- F -


Rosa Fazio Longo 

(Campobasso, 1913 – Roma, 2004)

Dalla ricerca-azione delle/degli studenti di una scuola di Termoli, fra gli istituti partecipanti al Concorso nazionale di Toponomastica femminile “Sulla vie della parità”, è nata l’idea di intitolare a Rosa Fazio una strada della cittadina molisana. La proposta sarà inoltrata all’amministrazione comunale di Termoli per l’identificazione dell’area e l’approvazione finale.

Una donna che ha lottato per i nostri diritti

di Barbara Bertolini

Rosa Fazio Longo […] nata in un’agiata famiglia molisana non ha mai visto la mamma, donna Evelina de Stefano, ai fornelli o con la ramazza in mano, ma sempre intenta a leggere, a studiare, ad intrattenere gli ospiti con brio, stupendoli con la sua profonda cultura, rinnovando così la tradizione del salotto letterario della sua infanzia. Evelina de Stefano apparteneva ad una famiglia di intellettuali romantici, di garibaldini. […]
Il padre di Rosetta, Giuseppe Fazio proveniva, invece, da un ambiente borbonico di proprietari terrieri che, verso la fine del Settecento, avevano comperato sia il castello di Ferrazzano  che il titolo baronale. L’avvocato Giuseppe Fazio era stato uno dei  primi ufficiali a morire al fronte durante la Grande Guerra. […] La bambina, nata il 6 luglio del 1913, due anni prima del luttuoso evento, non aveva nessun ricordo del genitore. […]
Rimasta vedova all’età di 33 anni, Evelina de Stefano abbandona Campobasso per Foligno dove sua sorella le ha trovato un posto come insegnante elementare. La nobildonna, successivamente, per permettere (alle figlie
N.d.R.)  di laurearsi, si trasferisce, tra mille difficoltà, dalla città umbra a Roma.
Durante gli studi universitari, Rosetta incontra Leonardo Longo, un giovane ingegnere che lavora presso il Comune della capitale. I due si sposano nel 1934. Lei ha solo 21 anni. L’anno dopo nasce il primo figlio, Pietro, destinato a seguire le sue orme: diventerà un uomo importante nel mondo politico italiano. 
La maternità non la distoglie dai suoi prediletti studi. Infatti riesce a laurearsi in lettere e in legge e a entrare nel mondo della scuola. Tra il ‘43 e il ’44, in una Roma affamata, priva di trasporti e di servizi, la ragazza vive da  protagonista poiché entra nell’Associazione degli Insegnanti Medi, un’organizzazione clandestina di lotta contro i nazisti che si è costituita nelle scuole romane durante i nove mesi dell’occupazione di Roma. […] E Rosetta all’impegno umano affianca quello politico iscrivendosi, con la collega Laura Lombardo Radice Ingrao, al nascente Comitato di iniziativa dell’Unione Donne Italiane. Lo scopo di questo Comitato era quello di offrire una sponda al movimento dei “Gruppi di difesa della donna” (GDD) che, sotto l’egida del CNL, operavano nell’Italia occupata dai nazisti e, al tempo stesso, di mobilitare sul terreno democratico e chiamare all’attività politica e all’azione di ricostruzione del Paese le donne dell’Italia liberata. […] la molisana è entrata in un movimento clandestino; ha lottato contro le ingiustizie del fascismo rischiando la prigione;  si è  mossa all’interno della città, tra mille pericoli, con mezzi di fortuna; si  è recata a Bari e Taranto per accogliere i reduci dell’Albania; ha difeso, sostenuto e aiutato tante donne; è diventata una componente attiva di un movimento politico. 
Rosetta […], non insensibile al richiamo di collaborazione delle antifasciste comuniste Adele Bei e Laura Lombardo Radice Ingrao, entra anche nella neonata associazione Unione Donne Italiane (UDI) sbocciata a Roma nel 1944 come atto di volontà di “un piccolo gruppo di donne senza sede, senza mezzi e, ciò che più conta – dice lei 
