Chi era Amelia Piccinini?

Ma chi era Amelia Piccinini? Confesso, è la domanda che mi sono fatta quando ho saputo della targa stradale che in suo onore sarebbe stata inaugurata lo scorso 21 gennaio e che è stata in effetti apposta su una casa affacciata sul piazzale che si apre tra via Piave, via Giulio e via Santa Chiara a Torino.
Amelia Piccinini è stata un’atleta italiana, informa Wikipedia, ed è un fatto che lo sport femminile non ha mai goduto di grande fama ed è stato per lungo tempo, se non proprio osteggiato, considerato una curiosità su cui magari spendere qualche osservazione ironica, e comunque non una cosa importante. Dagli anni ‘70 del secolo scorso, per la levatura e il successo anche mediatico di personaggi come Sara Simeoni, Novella Calligaris, Valentina Vezzali, Manuela Di Centa e tante altre, l’immagine dello sport femminile è cambiata, anche se le cariche ai vertici delle Federazioni continuano tuttora a rimanere saldamente nelle mani degli uomini, e uomini sono solitamente anche gli allenatori delle squadre femminili. Alla cerimonia  del 21 gennaio, per dire, i “cavalierini” al tavolo dei relatori portavano tutti, guarda caso, nomi di uomini.
Insomma quello dello sport è un mondo ancora molto “maschile”: pare resistere pervicacemente, in quest’ambito, quel “tetto di cristallo” che impedisce il riconoscimento delle capacità delle donne ai livelli alti, quelli dirigenziali, e in passato le sportive hanno dovuto superare pregiudizi che hanno resistito a lungo, sull’incompatibilità tra sport a livello agonistico e femminilità. Ancora oggi capita di trovare, in qualche sito internet, accanto al nome di una donna come Amelia Piccinini, l’aggettivo “mascolina”, giusto per non lasciar sfuggire l’occasione di sottolineare che sì, insomma, l’immagine femminile deve corrispondere a ben precisi canoni, e se ciò non avviene lo si deve far osservare, perché comunque quella “decorativa” è una funzione fondamentale per ogni donna, sportiva o no. Per l’altro sesso, ovviamente, questo non vale, o non vale allo stesso modo.
Torino non spicca per una particolare attenzione alla memoria femminile, se è vero quanto ha affermato recentemente Claudia Giuliani, presidente Soroptimist di Ravenna, nella sua relazione al Terzo Convegno dell’Associazione Toponomastica femminile, cioè che nel capoluogo piemontese su 86 nuove intitolazioni stradali negli ultimi 14 anni solo tre sono a donne.
Per questo fa piacere che uno spazio cittadino, proprio nel Quadrilatero, cuore della città, sia stato dedicato alla memoria di una grande atleta del passato come Amelia Piccinini, che si distinse in diverse specialità, in particolare nel getto del peso, per il quale raggiunse il secondo posto nelle Olimpiadi di Londra, le prime dopo la guerra, nel 1948. Piemontese (era nata ad Alessandria nel 1917), atleta portacolori della Venchi Unica, in patria Piccinini faceva scintille, e si aggiudicò ben venti medaglie d’oro nei campionati italiani di Atletica leggera, quattro nel salto in lungo, quattro nel pentathlon, e ben dodici nel getto del peso, dove dava il meglio, sbaragliando tutte le connazionali. Morì nella nostra città, dopo averle dato lustro a livello nazionale e internazionale, nel 1979, ma solo ora, a distanza di ben trentacinque anni, si è pensato a ricordare il suo nome.
È a un’occasione particolare, infatti, che dobbiamo il riconoscimento del valore di questa atleta. L’anno che è da poco iniziato vede Torino come “Capitale dello sport”; nell’ambito delle manifestazioni connesse, la città ha deciso di intitolare dieci spazi, nelle diverse circoscrizioni, ad atleti e atlete. Per la precisione, a otto atleti e a due atlete. Un’altra targa sarà dedicata infatti alla torinese Edera Cordiale, anche lei argento, ma nel lancio del disco, nelle stesse olimpiadi del 1948.
Due a otto, in perfetto stile torinese, insomma, con qualche concessione alle nuove esigenze, ma con molta misura, senza strafare. Sappiamo che quello dello sport non è il campo più adatto, ma ci piacerebbe che anche a Torino iniziasse a farsi avanti l’idea che sia necessario riequilibrare l’odonomastica cittadina con l’obiettivo di una effettiva parità di genere, principio cui spesso ci si richiama ma che si stenta ad applicare nella realtà.