Calendaria 2024 - Maria Rosa Coccia

Maria Rosa Coccia
Rossana Laterza




Giulia Canetto

 

«…non seguendo il metro del commun impiego al mio sesso, procurai distinguermi coll’acquisto di qualche scienza, che potesse supplire a ciò che non sortii dalla fortuna. Fu questa la musica…»

così scrisse Maria Rosa Coccia nella Lettera a Maria I Regina di Portogallo, Roma 28 maggio 1778

L’ampia e circostanziata monografia di Candida Felici raccoglie e analizza tutte le stampe e i manoscritti di Coccia conosciuti fino al 2004 mettendone in luce l’originalità e la modernità: «… la scrittura della Coccia si rivela degna d’interesse e nient’affatto marginale nel panorama dell’ultimo trentennio del Settecento, facendo sue le istanze più moderne, pur da una posizione d’isolamento quale poteva essere quella di una donna compositrice che, per quanto ne sappiamo, non si mosse mai da Roma nel corso della sua pur lunga vita». (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Roma, Colombo 2004, p. 70). Se le composizioni sacre presentano «…un linguaggio fortemente influenzato dalla musica profana e spiccatamente moderno», le Cantate profane Arsinoe e Il Trionfo d’Enea «…per la condotta dell’azione e le dimensioni [sono] da considerarsi delle vere e proprie opere…» (idem p. 68). Nei secoli XVII e XVIII molte ragazze nobili e ricche erano indotte a farsi monache per evitare il pagamento di esose doti matrimoniali e non mancarono casi di monacazione forzata. Ma poteva anche accadere che giovani dotate di talento musicale preferissero il chiostro al matrimonio per poter cantare, suonare e soprattutto comporre musica più liberamente.

A Venezia esperte suore musiciste, eludendo anche il vincolo della musica sacra, insegnavano l’esecuzione strumentale, la composizione e il canto alle giovani povere. Nelle corti europee era costume diffuso che nobili e regnanti eccellessero come compositrici ed esecutrici. Uno stile di vita a cui si andava uniformando la borghesia ricca e illuminata anche in Italia, dove ci si avvaleva delle competenze delle monache o si ricorreva a un Maestro di Cappella. Ma per quanto fosse accettabile e auspicabile che le donne praticassero musica per diletto – potenziando le proprie attrattive come future mogli e padrone di casa – o, come è il caso delle suore, per dovere, non era approvato che ne facessero una professione. Meno che mai a Roma dove dal 1716 il papa aveva stabilito che solo la Congregazione di Santa Cecilia, previo il superamento di un severo esame, poteva conferire la patente di Maestro di Cappella, titolo che dava diritto a dirigere e coordinare il complesso delle attività musicali presso chiese, dimore nobiliari e teatri, assicurando ai maestri contratti e redditi cospicui. Fu in questo ambiente maschile e competitivo che tentò di farsi strada Maria Rosa Coccia. Figlia di Antonio, di professione speziale, e di Maria Angela Luzi, era nata a Roma il 4 giugno 1759.

Bambina prodigio dotata di eccezionale talento musicale all’inizio venne probabilmente istruita da una suora. A otto anni già eseguiva «difficili composizioni e trasportandole in tutte le tonalità, tanto da essere invitata a suonare il clavicembalo in casa del barone Carlo Odoardo du Classe che l’accompagna al violoncello» (idem p.40). A dodici anni compose sei Sonate per clavicembalo dedicate a Carlo III Stuart e L’isola disabitata, opera andata perduta di cui rimane solo il libretto di Pietro Metastasio. L’anno dopo compose l’oratorio Daniello (andato perduto) sempre su testo di Metastasio, dedicato alla duchessa Marianna Caetani Sforza Cesarini, eseguito presso la Chiesa Nuova. Fu un evento eccezionale in quanto, per la fama della compositrice tredicenne, fu permesso l’accesso anche alle donne a cui di norma era vietato assistere agli oratori. Il periodico romano Diario Ordinario riferì: «…numeroso intervento di nobiltà ne’coretti e di persone civili ne’banchi… stato il tutto applaudito da numeroso uditorio». ( idem p. 44).

Sotto la guida di Sante Pesci, Maestro di Cappella della basilica Liberiana (Santa Maria Maggiore), studiò per l’ammissione alla Congregazione di Santa Cecilia. La fama di cui godeva e l’intercessione del Maestro avranno avuto un peso nel consentirle, anche se donna, l’accesso all’esame, ma bisogna aggiungere che nella seconda metà del Settecento pure alle istituzioni più conservatrici ed impermeabili arrivava l’eco di un certo cambiamento delle idee. Nel 1773 c’era stata l’ammissione della prima donna alla prestigiosa Accademia Filarmonica di Bologna. Era Marianna De Martinez, figlia del Nunzio papale a Vienna, cantante e clavicembalista di grande valore legata a Metastasio, che si era molto prodigato nel sostenerne la carriera. L’anno seguente, il 28 novembre 1774, a quindici anni, Coccia superò brillantemente l’esame che consisteva nella composizione di una fuga estemporanea a quattro voci sull’antifona Hic vir despiciens mundum, alla presenza di quattro professori, fra cui Pesci stesso. L’Esperimento estemporaneo svolto in un’ora e mezza fu giudicato ottimo:

«…esaminata ed approvata la signora Maria Rosa Coccia, in qualità di Maestra di Cappella, concediamo libera ed ampia facoltà alla medesima di poter esercitare l’impiego pubblico di Maestra di Cappella in questa città di Roma con tutti gl’onori preminenze dritti e ragioni…confermati con Autorità apostolica». (idem pp.45-46).

