una via nelle città francesi di Poitiers, Ploermel e Rezè.
Nessuna via è a lei intitolata a Parigi.

La femme vierge
di Ester Rizzo

Nacque a Parigi il 18 maggio 1874 in una famiglia povera: la madre vendeva frutta e verdura al mercato ed il padre era un vetturino. Vivevano in ristrettezze economiche soprattutto a causa dei problemi di alcolismo di cui soffriva il padre. 
Studiò Antropologia interessandosi in particolare della relazione tra il quoziente intellettivo umano e le dimensioni del cranio: in quel periodo infatti si sosteneva una teoria misogina che poneva la donna in una condizione di inferiorità intellettiva dato che il cranio femminile era più piccolo di quello maschile. Madeleine, disgustata da questa tesi corrente, abbandonò l’antropologia. 
Nel 1904 si iscrisse alla Massoneria, che abbandonò ben presto quando si rese conto che non approvava le pratiche di interruzione di gravidanza. 
Nel 1905 decise di impegnarsi attivamente in politica e sin da subito fu eletta segretaria dell’associazione “La Solidarité des femmes”. 
Sempre nello stesso anno fu tra le fondatrici del Partito Socialista Francese. Ma gli stessi compagni socialisti non comprendevano le sue istanze femministe, poiché consideravano la questione dell’emancipazione della donna secondaria rispetto alla rivoluzione proletaria. 
In seguito, Madeleine si iscrisse al Partito Comunista Francese che comunque abbandonò nel 1926 per aderire al Partito Anarchico. 
Nel 1910 fu protagonista, insieme ad altre suffragette, di una singolare iniziativa: anche se non avevano ancora ottenuto il diritto di voto, presentarono la loro candidatura all’Assemblea nazionale francese. Candidatura che, ovviamente, fu respinta.
Sempre nel 1910, dopo aver lavorato per le poste francesi, superò il concorso ed iniziò a lavorare nell’ospedale della “Pitié-Salpétriere” di Parigi. 
In un suo articolo dello stesso anno scrisse: "Le donne devono porre l'emancipazione del loro sesso prima della patria, perché, là dove solo gli uomini sono cittadini, non ha senso che le donne siano patriote". 
Durante la prima guerra mondiale Madeleine entrò nella Croce Rossa, prestando soccorso e assistenza ai soldati di entrambi gli schieramenti. 
Scrisse innumerevoli saggi e nel 1933 anche un romanzo, La femme vierge,in cui condannava sia il matrimonio che le libere unioni, affermando che “la verginità militante” era l’unico modo per anelare ad una libertà della donna. 
Nel 1937 fu colpita da un ictus ma, seppur invalida, continuò lo stesso a procurare aborti alle ragazze in difficoltà che non volevano avere un figlio. A tal proposito dobbiamo ricordare che, nel 1939, fu anche arrestata a causa delle interruzioni di gravidanza che effettuava nel suo ambulatorio privato ma non fu processata perché dichiarata inferma di mente. 
Madeleine, eccentrica ed originale, si vestiva sempre da uomo: bombetta, bastone, capelli da ragazzo, in un completo maschile di taglio incerto. Anche se questi abiti le stavano malissimo, si rifiutava categoricamente di vestirsi da donna. Tutti la ricordano come una donna molto colta, coraggiosa e di spirito libero. 
E’ morta a Epinay-sur-Orge il 19 dicembre 1939 internata in un manicomio francese. 
Negli ultimi anni, in Francia, la sua figura è stata rivalutata per il valore delle sue ricerche scientifiche. 

