di Debora Ricci

“Lisboa menina e moça…”[1], ragazza e bambina, recita una nota canzone di Carlos de Carmo, grande interprete del tipico genere musicale portoghese, il fado, patrimonio mondiale dell’UNESCO.

La città, adagiata su sette colline come Roma, venne fondata – racconta la leggenda – da Ulisse che le dette il nome di Olisippo ed è affacciata sul fiume Tejo, così ampio da sembrare già oceano.

In seguito alla ricostruzione razionale e geometrica voluta dal Primo Ministro, il Marques de Pombal dopo il terremoto del 1755 che la distrusse, Lisbona è oggi un intrecciarsi di tradizioni e di modernità.
Un percorso ideale partirebbe dall’antico quartiere popolare di Alfama, dove vivevano i pescatori e le venditrici di pesce, le varinas, continuerebbe verso il centro della Praça do Comercio dalle linee dritte e squadrate passando per lo Chiado con i suoi bei negozi e dirigendosi quindi verso il Bairro Alto, teatro della movida lisboeta. Si scende poi verso Belém, da cui partivano i navigatori alla scoperta di nuove terre e si prosegue verso i quartieri meno centrali e più moderni come quello di Alvalade e il nuovissimo Parques das Nações, con lo splendido Oceanario (l’acquario dedicato agli oceani) e le straordinarie opere architettoniche di Santiago Calatrava e Álvaro Siza Vieira.
Se ci addentriamo nel dedalo di stradine, viuzze, vicoletti, piazze, viali da cui è composta Lisbona, notiamo, senza meravigliarci poi troppo, che i nomi di questi luoghi sono quasi esclusivamente maschili. Ricordano gli eroi di battaglie vittoriose, re, nobili, ministri, ma anche attori, cantanti… come se fossero esistiti solo uomini, come se la città fosse essa stessa un gigante adagiato sulle sue sette colline, come se nessuna donna avesse lasciato il segno per qualche gesto eroico o qualche scoperta importante.
Se partiamo dal concetto che non esiste ciò che non si nomina, che la lingua (anche toponimica) influisce e costruisce il pensiero[2], allora una toponimia poco incline al femminile ha senz’altro la responsabilità di aver contribuito, insieme a tanti altri aspetti, a rendere invisibile, poco importante se non addirittura inesistente il mondo femminile.
Il maschile inclusivo nella lingua, le terminazioni al maschile per le professioni di prestigio (quanta resistenza in questo campo!), le città interamente nominate e dedicate alla virilità, le scrittrici, artiste e intellettuali completamente dimenticate nei libri di scuola, sono solo alcuni esempi di come, attraverso un processo nascosto e subdolo, le donne per anni e anni sono praticamente scomparse dalla vita sociale e culturale attiva ed esclusivamente relegate al ruolo che la società patriarcale ha da sempre loro imposto: occuparsi della casa e accudire il marito ed i figli. In questo modo non hanno fatto parte, per lungo tempo, della nostra memoria collettiva e solo da poco si comincia a sentire l’esigenza di per colmare questa enorme lacuna e soprattutto ad averne gli strumenti. [...]
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[1]Un video della canzone con belle immagini di Lisbona: https://www.youtube.com/watch?v=zOI81d0BMpU
[2]Cfr. La teoria di Saphir-Whorf in E. Sapir, Culture, Language and Personality. B. L. Whorf, Language, Thought and Reality. “ (…) language determines thought and linguistic categories limit and determine cognitive categories”.