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Margarete Lihotzky

(Vienna, 1897 – 2000)
 

Le è stato intitolato un parco nella capitale austriaca.

Una madre dell'architettura moderna
di Lorenza Minoli

In effetti  proprio di una madre dell'architettura moderna possiamo parlare, poiché in occasione di uno dei  primi incarichi professionali  il suo nome compare nello stesso team di progettazione di Walter Gropius,  fondatore  del Bauhaus, padre del Movimento moderno di architettura. Il  progetto riguardava due quartieri viennesi di iniziativa pubblica, il Winarskyhof e l'Otto Haas-Hof, 1924.
Margarete Lihotzky è tuttora poco nota sopratutto in Italia. Non è ancora stata raggiunta la piena memoria storica del personaggio, né la consapevolezza che, muovendoci all'interno delle nostre cucine moderne, camminiamo sulle indicazioni tracciate dall'architetta viennese. Per svolgere le mansioni domestiche, con risparmio di energie e di tempo, le sue dettagliate analisi e gli studi approfonditi per razionalizzare il lavoro domestico determinano il progetto della cosiddetta "Cucina di Francoforte", il cui prototipo viene presentato nel 1926. La sequenza delle operazioni determinata secondo i principi tayloristici e ergonomici e le soluzioni progettuali conseguenti  sono rimasti basilari e immutati fino ad ora.  Il piano di lavoro continuo e tutto alla medesima altezza, i pensili predisposti in linea a altezza adeguata, la posizione reciproca di lavello, gocciolatoio e  fuochi, lo zoccolino arrotondato e, in più, la possibilità di lavorare sedute, il cassettino per la raccolta dei rifiuti organici accessibile dal piano di lavoro, ecc. ne costituiscono la cifra. Il suo nome fatica a entrare nella storia anche perché quel poco di conosciuto  del suo lavoro portava la firma del direttore dell'ufficio all'edilizia del comune di Francoforte, città dove si trasferisce dalla natia Vienna per lavorare con il gruppo di super esperti alla progettazione di nuovi quartieri. Quando il suo nome compare è collegato al ruolo subalterno di esecutrice/disegnatrice.
Quasi nulla metteva in evidenza il suo ruolo di prima donna progettista in Austria, figura forte e decisa, cittadina impegnata politicamente e socialmente, partecipe alla resistenza nazifascista. Arrestata  e condannata dai tribunali della Gestapo, sconterà quattro anni di carcere, dal ‘40 al '45, fino alla liberazione da parte delle truppe  alleate.   
A differenza delle altre pioniere del XX secolo, come per esempio la franco-irlandese Eileen Gray  (1878 - 1976 ) o la francese  Charlotte Perriand (1878 - 1976 ),  Margarete opera per gli enti pubblici, le amministrazioni comunali, le cooperative edilizie impegnate a rispondere ai bisogni della classe operaia e dei ceti  medio bassi,nel difficile periodo del primo dopoguerra.  Non ha l'occasione perciò, come le sue colleghe, di progettare elementi di design raffinati, alcuni dei quali, tuttora in produzione,  sono divenuti veri e propri cult.
Perciò  la grande rassegna  Margarete Schütte-Liotzky. Soziale Architektur Zeitzeugin eines Jahrhunderst, che la città di Vienna  le ha dedicato nel 1993, basata sul completo e complesso lavoro di ricerca e di archiviazione da parte di un team di esperte viennesi, ha opportunamente interrotto il silenzio intorno alla sua figura. Si è riusciti a rivalutare la sua figura e la sua produzione intellettuale.
Stupita e entusiasta dell'incontro fortuito con questo evento durante un soggiorno estivo nella capitale dell'ex impero asburgico, evento cui il mio pluriennale impegno negli studi di genere in architettura attribuiva grande rilevanza, l’ho riproposto al Politecnico di Milano per una riedizione almeno parziale. Grazie al patrocinio del Comitato per le pari opportunità tra uomo e donna dell'ateneo, con la collaborazione scientifica  delle curatrici viennesi e di Margarete stessa, si è giunti nel 1996 all’allestimento della rassegna Margarete Schütte-Liotzky. Una donna progettista per l'architettura sociale, comprendente  una selezione significativa di progetti. Ora si cerca di non tralasciare più, nelle rassegne a tema e nei musei, come nel Victoria & Albert Museum di Londra,  l’inserimento dei suoi progetti. Un modellino  della Cucina di Francoforte è  esposto nella mostra "Cucine & ultracorpi"della Triennale di Milano, collegata con Expo.