Fonti:
Valeria Palumbo, Svestite da uomo, Milano, BUR, 2007, pp. 194-196
http://www.literary.it/dati/literary/c/contilli/madeleine_pelletier_18741939.html

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Frances Perkins

(Boston, 1880 – New York 1965)

A lei è dedicato un edifcio del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti a Washington (Frances Perkins Building)

Una donna del New Deal
di Ester Rizzo

Era nata a Boston il 10 aprile 1880, si era laureata in Sociologia nel 1902 e nel 1910 aveva conseguito un master in Scienze Politiche alla Columbia University.
Già da studentessa, mentre frequentava un corso di Storia economica americana, le fecero visitare una fabbrica e vide con i propri occhi le pietose e disagiate condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici. Uomini e donne ricevevano saltuariamente la paga, non avevano garanzie di alcun genere e svolgevano le loro mansioni in condizioni che mettevano a rischio la loro incolumità fisica. Inoltre le operaie, a parità di ore lavorative, venivano pagate sempre meno degli uomini. Una fotografia desolante che, in seguito, non avrebbe mai dimenticato.
Il 16 settembre 1913 si sposò con Paul C. Wilson, un economista che in quel periodo era assistente del sindaco di New York. Lei comunque mantenne il suo cognome da nubile, temendo di perdere “il riconoscimento sociale” che si era conquistata.
Nel dicembre 1916 la coppia ebbe una figlia, Susanna.
Purtroppo, dopo pochi anni di matrimonio, il marito manifestò i primi segni di schizofrenia e per tutta la vita rimase ricoverato in un ospedale.
Frances Perkins fu tra le persone che il 25 marzo 1911 assistettero all’incendio della Triangle Shirtwaist Company in cui morirono 146 persone. Infatti, si trovava in Washington Place mentre l’Asch Building bruciava e le operaie si gettavano nel vuoto. Dopo essere stata testimone di quell’orrore, giurò solennemente a se stessa che quei fatti non sarebbero mai più dovuti accadere e dedicò la sua intera vita alla lotta per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori in generale ma in particolare delle lavoratrici.
Iniziò a lavorare come ispettrice di fabbrica a New York e fece parte di vari comitati ispettivi che si costituirono dopo l’incendio, sia per indagare su quello che era successo, sia per verificare le condizioni di sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro delle altre fabbriche manifatturiere.
Molto più avanti negli anni, durante una delle sue lezioni, parlando di quello che aveva visto quel giorno alla Triangle, Frances disse: “Non dimenticherò mai il gelido orrore che pervase tutto il mio corpo. Poggiai le mani sulla mia gola e mentre assistevo a quelle scene terribili mi resi conto che non potevo in alcun modo aiutare quelle povere donne; e questa considerazione per me fu la cosa più straziante”.
Per tutta la vita ripeterà: “Dopo tutto quello che è successo mi resi conto del valore sacro della vita di un lavoratore, capii come le condizioni precarie della sicurezza potevano uccidere come un fucile”.
Nel 1918 Frances Perkins assunse la carica di direttrice esecutiva del “Maternity Center Association” che si preoccupava di fornire aiuto alle donne in stato di gravidanza: in quel periodo i tassi di mortalità infantile, dovuti soprattutto alla malnutrizione, erano molto alti.
Ricordiamo inoltre che fece parte del Philadelphia Research and Protective Association ed effettuò delle indagini sulle case adibite a pensioni nella città di New York, scoprendo che tante di queste erano state trasformate in bordelli che sfruttavano giovani donne. Francis, con il suo impegno, fece in modo che venissero effettuati dei controlli più severi per il rilascio delle licenze delle pensioni.
Fu nominata Segretaria del Lavoro negli USA nel 1928 sia durante la presidenza Roosevelt, che in quella successiva di Truman, diventando così la prima donna al mondo a ricoprire questa carica e per un periodo così lungo.
Grazie a lei furono introdotte la legge sul salario minimo, l’indennità di disoccupazione, l’erogazione di benefit alle fasce più povere della società.
Ovviamente sensibilissima al tema degli incidenti sul lavoro elaborò e fece approvare una lunga serie di leggi per prevenirli e si deve alla sua instancabile attività la legge che vietava il lavoro infantile e quella che stabiliva che la settimana lavorativa standard non poteva superare le quaranta ore.
Queste leggi in seguito ispireranno la legislazione del lavoro in tutti i Paesi del mondo, ma lei è stata per lungo tempo ignorata dai libri di storia americana, anche perché la stampa dell’epoca non le diede il giusto risalto.
Negli Stati Uniti i milioni di lavoratori e lavoratrici che oggi sono garantiti da leggi sulla sicurezza sociale, i milioni che godono di assegni di disoccupazione, tutti quelli che percepiscono un risarcimento dopo un incidente sul lavoro, ignorano di dover dire grazie a Frances Perkins che lottò sempre con generosità e passione per ottenere la più ampia giustizia sociale. Diceva che era necessario sviluppare e sottostare al principio etico secondo il quale era ingiusto che un uomo o una donna operosa potessero vivere e morire nella miseria. Agì sempre disinteressatamente senza percepire guadagni esosi o riconoscimenti prestigiosi, tanto è vero che trascorse gli ultimi anni della sua vita insegnando in diverse università (University of Illinois, University of Salzbourg, University of Wisconsin e Cornell University) e fino a settantatré anni continuò a lavorare per garantire una adeguata assistenza sanitaria al marito gravemente malato.
Morì a New York il 14 maggio 1965 quasi completamente cieca. Nel 1980 il Congresso americano le intitolò un nuovo edificio del Dipartimento del Lavoro a Washington.

