Iglesias per tre giovani donne coraggiose

  di Teresa Spano e Anna Marcias, 5 ottobre 2013

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Toponomastica Femminile. Nella parte sud occidentale della Sardegna, sui rilievi che chiudono la valle del Cixerri, si trova Iglesias. Spiagge, colline, verdi vallate e il Parco Geominerario basterebbero a rendere indimenticabile la città. Ma sono soprattutto la sua storia, il patrimonio architettonico, le antiche testimonianze del medioevo toscano, della dominazione spagnola, delle sue chiese a catturare l’attenzione. Frequentata dal Neolitico, fondata alla fine del XIII secolo dal conte Ugolino della Gherardesca, con il dominio pisano divenne una delle città sarde più importanti e popolose grazie alle attività estrattive del carbone, della blenda (minerale di zinco), della galena (minerale di piombo), e di piccole quantità di argento.

Oggi conta circa trentamila abitanti. E’ capoluogo e sede vescovile, erede storica dell’antica diocesi del Sulcis. Il suo stradario conta 519 vie, di cui 306, 191 maschili e 22 femminili. A conti fatti il 4,2% delle strade di Iglesias ha un’intitolazione femminile ma rientrano nell’esigua percentuale anche 5 strade dedicate alla Vergine Maria (una via e quattro vicoli), tre vie e un Ospedale a Santa Barbara, una via e un vicolo a Eleonora D’Arborea.

Le altre aree di circolazione ricordano due Sante (Margherita e Maddalena), due personalità del mondo cattolico (Chiara Lubich e Madre Teresa di Calcutta) quattro scrittrici (Grazia Deledda, Ada Negri, Amelia Melis de Villa, la piazza nel Castello Salvaterra a Grazia Sanna Serra), una cantante sarda (Maria Carta) e tre giovani donne: due vittime di mafia e una giornalista. Nel rione Col di Lana troviamo la via dedicata ad Emanuela Loi, Medaglia d’Oro al valor civile, agente di Polizia, nata a Sestu (CA) e uccisa a Palermo il 19/07/1992, a soli 25 anni, nell’agguato mafioso di via D’Amelio insieme al giudice Paolo Bosellino e ai colleghi Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.

Emanuela, che amava i bambini, si era diplomata alle magistrali e, in attesa di concorrere al bando che le permettesse di insegnare, aveva fatto domanda in Polizia. Tre anni dopo, veniva mandata in prima linea a Palermo, preposta al servizio di scorta, prima con il Giudice Falcone e poi con il Giudice Borsellino: un servizio duro, con turni impossibili e molti rischi che ha sempre assolto con grande coraggio e assoluta dedizione.

La Sardegna le ha dedicato diverse vie, scuole e persino un ponte sulla strada statale 554 che collega Cagliari all’hinterland: nella campata centrale è stata affissa una targa in sua memoria.

Nella località “Funtanamarzu” troviamo altre due vie di recente intitolazione dedicate ad altre due grandi donne contemporanee: Ilaria Alpi e Rita Atria.

Ilaria Alpi, romana di nascita e di formazione, grazie all’ottima conoscenza di arabo, francese e inglese, ottiene le prime collaborazioni giornalistiche al Cairo per conto di Paese Sera e l’Unità. Successivamente, vinta una borsa di studio, viene assunta alla RAI. Inviata in Somalia dal TG3, segue l’operazione “Restore Hope” per indagare su un traffico d’armi e rifiuti tossici che coinvolgeva vertici istituzionali e militari italiani. Ilaria voleva usare contro di loro la più pericolosa delle armi, “ la verità”, e per questa ragione viene uccisa il 20/03/1994 a Mogadiscio assieme al collega Miran Hrovatin, a colpi di kalashnikov. Le indagini del caso sono tutt’ora aperte.

Rita Atria, originaria di Partanna, è figlia di un piccolo boss di quartiere facente capo agli Accardo. Nella sua famiglia faide, strategie, vecchi rancori, interessi di ogni tipo, sono all’ordine del giorno. Il 18 novembre dell’85, Rita dodicenne, si trova davanti al cadavere del padre, Vito Atria, crivellato di colpi, fra le urla e gli impegni di rappresaglia dei familiari. Aiutata da Paolo Borsellino e incoraggiata dalla cognata Piera, vedova del fratello Nicola, diviene essa stessa testimone di giustizia. A soli 17 anni, vissuta in un ambiente mafioso, minacciata persino dai sui parenti, viene nascosta da Borsellino in un appartamento di Roma. Dopo la morte del giudice, Rita perde ogni speranza, scrive nel suo diario: ” quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro che, con il loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito!” e si toglie la vita. Al suo funerale il paese non partecipa, e neppure sua madre, che l’aveva ripudiata e minacciata di morte perché la sua ribellione “le procurava stizza e preoccupazione”.