L’anno successivo l’Esperimento venne pubblicato e Coccia entrò a far parte anche dell’Accademia dei Forti assumendo il nome pastorale di Trevia. Nel 1779 a venti anni fu ammessa, con voto unanime, all’Accademia Filarmonica di Bologna. Nel 1780 Michele Mallio, che presiedeva l’Accademia dei Forti, pubblicò un Elogio storico della signora Maria Rosa Coccia a cui allegò poesie in lode e lettere di altri estimatori. Tuttavia, pur ricevendo entusiastici riconoscimenti da parte di illustri contemporanei tra cui il poeta cesareo Metastasio, il sopranista Carlo Broschi (Farinelli), l’erudito teorico della musica padre Martini, il principe dell’Accademia Filarmonica di Bologna Petronio Lanzi, il Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili ecc, il titolo conseguito non bastò a garantirle un impiego al servizio della Chiesa o un patrocinio stabile che le permettesse di vivere con i proventi della sua attività di compositrice. Non v’è dubbio che tanto successo potesse generare anche invidie e risentimenti. Nel 1781 Francesco Capalti, Maestro di Cappella di Narni, pubblicò la Critica all’esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia in cui rilevava errori nella tecnica del contrappunto e accusava di incompetenza Pesci e gli altri esaminatori di Santa Cecilia, da cui aveva peraltro subìto due bocciature consecutive nel 1756. Ne scaturì un’aspra controversia che la musicologa Maria Caruso riconduce al risentimento di Capalti verso l’Accademia di Santa Cecilia e allo scontro fra due concezioni diverse della tecnica del contrappunto: una più moderna ed evoluta e l’altra pedissequamente ancorata a regole dogmatiche.

È evidente che Coccia si trovò, suo malgrado, a essere usata come pretesto per lo scontro. Questa ‘sovraesposizione’ non giovò alla giovanissima compositrice che, pur avendo conquistato ufficialmente una posizione di prestigio, in quanto donna dovette sopportare controlli e critiche a cui nessun uomo, nella stessa condizione, sarebbe stato sottoposto. Diverso il caso di altre compositrici ed esecutrici professioniste. Di solito erano figlie d’arte che, viaggiando con le famiglie presso le corti europee, potevano conoscere mecenati, farsi apprezzare e intraprendere carriere di successo, oppure erano donne di talento di famiglie nobili, ricche e di vedute molto larghe, che, già introdotte in ambienti esclusivi, avevano modo di comporre ed esibirsi senza essere vincolate alla professione per sopravvivere. Rimane il fatto che, comunque, nell’opinione corrente non era ben visto che una donna mettesse in mostra i propri talenti. Per Coccia il titolo di Maestra di Cappella rimase un mero riconoscimento formale, né ebbe appoggi che l’aiutassero a uscire dal chiuso ambiente romano. Lo stesso Metastasio, che pure fu uno dei suoi più grandi estimatori, addusse scuse poco credibili onde evitare di far conoscere alla corte di Vienna o a una eventuale committenza i «tre eccellenti di Lei musicali componimenti» (idem p. 140) pervenutigli. Forse per tema che potessero oscurare la fama della sua protetta De Martinez. Dalla Congregazione Coccia ebbe solo l’incarico di comporre un Vespro per la festa di Santa Cecilia «…cantato con molto applauso nella Chiesa di San Carlo ai Catinari.» (1776).

La Chiesa non le commissionò lavori e lei si diede all’insegnamento, occupazione più onorata e socialmente accettabile per una donna. Ma risulta che almeno fino al 1783 continuò pervicacemente a comporre musica sacra e profana destinandola per lo più a nobildonne illustri e regine nell’intento strategico di ottenerne appoggio e protezione per continuare la carriera. Fra le dedicatarie troviamo Maria Amalia Augusta Elettrice di Sassonia, Maria I Regina del Portogallo, Maria Carolina di Napoli. Ancora a donne sono dedicate altre sue composizioni scoperte di recente: i Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M: Henriette Milano (1783) per la Principessa Enrichetta Caracciolo Milano, ritrovati nel 2008 nell’ Archivio del Monastero di S. Gregorio Armeno a Napoli, e Ifigenia, cantata a 5 voci e orchestra (1779) indirizzata a Maria Luisa di Parma Principessa delle Asturie, rinvenuta nel 2019 nella Real Biblioteca di Madrid. Composizioni rispettivamente analizzate dalle musicologhe Maria Caruso e Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia del 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia del 2021)Se ne deduce che esisteva una rete di donne che promuoveva il lavoro di altre donne di cui Coccia cercò di avvalersi stringendo anche rapporti epistolari personali come con Enrichetta, lungamente vissuta in Francia a cui si rivolgeva in francese, inviandole minuetti francesi e musica adatta all’esecuzione di gruppi amatoriali domestici molto in voga nei salotti nobiliari del tempo. Le composizioni le procurarono gratitudine, riconoscimenti e doni in denaro che però non furono sufficienti a garantirle una tranquillità economica. Dal 1783 non si hanno più notizie della sua vita fino al 1832 quando rivolse alla Congregazione di Santa Cecilia la richiesta di un «caritatevole sussidio» (idem p.154). Ormai anziana e malata non poteva più insegnare né comporre e, avendo mantenuto i genitori e la sorella fino alla loro morte, si ritrovava priva di mezzi per sopravvivere. L’Accademia le accordò solo pochi scudi. «Comunque Lei non peserà a lungo sulle finanze della Congregazione, poiché morì a Roma, sola e dimenticata come volevano i suoi detrattori, il 20 novembre 1833. Tutti i maestri Congregati avevano diritto a un funerale pubblico… Maria Rosa Coccia fu congedata da questo mondo con quattro messe celebrate in suffragio della sua anima, nella Cappella della Congregazione, a San Carlo ai Catinari». (Breve biografia di M.R. Coccia a cura del sito web dell’Accademia Maria Rosa Coccia). Il lavoro di ricerca di altre studiose e musiciste come lei l’ha sottratta all’oblio, tuttavia resta ancora al buio un lungo periodo di circa cinquant’anni in cui si perdono le tracce della sua vita e delle sue opere.

