Le vie delle donne che vorremmo

 

Anna Maria Ortese

Anna Maria OrteseI nomi, che segnano le nostre città e le nostre vite, delimitano un orizzonte culturale, definiscono un universo di saperi condivisi. Dunque ha un senso chiedersi come intitolare un luogo: significa determinare il canone di ciò che va ricordato e che permette ad un mondo di riconoscersi. Mi piacerebbe dunque che una strada di Roma venisse intitolata ad Anna Maria Ortese.

La Ortese è nata a Roma, quasi per caso, ed a Roma ha trascorso lunghi periodi dal 1958 al 1975. Con questa città ha avuto un rapporto complesso, doloroso, segnato dalla difficoltà della vita quotidiana, dalla fatica di cambiare continuamente abitazione, dal desiderio, sempre deluso, di trovare pace e silenzio. Anna Maria Ortese abita in via Anneo Lucano, in via Clivo Rutario, a Monteverde, per cinque anni al n.115 di via Festo Avieno, alla Balduina, in una piccolissima casa in cui nasce l’Iguana, e poi ancora a Piazza Ennio, quasi sempre oppressa dal rumore, dal caldo, dalla povertà. Roma è la città del potere politico, di quell’élite culturale a cui la scrittrice è estranea, che non la comprende, sebbene ne intuisca la grandezza.

Ma Roma è anche il luogo della bellezza, del passato glorioso, della grandezza dorata e decadente, che la Ortese attraversa sola, nelle sue infinite passeggiate, nel suo muoversi ramingo e spaventato. Immagino che porti il suo nome non una grande via, importante e chiassosa, ma una stradetta periferica, alberata e silenziosa, appartata come è stata questa scrittrice in tutta la sua via. Nel suo nome si tramanderebbe lo sguardo originale, dolce e pietoso, che ha saputo volgere a chi non ha diritto né voce,la capacità di spingersi oltre la realtà per vedere il mondo con lucida compassione.

di Tiziana Concina


Goliarda Sapienza

Goliarda SapienzaGoliarda (1924 -1996) è stata precorritrice dei tempi e pensatrice autonoma e critica. La sua opera mostra uno sguardo libero da lenti ideologiche e indipendente da ogni legame con rassicuranti “chiese”, comprese quelle antifasciste e anticonformiste della particolare famiglia in cui era cresciuta. Modesta, eroina di L’arte della gioia, romanzo postumo, percorre continui processi di rinascita per approdare ad una autentica e consapevole libertà. Oggi L'arte della gioia, negli anni ‘80 rifiutato dagli editori, è amato in tutto il mondo: lo pubblica Penguin, Einaudi, e altri noti editori. In Francia è un bestseller.

Goliarda Sapienza nasce a Catania nel 1924 da Maria Giudice (1880-1953), sindacalista lombarda già madre di sette figli, e dal socialista Peppino Sapienza (1882-1949). Negli anni del secondo dopoguerra fino agli anni ‘60 svolge una breve carriera nel teatro e nel cinema come attrice, autrice e aiuto-regista (con il compagno di vita Citto Maselli); poi pubblica quattro romanzi; è finalista al premio Strega nel 1967 e vince il premio Minerva per la letteratura nel 1986. Negli anni ’60 pubblica con Garzanti i primi due romanzi autobiografici: Lettera aperta e Il filo di mezzogiorno. Altri romanzi della sua "autobiografia delle contraddizioni" (vedi La porta è aperta vita di Goliarda Sapienza, 2010).sono Io Jean Gabin, postumo, L’università di Rebibbia (Rizzoli 1983) e Le certezze del dubbio (Pellicano 1987). Muore a Gaeta il 30 agosto 1996.

di Giovanna Providenti


Edith Wharton

Edith WhartonEdith Newbold Jones (NewYork 1862 - Parigi 1937) appartenne a un’antica e facoltosa famiglia; ebbe una raffinata educazione e poté disporre della ricca biblioteca paterna, che le permise letture intense e numerose.

Fu una grande scrittrice, frequentò tutti i generi letterari, dai racconti brevi ai romanzi, dalle novelle ai diari, compose versi e saggi; fu una lucida e spietata critica della società alto borghese del suo tempo e delle convenzioni sociali che annientano gli individui, consegnandoli alla solitudine e alla morte. I suoi personaggi si trovano spesso in situazioni di ribellione sconfitta, o di rassegnata autodistruzione, stritolati dalle ferree regole del sistema sociale.

In uno dei suoi romanzi più noti, L’età dell’innocenza, descrisse con una prosa elegante e ironica una classe dirigente nordamericana dedita solo all’arricchimento personale e al decoro di facciata, volgare e ipocrita nei gusti e nei comportamenti; il romanzo, del 1920, le fece vincere il premio Pulitzer, che fu assegnato per la prima volta a una donna. Dopo il divorzio da Teddy Wharton, viaggiò molto, soggiornò spesso in Italia e si stabilì a lungo in Francia, meta preferita della diaspora intellettuale americana. Uno dei temi centrali della sua narrativa, accanto alla denuncia della società nordamericana del suo tempo, fu la rappresentazione di donne immerse nella fatalità, perché non padrone della propria esistenza e in un equilibrio precario, materiale ed emotivo.

di Adriana Perrotta