̶  senza neppure l’esperienza di quel che doveva essere una grande associazione femminile."
La Fazio ha solo 30 anni ma è tra le più attive del suo partito, insieme a Giuliana Nenni.
Va a Parigi come delegata di questa associazione nel novembre del 1945. È tra le relatrici  al Congresso di unificazione tra l’Udi e i Gruppi nazionali di difesa della donna, che avevano operato nell’Italia occupata fino alla Liberazione […].
L’esponente socialista conduce le sue battaglie anche sulle pagine di
Noi donne la rivista dell’Udi nata alla fine del 1944. I temi che affronta e che le stanno particolarmente a cuore sono quelli della scuola da riaprire al più presto. Le scuole a Roma, infatti, sono state requisite dagli sfollati, dagli Alleati o come ospedali. Rosetta chiede alla gente dei quartieri di guardarsi intorno e di indicare i palazzi rimasti vuoti dove si potrebbero trasferire queste attività, per liberare le aule e permettere agli scolari di ritornare a scuola, poiché è quasi un anno che non frequentano più le lezioni.
Ma si interessa anche dei diritti delle donne nel loro insieme. Nel numero del 31 maggio 1945, […] esorta infatti le donne a conoscere e a far applicare le leggi per la tutela dei loro diritti. Con una delegazione, Rosetta si presenta al Ministro della Giustizia, Umberto Tupini, che fa parte del Governo di Liberazione Nazionale, per illustrare una bozza di proposta sui nuovi diritti della famiglia.
Le delegate dell’Udi chiedono, infatti, al ministro che il codice civile dichiari che la società coniugale debba svolgersi liberamente nel suo interno e possa essere rappresentata dall’uno o dall’altro dei coniugi a tutti gli effetti civili e penali; che la potestà sui figli sia attribuita ad entrambi i coniugi sui quali gravano uguali responsabilità e uguali oneri. Chi potrebbe negare che è la madre ad occuparsi dei figli? – afferma Rosetta – ad allevarli ad educarli, a dar loro quei principi morali che tanta influenza hanno sulla loro formazione? Eppure – dice la molisana – legalmente la madre non ha sui figli alcun potere, alcuna autorità.
La Fazio tocca altri due punti fondamentali […]: le disposizioni del codice penale che non può avere due pesi e due misure in caso di adulterio, attribuendo alla donna maggiore responsabilità e l’esclusione delle donne dalla carriera della magistratura. […] Il calendario degli impegni politici per l’esponente politica tra il 1945 e il ’46 è incalzante. Appena vinta una battaglia politica eccola di nuovo sulla breccia per il referendum del 2 giungo 1946 dove votano per la prima volta anche le donne. […]
Viene eletta Segretaria generale dell’Udi, è successivamente eletta Segretaria generale della nascente “Federazione mondiale delle donne” (FMD), che raduna le donne comuniste e socialiste di tutto il mondo, la cui Presidente è la russa Irina Fursteva. […] Nel 1948 le viene offerta dal Partito socialista la candidatura a deputata per le elezioni al primo parlamento della neonata Repubblica italiana. La Fazio ha 35 anni ed è pronta per un impegno politico di alta responsabilità. È eletta nel Collegio unico nazionale. Rimarrà in carica dal 1° giugno 1948 al 24 giugno del 1953, per una sola legislatura. Nella veste di deputata si interesserà soprattutto di problemi legati alla scuola, alla maternità, al diritto al lavoro e farà parte della commissione speciale per la ratifica dei decreti legislativi emanati nel periodo della Costituente. […]
L’esponente politica sarà Segretaria Generale dell’Udi dal 1947 sino al IV Congresso del 1959. […] Muore nella sua casa romana il 17 dicembre 2004 […].  