Per approfondire:


Traduzione francese

Guenoah Mroue

« ... En ne suivant pas le critère du commun emploi à mon sexe, je me distinguai par l’achat de quelques sciences, qui pourraient suppléer à ce qui ne sort pas de la chance. Ce fut la musique...»

a écrit Maria Rosa Coccia dans la Lettre à Marie Ier Reine du Portugal, Rome 28 mai 1778

La monographie ample et circonstanciée de Candida Felici rassemble et analyse toutes les estampes et manuscrits de Coccia connus jusqu’en 2004 en mettant en lumière leur originalité et leur modernité : «... l’écriture de la Coccia se révèle digne d’intérêt et pas du tout marginale dans le panorama des trente dernières années du XVIIIe siècle, en faisant siennes les instances les plus modernes, tout en étant dans une position d’isolement telle que celle d’une femme compositrice qui, pour autant que nous savons, n’a jamais quitté Rome au cours de sa longue vie». (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Rome, Colombo 2004, p. 70). Si les compositions sacrées présentent «...un langage fortement influencé par la musique profane et nettement moderne», les Cantates profanes Arsinoé et Il Trionfo d’Enea «...pour la conduite de l’action et les dimensions [sont] à considérer comme de véritables œuvres...» (idem. 68). Aux XVIIe et XVIIIe siècles, de nombreuses filles nobles et riches étaient amenées à se faire nonnes pour éviter le paiement de dons matrimoniaux exorbitants et des cas de monacation forcée ne manquèrent pas. Mais il pouvait aussi arriver que des jeunes doués en musique préfèrent le cloître au mariage pour pouvoir chanter, jouer et surtout composer de la musique plus librement.

A Venise, des sœurs musiciennes expérimentées, éludant également le lien de la musique sacrée, enseignaient l’exécution instrumentale, la composition et le chant aux jeunes pauvres. Dans les cours européennes, la coutume était répandue que les nobles et les souverains excellaient en tant que compositeurs et exécutants. Un style de vie auquel on uniformisait la bourgeoisie et éclairée également en Italie, où l’on faisait appel aux compétences des moniales ou à un Maître de Chapelle. Mais autant il était acceptable et souhaitable que les femmes pratiquent la musique par plaisir - en renforçant leurs attraits comme futures épouses et maître de maison - ou, comme c’est le cas des sœurs, par devoir, il n’était pas approuvé qu’elles en fassent une profession. Moins que jamais à Rome où, depuis 1716, le pape avait établi que seule la Congrégation de Sainte-Cécile, après avoir passé un examen rigoureux, pouvait conférer la licence de Maître de Chapelle, titre qui donnait le droit de diriger et de coordonner l’ensemble des activités musicales dans les églises, les demeures et les théâtres, assurant aux maîtres des contrats et des revenus substantiels. C’est dans ce milieu masculin et compétitif que Maria Rosa Coccia tente de se frayer un chemin. Fille d’Antonio, de profession épicée, et de Maria Angela Luzi, elle est née à Rome le 4 juin 1759.

Enfant prodige dotée d’un talent musical exceptionnel au début, elle fut probablement instruite par une sœur. À huit ans, elle exécutait déjà «des compositions difficiles et les transportait dans toutes les tonalités, au point d’être invitée à jouer du clavecin chez le baron Carlo Odoardo du Classe qui l’accompagne au violoncelle» (idem p.40). À douze ans, elle compose six Sonate per clavicembalo dédiées à Charles III Stuart et L’isola disabitata, opéra perdu dont il ne reste que le livret de Pietro Metastasio. L’année suivante, elle compose l’oratoire Daniello (perdu) toujours sur un texte de Metastasio, dédié à la duchesse Marianna Caetani Sforza Cesarini, exécuté à la Chiesa Nuova. Ce fut un événement exceptionnel car, en raison de la renommée de la compositrice de treize ans, l’accès fut également accordé aux femmes auxquelles il était normalement interdit d’assister. Le périodique romain Diario Ordinario rapporte : «...nombreuses interventions de la noblesse dans les chœurs et de personnes civiles sur les bancs... été applaudi par un large public». ( idem p. 44)

Sous la direction de Sante Pesci, maître de chapelle de la basilique Liberiana (Santa Maria Maggiore), elle étudia pour l’admission à la Congrégation de Sainte-Cécile. La renommée dont elle jouissait et l’intercession du Maitre auront pesé sur elle pour lui permettre, même si elle est une femme, l’accès à l’examen, Mais il faut ajouter que, dans la seconde moitié du XVIII siècle, les institutions les plus conservatrices et imperméables ont également reçu l’écho d’un certain changement d’idées. En 1773, il y avait eu l’admission de la première femme à la prestigieuse Académie Philharmonique de Bologne. C’était Marianna De Martinez, fille du Nonce pontifical à Vienne, chanteuse et claveciniste de grande valeur liée à Metastasio, qui avait beaucoup contribué à soutenir sa carrière. L’année suivante, le 28 novembre 1774, à quinze ans, Coccia réussit brillamment l’examen qui consistait en la composition d’une fugue impromptue à quatre voix sur l’antienne Hic vir despiciens mundum, en la présence de quatre professeurs, dont Pesci lui-même. L’expérience impromptue en une heure et demie a été jugée excellente:

« ... examiné et approuvé Mme Maria Rosa Coccia, en tant que Maîtresse de Chapelle, nous accordons libre et ample faculté à celle-ci de pouvoir exercer l’emploi public de Maîtresse de Chapelle dans cette ville de Rome avec tous les honneurs prééminences et raisons... confirmés par l’Autorité apostolique». (idem pp.45-46).

