Prime donne nei mestieri da uomo

 Molti i mestieri considerati maschili intrapresi poi anche dalle donne.

Negli anni Cinquanta in Italia, quando le piccole stazioni ferroviarie erano molto curate e alcune avevano anche giardini fioriti, Anna Maria Farnetani, trentenne, spronata dal marito capostazione, partecipò ad un concorso delle Ferrovie Italiane. Dopo due anni, a Calavorno in provincia di Lucca, Anna Maria diventò la prima donna capostazione. Non era prevista una divisa femminile e lei indossava una cappa nera lunga fino al ginocchio ed una fascia blu al braccio.

“Il lavoro era duro” ricorda “si lavorava ininterrottamente giorno e notte e non c’erano i tabelloni luminosi: tutto girava intorno al rapporto umano che offriva sicurezza e creava quell’atmosfera che oggi in stazione non c’è più”.

Sessanta anni dopo troviamo un’altra prima donna nello stesso settore, Marta Pierro di Bitonto, che nel settembre del 2013 è diventata la prima macchinista di Ferrotramviaria.
Nel 2012, invece, Zegna Madlaina Schmid era diventata la prima donna alla guida del Trenino Rosso del Bernina e Mariam al Safaq la prima araba a guidare un treno della metropolitana di Dubai.
Un altro mestiere considerato da uomo è quello del camionista ma Teresina Bruno, nata nel 1929 a Settimo Torinese, a soli ventuno anni, dopo avere conseguito la patente C, iniziò la sua attività di camionista. Racconta che, quando arrivava con il suo camion davanti ai cancelli delle fabbriche, gli operai esclamavano: “Guarda guarda, largo, arriva la signorina”. Faceva scalpore, a quei tempi, una donna alla guida di un camion e per di più una donna con indosso i pantaloni per poter svolgere comodamente il lavoro. Ricordiamo che Teresina è stata anche una staffetta partigiana.
La prima donna, sempre in Italia, a guidare un taxi è stata nel 1972 la romana Luisa Regoli. “Romana di sette generazioni”, come amava definirsi, ha lavorato per venticinque anni sul suo “Bologna 14”. In un’intervista ha dichiarato: “All’inizio sembrava che fossi sbarcata sulla luna, andavo al bar e mi offrivano la colazione, mi regalavano fiori…”. Ricorda di essere stata una “tassista di vips”: sono saliti sul suo taxi Pasolini, Fellini e Mastroianni.
In Marocco, a Casablanca, la prima tassista Fatima Bennadi inizia questo lavoro nel 1991, quando il marito resta disoccupato. In un’intervista ha dichiarato: “Non mi piacciono i barbuti che pensano che le donne dovrebbero restare a casa con le braccia conserte. La donna ha bisogno di lavorare per fare le cose che vuole: uscire,viaggiare, come fate voi in Europa”. Invece è più recente, nel febbraio 2015, la comparsa della prima donna tassista in Afghanistan, Sara Bahayi.

Anche nel mestiere di gruista riscontriamo il primato italiano di due donne, quello di Saverina Davoli, che è in assoluto la prima, e quello di Daniela D’Addeo, la prima a partecipare alla gara per il titolo di migliore gruista del 2012.
Saverina è nata nel 1950 in provincia di Catanzaro e ha iniziato a lavorare nel porto di La Spezia nel 1978. Nell’apprendere che le manovre alla gru erano la mansione lavorativa che le era stata assegnata, ebbe un po’ di paura ma, piano piano, iniziò ad amare il suo lavoro, diventò brava ed esperta e alcune compagnie marittime la preferirono ai colleghi. In un’intervista ha dichiarato: “L’ambiente maschile è difficile. Non sono concessi sfoghi. Sei sempre sotto osservazione, servono disciplina e rigidità. Gli uomini stanno lì ad aspettare che commetti un errore, che ti lamenti, che piangi perché vuoi tornare a casa, a fare la spesa, a fare la mamma. E invece no, io sapevo che con quel lavoro garantivo lo studio a mio figlio. Non avevo scelta, punto e basta”.
Gli avversari di Daniela D’Addeo erano tutti uomini, purtroppo non vinse il titolo, ma dichiarò che per lei si era trattato di una grande soddisfazione e che la sua partecipazione a quel concorso era stata dettata dall’obiettivo “di incoraggiare il mondo femminile a considerare l’edilizia come un settore accessibile”.
Anche se la presenza si è incrementata negli ultimi anni, le donne che lavorano nei cantieri sono ancora poche e quelle al comando di una gru pochissime. Daniela ha dichiarato in un’intervista: “Quando sono arrivata, gli altri operai erano incuriositi ma anche infastiditi, perché hanno una visione machista di questo lavoro e quando arriva una donna pensano che sia incapace, così la osservano e aspettano che sbagli”. Alla fine, però, anche i colleghi hanno riconosciuto le sue capacità.