Fonti:
Il testo è tratto dalla biografia di Rosa Fazio Longo pubblicata nel libro di Rita Frattolillo e Barbara Bertolini, Il tempo sospeso. Donne nella storia del Molise, Campobasso, 2007  e in http://donneprotagoniste.blogspot.it/2016/02/rosa-fazio-longo.html)

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons attribuzione - Condividi allo stesso modo.


 Le figurinaie di Pontito in Valleriana

di Laura Candiani

 

A Coreglia Antelminelli (Lucca) esiste il Museo della figurina di gesso e dell'emigrazione. A Lucca, nel palazzo della Provincia, il Museo Paolo Cresci per la storia dell'emigrazione ospita la collezione dei gessi della raccolta Nannetti-Vincenti. In Sicilia troviamo varie intitolazioni, tutte al maschile, riferite ai “gessai”, talvolta ai “gessaioli” (o “gessaiuoli”) che si possono intendere sia come operai nelle cave sia come artigiani.

Pontito sorge a 760 m. s.l.m. ed è il paese più a nord della Valleriana, un'area collinare sopra la cittadina di Pescia, in provincia di Pistoia. L'abitato ha una curiosa forma a ventaglio, con le stradine parallele da est a ovest su cui sorgono antiche case in pietra, mentre le vie di collegamento da nord a sud sono molto ripide.
A causa delle scarse risorse e delle dure condizioni di vita, negli anni 1921-36 si ebbe un forte fenomeno di emigrazione, temporanea o definitiva, quando molti uomini o intere famiglie partirono per svolgere altrove altri mestieri che potessero assicurare un futuro dignitoso; fra questi l'antico mestiere di figurinaio (o gessaio, figurista, venditore di gessi e statuine). Questa attività si praticava da secoli in varie zone della Toscana, nella Lucchesia, in Garfagnana, nella valle del Serchio e della Lima; ne descrivono la storia sociologi, storici, scrittori (come Renato Fucini). Una leggenda diffusa racconta addirittura che Cristoforo Colombo, appena sbarcato in America, trovò proprio un figurinaio lucchese pronto a vendergli la sua merce.