Fonti
Ester Rizzo, Camicette bianche, Navarra Editore, Palermo, 2014
Frances Perkins e il New Deal: 1932-1938, Tesi di Laurea di Sandra Incorvaia, anno accademico 2011/2012, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Scienze Politiche

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Ida Pfeiffer

(Vienna, 1797 – 1858)

A lei sono intitolate una via a Monaco di Baviera ed una a Wilhelmshaven.
A Vienna non risulta intitolata a lei alcuna via.

La donna che stupì l'Europa
di Ester Rizzo

Nacque a Vienna il 4 ottobre 1797.
Figlia di un agiato mercante di tessuti, era la quinta di sei fratelli e suo padre morì prematuramente
quando aveva nove anni.
Gli amici di famiglia raccontavano che sin da bambina correva fuori casa per vedere passare le diligenze che lasciavano la città. La piccola, inoltre, era un’accanita lettrice di libri di viaggi e di avventura. Tutto ciò che poteva farla evadere dal “quotidiano” l’attirava irrefrenabilmente.
Era innamorata del suo giovane precettore che era anche un viaggiatore, ma la madre si oppose.
Costretta dalle difficoltà economiche in cui versava la famiglia, la costrinse a ventidue anni a sposare un uomo molto più anziano di lei, un avvocato, con cui avrà due figli. Fu un matrimonio triste, lei non lo amava, vivevano in ristrettezza economica a causa di un tracollo finanziario del marito e lei, per arrotondare, faceva la segretaria e dava lezioni di pianoforte. Furono anni venati di tristezza e malinconia e così lei scriveva: “Solo il cielo sa cosa ho sofferto. Vi sono stati giorni in cui vi era solo pane secco per la cena dei miei figli”.
Nel 1842, diventata vedova e con i figli già grandi, iniziò a viaggiare. Il suo primo viaggio fu in Terrasanta: erano viaggi spartani, fatti in economia, spesso avvalendosi di passaggi gratuiti. A volte Ida, indossando abiti maschili, si mescolava tra la folla per poter osservare più liberamente il comportamento delle popolazioni incontrate nel suo peregrinare tra i continenti. Questa viaggiatrice percorrerà 140.000 miglia marine e 20.000 miglia inglesi via terra. Durante un suo viaggio in Oriente scrisse sul suo diario: “In quella mischia ero davvero sola e confidavo solo in Dio e nelle mie forze. Nessuna anima gentile mi si avvicinò”.
Ida Pfeiffer fu anche la prima donna bianca che nel 1852 si recò nella giungla di Sumatra abitata dai batak paventati da tutti come cannibali. In quell'occasione riuscì a salvarsi dicendo ai cannibali "la mia testa è troppo vecchia e dura per essere mangiata", così il saggio capo tribù iniziò a ridere e la lasciò libera.
Il suo primo viaggio intorno al mondo durò due anni e sette mesi. Si imbarcò da Amburgo per approdare in Brasile e poi in Cile. Da qui poi attraversò l’Oceano Pacifico approdando a Tahiti fino ad arrivare all’isola di Ceylon. Risalì attraverso l’India fino al Mar Nero e alla Grecia sbarcando a Trieste e ritornando a Vienna.
Il suo secondo viaggio invece durò quattro anni: da Londra arrivò a Città del Capo per poi esplorare il Borneo ed avere contatti ravvicinati con i “tagliatori di teste” del Dayak… attraversò l’Oceano Pacifico in senso inverso, arrivò in California e iniziò a viaggiare per tutti gli Stati americani.
I musei di Vienna custodiscono, ancora oggi, piante, insetti e farfalle da lei raccolte durante i viaggi e portate in patria. La motivazione che la spingeva a viaggiare la troviamo nell'introduzione ad uno dei suoi libri: "Bisogna essere animati da vera passione per i viaggi e avere un desiderio invincibile di istruirsi e esplorare Paesi finora poco conosciuti". Raccontò i suoi 7 viaggi in 13 volumi di diari che divennero best seller tradotti in 7 lingue. Lei scriveva a matita, con una calligrafia piccola e minuta. Tra i titoli dei suoi libri: Giro del mondo di una donna e Secondo giro del mondo di una donna.
In una sua bellissima e significativa foto del 1856 Ida è seduta su un divano con un vestito dell’epoca, il capo coperto da una cuffietta bianca di crinolina… un braccio su un grosso libro, accanto a lei un enorme mappamondo… il suo sguardo non guarda l’obiettivo ma altrove… lontano lontano…
Morì il 27 ottobre 1858 a causa di una malattia tropicale contratta in Madagascar.