Ciò che distingue in modo determinante il lavoro di Margarete  Lihotzky, da quello di colleghe e colleghi a lei contemporanei, è la esplicita e più volte ribadita finalizzazione al femminile, ovvero il miglioramento delle condizioni di vita delle donne. E in effetti sia i temi oggetto delle sue ricerche accurate che i progetti lo confermano.
Per realizzare il suo obiettivo prioritario la progettista inizia dagli interni, spazi tradizionali di vita e di lavoro delle donne, soprattutto dalle cucine, luoghi di produzione domestica, e più precisamente dai focolari intesi non solo in senso metaforico. Qui spinge la sua meticolosa indagine per seguire  le tracce dei passi e dei movimenti delle casalinghe tra fornelli, acquaio e dispensa e per rilevarne le caratteristiche geometriche e spaziali insieme ai vissuti incorporati.  
Materializzazione e concentrato di tutti gli studi e le analisi funzionali, volte a ridurre lo spreco di tempi e di passi e a alleggerire  il lavoro domestico, la cucina di Francoforte è di fatto la prima cucina razionale standardizzata. Nel 1926 viene presentato il prototipo e l'anno successivo le cinque varianti. Diecimila esemplari  verranno inseriti nei nuovi alloggi minimi delle Siedlungen  operaie in via di costruzione nella città sul Meno.  
L' obiettivo di contribuire, con progetti edilizi mirati, al miglioramento della condizione femminile spinge l'architetta a interessarsi anche delle donne che lavorano e che vivono da sole, delle studentesse e delle anziane, alle loro necessità e alle difficoltà di reperire alloggi idonei nella Francoforte del primo dopoguerra.
I suoi studi attestano il riconoscimento delle donne  come nuovi soggetti urbani e ne definiscono esigenze e urgenze peculiari. L'abitazione delle donne che lavorano e vivono sole è il titolo di una serie di studi presentati per la prima volta nel 1927. Unità abitative anche molto piccole, purché indipendenti, contro i condizionamenti della coabitazione e del subaffitto, riunite nei piani alti delle palazzine residenziali, con bagni e cucine in comune: questa la soluzione proposta come alternativa alla più usuale, ma più segregante, tipologia delle case per celibi o per nubili. Centralizzazione e autonomia, socializzazione e riservatezza sono i due poli  entro cui la progettista elabora la sua proposta, affinché sia adeguata alle richieste e economicamente attuabile nell'immediato.
La nuova tipologia residenziale, insieme alle lavanderie centralizzate di quartiere, alle scuole professionali per l'apprendimento della nuova economia domestica, agli asili, e a tutte le altre attrezzature didattiche, ricreative e sportive per  l'infanzia, sono gli elementi strutturali del tessuto urbano che l'architetta ordisce a  favore delle donne.  
 Proprio il tema dell'infanzia sarà oggetto dell'incarico professionale che le viene affidato all'interno del gruppo di progettisti, architetti e urbanisti che, trasferitisi in Unione sovietica agli inizi degli anni Trenta, progettano le nuove città previste nelle  aree industriali e nei bacini carboniferi soprattutto in Siberia.
Verso la fine del decennio, con il deterioramento del clima politico precedente la seconda guerra mondiale, inizierà una sorta di esilio e penoso pellegrinaggio di Margarete in diversi paesi europei  alla ricerca del lavoro. Durante il soggiorno in Turchia, dove su incarico del governo elabora delle Direttive per l'edilizia scolastica e realizza alcune scuole, entra a far parte della resistenza antinazista all'estero. Fedele a una delle sue più radicate convinzioni, quella che  «l'architetto è responsabile del progresso del mondo anche al di fuori della sua professione», accetta di compiere la pericolosa missione in patria e qui verrà arrestata.  