L’année suivante, l’Expérimentation est publiée et Coccia devient membre de l’Académie des Forts en prenant le nom pastoral de Trevia. En 1779, à vingt ans, elle est admise, avec vote unanime, à l’Académie Philharmonique de Bologne. En 1780, Michele Mallio, qui présidait l’Académie des Forts, publia un Éloge historique de Mme Maria Rosa Coccia auquel elle joignit des poèmes en louanges et des lettres d’autres admirateurs. Cependant, tout en recevant des éloges enthousiastes de la part d’illustres contemporains dont le poète césarien Métastase, le sopraniste Carlo Broschi (Farinelli), l’érudit théoricien de la musique père Martini, le prince de l’Académie philharmonique de Bologne Petronio Lanzi, le Maître de Chapelle Pascal Antonio Basili etc, le titre obtenu ne suffisait pas à lui garantir un emploi au service de l’Église ou un patronage stable qui lui permettrait de vivre avec les bénéfices de son activité de compositeur. Sans aucun doute, un tel succès ne pouvait que générer de l’envie et du ressentiment. En 1781, Francesco Capalti, maître de chapelle de Narni, publia la Critique à l’examen de Mme Maria Rosa Coccia où il relevait des erreurs dans la technique du contrepoint et accusait d’incompétence Pesci et les autres examinateurs de Sainte Cécile, dont elle avait d’ailleurs subi deux rejets consécutifs en 1756. Il en résulta une vive controverse que la musicologue Maria Caruso attribua au ressentiment de Capalti envers l’Académie de Santa Cecilia et à l’affrontement entre deux conceptions différentes de la technique du contrepoint : l’une plus moderne et plus évoluée et l’autre solidement ancrée dans des règles dogmatiques.

Il est évident que Coccia se trouva, malgré elle, utilisée comme prétexte à l’affrontement. Cette surexposition ne profita pas à la très jeune compositrice qui, bien qu’ayant acquis officiellement une position de prestige, en tant que femme, dut supporter des contrôles et des critiques auxquels aucun homme, dans la même condition, ne serait soumis. Le cas d’autres compositrices et exécutantes professionnelles est différent. Elles étaient généralement des filles d’art qui, en voyageant avec leurs familles auprès des cours européennes, pouvaient connaître des mécènes, se faire apprécier et entreprendre des carrières réussies, ou étaient des femmes talentueuses de familles nobles, riches et très ouvertes d’esprit, qui, déjà introduites dans des milieux exclusifs, avaient la possibilité de composer et de se produire sans être liées à la profession pour survivre. Il n’en reste pas moins que, dans l’opinion courante, il n’était pas bien vu qu’une femme présentait ses talents. Pour Coccia, le titre de Maîtresse de Chapelle ne resta qu’une simple reconnaissance formelle, et n’eut pas d’appuis pour l’aider à sortir du milieu romain fermé. Métastase lui-même, qui fut pourtant l’un de ses plus grands admirateurs, lui donna des excuses peu crédibles pour éviter de faire connaître à la cour de Vienne ou à un éventuel commanditaire les «trois excellentes mélodies composantes» (idem p. 140) qui lui sont parvenues. Peut-être par crainte qu’ils puissent ternir la réputation de sa protégée De Martinez. De la Congrégation Coccia, elle n’eut que la charge de composer un Vêpres pour la fête de Sainte Cécile « ...chanté avec beaucoup d’applaudissements dans l’église Saint-Charles aux Catinari» (1776).

L’Église ne lui a pas confié de travaux et elle s’est donnée à l’enseignement, une occupation plus honorable et socialement acceptable pour une femme. Mais il s’avère qu’au moins jusqu’en 1783, elle a continué à composer de la musique sacrée et profane, principalement destinée à des femmes nobles illustres et reines dans le but stratégique d’obtenir un soutien et une protection pour poursuivre leur carrière. Parmi les dédicatrices, on trouve Maria Amalia Augusta Elettrice di Sassonia, Maria I Regina del Portugal, Maria Carolina di Napoli. Ses compositions découvertes récemment sont dédiées encore à des femmes: les Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M : Henriette Milano (1783) pour la Princesse Enrichetta Caracciolo Milano, retrouvés en 2008 dans les Archives du Monastère de S. Gregorio Armeno à Naples, et Iphigénie, cantate à 5 voix et orchestre (1779) adressée à Marie-Louise de Parme Princesse des Asturies, retrouvée en 2019 dans la Real Bibliothèque de Madrid. Compositions respectivement réalisées par les musicologues Maria Caruso et Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered Manuscript by Maria Rosa Coccia de 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositeur italienne Maria Rosa Coccia de 2021) On en déduit qu’il existait un réseau de femmes qui promouvaient le travail d’autres femmes dont Coccia chercha à se prévaloir en nouant également des relations épistolaires personnelles comme avec Henriette, longtemps vécue en France à laquelle elle s’adressait en français, en lui envoyant des menuets français et de la musique adaptée à l’exécution de groupes amateurs domestiques très en vogue dans les salons nobiliaires de l’époque. Les compositions lui ont procuré de la gratitude, de la reconnaissance et des dons de titre financiers, mais ils n’ont pas suffi à lui assurer une tranquillité économique. De 1783, il n’y a plus de nouvelles de sa vie jusqu’en 1832 quand elle adressa à la Congrégation de Sainte-Cécile la demande d’un « secours charitable » (idem p.154). Désormais âgée et malade, elle ne pouvait plus enseigner ni composer et, ayant entretenu ses parents et sa sœur jusqu’à leur mort, elle se retrouvait privée de moyens pour survivre. L’Académie ne lui accorda que quelques assurances. « De toute façon, elle ne pèsera pas longtemps sur les finances de la Congrégation, car elle mourut à Rome, seule et oubliée comme le voulaient ses détracteurs, le 20 novembre 1833. Tous les maîtres de la Congrégation avaient droit à des funérailles publiques... Maria Rosa Coccia fut congédiée de ce monde par quatre messes célébrées en suffrage de son âme, dans la Chapelle de la Congrégation, à San Carlo ai Catinari». (Brève biographie de M.R. Coccia par le site web de l’Académie Maria Rosa Coccia). Le travail de recherche d’autres savantes et musiciennes comme elle l’a soustraite à l’oubli, mais il reste encore dans l’obscurité une longue période d’environ cinquante ans où se perdent les traces de sa vie et de ses œuvres.