Fonti
Luisa Rossi, L'altra mappa. Esploratrici, viaggiatrici, geografe, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2011
http://www.tufani.net/ida-pfeiffer.html
http://www.luomoconlavaligia.it/ida-pfeiffer-la-viaggiatrice-solitaria.html
http://www.viaggiatorisidiventa.it/ida-pfeiffer-due-volte-il-giro-del-mondo/
http://www.andreasemplici.it/wp/index.php/2013/11/01/viaggiatrici-viaggiantie-un-giorno-ida-e-partita/
http://www.lanteriluini.it/Library/lasesia.pdf         
http://www.jourdelo.it/numeri/17_ottobre_dicembre_2010/pfeiffer.htm

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 Amelie Posse Brazdova

(Stoccolma, 1884 – 1957)

Non esiste di lei traccia nella toponomastica né a Roma né ad Alghero, le due località dove visse in Italia.

Matricola 1183 - una confinata svedese in Sardegna
di Laura Candiani

Una delle più interessanti e impegnate scrittrici svedesi del XX secolo nasce nel 1884, primogenita di tre figli, in una famiglia colta e illustre da parte della madre Gunhild (intellettuale, artista, appassionata di canto) e del padre Fredrik (costruttore di ferrovie). Fin da piccola segue canto, musica, arte, impara le lingue; anche se di salute cagionevole a causa di problemi cardiaci, febbri reumatiche e dolori alle artico-lazioni, diventa una nuotatrice formidabile.
Alla morte del padre, la famiglia si trasferisce a Lund dove Amelie studia anche l’italiano; a venti anni si sposa con Andreas Bjerre, ma il matrimonio fallisce ben presto. Dopo aver studiato pittura a Copenaghen, Amelie si trasferisce a Roma, dove vive in via della Scrofa; durante questo soggiorno in Italia tanto vagheggiato, incontra il pittore boemo Oki (Oskar) Bràzda (nato nel 1887) con cui si sposa in Campidoglio nel 1915. Ne diventa ben presto la modella ideale, anche se dalle foto Amelie ci appare robusta, imponente, con lineamenti marcati; ha un bel sorriso, occhi azzurri, capelli mossi biondi e una carnagione pallida. Fra il 1916 e il 17 nascono i due figli Slavo e Jan.
Gli anni più interessanti della vita di Amelie - almeno per lo stretto rapporto con l’Italia - sono quelli della Prima Guerra Mondiale quando la coppia condivide la causa antiaustriaca, indipendentista, democratica dei cechi e degli slovacchi, tanto che Amelie diviene amica personale dei leader Benes e Mazaryk. Su quest’epoca scrive un’opera straordinaria, una sorta di diario a quindici anni dagli eventi, pubblicata in Italia con il titolo Interludio di Sardegna (il titolo originale svedese suona all’incirca “L’incomparabile prigionia”). Il diario è diviso praticamente in due parti: nella prima (tre capitoli) viene rievocato il mondo intellettuale di molti artisti squattrinati residenti a Roma, negli alloggi di villa Strohl-Fern; qui conducono un’esistenza spensierata, allegra, con le modelle che talvolta diventano loro mogli, fra abitazioni fatiscenti e incuria, in un meraviglioso parco con alberi da frutto, rose e pini, senza convenzioni, fra giochi e scherzi ai danni del burbero proprietario alsaziano. E’ il momento dell’interventismo e, in quel clima di tensione, per non essere confusi fra i nemici dell’Italia, Amelie e i suoi variegati amici portano all’occhiello i colori slavi o svedesi. Dopo il 24 maggio 1915 tuttavia la posizione degli stranieri si fa sempre più difficile, tanto che l’8 luglio arriva l’ordine di internamento in Sardegna; come