Per svolgere questa attività era indispensabile avere nei laboratori una fonte di calore, acqua abbondante, scagliola (o gesso) e gli utensili appositi, compresi pennelli e colori; infatti la statuina-modello si realizzava in scagliola, poi si ungeva e si ricopriva con uno strato di scagliola liquida di circa tre centimetri, prima una metà, poi l'altra, formando una sorta di “camicia”. Una volta seccato, questo involucro era il guscio delle successive statuine, lo stampo veniva svuotato e si legava bene, così da una fessura si versava la scagliola liquida. Tenendolo stretto, si girava e si scuoteva perché non rimanessero spazi vuoti. Si faceva seccare, utilizzando talvolta anche i forni per accelerare il procedimento. Quando era ben secca, la statuina bianca veniva estratta, rifinita al banco e poi dipinta a mano, per essere in seguito venduta in fiere e mercati, oppure nei magazzini o anche a domicilio. La “camicia” veniva usata finché era possibile, per creare sempre lo stesso soggetto. Secondo gli studiosi, i lavori di precisione nelle fasi più delicate e finali erano molto spesso svolti dalle donne che rappresentavano circa un terzo della manodopera e per la loro abilità costituivano un elemento determinante; non è poi da sottovalutare l'apporto economico alle modeste finanze familiari.
Come spesso accade nella storia del lavoro femminile, gli studi e i documenti sono scarsi e i censimenti sono vaghi a proposito di alcune attività a carattere temporaneo o locale (come quella di figurinaia); tuttavia restano ancora alcune preziose testimonianze orali che raccontano anche di grosse spedizioni in Paesi stranieri (Belgio, Gran Bretagna, Francia, Olanda) e di esperienze lavorative vissute all'estero.
Prendiamo il caso di Giuliana Perpoli che aveva imparato il mestiere a Bagni di Lucca dove faceva la decoratrice. Trasferita a Edimburgo si sposò, ma rimase presto vedova; ciò che sapeva fare le tornò utile e cominciò il mestiere di figurinaia in proprio; divenne anche un'abile riparatrice di statue e figure spesso presenti in chiese e conventi. Un altro caso di emigrazione riguarda due coniugi, Erminio e Malfisa, che da Pontito si trasferirono con i figli a Parigi dove un parente già lavorava nel settore. Nel suo laboratorio le donne davano quel tocco di colore, inserivano quel dettaglio che faceva la differenza; uscivano dalle loro abili mani statuine a soggetto sacro e personaggi del presepe, ma anche immagini di celebri musicisti francesi o fermacarte o fermalibri che raffiguravano i tre moschettieri oppure Esmeralda e Quasimodo e altri noti grotteschi della cattedrale di Notre-Dame.
Particolarmente interessante è la vita di Libia Papi, riferita dallo storico Cesare Bocci. Libia infatti lavorò non solo a Pontito, ma anche a Treviso e a Milano, alternando all’artigianato altre attività come la sarta, la ricamatrice, la cameriera. La ditta fondata dallo zio Lino a Milano realizzava almeno 150 diversi soggetti a carattere prevalentemente religioso (Madonne, Sacra Famiglia, angioletti), ma anche ballerini (in coppia o singoli), bambini, animali, persino piatti, cornici per specchi e fotografie. Il lavoro qui era più veloce e di tipo quasi industriale perché si utilizzavano le pistole a spruzzo per dare il colore sulle superfici più ampie, mentre i dettagli si facevano sempre con il pennellino.
Quando Libia e i familiari decisero di ritornare nel paese d'origine, impiantarono l’attività nel centro di Pontito; il trasporto della merce avveniva in modo piuttosto avventuroso, addirittura a spalla per le ripide stradine fino alla fine del paese, poi con un’auto fino alla stazione ferroviaria di Pescia, da dove le casse partivano per raggiungere il Nord Italia (da Genova a Bolzano), oppure Roma e altre località del Lazio, Lecce, Foggia e le province toscane. La ditta Papi ebbe l'esclusiva di un soprammobile pubblicitario per un famoso amaro e realizzava statuine di Pinocchio in molte varianti, da vendersi a Collodi presso il parco. Un accordo con vari mobilifici della zona garantiva, a chi acquistava una camera da letto, una tavola in legno o un medaglione con soggetto sacro, realizzato dalle mani sapienti di Libia, da porre al posto d'onore.
Nel '60 la ditta fu costretta a chiudere perché questo genere di artigianato non aveva più mercato a causa dei nuovi gusti delle famiglie italiane e della plastica, il nuovo materiale che stava sostituendo ceramica, legno, gesso. Così le graziose statuine, fragili, ingenue e imperfette ma pur sempre uniche, finirono dai rigattieri e nei mercatini per la gioia delle persone appassionate.

Fonti

Cesare Bocci, La donna e l'artigianato artistico. Il caso delle figure di Pontito in  Valleriana, in AA.VV., Il lavoro delle donne. Attività femminili in Valdinievole fra Ottocento e Novecento, a cura dell'Istituto Storico Lucchese (sezione Storia e Storie al Femminile), Vannini, Buggiano, 2004
Ave Marchi, Andavano alle figure con Canova e Donatello, quaderno della “fondazione Cresci”, 2016
Paolo Tagliasacchi, Figure e figurinai nel XX secolo, Comune di Coreglia Antelminelli, 2002
iltirreno.gelocal.it (10-12-2015)
www.comune.coreglia.lu.it/
www.regioni.it (9-12-2015)

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons attribuzione - Condividi allo stesso modo.


Anna Franchi

Livorno, 1867- Milano, 1954

 

Le sono intitolati un largo a Livorno e una via a Olbia.