Pour plus d’informations:


Traduzione inglese

Syd Stapleton

"...not following the rules of employment common for my sex, I chose to distinguish myself by the acquisition of some science, which could make up for what I did not possess by fortune. This was music..."

so wrote Maria Rosa Coccia in her Letter to Mary I Queen of Portugal, Rome May 28, 1778

Candida Felici's extensive and circumstantial monograph collects and analyzes all of Coccia's printed work and manuscripts known up to 2004, highlighting her originality and modernity: "... Coccia's writing proves to be worthy of interest and not at all marginal in the panorama of the last thirty years of the eighteenth century, making hers the most modern instances, albeit from a position of isolation as could have been that of a woman composer who, as far as we know, never moved from Rome in the course of her long life." (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Rome, Colombo 2004, p. 70). If the sacred compositions present "...a language strongly influenced by secular music and distinctly modern," the secular Cantatas Arsinoe and Il Trionfo d'Enea "...for the conduct of the action and the dimensions [are] to be considered real operas..." (idem p. 68). In the 17th and 18th centuries, many noble and wealthy young women were induced to become nuns in order to avoid the payment of exorbitant marriage dowries, and there was no shortage of cases of forced nunhood.But it could also have been that some musically talented young women preferred the cloister to marriage in order to be able to sing, play and especially compose music more freely.

In Venice expert musician nuns, evading even the constraint of sacred music, taught instrumental performance, composition and singing to poor young women. In European courts it was a common custom for nobles and royalty to excel as composers and performers. It was a way of life to which the wealthy and enlightened bourgeoisie was conforming in Italy as well, where they made use of the skills of nuns or employed a Maestro di Cappella (chapel master). But as much as it was acceptable and desirable for women to practice music for pleasure - enhancing their attractiveness as future wives and house mistresses - or, as is the case with nuns, for duty, it was not approved for them to make it a profession. Least of all in Rome, where since 1716 the pope had established that only the Congregation of St. Cecilia, after passing a strict examination, could confer the license of Maestro di Cappella, a title that gave the right to direct and coordinate the complex of musical activities at churches, noble residences and theaters, assuring the masters substantial contracts and income. It was in this masculine and competitive environment that Maria Rosa Coccia attempted to make her way. The daughter of Antonio, an apothecary by profession, and Maria Angela Luzi, she was born in Rome on June 4, 1759.

A child prodigy with exceptional musical talent, she was initially probably taught by a nun. At eight years old she was already performing "difficult compositions and carrying them in all tonalities, so much so that she was invited to play harpsichord in the house of Baron Carlo Odoardo du Classe who accompanied her on the cello" (idem p.40). At the age of twelve she composed six Sonatas for harpsichord dedicated to Charles III Stuart and L'isola disabitata, a lost opera of which only the libretto by Pietro Metastasio remains. The following year she composed the oratorio Daniello (now lost), also on a text by Metastasio, dedicated to Duchess Marianna Caetani Sforza Cesarini, performed at the Chiesa Nuova. It was an exceptional event in that, due to the fame of the 13-year-old composer, women who were normally forbidden to attend oratorios were also allowed to attend. The Roman periodical Diario Ordinario reported, "...numerous examples of nobility in the choruses and of civilized people in the pews...the whole was applauded by a numerous audience." (idem p. 44).

Under the guidance of Sante Pesci, Maestro di Cappella of the Liberian Basilica (Santa Maria Maggiore), she studied for admission to the Congregation of Saint Cecilia. The fame she enjoyed and the Maestro's intercession will have played a part in allowing her, even as a woman, access to the examination, but it must be added that in the second half of the eighteenth century even the most conservative and impermeable institutions were receiving suggestions of a certain change in ideas. In 1773 there had been the admission of the first woman to the prestigious Accademia Filarmonica in Bologna. She was Marianna De Martinez, daughter of the Papal Nuncio in Vienna, a singer and harpsichordist of great value linked to Metastasio, who had done much to support her career. The following year, on November 28, 1774, at the age of fifteen, Coccia brilliantly passed the exam that consisted of composing an extemporaneous fugue for four voices on the antiphon Hic vir despiciens mundum, in the presence of four professors, including Pesci himself. The “Extemporaneous Experiment” performed in an hour and a half was judged excellent:

"...having examined and approved Mrs. Maria Rosa Coccia, as Maestra di Cappella, we grant free and ample faculty to the same to be able to exercise the public employment of Maestra di Cappella in this city of Rome with all the honors, preeminences rights and duties...confirmed with Apostolic Authority." (idem pp.45-46).