unico privilegio potranno scegliere la località. Su consiglio di Grazia Deledda, la scelta ricade sulla cittadina di Alghero, dall’ottimo clima, affacciata su un mare incontaminato e circondata da bastioni, ma anche suggestiva per la sua storia complessa e il suo antico legame con la cultura catalana. Di questo soggiorno forzato in terra sarda parla buona parte del libro in questione. Dopo circa un anno di “incomparabile prigionia” e molte promesse e illusioni, il 23 luglio 1916 la coppia può finalmente ripartire da Golfo Aranci alla volta di Civitavecchia e stabilirsi di nuovo a Roma, divenuta nel frattempo meno internazionale e più italiana. Del periodo algherese non rimangano tracce del lavoro di Oki (numerosi ritratti) e tutta la documentazione è andata distrutta per un’invasione di termiti nella prefettura di Sassari, negli anni Cinquanta. Dal 1925 la coppia si trasferisce con i figli in una proprietà in Cecoslovacchia, vicino alla frontiera con la Germania; dopo il ’38, a causa dell’occupazione tedesca, dell’insicurezza generale e del loro palese sentimento antinazista, i coniugi lasciano Lickov, ma Oki viene arrestato e i beni confiscati; Amelie torna in Svezia per agire attivamente a favore dei profughi di ogni nazione e riesce a salvare migliaia di ebrei, mentre continua la sua attività di scrittrice dedicata a rievocare gli anni vissuti nel castello (Costruire, non demolire -1942) e a diffondere le iniziative del “Club del martedì” da lei fondato (Ora si può dire di più -1949). Gli anni della Seconda  Guerra Mondiale portano Amelie a scrivere e pubblicare molto: Al principio fu la luce (1940) sulla sua infanzia, Intorno all’albero della conoscenza (1946), L’albero della conoscenza in fiore (1946), la raccolta di articoli e conferenze Tra le battaglie (1944). Nel ’46 la famiglia rientra nel castello di Lickov, ma la storia sta per cambiare nuovamente: mentre Amelie si trova a Stoccolma, il colpo di stato comunista li priva per la seconda volta dei loro beni e Amelie sceglie la Svezia; questi eventi drammatici sono narrati nel libro Quando su Praga calò la cortina di ferro (pubblicato postumo e incompiuto nel ’68). Da questo momento Amelie e il marito vivono lontani e separati, senza rivedersi più, ma la scrittrice prosegue la sua battaglia politica e lavora fino alla morte (1957) con la resistenza ceca, convinta che le idee e le azioni di Mazaryk non possano morire. Nel ’94 è uscito un libro di lettere sulla situazione politica e il carteggio con i dissidenti (Lettere segrete da Praga).
Amelie non visitò mai più la Sardegna, ma fece un viaggio in Italia negli anni Cinquanta; sulle sue esperienze italiane pubblicò anche La libertà multicolore (1936) e Il parco delle rimembranze (1954); certo è però che la lettura di Interludio di Sardegna (Stoccolma-1931) - dopo un secolo dagli eventi narrati - è ancora piacevolissima. L’opera è scorrevole, persino divertente nonostante le numerose privazioni e la scarsa libertà di azione, e lo sguardo di una donna colta, svedese, senza pregiudizi, è assai illuminante. Lo si potrebbe ritenere uno spaccato culturale e sociologico su un mondo primitivo ma affascinante, su cui Amelie si sofferma con interesse e curiosità, descrivendo splendori e miserie. I capitoli si susseguono a cominciare dal IV in cui Amelie ci parla del viaggio e dell’arrivo, della “berritta”, degli abiti