Fonti
Lorenza Minoli, Un'abitazione tutta per sé...ovvero...per le donne che lavorano e vivono sole in Lorenza Minoli (a cura di) Dalla cucina alla città. Margarete Schütte-Lihotzky, Franco Angeli ,1999

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Cristina di Lorena

(Bar–le-Duc, 1565 – Firenze, 1637)

Non esistono intitolazioni di strade in suo onore

La principessa dei gigli

Barbara Belotti e Alessandra Rossi

Le donne che appartenevano a famiglie dominanti seguivano, per esercitare il potere, strade più complesse, rispetto agli uomini. Meno frequente era l’azione diretta nel governo politico, più consueto l’esercizio di ruoli politici e sociali cui si affiancavano, in “una dimensione plurima”, “forme alternative del potere nel quale trovavano spazi e funzioni non marginali”. Dal mecenatismo all’assistenza caritatevole, dalla pianificazione di strategie matrimoniali alla costruzione di una solida rete di rapporti e alleanze familiari, per le donne si aprivano percorsi meno usuali che la storiografia a lungo ha ignorato e che le ricerche storiche più recenti hanno cominciato a indagare.
Cristina di Lorena ha avuto modo di agire su entrambi i fronti: il potere politico diretto e le “altre vie”, quelle più informali e meno scontate. Nata nel 1565, da subito la sua vita apparve segnata dalla potente stella della famiglia Medici. La nonna, infatti, era Caterina de’ Medici, la prima regina di Francia del casato fiorentino, una figura chiave per la storia della famiglia e per la storia francese.
Cristina era figlia di Claudia di Valois, morta ancora molto giovane e a sua volta figlia della “regina madre”, l’educazione della piccola erede fu per questo affidata a quella nonna così influente, tenace e raffinata; sembra che Caterina fosse molto affezionata alla nipotina, tanto da lasciarle in eredità una buona parte delle sue sostanze. Fu proprio la nonna a occuparsi delle trattative per il suo matrimonio con Ferdinando I, più grande della fanciulla di quindici anni, che aveva urgente necessità sia di lasciare eredi dopo di lui, sia di allontanare il ricordo degli scossoni assestati alla vita familiare dall’impetuoso amore tra Francesco I e Bianca Cappello, soprattutto dopo la loro morte così misteriosa.
Il desiderio di Ferdinando, uomo già avanti con l’età che aveva senza esitazione e senza rammarico preso le redini del Granducato abbandonando l’abito cardinalizio, era quello di ridare stabilità all’immagine della famiglia e riguadagnare consensi. Cristina di Lorena riuscì ad adempiere perfettamente a questo compito, educata alla perfezione al ruolo che le era stato assegnato. Con sé, al momento del matrimonio celebrato in Francia nel febbraio 1589, la nuova granduchessa portava in dote la cifra considerevole di 600.000 ducati, numerose proprietà e i diritti sul possesso del ducato di Urbino, un altro lascito della potente nonna Caterina, oltre a un’importante rete di relazioni affettive e politiche con la Francia e con mezza Europa.
A Firenze Cristina giunse l’anno successivo, accolta in modo sfarzoso come spesso accadeva per i matrimoni medicei; durante i festeggiamenti la città divenne per giorni lo scenario di molte produzioni teatrali: ovunque si tenevano commedie, era tutto un fiorire di sfarzo intrecciato alla cultura. Questo fu solo l'inizio di un'unione felice e prolifica sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello della progenie: Cristina e Ferdinando ebbero, infatti, nove tra figli e figlie, condivisero il potere restituendo l'immagine di una coppia solida, capace di raccogliere il favore delle ricche famiglie fiorentine e di percorrere un’attenta politica di consenso e di conciliazione. Fu davvero un momento di ripresa per la famiglia Medici sia dal punto di vista finanziario che da quello amministrativo: il Granduca riguadagnò le redini dello Stato dopo che suo fratello Francesco, più interessato alle scienze e all’alchimia che all’esercizio del potere, lo aveva lasciato nelle mani di molti delegati; Cristina non fu da meno del marito che la volle vicina nelle questioni politiche più importanti e delicate, nel controllo amministrativo dei beni della famiglia e nella gestione delle numerose ville medicee. Scrisse il segretario granducale Lorenzo Usimbardi che Cristina “fece sì con la dissimulazione e patienza sua, che Ferdinando, vinto a poco a poco dall’accorto ossequio di lei […] cominciò a darle il maneggio della casa e famiglia, sgravandosene”.
Eppure a lungo il suo ruolo è stato definito marginale, la sua popolarità una conseguenza indiretta delle capacità di governo del coniuge: “Ben poco ebbe parte in quest'opera riformatrice, pur se poté godere i benefici di una popolarità giuntale di riflesso; di temperamento mediocre in cui avevano ben attecchito spiriti controriformistici, Cristina si dedicò soprattutto alla fondazione di monasteri e conventi, quali ad esempio il monastero della Pace a Firenze e quello delle convertite a Pisa (1610). I riconoscimenti per tale opera non tardarono: Sisto V nel 1589 e Clemente VIII nel 1593 le inviarono la rosa d'oro”. A questo giudizio negativo se ne sono aggiunti altri ben più sfavorevoli che valutano come “nefasto” il suo governo diretto sul Granducato.
Su di lei Ferdinando I sapeva di poter contare: lo aveva dimostrato in vita, lo dimostrò al momento della morte, nel 1609, nominandola tutrice delle figlie e dei figli e reggente per conto del primogenito Cosimo II, non ancora in età per occuparsi dello Stato; in seguito anche il figlio, che mostrava una fisionomia più sbiadita rispetto a quella paterna, nel testamento designò la madre, insieme alla moglie Maria Maddalena d’Austria, reggente del nipote Ferdinando II, ancora troppo piccolo.
A lungo il governo di Cristina di Lorena è stato giudicato il punto di inizio della china discendente del potere mediceo. Le sono state attribuite gravi colpe: inettitudine nel governo e scarso interesse del bene pubblico, spese enormi capaci di impoverire le casse dello Stato, bigottismo e asservimento alla politica papale, soprattutto nella disputa del Ducato di Urbino i cui diritti di successione le erano arrivati per linea diretta dalla nonna Caterina. Più recentemente l’analisi sul suo operato ha cominciato a mutare in favore di un generale riconoscimento delle sue azioni, di una rivalutazione del suo pensiero politico e del ruolo avuto nei primi decenni del XVII secolo, valutazioni che appaiono più coerenti con i giudizi positivi dei suoi contemporanei. C’è da domandarsi quali e quanti pregiudizi abbiano offuscato le opinioni storiche su Cristina di Lorena definita da Filippo Cavriani, medico curante della regina Caterina de’ Medici con licenza di informare il casato toscano delle vicende di Francia, una delle giovani rampolle “più instrutta nei maneggi di Stato” che si potesse trovare.
Cristina ci è stata descritta come una donna non particolarmente avvenente ma capace di affascinare: uno dei suoi ritratti più noti, quello dipinto da Scipione Pulzone nel 1590, ci restituisce una figura elegante, dallo sguardo diretto, penetrante e indagatore. Colta e raffinata, era animata da una fede profonda ma anche dalla passione per le scienze. A lei, alla fine del XVII secolo, il matematico, astronomo e scienziato Antonio Santucci dedicò un’incisione dal titolo La ruota perpetua, con la quale era possibile individuare, per ogni giorno dell’anno, il sorgere del Sole, le fasi lunari, la lettera dominicale, il numero aureo e l’epatta. L’immagine è formata da cinque ruote nel cui centro viene raffigurata una sfera armillare mentre alla sommità due figure misurano con il compasso le distanze del Cielo e della Terra.