The following year the “Experiment” was published and Coccia also joined the Accademia dei Forti taking on the pastoral name of Trevia. In 1779 at the age of twenty she was admitted, by unanimous vote, to the Accademia Filarmonica in Bologna. In 1780 Michele Mallio, who presided over the Accademia dei Forti, published a Historical Eulogy of Mrs. Maria Rosa Coccia to which he attached poems in praise and letters from other admirers. However, although she received enthusiastic accolades from distinguished contemporaries including the Caesarean poet Metastasio, the sopranist Carlo Broschi (Farinelli), the erudite music theorist Father Martini, the prince of the Philharmonic Academy of Bologna Petronio Lanzi, the Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili, etc., the title she earned was not enough to secure her employment in the service of the Church or a stable patronage that would allow her to live off the proceeds of her activity as a composer. There is no doubt that such success could also generate envy and resentment. In 1781 Francesco Capalti, Maestro di Cappella of Narni, published Critica all'esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia in which he noted errors in counterpoint technique and accused Pesci and the other examiners of Santa Cecilia of incompetence, from whom he had moreover suffered two consecutive failures in 1756. A bitter controversy ensued, which musicologist Maria Caruso traces back to Capalti's resentment toward the Accademia di Santa Cecilia and the clash between two different conceptions of counterpoint technique: one more modern and evolved and the other slavishly anchored in dogmatic rules.

It is clear that Coccia found herself, despite herself, being used as a pretext for the clash. This 'overexposure' did not benefit the very young composer who, although she officially gained a prestigious position, as a woman had to endure scrutiny and criticism to which no man in the same condition would have been subjected. The case of other professional female composers and performers was different. They were usually daughters of artists who, by traveling with their families to European courts, were able to meet patrons, gain appreciation and embark on successful careers, or they were talented women from noble, wealthy and very broad-minded families who, already introduced into exclusive circles, had a way to compose and perform without being bound to the profession in order to survive. The fact remains, however, that in current opinion it was frowned upon for a woman to showcase her talents. For Coccia, the title of Maestra di Cappella remained a mere formal recognition, nor did she have any support to help her get out of the closed Roman environment. Metastasio himself, who was also one of her greatest admirers, made scarcely credible excuses in order to avoid making known to the Viennese court or a possible patronage the "three excellent of Lei musicali componimenti" (idem p. 140) that had reached him. Perhaps for fear that they might overshadow the fame of his protégée De Martinez. From the Congregation Coccia had only the commission to compose a Vesper for the feast of Saint Cecilia "...sung with much applause in the Church of San Carlo ai Catinari." (1776).

The Church did not commission works from her and she took up teaching, a more “honorable” and socially acceptable occupation for a woman. But it turns out that at least until 1783 she stubbornly continued to compose sacred and secular music, mostly destined to be dedicated to distinguished noblewomen and queens in the strategic intent of gaining their support and protection to continue her career. Among the dedicatees we find Maria Amalia Augusta Elector of Saxony, Maria I Queen of Portugal, and Maria Carolina of Naples. Also dedicated to women are other recently discovered compositions of hers: the Vingt Menuets pour le clavecin à l'usage de son excellence M. Henriette Milano (1783) for Princess Enrichetta Caracciolo Milano, found in 2008 in the Archives of the Monastery of S. Gregorio Armeno in Naples, and Iphigenia, cantata for 5 voices and orchestra (1779) addressed to Maria Luisa di Parma Princess of Asturias, found in 2019 in the Real Biblioteca in Madrid. These compositions were respectively analyzed by musicologists Maria Caruso and Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia from 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia of 2021). It can be deduced that there was a network of women who promoted the work of other women whose connections Coccia tried to take advantage of by also forging personal correspondence relationships, such as with Enrichetta, who lived in France for a long time and to whom she wrote in French, sending her French minuets and music suitable for performance by domestic amateur groups very much in vogue in the aristocratic salons of the time. The compositions brought her gratitude, recognition and gifts of money, which, however, were not enough to guarantee her financial peace of mind. From 1783 there is no further news of her life until 1832 when she applied to the Congregation of St. Cecilia for a "charitable subsidy" (idem p.154). By now old and ill, she could no longer teach or compose, and having supported her parents and sister until their deaths, she found herself without the means to survive. The Academy granted her only a few scudi. "However, she would not weigh long on the finances of the Congregation, for she died in Rome, alone and forgotten as her detractors wanted, on November 20, 1833. All Congregational teachers were entitled to a public funeral...Maria Rosa Coccia was dismissed from this world with four masses celebrated in suffrage of her soul, in the Chapel of the Congregation, at San Carlo ai Catinari." (Short biography of M.R. Coccia edited by the Maria Rosa Coccia Academy website). The research work on other scholars and musicians like her has rescued her from oblivion, however, a long period of about fifty years exists in which traces of her life and works are still obscure.

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Traduzione spagnola

Syd Stapleton

«…Sin seguir el metro del común uso para mi género, procuré destacar con la adquisición de algúna ciencia que pudiera suplir lo que no obtuve por fortuna. Esta fue la música...»

escribió María Rosa Coccia en la Lettera a Maria I Regina di Portogallo, Roma, 28 de mayo de 1778.

