Colleferro - Le vie delle donne

A Nord dei monti Lepini, lungo la valle del Sacco, Colleferro chiude quel cuneo meridionale della provincia romana che s’insinua tra il Frusinate e il territorio di Latina. Nato come scalo ferroviario sulla via Casilina, il Comune ha un’autonomia recente, anche se i reperti archeologici raccontano altre storie: selci e ossidiane lavorate, manufatti di ceramica, fibule in bronzo e resti di capanne suggeriscono insediamenti stabili risalenti al Neolitico.

colleferro1L’area fu abitata anche in età romana e la struttura delle strade che circondano la cittadina ne è prova; chiese, necropoli e iscrizioni funerarie testimoniano il passaggio al Cristianesimo e l’epoca feudale ha lasciato la sua impronta nei castelli di Colleferro e Piombinara, di cui si conservano la cinta muraria e i resti del palazzo baronale.

La torre di avvistamento venne invece abbattuta nel 1934 per motivi di sicurezza. Per cercare tracce di un’epoca recente basta percorrere i sei chilometri di cunicoli, scavati a colpi di piccone nella pozzolana, e scoprire una città sotterranea che dal novembre del 1943 al giugno del 1944 ha offerto rifugio, luogo di culto e servizi a oltre tremila colleferrini, pesantemente minacciati dalle incursioni aeree nemiche.

Tra le 241 strade che attraversano oggi il territorio comunale, il 38% ricorda personaggi maschili, dai letterati agli artisti, dagli eroi della nazione ai politici, dai musicisti alle vittime di mafia. Meno del 3% omaggia figure femminili: a parte cinque nomi di sante, soltanto una scrittrice ha avuto l’onore di un’intitolazione stradale. Eppure le donne sono state presenti in ogni momento della storia e ne hanno tramandato i valori: letterate, artiste, eroine, politiche, musiciste, vittime di mafia.Lo scorso 25 marzo, il Comune ha reso onore a Placido Rizzotto, ucciso dalle cosche, associando il suo nome ai giardini di via Giotto. Ci auguriamo che la prossima area verde venga dedicata simbolicamente a una delle 150 donne vittime di tutte le mafie, “innocenti o dissidenti, eliminate per l’impegno politico, per delitti d’onore, per vendette trasversali”. E soprattutto ci auguriamo che nelle prossime scelte odonomastiche ci sia Artemisia Gentileschi ad affiancare via Tiepolo, Ilaria Alpi ad incrociare via Nicola Callipari, Clara Schumann a tagliare via Vivaldi, Cristina di Belgioioso a confluire in piazza Mazzini.

di Maria Pia Ercolini

  

Dai granelli di zucchero alle polveri nere

Per molti anni e forse ancora oggi la “figura” femminile più famosa di Colleferro è stata la BPD, acronimo che stava per Bombrini- Parodi Delfino, i due Senatori che nel 1912 riconvertirono lo zuccherificio Valsacco in una fabbrica d’armi, appunto la BPD. Per chi legge è già possibile intuire che la nostra digressione storica sulle mancante o realizzate opportunità di dedicare una parte della toponomastica cittadina a donne meritevoli non sarà delle più facili.

Torniamo al 1912, quando lo zuccherificio cambiò le sue abitudini produttive e sorse così il primo nucleo antropizzato di Colleferro. All’epoca vigeva ancora il governatorato di Roma; il suo territorio comunale, così come appare oggi ai nostri occhi, non esisteva e nella zona abitata, cosiddetta Segni Scalo, vivevano 50 famiglie. L’ex zuccherificio aveva tutte le caratteristiche necessarie per essere riconvertito in una fabbrica di armi: sito a pochi chilometri da Roma, ben collegato, nei pressi di un fiume e soprattutto lontano da un centro urbano. Quest’ultima caratteristica, da non sottovalutare vista la pericolosità delle lavorazioni in essere nello stabilimento, cadde quasi subito perché in località Santa Barbara nacque il primo insediamento cittadino e con legge XIII, n. 1147 del 13 giugno 1935, vide luce il Comune di Colleferro che inglobò nel proprio territorio parti di Valmontone, Segni e Paliano. Quindi Colleferro è una città dalla storia relativamente recente, una classica città di fondazione di epoca fascista e, come abbiamo accennato, il primo quartiere della cittadina venne intitolato a una donna, nello specifico una santa – Barbara - la cui vita, pur non essendoci notizie certe, venne descritta nella Legenda Aurea di Jacopo Da Varazze. Barbara è la protettrice dei Vigili del fuoco, invocata contro le esplosioni e i fulmini. Perfetto affidarsi a una donna pia, simbolo della pietà e solidarietà cristiana, per un luogo che era nato dallo riconversione dello zucchero in polvere da sparo!