Seguendo da madre l’educazione della prole, Cristina volle per loro un’istruzione allargata verso ogni sapere, in cui alla formazione classica fossero affiancate la conoscenza delle lingue moderne, la matematica, la cosmografia, la meccanica, le scienze; tra il 1605 e il 1608 fu precettore nella corte fiorentina Galileo Galilei che, guidando nella formazione il giovane Cosimo, ne divenne anche amico. L’interesse della granduchessa verso una cultura moderna, aperta a tutti i campi e di impronta nel complesso liberale e non bigotta, si evidenzia anche in una lettera indirizzatele da Galileo: si tratta di uno scritto di fondamentale importanza in cui lo scienziato intendeva dimostrare l'impossibilità di leggere la natura attraverso i passi della Bibbia. In questa fase della sua vita Galileo aveva bisogno del consenso della cattolica Cristina, consapevole dei rischi cui andava incontro schierandosi in favore dell'eliocentrismo: "Leggendosi nelle Sacre lettere, in molti luoghi, che il sole si muove e la terra sta ferma, né potendo la Scrittura mentire o errare, ne seguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza di chi volesse asserire,  il Sole esser per me stesso immobile e mobile la terra...Sopra questa ragione parmi [...] non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia perpetrato il suo vero sentimento. [...]. Dal che ne seguita che, qualunque volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contraddizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora..." scrisse nel 1615 Galileo alla Granduchessa. Egli cercava di separare la Bibbia, per principio infallibile ma unicamente nell’ambito religioso e morale, dall’interpretazione scientifica affermando che “nelle dispute di problemi naturali, non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie”. Le tesi di Galilei cercavano di salvare, e al tempo stesso limitare, il valore interpretativo delle Sacre Scritture; l’invio della missiva alla Granduchessa presuppone che Galileo riconoscesse a Cristina la capacità di comprendere tematiche tanto importanti quanto scottanti. Egli cercava, forse, l’appoggio di una donna illuminata sì, ma anche di potere e la lettera acquista un po’ il sapore di una richiesta di protezione. Cristina però non poté salvarlo né dal tribunale e dal processo, né dalla condanna.
La potente Granduchessa di Toscana sentì per tutta la vita di essere stata destinata ad alti compiti, sentì l’orgoglio della sua stirpe francese ma accolse in pieno anche quello della corte fiorentina in cui era entrata. Fu una donna dal forte senso del dovere, attenta e partecipe alla vita della sua famiglia – marito, figlie, figli, nipoti – e al tempo stesso consapevole, come scrivono Elisabetta Stumpo e Beatrice Biagioli, “della propria condizione femminile con la conseguente necessità di dover adeguare le proprie decisioni, di volta in volta, a quelle del marito, del figlio o di chi detiene il potere sovrano”.
La storiografia l’ha definita incapace al governo, “di scarso ingegno e di ancor minore capacità politica” eppure rimase al vertice del Granducato a lungo, fino a quando il nipote Ferdinando II, succeduto a Cosimo II, la allontanò dalla corte. Morì nel 1630 nella villa medicea di Castello.