 

 

Paladina dei diritti femminili

 

di Laura Candiani

 

Anna Franchi è stata una pioniera del femminismo, attenta e sensibile ai diritti delle donne in un'epoca in cui se ne parlava con prudenza e i soprusi venivano taciuti per ipocrisia e perbenismo. Non solo, è stata anche musicista, scrittrice, traduttrice, giornalista, biografa e critica d'arte, una intellettuale completa i cui interessi hanno spaziato in molteplici campi.

È nata nel 1867, quando Firenze è capitale del Regno d'Italia, figlia unica di una famiglia livornese benestante; Cesare, il padre, fa il commerciante, la madre, Iginia Rugani, una casalinga molto riservata.
Anna ha maggiori affinità con il padre e la nonna Ernesta e con loro condivide gli interessi e l'amore per la letteratura e la musica.

Comincia presto ad attingere alla biblioteca paterna e a leggere avidamente Giusti, Dumas, Guerrazzi, romanzi sentimentali, patriottici e storici. Diventa un'ottima pianista e a soli 16 anni, nel 1883, sposa il suo insegnante, il violinista Ettore Martini. La coppia si trasferisce ad Arezzo e poi a Firenze (1889), città nelle quali il marito è direttore teatrale. Fra una tournée e l'altra in cui si esibiscono insieme, nascono quattro figli: Cesare, Gino, Folco (che muore bambino) e Ivo; tuttavia il matrimonio è infelice: Ettore contrae debiti, mantiene a fatica il lavoro solo grazie all'impegno della moglie, la tradisce, non sa fare il padre, sarebbe un bravo violinista ma è incostante e instabile. Nel 1903 parte per l'America con i due figli maggiori. Di fatto il matrimonio è finito da tempo e Anna è stata costretta a vendere la casa di Livorno e a mantenere i figli affidati legalmente al padre. Intanto trova il tempo per migliorarsi studiando con Ettore Janni ed Ernesta Bittanti, allora universitari molto promettenti. Inizia a scrivere e comincia a pubblicare: escono le novelle Dulcia-Tristia (1898) e un libro illustrato per bambini (I viaggi di un soldatino di piombo).

Negli anni di fine secolo si impegna nella Lega Femminile (che aderisce alla Camera del Lavoro) e poi nella Lega Toscana; è attiva a fianco delle “trecciaiole” nelle agitazioni del biennio 1896-97 e, pur non essendo iscritta ad alcun partito, è vicina all'ideologia socialista.

Nel 1900 è ammessa nell'associazione dei Giornalisti milanesi (seconda donna, dopo Anna Kuliscioff) e scrive su quotidiani e periodici, fra cui il “Corriere dei piccoli” (con lo pseudonimo “nonna Anna”). Con brevi articoli di informazione artistica e corrispondenze, da Venezia e Parigi per esempio, collabora a varie testate; risulta essere la prima donna editorialista della “Lombardia” e della “Nazione”. 

Gli anni 1902-3 rappresentano il periodo in cui più si impegna per una causa che le sta a cuore: il divorzio. Il Codice civile (1865) e l’enciclica Arcanum divinae sapientiae (1880) attraverso il potere dello Stato e della Chiesa ribadiscono la subordinazione femminile all'uomo padrone e signore in famiglia, ma anche nella vita sociale e professionale. Le donne non possono conseguire titoli di studio superiori, né decidere sui propri beni né stipulare contratti; la moglie deve condividere la residenza scelta dal marito e deve avere la sua autorizzazione se vuole esercitare il commercio o compiere operazioni bancarie.
Questa «mostruosa catena» (Sibilla Aleramo) si spezza nell'opera di Anna perché la protagonista del suo romanzo Avanti il divorzio rifugge le convenzioni e un matrimonio iniziato con un vero e proprio stupro: «La prese brutalmente, violando quella purezza che gli si abbandonava quasi con incoscienza, la prese spudoratamente, nulla attenuando con gentilezza amorevole, senza risparmiarla (...)». Significativi i nomi della coppia: perché il riferimento autobiografico risulti ben chiaro, cambiano solo i cognomi (Mirello lei e Streno lui). Anna Mirello cresce, matura, rischia e cambia grazie a un nuovo amore, ma soprattutto grazie alla propria realizzazione attraverso il lavoro, la letteratura, l'indipendenza economica. La vera nemica della donna infatti è la rassegnazione (come spiegherà Anna Franchi nel saggio Il divorzio e la donna). Interessante risulta anche il confronto con la posizione assunta dalla contemporanea Grazia Deledda che, nel medesimo anno 1902, pubblica il romanzo Dopo il divorzio, mentre veniva discussa e respinta la proposta di legge del Governo Zanardelli.

