Passeggiando per Alghero, s'Alighera, l'Alguer

  di Laura Candiani, 19 dicembre 2013

Alghero: comunque la si chiami, in italiano, sardo o catalano, la radice “alga” appare evidentissima, come testimonia anche lo stemma cittadino; dalla spiaggia e dal mare, poi, l’appellativo si è esteso all’abitato. Oggi, la città più catalana d’Italia appare nella sua bellezza a picco sul mare, con le mura, le torri, le chiese, i palazzi, fra cui quello gotico dei De Ferrera; la leggenda vuole che l’imperatore Carlo V, di passaggio, abbia definito la città ”Bonita, por mi fé, y bien assentada” e abbia salutato dal balcone gli abitanti con la celebre frase: ”Estode  todos  caballeros” (in realtà i cavalieri nominati furono solo tre!).
L’abitato ha subito molti rimaneggiamenti e demolizioni, anche a seguito dei bombardamenti, ma il nucleo storico mantiene la caratterizzazione militare e mercantile originaria; a partire dagli anni Venti la cittadina (aveva solo 10.000 abitanti) si è aperta verso la rigogliosa campagna circostante e ha scoperto la vocazione turistica, che appare oggi preminente. Ma, passeggiando sui bastioni e nelle viuzze, si ricava costantemente il richiamo alla strategica posizione geografica e al ricordo vivo della dominazione catalana, nelle insegne, nei nomi delle strade, nella lingua degli abitanti, nelle specialità gastronomiche, nei toponimi e, naturalmente, nella toponomastica. Qui si celebra la messa, si può fare testimonianza in tribunale, si insegna, si stampano libri e pubblicazioni in catalano, mentre altrove la lingua dei dominatori (Pisani, Castigliani, Savoia) è scomparsa del tutto, da lungo tempo. Va notato però che ad Alghero la lingua degli stranieri (che normalmente costituisce un’imposizione e un impoverimento per le tradizioni locali) è stata mantenuta viva anche grazie all’arrivo dalla Spagna, a più riprese (1355-1372), di cittadini catalani allo scopo di ripopolare un’area in forte crisi demografica.
Non ci troviamo a Barcellona, ma in Sardegna, eppure incontriamo camminando e guardandoci  intorno: Forte de la Magdalena, Torre de San Juan, Torre de Castilla, Torre de la Polvorera, Torre dell’Espero Reial, Nostra Senyora de la Merced, Palazzo del Veguer (Vicario), Portal de la Mar, via Catalogna, carrer del Carmen, carrer Major – che forma incrociandosi con via Ferret – “les quatre cantonades”; poco fuori città, volendo raggiungere la grotta di Nettuno a piedi, percorriamo la Escala del Cabirol (656 gradini, adatti appunto ai caprioli, più che agli incauti turisti sotto il sole estivo). Sul colle del Balaguer, dall’11 ottobre scorso, una piazza porta il nome di un personaggio femminile che la cittadinanza ha fortemente voluto ricordare: quello della cantautrice siciliana Giuni Russo (Giuseppa Romeo-1951-2004), dalla troppo breve vita e dalla potente, bellissima voce.
A lei va il merito di aver citato Alghero in un ritornello che tutti hanno cantato per il ritmo orecchiabile e le rime: ”Voglio andare ad Alghero /in compagnia di uno straniero/ Su spiagge assolate/mi parli in silenzio/ con avide occhiate”; non sarà stato il suo capolavoro, ma certo ha contribuito in modo determinante alla sua notorietà.
Anche ad Alghero non mancano strade dedicate a Grazia Deledda e a Eleonora d’Arborea, ad alcune sante (Anna, Chiara, Barbara), alla dea romana della sapienza (Minerva); meno comune il ricordo di Rina de Liguoro (1892-1966), pianista e attrice cinematografica di padre algherese; si incontrano poi il forte della Maddalena e, andando verso Porto Conte, il villaggio nuragico che prende il nome di Sant’Imbenia.
Più delle presenze, colpisce tuttavia una mancanza: fra questi pochi nomi femminili non c’è quello di Amelie Posse Brazdova (1884-1957), la scrittrice svedese più popolare del XX secolo che ha lasciato il diario dell’intero anno trascorso ad Alghero (1915-16). Amelie era di origini nobili e durante una perma-nenza a Roma conobbe – e subito sposò – Oskar (Oki) Brazda, un pittore boemo che con l’avvento della Grande Guerra diventò un nemico dell’Italia e fu costretto all’esilio. La coppia scelse dunque la Sardegna di cui aveva notizie dall’amica Grazia Deledda e l’esilio divenne quasi una vacanza: amarono molto il clima, la città di Alghero con il suo vivace porto e i pesci di ogni forma, il mare, le lunghe spiagge, gli ambienti selvaggi; tutto affascinante e ricco di meraviglia, se non fossero stati perseguitati dalle pulci e non avessero visto tanta miseria: con stupore pensavano che la loro rozza cameriera portasse dei calzini scuri anche nell’afa estiva, ma poi scoprirono che era un “rivestimento” di sporcizia dura e incrostata da sempre. Di queste condizioni quasi primitive (a cui si univano dissenteria, malaria, colera e tifo) Amelie tentò di parlare con le autorità italiane, ricevendo in cambio un arresto per aver denigrato il nome e il prestigio dell’Italia. La coppia in seguito visse in Cecoslovacchia dove Amelie si occupò non solo di letteratura, ma fu anche una pacifista, un’autentica democratica e una tenace antinazista. L’esperienza sarda fu richiamata alla mente anni dopo quando scrisse appunto “Interludio di Sardegna” (1931), un libro molto fortunato ma sconosciuto in Italia fino a poco tempo fa.
“Qualsiasi altro paesaggio sembra banale e piatto, adulterato e sfruttato, quando lo paragono alla natura della Sardegna e alla sua prospettiva di eternità”. (Amelie Posse)