Fonti:
Elisabetta Stumpo e Beatrice Biagioli, Introduzione in Cristina di Lorena, Lettere alla figlia Caterina de’ Medici Gonzaga duchessa di Mantova (1617-1629), (a cura di Elisabetta Stumpo e Beatrice Biagioli), Firenze University Press, 2015
Maria Pia Paoli, La Principessa dei gigli. Cristina di Lorena dal “Bel Regno di Francia” alla corte dei Medici, in Cristina di Lorena, Lettere alla figlia Caterina de’ Medici Gonzaga duchessa di Mantova (1617-1629), (a cura di Elisabetta Stumpo e Beatrice Biagioli), Firenze University Press, 2015, pp.392-435
Maria Pia Paoli Di madre in figlio: per una storia dell’educazione alla corte dei Medici, in http://www.fupress.net/index.php/asf/article/view/9849
Georgia Arrivo, Una dinastia al femminile. Per uno sguardo diverso sulla storia politico-istituzionale, in www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/cartedidonne/pdf/arrivo.pdf
Marcella Aglietti (a cura di), Nobildonne, monache e cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, Modelli e strategie femminili nella vita pubblica della Toscana granducale, Convegno Internazionale di Studi Pisa, 22-23 maggio 2009, Edizioni ETS
Marcello Vannucci, Le donne di casa Medici, Newton Compton Editori, 1999.

Galileo Galilei, Lettere Copernicane, Portale Galileo online, Museo - Istituto e Museo di Storia della Scienza http://portalegalileo.museogalileo.it/igjr.asp?c=36305

www.treccani.it/enciclopedia/cristina-di-lorena
http://bia.medici.org/DocSources/Home.do

 

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