colleferro2Colleferro assunse sempre di più le caratteristiche, positive e negative, di una cittadina operaia divisa tra la fabbrica di esplosivi e la “Calce e Cementi”. Una cittadina molto classista che divideva i suoi abitanti in figli di operai e figli di dirigenti: nel famoso “Villaggio BPD” basta dare un veloce sguardo alle grandezza della case destinate agli operai e la metratura della case destinate agli impiegati per rendersene conto! Questa ingombrante figura, dalla discutibile moralità, dava lavoro praticamente a tutti e, ancora oggi, nei ricordi di chi vive qui da tempo, è rimasta l’immagine del “fiume di gente” che, in concomitanza dell’inizio e della fine di ogni turno, raggiungeva o abbandonava la fabbrica. D’altro canto la pericolosità della produzioni metteva ogni giorno a repentaglio la vita di coloro che si recavano sul posto di lavoro. Ricordiamo il tragico scoppio del gennaio 1938 nel quale morirono 60 persone e oltre 1500 rimasero ferite. Non è difficile credere che parte di questa moltitudine di braccia atte a maneggiare esplosivo o calce fossero femminili.

Non è neppure impossibile pensare che una parte di coloro che sul posto di lavoro lasciarono la vita, magari perché posizionata alle calandre dove, come raccontano le nonne, “bastava una scintilla e si saltava in aria: quante ne ho viste, madri di famiglia o ragazze appena assunte”. Le calandre erano dei macchinari utilizzati per produrre polvere da sparo nella fase della laminazione delle miscele contenenti nitroglicerina.

Nella toponomastica di Colleferro non c’è, però, traccia di nessuna di queste donne perché oltre a Santa Barbara (la strada è parallela a via degli esplosivi cosicché il sacro guardi il profano) nel corso degli anni si è dedicato un largo a Santa Caterina, una viuzza a santa Lucia e, storia recente, è stata abbandonata la politica di santità, al fine di optare per un personaggio discusso come Oriana Fallaci, paladina, nell’ultima parte della sua esistenza, di una crociata contro l’Islam.

Senza polemica, non è forse un caso che Via Oriana Fallaci, incroci via Fabrizio Quattrocchi. Scrivendo questo breve articolo mi è tornata in mente una scena memorabile del film di Vittorio De Sica, interpretato dal grande Nino Manfredi e dalla magistrale Mariangela Melato: Lo chiameremo Andrea. Scena nella quale Manfredi, maestro elementare, dovendo disegnare la forma di un uovo sulla lavagna e non trovando il gessetto per scrivere, si avvicina alla finestra, tocca con la punta di un dito una parte dello stipite e pronuncia la frase: “… almeno sto cementificio serve a qualcosa…” e disegna la forma di due uova sulla lavagna. Il cementificio in questione era proprio la “Calce e Cementi” (oggi Italcementi) di Colleferro, che all’epoca lasciava sulle intelaiature delle finestre del paese residui di polveri che fuoriuscivano dallo stabilimento durante le lavorazioni.

Nel film anche Mariangela Melato è una maestra elementare e compagna di vita di Manfredi. I due hanno difficoltà ad avere figli a causa di alcuni piccoli problemi relativi alla scarsa fecondità di lei. Forse il dramma più brutto per una donna, quello di non saper dare la vita a un altro essere. L’attrice ci ha lasciato da poco e rappresenta il tipo di donna migliore, la donna che sa di essere diversa dall’uomo, non lo imita, non se ne crede superiore ma lotta con lui per i suoi diritti e per quelli degli altri. Le relazioni umane, professionali, tra uomini e donne mai sono state, nella storia, semplici, a volte il pregiudizio aveva (e ha, ahinoi) il sopravvento su ciò che poi era la realtà e la toponomastica di Colleferro rappresenta proprio questo: un tabù mentale che percepisce la donna solo come santa, martire che come una Madonna rinuncia al suo essere sessualmente donna, sacrifica la propria vita come se dovesse sempre, in ogni caso, redimere cristianamente se stessa dal fatto intrinseco di essere donna.

Così come anche il greco Euripide, nella tragedia di Ippolito, chiede a Zeus: “perché hai dunque messo fra gli uomini un ambiguo malanno, portando le donne alla luce del sole?”.

di Rosaria Di Biase