maschili e femminili, dei palazzi fatiscenti, delle pulci onnipresenti e della serva con i piedi talmente sporchi che il nero incrostato era stato scambiato per un paio di calzini di fitta lana. Racconta del ritratto fatto da Oki al vescovo e del gentile dono di enormi prosciutti e gigantesche forme di caciocavallo; parla dei vasi smaltati tanto belli in cui mettere delle piante fiorite, peccato non sappia (nel divertimento generale degli algheresi) che sono… vasi da notte; si stupisce delle varietà incredibili di pesce ma nessuno mangia le ostriche! E poi nota le raffinate forme di artigianato (le cassapanche, le ceste, i tessuti), riflette sulla musica e il canto popolare, riferisce usanze per lei sconvolgenti (come il lutto che è quasi una morte per le vedove sopravvissute), i corteggiamenti e le serenate notturne, i riti religiosi, la longevità di certe famiglie patriarcali in cui possono convivere persino sei generazioni (racconta di una donna che a 33 anni aveva 17 figli e 5 nipoti, allattati indifferentemente da chi era disponibile al momento). Amelie è divertita dal fatto che i suoi capelli facciano scalpore: alcuni le chiedono di scioglierli e di poterli toccare, per verificare la loro consistenza setosa e il loro incredibile colore dorato, ma anche la sua pancia in gravidanza è oggetto di attenzioni e riti scaramantici; solleva stupore e scandalo la sua passione per il nuoto che in varie occasioni la mette nei guai. E poi naturalmente le gite in barca, i nuraghi, l’entroterra sassarese, il mare sterminato, i profumi, perfino il salvataggio e successivo allevamento di un gabbiano riottoso e in contrasto con la bella gattina bianca. Purtroppo però la guerra talvolta riappare con la sua crudeltà: il campo di prigionia per bulgari, polacchi, turchi, tedeschi all’Asinara in condizioni disperate (nonostante la dedizione di medici, infermieri, guardie e di un gruppo di generosi frati), le malattie (la malaria e le epidemie di tifo e di colera, persino 800 casi di lebbra), la mancanza di libertà, la situazione igienico-sanitaria arretrata (quando si avvicina il parto Amelie si preoccupa, addirittura si vagheggia una fuga alle Baleari). Un episodio per tutti dà l’idea della drammaticità che si stempera nel concreto realismo: ad Amelie viene offerto del buon tonno e il cuoco le mostra soddisfatto un bottone serbo trovato nella sua pancia; il mare era diventato particolarmente generoso e i pesci assai saporiti visto che molti cadaveri venivano gettati direttamente in acqua per risparmiare sulle sepolture ed evitare contagi … Amelie - di gusti semplici e di buon appetito – non resiste a tanto orrore: ha la sua prima nausea da futura madre e si alza da tavola di corsa. Tuttavia quello che prevale nella lettura è il ricordo di un Eden dalla bellezza primordiale: ”Qualsiasi altro paesaggio sembra banale e piatto, adulterato e sfruttato, quando lo paragono alla natura della Sardegna e alla sua prospettiva d’eternità”.
Sintesi di grande efficacia che solo una scrittrice dall’animo sensibile e dalla mente aperta poteva concepire, ieri come oggi.

Fonti:
AMELIE POSSE BRAZDOVA, Interludio di Sardegna, Tema, Cagliari ,1998 (ed. originale svedese 1931,traduzione inglese 1932) - edizione arricchita con foto realizzate da Oki  Bràzda ad Alghero e disegni  del figlio Jan.

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