Nel 1909 compare il secondo importante romanzo, Un eletto del popolo: in cui la protagonista Mariangela viene abbandonata con un figlio da un deputato avido e arido preoccupato dalla carriera. Una vicenda che non può non ricordare quella personale vissuta dalla scrittrice e che rappresenta comunque una vittoria del coraggio e dell'anticonformismo perché la “sora Lange” rifiuta il cognome dell'uomo per il figlio e lo dispensa dall'obbligo del mantenimento.

Nel 1910 esce un romanzo in forma di diario, Dalle memorie di un sacerdote, in cui Angelo, curato nella campagna toscana, soffre per le maldicenze dopo aver salvato da morte certa un neonato abbandonato sul greto di un fiume dalla madre disperata. Don Angelo prova pietà, sa capire e perdonare, mentre il Codice penale (art. 369) distingue fra omicidio e infanticidio (“omicidio scusato”) e libera l'uomo (padre/seduttore) da qualsiasi responsabilità. Per di più il Codice civile (art. 340) proibisce la ricerca del padre con ipocrite motivazioni.  Oppresso dalla cattiveria dei parrocchiani e dai dubbi sulla propria fede, disgustato dai compromessi e dall'autorità ecclesiastica, don Angelo arriva al suicidio.

Nel periodo fiorentino Anna frequenta assiduamente i Macchiaioli e in particolare lo studio di Telemaco Signorini di cui parla ampiamente nella autobiografia (La mia vita-1940), in biografie specifiche e in saggi (Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi), accompagnati da conferenze molto apprezzate. La sua fama raggiunge la Francia, che frequenta durante le esposizioni internazionali e dove diviene affettuosamente “Franscì” per gli amici intellettuali, fra cui Matisse.

Trasferita a Milano prosegue con fervore la sua attività di intermediaria fra i pittori, i galleristi e i collezionisti e scrive la biografia di Fattori (1910) di cui con sapienza mette in luce le doti nel saper rielaborare l'oggetto in modo tutt'altro che fotografico. Negli stessi anni varie testimonianze ricordano l'impegno di Anna sul fronte anticlericale messo in atto con scritti e conferenze; nel 1913 entra nella loggia massonica torinese “Anita Garibaldi” e nel 1914 fonda a Milano la loggia “Foemina superior”, il cui nome indica sia l'intento di «mettere sulla via della verità le giovani menti nelle quali si sviluppa uno spirito di osservazione critica» sia «l'aspirazione della donna verso il miglioramento spirituale».

Siamo ormai alla vigilia della Grande guerra e Anna prende posizione da interventista con le opere Città sorelle (1915) e Il figlio della guerra (1917). Le tragiche vicende nazionali e internazionali la colpiscono duramente: il figlio Gino muore al fronte e il suo corpo non verrà mai ritrovato. Anna fonda allora la Lega d'Assistenza per le madri dei caduti allo scopo di sollecitare la politica a prendere a cuore la situazione delle madri che non possono avere benefici economici nel caso i figli uccisi siano coniugati. Nel dopoguerra con coerenza Anna non entra nelle file del Partito fascista e invece si avvicina ai Valdesi tanto da diventare “direttore responsabile” del loro periodico “L'Appello”. Intanto continua a pubblicare saggi, romanzi, biografie (Caterina de' Medici del 1932), racconti per bambini (Gingillo, 1946) e a impegnarsi in pubbliche conferenze.