La amplia y detallada monografía de Cándida Felici recopila y analiza todas las impresiones y manuscritos conocidos de Coccia hasta el año 2004, destacando su originalidad y modernidad: «…La escritura de Coccia se revela digna de interés y en absoluto marginal en el panorama de las últimas tres décadas del siglo XVIII, adoptando las demandas más modernas, a pesar de su posición aislada como podría ser la de una mujer compositora que, según sabemos, nunca salió de Roma durante su larga vida» (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Roma, Colombo 2004, p. 70). Si las composiciones sacras presentan «...un lenguaje fuertemente influenciado por la música profana y marcadamente moderno», las Cantatas profanas Il Trionfo d'Enea y Arsinoe «...por la dirección de la acción y por sus dimensiones deben ser consideradas auténticas óperas...» (ibíd. p. 68). En los siglos XVII y XVIII, muchas jóvenes ricas de la nobleza eran inducidas a hacerse monjas para evitar el pago de dotes matrimoniales exorbitantes, y no faltaron casos de reclusión monástica forzada. Sin embargo, también podía suceder que jóvenes dotadas de talento musical prefirieran el claustro al matrimonio para poder cantar, tocar e incluso componer música de manera más libre.

En Venecia, expertas monjas músicas, eludiendo incluso la restricción de la música sacra, enseñaban ejecución instrumental, composición y canto a jóvenes de escasos recursos. En las cortes europeas, era común que la nobleza y las gobernantes destacaran como compositoras e intérpetes. Un estilo de vida al que la burguesía rica e ilustrada también se iba acostumbrando en Italia, donde o se aprovechaban las habilidades de las monjas o se recurría a un Maestro di Cappella. No obstante, aunque fuera aceptable y deseable que las mujeres practicaran la música por deleite –mejorando así su atractivo como futuras esposas y amas de casa– o, como en el caso de las monjas, por deber, se consideraba reprochable que hicieran de la música una profesión. Más aún en Roma, donde desde 1716 el Papa había establecido que solo la Congregación de Santa Cecilia, tras aprobar un riguroso examen, podía otorgar la licencia de Maestro di Cappella, un título que confería el derecho de dirigir y coordinar todas las actividades musicales en iglesias, residencias nobiliarias y teatros, garantizando a dichos maestros tanto contratos como ingresos considerables. Fue en semejante entorno masculino y competitivo donde María Rosa Coccia intentó abrirse paso. Hija de Antonio, que era farmacéutico, y de María Angela Luzi, nació en Roma el 4 de junio de 1759.

Niña prodigio con un talento musical excepcional, probablemente al principio fue instruida por una monja. A los ocho años ya ejecutaba «difíciles composiciones y las transponía a todas las tonalidades, tanto que fue invitada a tocar el clavecín en casa del barón Carlo Odoardo du Classe, quien la acompañaba con el violonchelo» (ibíd. p. 40). A los doce años compuso seis Sonate per clavicembalo dedicadas a Carlos III Estuardo y L'isola disabitata, una ópera perdida de la cual solo se conserva el libreto de Pietro Metastasio. Al año siguiente, compuso el oratorio Daniello (también perdido), otra vez con el texto de Metastasio, dedicado a la duquesa Marianna Caetani Sforza Cesarini, interpretado en la Chiesa Nuova. Fue un evento excepcional ya que, debido a la fama de la compositora de trece años, también se permitió el acceso a las mujeres, a las que normalmente se les prohibía asistir a los oratorios. El periódico romano Diario Ordinario informó: «...numerosa participación de la nobleza en los coretti y de personas civiles en los bancos... todo fue aplaudido por un numeroso auditorio» (ibíd. p. 44).

Bajo la dirección de Sante Pesci, Maestro di Cappella de la basílica Liberiana (Santa Maria Maggiore), estudió con el objeto de ser admitida en la Congregación de Santa Cecilia. La fama que tenía y la intercesión del Maestro probablemente tuvieron un peso al permitirle acceder al examen a pesar de ser mujer. Sin embargo, es importante añadir que, en la segunda mitad del siglo XVIII, incluso las instituciones más conservadoras e impermeables comenzaban a abrirse a ciertos cambios de ideas. En 1773, fue admitida la primera mujer en la prestigiosa Accademia Filarmonica de Bolonia, Marianna De Martínez, hija del Nuncio papal en Viena, una destacada cantante y clavecinista vinculada a Metastasio, quien se esforzó mucho por apoyar su carrera. Al año siguiente, el 28 de noviembre de 1774, a la edad de quince años, Coccia superó brillantemente el examen, que consistía en la composición de una fuga improvisada a cuatro voces sobre la antífona Hic vir despiciens mundum, en presencia de cuatro profesores, incluido el propio Pesci. El Experimento improvisado realizado en una hora y media fue calificado como excelente:

«…examinada y aprobada la señora María Rosa Coccia, en calidad de Maestra di Cappella, le otorgamos libertad y amplio poder para ejercer el cargo público de Maestra di Cappella en esta ciudad de Roma, con todos los honores, prerrogativas, derechos y razones… confirmados con Autoridad apostólica» (ibíd. pp. 45-46).