Dall’alto delle gru ci spostiamo nelle viscere della terra e troviamo due prime donne, Patrizia Saias e Valentina Zurru, le prime e uniche donne italiane che lavorano nelle miniere di Carbosulcis in Sardegna. Entrambe sono residenti ad Iglesias ed hanno dichiarato di essere orgogliose di appartenere all’ultima realtà produttiva della tradizione mineraria sarda.

Vagando per mestieri ritorniamo in superficie, o meglio in vetta, per segnalare Dorina Gaspard, la prima maestra di sci in Italia. Dorina era nata nel 1919. È stata anche nominata Cavaliere della Repubblica e nel 2006 è stata premiata dalla Scuola del Cervino per i suoi sessantaquattro anni di attività ininterrotta. Tra i suoi allievi, il principe Umberto e Gina Lollobrigida. È morta nel 2013.
Stella Guidotti fu invece la prima bagnina italiana a San Benedetto del Tronto. Tutti la chiamavano Stelluccia, era nata nel 1878 ed è morta nel 1944.
Nel Sud Italia il lavoro del puparo rientra sicuramente tra gli antichi mestieri tradizionalmente riservati agli uomini: una figura affascinante, in grado di catapultare lo spettatore nello scenario delle antiche gesta cavalleresche o delle memorabili imprese dei Paladini di Francia o ancora nel mondo dei briganti. Anche in questo ambito troviamo una donna, Anna Cuticchio. Nel 1980 Anna apre a Palermo il “Teatro Bradamante” e riesce ad imprimere allo spettacolo dei pupi una sorta di “modernità” capace di abbattere la barriera fra “teatro per i ricchi” e “teatro per i poveri”. La sua opera è innovativa, tra le marionette inserisce molti personaggi femminili che possono contribuire a rivalutare il ruolo della donna. Tra le sue pupe c’è anche suor Maria di Bitinia, una donna piena di fede e di coraggio che “folgora” la sua pupara. Anna intraprende così un cammino religioso che la condurrà, nel 2004, a prendere i voti. Oggi è diventata suor Marina ed è una delle missionarie della Diocesi di Palermo a Nyololo, in Tanzania. Lì non ci sono luci né scenografie sfavillanti, ma case di fango e paglia, non esistono strade, ospedali e l’AIDS miete migliaia di vittime. Suor Marina si dedica soprattutto ai bambini e alle bambine vittime di quelle malattie, come la tubercolosi e la malaria, che nel nostro mondo sono ormai solo un retaggio del passato. Di fronte a tanta povertà, nel 2005 ha deciso di dare un ulteriore contributo concreto vendendo tutti i suoi pupi. “Per aiutare gli altri ci vogliono risorse. Io non ho soldi. Ho i pupi. Che sono fermi lì da anni. La vendita significa dare un senso maggiore a quello che sto facendo”. In questa sua nuova vita interamente dedicata alla solidarietà, Anna è coadiuvata dalla figlia Vanna: è questo uno dei più bei cunti (racconti) che la pupara mette in scena sul palcoscenico della sua vita.

Da “Le mille i primati delle donne” dell’Associazione Toponomastica Femminile a cura di Ester Rizzo

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