Durante la Seconda guerra mondiale opera nelle file della Resistenza e, con la pace ritrovata, il 1946 è per lei un momento di grande soddisfazione: finalmente le donne italiane hanno accesso al voto attivo e passivo; si realizza dunque il sogno di quelle pioniere come Anna Kuliscioff e Anna Maria Mozzoni che tanto a lungo e con tenacia si erano battute. Per l'occasione scrive Cose d'ieri dette alle donne di oggi. Ormai anziana prosegue tuttavia il lavoro e nei primi anni Cinquanta escono ancora sue opere. Muore a Milano il 4 dicembre 1954, ma il funerale si volge a Livorno dove è sepolta nella cappella di famiglia.

 

 «L'equilibrio dovrebbe nascere da una coscienza morale, da una dignità diversa tanto nel maschio quanto nella femmina (...) uguale al maschio? No. Inferiore? Nemmeno. Diversa ma non meno degna di tutte le considerazioni». (Per le donne, 1913)

 

Fonti

Grazia Deledda, Dopo il divorzio, Studio Garamond, Roma, 2016

Elisabetta De Troja, Anna Franchi: l'indocile scrittura. Passione civile e critica d'arte, University Press, Firenze, 2016

Anna Franchi, Avanti il divorzio, Sandron, Milano,1902 - Sandron, Firenze, 2012 (a cura di Elisabetta De Troja)

Un eletto del popolo, Sandron, Milano, 1909

Dalle memorie di un sacerdote, Sandron, Milano, 1910

Giovanni Fattori, Alinari, Firenze,1910

La mia vita, Garzanti, Milano,1940 (ampliato 1947)
I Macchiaioli toscani, Garzanti, Milano,1945

Cose d'ieri dette alle donne di oggi, Hoepli, Milano, 1946

www.letteraturadimenticata.it

www.comune.livorno.it (6.3.2012)

www.archiviodistato.firenze.it/memoria.donna

 

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons attribuzione - Condividi allo stesso modo.

 


Rosina Frulla

(Pesaro, 1926 – 2015)

La scomparsa recente di Rosina Frulla non consente di dedicarle ancora una via, non essendo trascorsi 10 anni dalla morte. Ma il cordoglio unanime dell’amministrazione comunale di Pesaro, espresso con toni commossi dal sindaco, lascia sperare in una futura intitolazione. Intanto il nome di Rosina è stato inserito dall’Osservatorio di Genere nell’iniziativa #leviedelledonnemarchigiane, progetto nato per colmare la mancanza di riconoscimenti pubblici all'impegno e alle capacità femminili delle Marche.

La bandiera rossa in giardino

di Barbara Belotti

Non sono uguali le partigiane e i partigiani che hanno combattuto nella Resistenza. Ognuna/o di loro ha scelto di vivere quel pezzo di storia italiana sull’onda della medesima passione e della stessa voglia di libertà, ma ognuna/o di loro rappresenta una vicenda diversa da raccontare e ricordare.
È più facile tramandare i gesti di coraggio eclatanti e potenti, le morti drammatiche e le onorificenze al merito, più difficile non permettere la dispersione della memoria di chi ha lottato, di chi ha messo a rischio la propria vita per la libertà di una intera nazione ma è sopravvissuta/o senza aver raggiunto i vertici della notorietà. La loro limpidezza di intenti e di pensiero rischia di divenire, quando non saranno più qui a raccontare in prima persona cosa è stata la Resistenza, un ricordo annebbiato destinato a scomparire e a perdersi. Soprattutto se si tratta di donne, perché la loro Resistenza, fatta dello stesso coraggio e degli stessi rischi dei compagni maschi, ha faticato a essere conosciuta, narrata e condivisa. 
Rosina Frulla è stata una staffetta partigiana attiva nel pesarese conosciuta come la “Signora in rosso” perché con quel colore si vestiva e si faceva conoscere. Non era un vezzo, ma una esplicita dichiarazione di fede politica e di intenti, proseguita anche dopo la guerra fino alla morte.
Il colore rosso è la caratteristica di Rosina, partigiana. Lei stessa racconta che per molti anni ogni primo maggio ha continuato “a mettere una bandiera rossa in quell’angolo lì del giardino. Prima la issavo con mio marito Ferruccio che è stato anche lui un partigiano. […] Ora che Ferruccio è morto e io non ci vedo più tanto bene, la bandiera la metto con i miei nipoti”.
In un’epoca come la nostra, fatta di incertezze e di coscienze liquide e fluide, i suoi toni appassionati misurano la forza delle sue idee e della sua coerenza: “Forse dovrei smetterla. Ogni anno mi dico “questo è l’ultimo”. Che senso ha oggi, con questa politica qui, quella bandiera sventolante? Che senso ha vestirsi sempre di rosso? Io so solo che il rosso è il colore della mia passione, della mia lotta. Il colore della mia vita. E che anche quest’anno la mia bandiera rossa sarà lì, nell’angolo sinistro del mio giardino, perché tutta la via sappia che qui vive un’antifascista vera.”
Antifascista lo è sempre stata, la sua è quasi una scelta naturale. Si avvicina al PCI sia per l’influenza di un vicino di casa, Luigi Fabi, sia perché la vita non è stata generosa con lei, che ha conosciuto la miseria e ha dovuto lavorare fin da piccola per aiutare la madre vedova e i fratelli.
Le scelte politiche di Rosina si uniscono all’audacia tipica della sua giovane età e a soli 17 anni comincia diffondendo le pagine clandestine de L’Unità e racimolando cibo da portare ai militari italiani prigionieri dei tedeschi. In breve diventa una vera staffetta partigiana, andando a piedi o in bicicletta ‒ “con le ruote senza copertoni” precisa in un’intervista ‒ a consegnare ordini, messaggi, armi.
La Resistenza italiana è stata, per molte donne, l’inizio di un percorso di emancipazione e di presa di coscienza politica e personale che spesso non si è interrotto al termine della guerra. Anche per Rosina è stato così e il suo impegno prosegue nell’UDI: lavora per aprire asili nido, per organizzare le mense e le colonie estive per bambine e bambini, per trovare cibo e indumenti per le tante famiglie sfollate e che hanno perso tutto; da donna lavoratrice, inoltre, si impegna per formare una coscienza politica fra le compagne più giovani. L’impegno, come spiega in un’intervista, "derivava dalla voglia di libertà, dalla voglia di dare un avvenire migliore ai nostri figli".
Una donna piena di coraggio, di determinazione e di coerenza per la quale il passato non passa, “è una storia che ancora brucia e incide nella carne segni profondi”.
Il suo rigore intellettuale e morale le permette di rileggere con lucidità gli anni trascorsi nella Resistenza: “È stata dura. Tanto. Non lo nego; però se tornassi indietro rifarei tutto, dall’inizio alla fine. Io volevo lottare. Dovevo lottare perché ero e sono un’antifascista. […] Se lotti per la libertà non hai paura. Per nessun motivo.”

Fonti:

Massimo Lodovici, Intervista a Rosina e Laura Frulla (Anpi Pesaro, 18 giugno 1994), su Biblioteca archivio Vittorio Bobbato.
Carla Tonini, Una vita per la politica. L' Unione donne italiane a Pesaro nel secondo dopo guerra 1945-1950 , Bobbato.it.
Rosina Frulla: la staffetta partigiana vestita di rosso, in Il Ducato Testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, aprile 2014.
http://www.tele2000.eu/?p=2789
http://www.pesarourbinonotizie.it/20288/pesaro-ricci-esprime-il-cordoglio-della-citta-per-la-scomparsa-di-rosina-frulla
http://www.osservatoriodigenere.com/in-primo-piano/leviedelledonnemarchigiane.html

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons attribuzione - Condividi allo stesso modo.