Al año siguiente, el Experimento fue publicado y Coccia también se unió a la Accademia dei Forti, adoptando el nombre pastoral de Trevia. En 1779, con veinte años, fue admitida por unanimidad en la Accademia Filarmonica de Bolonia. En 1780, Michele Mallio, que presidía la Accademia dei Forti, publicó un Elogio storico della signora Maria Rosa Coccia, al que adjuntó poemas elogiosos y cartas de otros admiradores. No obstante, a pesar de recibir entusiastas reconocimientos de ilustres contemporáneos como el poeta cesáreo Metastasio, el sopranista Carlo Broschi (Farinelli), el erudito teórico musical Padre Martini, el príncipe de la Accademia Filarmonica de Bolonia, Petronio Lanzi, el Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili, etc., el título obtenido no fue suficiente para asegurarle un empleo al servicio de la Iglesia o un patrocinio estable que le permitiera vivir de los ingresos de su actividad como compositora. No cabe duda de que tanto éxito podía generar envidias y resentimientos. En 1781, Francesco Capalti, Maestro di Cappella de Narni, publicó la Critica all’esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia, en la que señalaba errores en la técnica del contrapunto y acusaba de incompetencia a Pesci y a los demás examinadores de Santa Cecilia, quienes le habían dado dos calabazas consecutivas en 1756. Surgió así una agria controversia que la musicóloga Maria Caruso atribuye al resentimiento de Capalti hacia la Academia de Santa Cecilia y al enfrentamiento entre dos concepciones distintas de la técnica del contrapunto: una más moderna y evolucionada, y la otra aferrada al pie de la letra a reglas dogmáticas.

Es evidente que Coccia se convirtió, a pesar suyo, en un pretexto para el conflicto. Esta "sobreexposición" no benefició a la joven compositora, quien, aunque había conquistado oficialmente una posición de prestigio, como mujer tuvo que soportar controles y críticas a los que ningún hombre en la misma condición se habría visto sometido. El caso de otras compositoras e intérpretes profesionales es distinto: por lo general, eran hijas de artistas que, al viajar con sus familias por las cortes europeas, tenían la oportunidad de conocer mecenas, ganarse aprecio e iniciar exitosas carreras, o bien eran mujeres talentosas de familias nobles, ricas y de mentalidad abierta que, ya introducidas en entornos exclusivos, tenían la posibilidad de componer y actuar sin depender de la profesión para sobrevivir. De todas formas, está claro que, en la opinión general no se veía con buenos ojos que una mujer exhibiera sus propios talentos. Para Coccia, el título de Maestra di Cappella quedó como un mero reconocimiento formal, y ni siquiera contó con un respaldo que la ayudara a salir del cerrado ambiente romano. Incluso Metastasio, uno de sus mayores admiradores, presentó excusas poco creíbles para evitar dar a conocer en la corte de Viena o a posibles patrocinadores las “sus tres excelentes composiciones musicales" (ídem p. 140) que le había enviado. Quizás temía que pudieran eclipsar la fama de su protegida De Martínez. De la Congregación, Coccia solo recibió el encargo de componer unas Vísperas para la fiesta de Santa Cecilia «...cantadas con muchos aplausos en la Iglesia de San Carlo ai Catinari» (1776).

La Iglesia no le encargó nada y ella se dedicó a la enseñanza, una ocupación más respetada y socialmente aceptable para una mujer. Sin embargo, parece que al menos hasta 1783 continuó componiendo obstinadamente música sacra y profana, destinándola principalmente a ilustres mujeres nobles y reinas, con la estrategia de obtener su apoyo y protección para seguir con su carrera. Entre las destinatarias encontramos a María Amalia Augusta Elettrice de Sajonia, María I Reina de Portugal, y María Carolina de Nápoles. Recientemente se descubrieron otras composiciones suyas dedicadas a mujeres: los Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M: Henriette Milano (1783) para la Princesa Enrichetta Caracciolo Milano, hallados en 2008 en el Archivo del Monasterio de S. Gregorio Armeno en Nápoles, e Ifigenia, una cantata a 5 voces y orquesta (1779) dirigida a María Luisa de Parma, Princesa de Asturias, descubierta en 2019 en la Real Biblioteca de Madrid. Estas composiciones han sido analizadas respectivamente por las musicólogas María Caruso y Judith Ortega Rodríguez (María Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia de 2016; Judith Ortega Rodríguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia de 2021). Se deduce que existía una red de mujeres que promovía el trabajo de otras mujeres, de la cual Coccia intentó beneficiarse estableciendo también relaciones epistolares personales, como con Enrichetta, quien vivió durante mucho tiempo en Francia y a la cual se dirigía en francés, enviándole minuetos franceses y música adecuada para la ejecución de grupos amateur domésticos muy populares en los salones nobles de la época. Sus composiciones le procuraron gratitud, reconocimiento y donaciones en dinero, aunque no fueron suficientes para garantizarle estabilidad económica. Desde 1783 no se dispone de más noticias de su vida hasta 1832, cuando se dirigió a la Congregación de Santa Cecilia solicitando un «caritativo subsidio» (ídem p.154). Ya anciana y enferma, no podía enseñar ni componer, y al haber mantenido a sus padres y hermana hasta sus muertes, se encontraba sin recursos para sobrevivir. La Academia le concedió solo unos pocos escudos. «De todos modos, no pesará mucho en las finanzas de la Congregación, ya que murió en Roma, sola y olvidada como querían sus detractores, el 20 de noviembre de 1833. Todos los maestros Congregados tenían derecho a un funeral público... María Rosa Coccia fue despedida de este mundo con cuatro misas celebradas en sufragio de su alma, en la Capilla de la Congregación, en San Carlo ai Catinari». (Breve biografía de M.R. Coccia a cargo del sitio web de la Academia María Rosa Coccia). El trabajo de investigación de otras estudiosas y músicas como ella la ha rescatado del olvido, aunque aún permanece en la oscuridad un largo período de aproximadamente cincuenta años en el que se pierden las huellas de su vida y de sus obras.

Para profundizar: