Alma Pihl
Rossella Perugi

Carola Pignati

 

Alma Phil, una delle designer più creative del famoso laboratorio Fabergé, era nata a Mosca il 15 novembre 1888. Il padre, Knut Oscar Pihl, arrivato poco più che bambino dalla Finlandia a San Pietroburgo per impiegarsi nell’orologeria, era invece diventato orafo presso il maestro finlandese August Holmström, proprio nella bottega di Fabergé. Anni dopo, Knut Oscar diviene capo di questo prestigioso atelier e sposa la figlia di Holmström, Fanny; incoraggiati dal contesto familiare due dei loro cinque figli, Oskar e Alma, diventeranno a loro volta orafi. Alma, in particolare, sarà una figura d’avanguardia in un campo dove solitamente non venivano impiegate le donne. Quando la morte prematura del padre costringe la famiglia a ritornare presso i nonni materni a San Pietroburgo, Alma entra nel laboratorio dello zio, Albert Holmström: ha vent’anni e si distingue già come apprendista, studiando sotto la guida dell’orafo svedese Eugen Jakobson. Il suo compito è quello di disegnare i gioielli a grandezza naturale nei minimi dettagli, documentando le pietre preziose e gli altri materiali utilizzati e annotandone il costo. I progetti vengono poi archiviati nei quaderni di lavoro, mentre i gioielli sono prodotti nel laboratorio.

Alma inizia la sua carriera di stilista orafa quasi per caso: si diverte a disegnare anche nel tempo libero e i suoi lavori attirano l'attenzione dello zio Albert, che è così colpito dalla loro bellezza da decidere di realizzarli. Nel 1912 la giovane riceve il suo primo ordine: un facoltoso cliente, il norvegese Emanuel Nobel, capo dell'impero petrolifero che porta il suo stesso nome, richiede una consegna molto rapida di 40 spille, da distribuire come regali alle mogli degli ospiti in occasione di una cena. Per non essere accusato di corruzione, Nobel chiede che i gioielli siano prodotti con materiale di basso costo. È ancora il caso a decidere della carriera di Alma. Nel gelido inverno del Nord la scarsa luce la costringe a disegnare vicino a una finestra: l’ispirazione per queste spille (e per gran parte del suo successivo lavoro di progettazione) arriva dalle forme variegate dei cristalli di ghiaccio che decorano i vetri. Questi gioielli diventano popolari e vengono riprodotti con materiali preziosi: oro, incastonato in una lega di platino-argento, punteggiato di diamanti con taglio a rosa. Successivamente proprio Emanuel Nobel ordina un’intera serie con lo stesso motivo dei cristalli di ghiaccio per regalarli ai suoi soci in affari; inoltre, chiede e ottiene i diritti esclusivi sul modello. Il successo di questa commessa rende Alma famosa e nel 1913 viene incaricata di disegnare i regali per il trecentesimo anniversario della dinastia Romanov: i gioielli dovranno essere realizzati secondo i desideri dello Zar, che intende distribuirli ai suoi illustri ospiti.

Sorpresa nell'Uovo di ghiaccio Nobel.

Alma in seguito collabora nella progettazione delle celebri uova a sorpresa, che il gioielliere Fabergé creava ogni anno a Pasqua come dono dello Zar per la Zarina e per l’Imperatrice madre. Ogni uovo doveva avere le dimensioni di un uovo di gallina e contenere una sorpresa. Lo Zar stesso non ne conosceva l’aspetto e il contenuto, perché la tradizione di Fabergé prevedeva che nessuno, neppure un committente così illustre, fosse informato del risultato del lavoro fino alla sua realizzazione. Anche se ne aveva ottenuto l'esclusiva, Emanuel Nobel, che comprende l’importanza di questo ordine prestigioso, permette alla giovane designer di utilizzare il tema dei cristalli di neve: nasce così l’Uovo Invernale, il più prezioso nella collezione imperiale. Alma sceglie dei materiali pregiati, che ben si adattano al suo stile essenziale e rispecchiano le tonalità fredde dell’inverno: cristallo di rocca siberiano, ortoclasio e platino. L'uovo, incastonato con 1660 diamanti, è posto sopra un cubetto di ghiaccio sciolto, scolpito nel cristallo di rocca. All'interno c'è la sorpresa: adagiato su un fondo di muschio marrone, realizzato in oro, si trova un cestino di platino, che contiene anemoni dalle corolle in quarzo bianco, con centri di granato rosso e di ematoide rosa su steli e foglie di nefrite verde.

Uovo invernale per l'imperatrice vedova Maria Feodorovna, Pasqua 1913. Alma Pihl, designer per Fabergé

Nel 1914 Alma riceve una nuova commessa per un uovo di Pasqua; questa volta la destinataria è la Zarina Alexandra Feodorovna, moglie di Nicola II. L’imperatrice è un’appassionata ricamatrice, come la suocera di Alma, con la quale la giovane viveva dal 1912, quando aveva sposato Nikolai Klee. È ancora la vita quotidiana a ispirarla: una sera dopo cena, mentre è seduta in salotto e guarda la suocera ricamare a punto croce, improvvisamente decide di usare proprio quel punto per il suo nuovo progetto. L’uovo è realizzato seguendo i preziosi consigli dello zio Albert, collocando con precisione smeraldi, rubini ed ematoidi di taglio carré in una rete di platino. La cornice è d'oro e contiene perle e diamanti con taglio a rosa. Sulla sommità si trova una pietra di luna, che porta incise le iniziali della Zarina. Anche la sorpresa all'interno è eseguita meticolosamente: un piccolo supporto decorato con perle e diamanti porta smaltate su un lato le sagome dei bambini della famiglia imperiale, sull'altro i loro nomi e un cesto di fiori. La tradizione prosegue sino alla Rivoluzione d'ottobre e vengono prodotte in tutto cinquanta uova: lo Zar ne ordina due ogni anno, uno per la madre e uno per la moglie, Aleksandra. Nel complesso Alma non sembra aver mai percepito la propria genialità: presso Fabergé si era sentita a proprio agio, ma si considerava solo un anello in una comunità professionale di un centinaio di persone, dove soprattutto i vecchi maestri e altri esperti del settore erano apprezzati mentre i più giovani, come lei, rimanevano in secondo piano.

Spilla fiocco di neve. Alma Pihl Designer per Fabergé. Spilla Romanov Tercentenery, Alma Pihl Designer per Fabergé.

Nel 1918 la Rivoluzione porta alla chiusura definitiva del laboratorio Fabergé e alla perdita dell’impiego per molte persone in settori diversi. Anche il marito di Alma, Nikolai Klee, che lavora a San Pietroburgo come vicedirettore nell'ufficio vendite della grande cartiera finlandese Kymiyhtiö, perde il lavoro e nel 1919 la coppia tenta invano di lasciare la Russia. Nikolai Klee viene arrestato e imprigionato per tre mesi, durante i quali Alma deve vendere vestiti, mobili e, naturalmente, gioielli per sbarcare il lunario. Infine, nella primavera del 1921 riescono a raggiungere la Finlandia: l'influenza dello scrittore Maksim Gorki è determinante e permette loro di ottenere il passaporto Nansen, un documento particolare rilasciato dalla Società delle Nazioni a profughe/i e rifugiate/i apolidi. I due coniugi lasciano la stazione Suomen di San Pietroburgo con poche cose; Alma ha cucito i suoi gioielli più preziosi nel corsetto, confidando che i funzionari della dogana non la perquisiscano, e indossa un braccialetto d’oro, ricordo prezioso del suo padrino, ricevuto per il quindicesimo compleanno. Al confine i doganieri vorrebbero sottrarglielo, ma per fortuna la chiusura è difettosa e così riesce a tenerlo con sé. Alla stazione finlandese di Kouvola la coppia viene accolta da un'auto della cartiera Kymiyhtiö, che li porta a Kuusankoski, negli alloggi della compagnia, dove rimangono per ben due anni: infatti i profughi dalla Russia sono numerosi e mancano gli appartamenti. L'azienda offre a Nikolai un lavoro nel reparto vendite e, grazie alla sua ottima conoscenza della lingua tedesca, l’uomo inizia a gestire i contatti con la Germania.

Nello stesso periodo, con l’arrivo di altri ex colleghi da San Pietroburgo, si costituisce una piccola comunità. Tuttavia, poiché la Russia è considerata uno stato nemico, nessuno osa parlare russo in presenza dei finlandesi. Alma conosce sia il russo che il tedesco e lo svedese, nonché il finlandese, che tuttavia condivide solo con pochi intimi. Tra questi Lydia Kataja, una lontana nipote, che diventa anche vicina di casa quando la coppia si trasferisce in un appartamento nella zona residenziale di Öljumäki. Alma non è mai stata "un talento con pentole e padelle in cucina": Lydia se ne accorge presto e comincia ad aiutare la famiglia Klee nelle faccende domestiche. Nel 1927 Alma ottiene il lavoro che desiderava presso la scuola di lingua svedese di Kuusankoski e diventa insegnante di disegno e calligrafia. La natura artistica e le eccellenti capacità di Tant (zia) Alma, una docente simpatica e brava “che parla svedese con un leggero accento russo”, sono molto apprezzate da chi studia con lei. Nel tempo libero partecipa alle attività del club della cartiera, dipingendo elaborati fondali per le feste in maschera e per altri eventi che richiedono scenografie. Curiosamente, durante i suoi ventiquattro anni di insegnamento, non parla mai del suo periodo a San Pietroburgo e della sua prestigiosa attività di designer presso Fabergé. Nel 1952 Alma e Nikolai si trasferiscono da Kuusankoski a Helsinki, dove Nikolai muore nel 1960. Rapidamente anche la salute di Alma comincia a vacillare: in particolare è la sua vista a deteriorarsi, così da non permetterle di scrivere o svolgere lavori manuali. Infine, a 83 anni viene ricoverata all'ospedale di Helsinki; indossa ancora il braccialetto d'oro al polso sinistro, quello stesso regalo dello zio che il doganiere russo aveva invano cercato di toglierle nel 1921. Poiché la regola nell’ospedale non permette di indossare gioielli, gli infermieri chiamano il custode, che riesce a forzare la chiusura difettosa del braccialetto e così Alma perde anche l'ultimo ricordo della sua giovinezza.

Alma Pihl muore all'età di 87 anni nell'estate del 1976 e viene sepolta nel cimitero di Hietaniemi, in una tomba di famiglia. Fino all’ultimo le rimane vicina Lydia, che era diventata un’amica fidata e aveva vissuto come figlia adottiva della coppia fin dagli anni Quaranta. Proprio a lei, poco tempo prima di morire, Alma racconterà la sua vita in Russia. Intorno agli Ottanta una ex studente di Alma, Maj-Britt Paro, ha reso pubblica questa storia attraverso articoli di giornale. In seguito Ulla Tillander-Godenhielm, pronipote di un altro fornitore della corte imperiale russa, l'orafo Alexander Tillander di San Pietroburgo, si è interessata alla carriera di Alma. La studiosa ha ricostruito e raccontato l'incredibile vicenda della creatrice di Fabergé in un documentario, avvalendosi anche della testimonianza di Lydia. Cosa resta di questa talentuosa donna? Durante la sua breve carriera, prima della Rivoluzione russa del 1917, Alma Pihl ha progettato circa duemila oggetti di valore. Nel periodo dell'insegnamento, invece, ha dipinto molti pannelli didattici per le sue scolaresche, oggi conservati nel museo cittadino di Kouvola a Poikilo. Anche bambine e bambini del XXI secolo della Svenska Skolan, l’istituto di lingua svedese di Kuusankoski, conoscono bene Alma Phil: copie dei suoi disegni sono presenti nella scuola e tutti gli anni, a maggio, durante una passeggiata primaverile, le/i giovani studenti visitano la sua vecchia casa.

Dove si trovano oggi i prodotti più preziosi della sua fantasia? All'inizio degli anni 2000, durante un'asta d'arte internazionale, uno sceicco del Qatar ha pagato quasi dieci milioni di dollari per l'Uovo Invernale, che è da allora di proprietà della Qatar Museum Authority. L'uovo lavorato a punto croce, invece, fa parte della collezione della corona d'Inghilterra. Gli schizzi della produzione di Albert Holmström (1909-1915) sono raccolti in due album che includono anche i progetti di Alma e si trovano attualmente al numero 14 di Grafton street, una strada secondaria del quartiere di Mayfair a Londra, nel piccolo negozio Wartski, che possiede pure la più importante collezione di oggetti Fabergé, raccolti per generazioni da questa famiglia di profughi russi... ma questa è un’altra storia.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

Alma Pihl, une des designers les plus créatifs du célèbre atelier de Fabergé, naît à Moscou le 15 novembre 1888. Son père Knut Oscar Pihl arrive dans sa jeunesse à St Pétersburg de la Finlande pour travailler dans l’horlogerie. Toutefois, il devient orfèvre dans l’atelier de Fabergé à côté du maître finlandais August Holmstrom. Dans peu d’années Knut Oscar prends en charge la direction du célèbre atelier et se marie avec Fanny, fille de Holmstrom. La famille s’agrandit avec la naissance de cinq enfants, dont deux, Oskar et Alma, suivent la tradition familiale en devenant à leur fois orfèvres. Alma notamment devient un personnage de premier plan au sein d’un milieu où d’habitude les femmes n’étaient pas présentes. A la suite de la mort précoce du père toute la famille est obligée de rentrer à St Pétersburg chez les grands parents maternels. C’est alors que Alma entre comme apprentie dans l’atelier de son oncle, Albert Holmstrom: elle n’a que vingt ans et se fait remarquer par sa bravure, tout en étudiant sous la direction de l’orfèvre suédois Eugen Jakobson. Elle est chargée non seulement de dessiner dans les moindres détails les joyaux en taille réelle, mais aussi de décrire les pierres précieuses et les autres matériaux nécéssaires à la réalisation et d’en calculer le coût. Les projets sont ensuite archivés dans les cahiers de travail, tandis que les joyaux viennent réalisés dans l’atelier.

La carrière de styliste orfèvre de Alma débute presque par hasard: elle aime dessiner même dans son temps libre, tant que son oncle Albert est frappé par la beauté de ses travaux et décide de les réaliser. En 1912 Alma reçoit sa première commande de la part de Emanuel Nobel, un riche norvégien qui conduit un empire du pétrole: le magnat lui demande la consigne rapide de 40 broches, cadeaux pour les épouses des invités à l’occasion d’un dîner. Nobel veut que les joyaux soient produits avec des matériaux bas de gamme, pour éviter toute accusation de corruption. Encore une fois, c’est le hasard qui décide de la carrière de Alma: la faible lumière de l’hiver glacial des Pays du Nord la force à travailler près de la fenêtre. Les cristaux de glace à la forme variée qui se produisent sur les vitres lui inspirent non seulement le dessin de ces broches, mais aussi la plus grande partie de son futur travail de créatrice. Ces bijoux deviennent populaires et sont reproduits avec des matériaux précieux: de l’or serti en alliage de platin-argent, parsemé de diamants taillés rose. Par la suite, c’est toujours Emanuel Nobel qui commande à Alma une série de joyaux avec le même motif des cristaux de glace, pour en faire don à ses partenaires d’affaires; en plus, il demande et obtient les droits exclusifs du modèle. Alma atteint la célébrité grâce à cette commande: en 1913 elle est chargée de dessiner les cadeaux à l’occasion du troisième centenaire de la dynastie Romanov. Les joyaux doivent être réalisés selon les désirs du tsar, qui veut les distribuer à ses hôtes illustres.

Surprise dans l’Œuf de glace Nobel

Par la suite, Alma prends part à la conception des célèbres œufs de Pâques à surprise. Ces objets précieux étaient créés chaque année par le joaillier Fabergé sous la demande du tsar, pour en faire hommage à son épouse la tsarine ainsi qu’à sa mère, l’impératrice douairière. L’œuf devait avoir la dimension d’un véritable œuf de poule et devait contenir une surprise. Le tsar lui- même ne pouvait en connaître ni la forme ni le contenu, car la tradition de Fabergé demandait qui personne, y compris le tsar, pouvait être mis au courant du résultat final jusqu’à sa complète réalisation. Emanuel Nobel reconnaît l’importance de cet ordre de prestige et autorise la jeune créatrice à utiliser le motif des cristaux de neige, tout en ayant obtenu auparavant l’exclusivité. C’est ainsi que naît l’œuf d’Hiver, le plus précieux de toute la collection Impériale. Alma choisit des matières précieuses, qui s’accordent avec son style essentiel et qui reflètent les nuances froides de l’hiver: cristal de roche de Sibérie, orthose et platine. L’ œuf, parsemé avec 1660 diamants, est placé au sommet d’un glaçon fondu, taillé dans un cristal de roche. A son intérieur se cache la surprise: couché sur un fond de mousse marron, réalisé en or, trouve place un panier en platine contenant des anémones aux corolles en quartz blanc, avec le centre en grenat rouge ou en quartz rose, sur des tiges et des feuilles en néphrite verte.

Œuf d’hiver pour l’impératrice douairière Maria Feodorovna, Pâques 1913. Alma Pihl, designer chez Fabergé

En 1914 Alma reçoit une nouvelle commande pour un œuf de Pâques, cette fois destiné à la tsarine Alexandra Feodorovna, épouse de Nicolas le Deuxième. L’Impératrice est une brodeuse passionée, ainsi que la belle-mère de Alma, avec la quelle la jeune fille partage les murs domestiques dès 1912, date du mariage avec Nikolai Klee. Encore une fois, c’est la vie de ménage qui l’inspire: un soir après le dîner elle est assise dans son séjour à côté de sa belle-mère qui brode au point de croix. Tout à coup elle décide d’utiliser ce motif pour son nouveau projet. Suivant les précieux conseils de l’oncle Albert, elle réalise l’œuf en plaçant avec précision émerauds, rubis et quartz à la coupe carrée sur un réseau de platine. Le cadre est en or, réalisé avec perles et diamants taillée rose. Au sommet trouve place une pierre de lune dans la quelle sont gravées les initiales de la tsarine. La surprise à l’intérieur est réalisée avec minutie: un petit support decoré avec perles et diamants présente, en émail, d’un côté les silhouettes des enfants du couple impérial, de l’autre leurs noms et un panier fleuri. La tradition se poursuit jusqu’à la Révolution d’octobre et comprend un total de cinquante œufs, car chaque année le tsar en commande deux, un pour son épouse Alexandra et l’autre pour sa mère. De manière générale, Alma paraît n’avoir jamais compris à fond la portée de son propre génie: elle se sent à l’aise chez l’atelier de Fabergé, mais elle se considère un simple anneau faisant partie d’une communauté professionnelle qui compte une centaine d’individus. Dans ce cadre, les vieux maîtres et les experts du domaine sont appreciés et tiennent une place importante, tandis que les plus jeunes, comme elle, restent dans l’ombre.

Broche flocon de neige. Alma Pihl, designer chez Fabergé Broche du tricentenaire des Romanov, Alma Pihl, designer chez Fabergé

En 1918 l’atelier de Fabergé ferme définitivement à la suite de la Révolution: beaucoup de personnes, en plusieurs secteurs, se trouvent privées du travail. Cette situation frappe aussi l’époux de Alma, Nikolai Klee, qui travaille à St Pétersburg comme chef adjoint aux ventes au sein de la grande fabrique de papier finlandaise Kymiyhtio. En 1919 il perd sa place et le couple essaye de quitter la Russie sans y parvenir. Nikolai Klee est arrêté et emprisonné pour trois mois, pendant lesquels Alma est forcée à vendre ses vêtements, ses meubles et, bien évidémment, ses joyaux pour joindre les deux bouts. Enfin, au printemps 1921, le couple réussit à atteindre la Finlande: l’aide de l’écrivain Maksim Gorki lui permet d’obténir le passeport Nansen, un document spécial délivré par la Société des Nations aux déplacés et réfugiés apatrides. Le couple quitte la gare Suomen de St Pétersburg avec peu de choses; Alma a caché ses bijoux les plus précieux dans son corsage, en espérant que les douaniers ne la fouilleraient pas. Elle porte au poignet un bracelet en or, souvenir qui lui avait été donné par son parrain lors de son quinzième anniversaire. Arrivée à la frontière les douaniers essayent de la dérober, mais heureusement la fermeture du bracelet est défectueuse et Alma réussit à le garder avec soi. Une fois arrivés à la gare finlandaise de Kouvola le couple est accueilli par une voiture de la fabrique de papier Kymiyhtio, qui les conduit à Kuusankoski, dans les logements de l’entreprise. Ils demeurent ici pendant deux ans, car il y a peu de logis à disposition face au grand nombre de réfugiés provenant de la Russie. L’entreprise propose à Nikolai un travail au sein du service commercial, où le jeune homme commence à gerer le contacts avec l’Allemagne grâce à sa parfaite connaissance de la langue.

Au même temps se forme une petite communauté, à la quelle prennent part d’autres anciens collègues provenants de St Pétersburg. Ici personne n’ose parler en Russe devant les finlandais, car la Russie est considérée un Pays ennemi. Alma parle le russe, l’allemand et le suédois ainsi que le finlandais, mais elle utilise cette dernière langue seulement dans un étroit circle d’amis. Parmi eux, Lydia Kataja, une nièce éloignée, qui deviendra une voisine lorsque le couple démenage dans un appartement au sein du quartier résidentiel de Oljumaki. Puisque Alma ne se trouve pas à son aise en cuisine, Lydia bientôt vient en son aide pour s’occuper des travaux domestiques de la famille Klee. En 1927 Alma réussit à réaliser son désir de travailler au sein de l’école suédoise de Kuusankoski: elle enseigne dessin et calligraphie. Ses élèves apprécient les qualités artistiques et les compétences exquises de Tant (tante) Alma, une enseignante sympa et capable “qui parle suédois avec un petit accent russe”.Dans son temps libre, elle participe au activités du club de la fabrique à papier en réalisant des fresques élaborées ou des scénographies pour les bals costumés ou d’autres événements. Chose curieuse, tout au long de ses vingt-quatre années d’enseignement Alma ne fait mot avec personne de sa vie à St. Pétersburg et de son occupation de prestige chez Fabergé. En 1952 Alma et Nikolai quittent Kuusankoski pour Helsinki où Nikolai meurt en 1960. Alma devient rapidement de plus en plus fragile, elle a surtout des troubles de la vision qui lui empêchent d’écrire ou d’exécuter des travaux manuels. Elle est agée de 83 ans lorsqu’elle est admise à l’hôpital de Helsinki: elle porte toujour au poignet gauche le même bracelet en or, cadeau de son oncle, que le douanier avait essayé de lui soustraire en 1921 sans pourtant y parvenir. Le règlement de l’hôpital n’autorise pas de garder sur soi des bijoux, donc les infirmières chargent le concierge de forcer la fermeture défectueuse du bracelet. C’est ainsi que Alma perd le dernier souvenir de sa jeunesse.

Alma Pihl trouve la mort dans l’été 1976, âgée de 87 ans, et elle est enterrée dans le cimitière de Hietaniemi dans un caveau familial. Lydia reste à ses côtés jusqu’à la fin, elle qui était devenue une amie fidèle et presque une fille adoptive du couple, dès les années quarante. Peu avant sa mort, c’est à elle que Alma raconte de sa vie en Russie. Mais il faut attendre les années quatre-vingt pour que une ancienne élève de Alma, Maj-Britt Paro, confie cette histoire à une série d’articles de presse. Succéssivement Ulla Tillander-Godenhielm, arrière-petite-fille de l’orfèvre Alexander Tillander de St Pétersburg (un autre fournisseur de la cour impériale russe) s’occupe de la carrière de Alma. Grâce au témoignage de Lydia, elle a reconstitué et raconté dans un reportage l’histoire incroyable de la créatrice de Fabergé. Que nous reste-t-il aujourd’hui de cette femme talentueuse? Pendant sa brève carrière, avant la révolution Russe du 1917, Alma Pihl a dessiné environ deux-mille objets de valeur. Tout au long des années d’enseignement, par contre, elle a peint un grand nombre de panneaux didactiques pour ses classes, aujourd’hui conservés au Musée Municipal de Kouvola à Poikilo. Alma Pihl est connue aussi par les enfants du XXI siècle de la Svenska Skolan, l’institut de langue suèdoise de Kuusankoski: à l’intérieur de l’édifice ils peuvent admirer des copies de ses dessin. En outre, ils visitent son ancienne maison chaque année, au mois de mai, lors d’une promenade printanière.

Où se trouvent maintenant les créations les plus précieuses de sa fantaisie? Au début des années 2000, au cours d’une vente aux enchères d’art internationale, un cheikh du Qatar a achété pour dix millions de dollars environ l’œuf d’Hiver, qui depuis appartient à la Qatar Museum Autority. Par contre, l’œuf au point de croix fait partie de la collection de la couronne d’Angleterre. Les esquisses de la production d’ Albert Holmstrom, y compris les dessins de Alma, (1909-1915) sont réunis dans deux albums qui se trouvent aujourd’hui chez Wartski, au numéro 14 de Grafton Street, une petite rue située au sein quartier Mayfair à Londres. La boutique d’antiquités est aussi propriétaire de la collection la plus nombreuse d’objets de Fabergé, rassemblés par cette famille de réfugiés Russes au fil des générations… mais cela est une autre histoire.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Alma Pihl, una de las diseñadoras más creativas del famoso laboratorio Fabergé, nació en Moscú el 15 de noviembre de 1888. Su padre, Knut Oscar Pihl, que llegó a San Petersburgo desde Finlandia siendo apenas un niño para trabajar en el mundo de la relojería, se convirtió en orfebre bajo la tutela del maestro finlandés August Holmström, precisamente en el taller de Fabergé. Años después, Knut Oscar se convierte en el jefe de este prestigioso taller y se casa con la hija de Holmström, Fanny; alentados por el ambiente familiar, dos de sus cinco hijos, Oskar y Alma, seguirán sus pasos y se convertirán también en orfebres. Alma, en particular, será una figura vanguardista en un campo en el que generalmente no se empleaban mujeres. Cuando la muerte prematura de su padre obliga a la familia a regresar con los abuelos maternos a San Petersburgo, Alma entra en el taller de su tío, Albert Holmström: tenía veinte años y ya destacaba como aprendiza, estudiando bajo la dirección del orfebre sueco Eugen Jakobson. Su tarea consistía en dibujar las joyas a escala natural en los más mínimos detalles, documentando las piedras preciosas y otros materiales utilizados y anotando su costo. Los proyectos se archivaban luego en los cuadernos de trabajo, mientras que las joyas se producían en el taller.

Alma comienza su carrera como diseñadora de joyas casi por casualidad: le gusta dibujar también en su tiempo libre y sus bocetos llaman la atención de su tío Albert, quien, impresionado por su belleza, decide fabricarlos. En 1912, la joven recibe su primer pedido: un cliente adinerado, el noruego Emanuel Nobel, jefe del imperio petrolero que lleva su mismo nombre, solicita una entrega rápida de 40 broches, para distribuirlos como obsequios a las esposas de los invitados en una cena. Para evitar ser acusado de corrupción, Nobel pide que las joyas sean fabricadas con material de bajo precio. Es el destino nuevamente el que determina la carrera de Alma. En el gélido invierno del norte, la escasa luz la obliga a dibujar cerca de una ventana: la inspiración para estos broches (y para gran parte de su trabajo posterior) llega de las diversas formas de los cristales de hielo que decoran las cristaleras. Estas joyas se hacen populares y se reproducen con materiales preciosos: oro, incrustado en una aleación de platino y plata, salpicado de diamantes de talla rosa. Posteriormente, el propio Emanuel Nobel encarga una serie completa con el mismo diseño de cristales de hielo para regalarlos a sus socios comerciales; además, solicita y obtiene los derechos exclusivos sobre el modelo. El éxito de este encargo hizo famosa a Alma, y en 1913 le encargaron diseñar los regalos para el tricentésimo aniversario de la dinastía Romanov: las joyas debían ser realizadas según los deseos del Zar, quien tenía intención de distribuirlas entre sus ilustres invitados.

Sorpresa en el Huevo de Hielo Nobel

Posteriormente, Alma colaboró en el diseño de los célebres huevos de Pascua que el joyero Fabergé creaba cada año en Pascua como regalo del Zar para la Zarina y la Emperatriz madre. Cada huevo debía tener el tamaño de un huevo de gallina y contener una sorpresa. El Zar mismo no conocía su aspecto ni su contenido, porque la tradición de Fabergé estipulaba que nadie, ni siquiera un cliente tan ilustre, estuviera informado sobre el resultado del trabajo hasta su realización. Aunque había obtenido la exclusividad, Emanuel Nobel, quien comprendía la importancia de este prestigioso encargo, permitió que la joven diseñadora utilizara el tema de los cristales de nieve: así nació el Huevo Invernal, el más valioso de la colección imperial. Alma eligió materiales preciosos que se adaptaban bien a su estilo sencillo y que reflejaban los fríos tonos del invierno: cristal de roca siberiano, ortoclasa y platino. El huevo, engastado con 1660 diamantes, se encuentra sobre un cubito de hielo derretido, esculpido en cristal de roca. La sorpresa se hallaba en su interior: sobre un fondo de musgo marrón, realizado en oro, se encuentra una canasta de platino que contiene anémonas con corolas de cuarzo blanco, con centros de granate rojo y hematita rosa, sobre tallos y hojas de nefrita verde.

Huevo invernal para la emperatriz viuda María Feodorovna, Pascua de 1913. Alma Pihl, diseñadora de Fabergé

En 1914, Alma recibe un nuevo encargo para un huevo de Pascua; esta vez la destinataria es la Zarina Alexandra Feodorovna, esposa de Nicolás II. La emperatriz es una apasionada bordadora, como la suegra de Alma, con quien la joven vivía desde 1912, cuando se casó con Nikolai Klee. Otra vez, es la vida cotidiana la que la inspira: una noche, después de la cena, mientras está sentada en el salón observando a su suegra bordar en punto de cruz, decide utilizar precisamente ese punto para su nuevo proyecto. El huevo se realiza siguiendo los valiosos consejos de su tío Albert, colocando con precisión esmeraldas, rubíes y hematitas de corte cuadrado en una red de platino. El marco es de oro y contiene perlas y diamantes de tallo rosa. En la parte superior se encuentra una piedra de luna, que lleva grabadas las iniciales de la Zarina. También la sorpresa de su interior ha sido ejecutada meticulosamente: un pequeño soporte decorado con perlas y diamantes lleva esmaltados, en un lado, las siluetas de los niños de la familia imperial y, en el otro sus nombres y un cesto de flores. La tradición continúa hasta la Revolución de Octubre y se producen un total de cincuenta huevos: el Zar encarga dos cada año, uno para su madre y otro para su esposa, Aleksandra. En general, Alma nunca pareció haber percibido su propia genialidad: en Fabergé se sentía cómoda, pero se consideraba solo un eslabón en una comunidad profesional de un centenar de personas, donde sobre todo los viejos maestros y otros expertos del sector eran apreciados, mientras que los más jóvenes, como ella, quedaban en un segundo plano.

Broche copo de nieve. Alma Pihl, diseñadora de Fabergé Broche del tricentenario Romanov, Alma Pihl, diseñadora de Fabergé

En 1918, la Revolución llevó al cierre definitivo del taller Fabergé y a la pérdida del empleo para muchas personas en diversos sectores. También el marido de Alma, Nikolai Klee, que trabajaba en San Petersburgo como subdirector en la oficina de ventas de la gran fábrica de papel finlandesa Kymiyhtiö, perdió su trabajo y, en 1919, la pareja intentó en vano salir de Rusia. Nikolai Klee fue arrestado y encarcelado durante tres meses, durante los cuales Alma tuvo que vender ropa, muebles y, por supuesto, joyas para sobrevivir. Finalmente, en la primavera de 1921, lograron llegar a Finlandia: la influencia del escritor Maksim Gorki fue determinante y les permitió obtener el pasaporte Nansen, un documento especial otorgado por la Sociedad de Naciones a personas refugiadas y apátridas. Los cónygues dejaron la estación Suomen de San Petersburgo con pocas pertenencias; Alma había cosido sus joyas más preciosas en el corsé, confiando en que los funcionarios de aduanas no la registraran, y llevaba una pulsera de oro, un valioso recuerdo de su padrino, que había recibido en su decimoquinto cumpleaños. En la frontera, los aduaneros intentaron quitársela, pero por suerte el cierre era defectuoso, por lo que logró mantenerla consigo. En la estación finlandesa de Kouvola, la pareja fue recibida por un coche de la fábrica Kymiyhtiö, que los llevó a Kuusankoski, a los alojamientos de la empresa, donde permanecieron durante dos años: en efecto, los refugiados procedentes de Rusia eran numerosos y había escasez de apartamentos. La empresa le ofreció a Nikolai un trabajo en el departamento de ventas y, gracias a su excelente conocimiento del alemán, el hombre comenzó a gestionar los contactos con Alemania.

En ese mismo período, con la llegada de otros ex colegas de San Petersburgo, se constituye una pequeña comunidad. Sin embargo, dado que Rusia es considerada un estado enemigo, nadie se atreve a hablar ruso en presencia de los finlandeses. Alma conoce el ruso, el alemán, el sueco y también el finlandés, aunque solo lo comparte con unos pocos íntimos. Entre ellos, Lydia Kataja, una lejana sobrina, que también se convierte en vecina cuando la pareja se muda a un apartamento en la zona residencial de Öljumäki. Alma nunca fue "un talento con ollas y sartenes en la cocina": Lydia se da cuenta pronto y empieza a ayudar a la familia Klee con las tareas domésticas. En 1927, Alma consigue el trabajo que deseaba en la escuela de lengua sueca de Kuusankoski y se convierte en profesora de dibujo y caligrafía. La naturaleza artística y las excelentes habilidades de Alma, una docente simpática y buena “que habla sueco con un ligero acento ruso”, son muy apreciadas por sus estudiantes. En su tiempo libre, participa en las actividades del club de la fábrica de papel, pintando elaborados fondos para las fiestas de disfraces y otros eventos que requieren escenografías. Curiosamente, durante sus veinticuatro años de enseñanza, nunca habla de su período en San Petersburgo ni de su prestigiosa carrera como diseñadora en Fabergé. En 1952, Alma y Nikolai se mudan de Kuusankoski, Helsinki, donde Nikolai muere en 1960. Rápidamente, la salud de Alma comienza a deteriorarse: en particular, su vista se va deteriorando hasta el punto de no permitirle escribir ni realizar trabajos manuales. Finalmente, a los 83 años, ingresa en el hospital de Helsinki; todavía lleva la pulsera de oro en la muñeca izquierda, ese mismo regalo de su tío que el aduanero ruso había intentado inútilmente quitarle en 1921. Dado que el reglamento del hospital no permite el uso de joyas, las enfermeras llaman al conserje, quien logra forzar el cierre defectuoso de la pulsera, y así Alma pierde también el último recuerdo de su juventud.

Alma Pihl muere a los 87 años en el verano de 1976 y es enterrada en el cementerio de Hietaniemi, en una tumba familiar. Hasta el final, Lydia, que se había convertido en una amiga fiel y vivía como hija adoptiva de la pareja desde los años cuarenta, permaneció cerca de ella. Justo antes de morir, Alma le contará su vida en Rusia. Alrededor de los ochenta, una ex alumna de Alma, Maj-Britt Paro, hizo pública esta historia a través de unos artículos de prensa. Posteriormente, Ulla Tillander-Godenhielm, biznieta de otro proveedor de la corte imperial rusa, el orfebre Alexander Tillander de San Petersburgo, se interesó por la carrera de Alma. La investigadora reconstruyó y relató la increíble historia de la creadora de Fabergé en un documental, contando también con el testimonio de Lydia. ¿Qué queda de esta talentosa mujer? Durante su breve carrera, antes de la Revolución rusa de 1917, Alma Pihl diseñó aproximadamente dos mil objetos de valor. En su período como docente, pintó muchos paneles didácticos para sus estudiantes, que hoy se conservan en el museo de la ciudad de Kouvola en Poikilo. También las niñas y los niños del siglo XXI de la Svenska Skolan, el instituto de lengua sueca de Kuusankoski, conocen bien a Alma Pihl: copias de sus dibujos están presentes en la escuela y, todos los años, en mayo, durante una caminata primaveral, realizan una visita a su antigua casa.

¿Dónde se encuentran hoy los productos más valiosos de su imaginación? A principios de los años 2000, durante una subhasta de arte internacional, un jeque de Qatar pagó casi diez millones de dólares por el Huevo Invernal, que desde entonces es propiedad de la Qatar Museum Authority. El huevo trabajado a punto de cruz, en cambio, forma parte de la colección de la corona de Inglaterra. Los bocetos de la producción de Albert Holmström (1909-1915) están recopilados en dos álbumes que incluyen también los proyectos de Alma y se encuentran actualmente en el número 14 de Grafton Street, una calle secundaria del barrio de Mayfair en Londres, en la pequeña tienda Wartski, que también posee la colección más importante de objetos Fabergé, reunidos durante generaciones por esta familia de refugiados rusos... pero esa es otra historia.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Alma Phil, one of the most creative designers at the famous Fabergé workshop, was born in Moscow, Russia on November 15, 1888. Her father, Knut Oscar Pihl, who had arrived as a young child from Finland to St. Petersburg to work in watchmaking, had instead become a goldsmith with the Finnish master August Holmström, right in Fabergé's workshop. Years later, Knut Oscar became head of this prestigious atelier and married Holmström's daughter, Fanny. Encouraged by the family background, two of their five children, Oskar and Alma, would in turn become goldsmiths. Alma, in particular, would be a pioneering figure in a field where women were not usually employed. When her father's untimely death forced the family to return to her maternal grandparents in St. Petersburg, Alma entered the workshop of her uncle, Albert Holmström. She was 20 years old and had already distinguished herself as an apprentice, studying under Swedish goldsmith Eugen Jakobson. His work was to design life-size jewelry in minute detail, documenting the gemstones and other materials used and noting the cost. The designs were then filed in workbooks, while the jewelry was produced in the workshop.

Alma began her career as a jewelry designer almost by accident. She enjoyed designing, even in her spare time, and her work caught the eye of her uncle Albert, who was so struck by their beauty that he decided to make them. In 1912 the young woman received her first order - a wealthy client, the Norwegian Emanuel Nobel, head of the oil empire that bears his own name, requested a very quick delivery of 40 brooches, to be distributed as gifts to the wives of guests at a dinner party. In order not to be accused of bribery, Nobel asks that the jewelry be made from low-cost materials. It was still chance that decided Alma's career. In the frigid northern winter, the low light forced her to design by a window, and the inspiration for these brooches (and much of her subsequent design work) came from the variegated shapes of ice crystals that decorated the glass. This jewelry became popular and was reproduced with precious materials - gold, set in a platinum-silver alloy, dotted with rose-cut diamonds. Later, Emanuel Nobel himself ordered a whole series with the same ice crystal motif to give as gifts to his business associates. He also asked for and obtained exclusive rights to the pattern. The success of this order made Alma famous, and in 1913 she was commissioned to design the gifts for the Romanov dynasty's 300th anniversary. The jewelry was to be made according to the wishes of the Tsar, who intended to distribute them to his distinguished guests.

Surprise inside the Nobel Ice Egg

Alma later collaborated in designing the famous surprise eggs, which the jeweler Fabergé created every year at Easter as a gift from the Tsar for the Tsarina and the Empress Mother. Each egg had to be the size of a chicken egg and contain a surprise. The Tsar himself did not know what it looked like or what it contained, because Fabergé's tradition was that no one, not even such an illustrious patron, should be informed of the result of the work until it was done. Although he had obtained the exclusive, Emanuel Nobel, who understood the importance of this prestigious order, allowed the young designer to use the theme of snow crystals. Thus was born the Winter Egg, the most precious in the imperial collection. Alma chose precious materials that fit well with her essential style and reflected the cold tones of winter: Siberian rock crystal, orthoclase, and platinum. The egg, set with 1,660 diamonds, was placed on top of a melted ice cube carved from rock crystal. Inside was the surprise - lying on a background of brown moss, made of gold, is a platinum basket, containing anemones with white quartz corollas, with red garnet and pink hematoid quartz centers on stems and leaves of green nephrite.

Winter Egg for Dowager Empress Maria Feodorovna, Easter 1913. Alma Pihl, designer for Fabergé

In 1914 Alma received another order for an Easter egg. This time the recipient was to be Tsarina Alexandra Feodorovna, wife of Nicholas II. The empress was an avid embroiderer, as was Alma's mother-in-law, with whom the young woman had been living since 1912, when she married Nikolai Klee. It was still everyday life that inspired her - one evening after dinner, as she sat in the living room watching her mother-in-law embroider in cross-stitch, she suddenly decided to use that very stitch for her new project. The egg was made following Uncle Albert's valuable advice by precisely placing carré-cut emeralds, rubies and hematoid quartz gems in a platinum mesh. The frame is gold and contains rose-cut pearls and diamonds. On the top is a moonstone, which bears the initials of the Tsarina engraved on it. The surprise inside was also meticulously executed. A small stand decorated with pearls and diamonds bears, enameled on one side, the silhouettes of the children of the imperial family, on the other their names and a basket of flowers. The tradition continued until the October Revolution, and a total of fifty eggs were produced. The tsar ordered two each year, one for his mother and one for his wife, Aleksandra. On the whole, Alma never seemed to perceive her own genius. At Fabergé she had felt comfortable, but she considered herself only a link in a professional community of a hundred or so people, where mostly the old masters and other experts in the field were appreciated while younger people, like her, remained in the background.

Snowflake brooch. Alma Pihl, designer for Fabergé Romanov Tercentenary brooch, Alma Pihl, designer for Fabergé

In 1918 the Revolution led to the final closure of the Fabergé workshop and the loss of employment for many people in different fields. Alma's husband, Nikolai Klee, who worked in St. Petersburg as an assistant manager in the sales office of the large Finnish paper mill Kymiyhtiö, also lost his job, and in 1919 the couple tried in vain to leave Russia. Nikolai Klee was arrested and imprisoned for three months, during which time Alma had to sell clothes, furniture, and, of course, jewelry to make ends meet. Finally, in the spring of 1921, they managed to reach Finland. The influence of the writer Maxim Gorky was decisive and enabled them to obtain a Nansen passport, a special document issued by the League of Nations to stateless refugees and refugees.The couple left Suomen Station in St. Petersburg with few belongings. Alma had sewn her most precious jewelry into her corset, trusting that customs officials will not search her, and she was wearing a gold bracelet, a treasured memento of her godfather, received for her 15th birthday. At the border the customs officers wanted to take it from her, but fortunately the clasp was defective and so she managed to keep it with her. At the Finnish station in Kouvola the couple was met by a car from the Kymiyhtiö paper mill, which took them to Kuusankoski, to the company's lodgings, where they stay for a full two years, for there are many refugees from Russia and a shortage of apartments. The company offered Nikolai a job in the sales department, and with his excellent knowledge of German, the man began to handle contacts with Germany.

At the same time, with the arrival of other former colleagues from St. Petersburg, a small community was formed. However, since Russia was considered an enemy state, no one dared to speak Russian in the presence of Finns. Alma knew both Russian, German and Swedish, as well as Finnish, which, however, she shared with only a few intimates. These included Lydia Kataja, a distant niece, who also became a neighbor when the couple moved into an apartment in the residential area of Öljumäki. Alma had never been "a talent with pots and pans in the kitchen"-Lydia soon noticed this and began to help the Klee family with household chores. In 1927 Alma got the job she wanted at the Swedish language school in Kuusankoski and became a teacher of drawing and calligraphy. The artistic nature and excellent skills of Tant (Aunt) Alma, a nice and good teacher "who speaks Swedish with a slight Russian accent," were greatly appreciated by those who studied with her. In her spare time she participated in the activities of the paper mill club, painting elaborate backdrops for masquerade parties and other events that require stage sets. Curiously, during her twenty-four years of teaching, she never mentioned her time in St. Petersburg or her prestigious design work at Fabergé. In 1952 Alma and Nikolai moved from Kuusankoski to Helsinki, where Nikolai died in 1960. Quickly Alma's health also began to falter. In particular it was her eyesight that deteriorated so that she was unable to write or work with her hands. Finally, at the age of 83 she was admitted to Helsinki Hospital. She still wore the gold bracelet on her left wrist, that same gift from her uncle that the Russian customs officer had unsuccessfully tried to remove from her in 1921. Since the rule in the hospital did not allow jewelry to be worn, the nurses called the janitor, who succeeded in forcing the defective clasp on the bracelet, and so Alma lost the last memory of her youth.

Alma Pihl died at the age of 87 in the summer of 1976 and was buried in Hietaniemi Cemetery in a family plot. Until the last she was left with Lydia, who had become a trusted friend and had lived as the couple's adopted daughter since the 1940s. It was to her, shortly before her death, that Alma told about her life in Russia. Around the 1980s a former student of Alma's, Maj-Britt Paro, made this story public through newspaper articles. Later Ulla Tillander-Godenhielm, great-granddaughter of another purveyor to the Russian imperial court, St. Petersburg goldsmith Alexander Tillander, became interested in Alma's career. The scholar has reconstructed and recounted the incredible story of the Fabergé maker in a documentary, also making use of Lydia's testimony. What remains of this talented woman? During her short career before the Russian Revolution of 1917, Alma Pihl designed about two thousand valuable objects. In her teaching period, however, she painted many educational panels for her schoolchildren, now preserved in the Kouvola City Museum in Poikilo. Twenty-first-century girls and boys from Svenska Skolan, the Swedish-language institute in Kuusankoski, also know Alma Phil well - copies of her drawings are in the school, and every year in May, during a spring walk, the young students visit her old home.

Where are the most precious products of her imagination today? In the early 2000s, during an international art auction, a Qatari sheikh paid nearly ten million dollars for the Winter Egg, which has since been owned by the Qatar Museum Authority. The cross-stitched egg, on the other hand, is part of the Crown of England's collection. The sketches of Albert Holmström's production (1909-1915) are collected in two albums that also include Alma's designs and can currently be found at number 14 Grafton Street, a side street in London's Mayfair district, in the small Wartski store, which also has the most important collection of Fabergé objects, collected for generations by this Russian refugee family... but that is another story.

 

Jessie Marion King
Sara Balzerano

Carola Pignati

 

Le fate esistono. E chi non ci crede, chi pensa che queste creature magiche non siano reali, può tranquillamente interrompere qui la lettura e non proseguire oltre. Perché se c’è una costante, una matrice che sempre ha regolato l’arte e lo spirito di Jessie Marion King, questa è proprio l’incanto pescato e attinto dal “piccolo popolo”. Con esso ha dato materia all’invisibile, dipinto e cucito sogni fatti a mano e traghettato nella realtà l’onirico e il fiabesco.

E non è un caso, no.

Jessie Marion King alle fate credeva davvero, tanto da poter comunicare con loro. Si dice che avesse la seconda vista, che potesse vederle. Lei stessa racconta di averne sentito il tocco, quando, da adolescente, un pomeriggio si era addormentata sulle colline di Argyll. Una chiamata, forse. Un incarico o una presa di responsabilità. Fatto è che, in ogni opera che ha creato, si scorge, netto ed evanescente, il sospiro del Sidhe. E se si pensa al numero enorme di suoi lavori, dalle illustrazioni dei libri per l’infanzia agli ex libris, dai biglietti d'auguri a costumi, tessuti, gioielli, murales e ceramiche, si può affermare, con la certezza propria delle fiabe, che ella ha rappresentato il punto di incontro tra i due mondi, un solstizio fatto di arte, tradizione e contaminazione, dove ogni tratto, pensato e realizzato, nasce dal talento, dallo studio e dalla fede.

Ultima di quattro sorelle, King nacque nella parrocchia di New Kilpatrick, a Bearsden, sobborgo di Glasgow, nel Dunbartonshire, il 20 marzo 1875. Suo padre, James Waters King, era un ministro della Chiesa di Scozia; sua madre, Mary Anne Anderson, una donna profondamente religiosa, rigida nei comportamenti e nella mentalità, tanto che la figlia era costretta a nasconderle i propri disegni per evitare che lei glieli strappasse. Ciò che Jessie non ebbe dalla madre, lo ricevette dalla governante, che l’ha cresciuta e incoraggiata nel perseguire quella che, fin dall’infanzia, appariva come un’innata capacità. E chissà che la donna, per intrattenere la piccola, non le abbia raccontato storie e leggende della tradizione delle Highlands. Come figlia di un uomo di Chiesa, ricevette l’istruzione tipica delle classi alte, senza, però, avere le medesime opportunità che la ricchezza dava, senza alcun merito, all’aristocrazia. Dovette, dunque, tracciare da sé la propria strada. Una strada che iniziò al Queen Margaret College di Glasgow per formarsi come docente d’arte.

King, però, non voleva insegnare arte. Voleva farla. Voleva crearla. E fu per questo che decise, contro il parere dell’intera famiglia questa volta, di inscriversi alla Glasgow School of Art, la migliore istituzione artistica di tutta la Gran Bretagna, diretta, a quel tempo, da Francis Newbery. Newbery, che pure non andò mai troppo d’accordo con Jessie, aveva una mente aperta all’innovazione e al cambiamento. E, cosa forse strana per un uomo dell’epoca vittoriana, credeva molto nelle donne e nel loro lavoro, tanto da impiegare diverse insegnanti, tra cui sua moglie Jessie Newbery, proprio nei corsi dell’istituto. I docenti e le docenti erano più artisti praticanti che maestri d’arte certificati. Fondò un club artistico che permetteva agli/alle studenti di uscire dal corso della scuola d'arte nazionale. La sua idea era quella di garantire una formazione nelle tecniche proprie della tradizione, così da far sviluppare, per ciascun individuo, un talento che fosse unico e completo. Ed è proprio nello studio di queste tecniche artigianali che King si è impegnata all’inizio della sua esperienza nella scuola, in particolare nella decorazione e rilegatura dei libri, senza avere, però, particolare successo. Fu solo quando cominciò a dedicarsi all’illustrazione, sperimentando e affinando la linea e il tratto, che il suo talento esplose, grazie a una tecnica fatta di bidimensionalità, linea flessuosa, forma elegante e dettagliata.

Nel 1898 partecipò all’annuale concorso di South Kensington, assicurandosi la medaglia d’argento. Era, questa, una finestra sul mondo artistico europeo di grande importanza e, infatti, fu da qui che si spalancarono per lei le porte del panorama artistico internazionale. Iniziò a ricevere commissioni dalla casa editrice berlinese Globus Verlag, per poi partecipare, a Torino, nell’aprile del 1902, alla Prima esposizione internazionale d'arte decorativa moderna con due opere nella sezione della Glasgow School: un paravento progettato da George Logan e impreziosito dai suoi disegni e la rilegatura di un libro realizzata in oro su pergamena bianca, L’Evangile de l’Enfance, che le farà vincere il primo premio. A partire da questo momento, le commissioni come illustratrice si susseguirono in maniera impressionante. Tra tutte forse la più importante fu quella di La difesa di Ginevra e altri poemi, una raccolta di poesie di William Morris, pubblicata per la prima volta nel 1858. In essa, King si ispirò soprattutto all’artista Aubrey Vincent Beardsley che tanto aveva attinto dallo stile giapponese. Ma, soprattutto, inserì tutto ciò che era e in cui credeva: le leggende medievali, la tradizione folkloristica, il mito e i racconti del ciclo bretone. Le immagini, perfettamente dettagliate, sono inserite in intricate decorazioni naturalistiche, con rose, uccelli, foglie, stelle e petali. Gli stessi fili di rose e di stelle, di rondini in picchiata e di gigli delicati compongono le cornici delle pagine. Jessie King si è occupata anche della rilegatura — in tela rosso scuro con, sul piatto anteriore, la figura di una Ginevra in oro con le braccia tese dentro un'aureola di stelle — e del littering, attingendo allo stile di Jessie Rowat Newbery proveniente dalle iscrizioni delle lapidi del XVII secolo.

Chiamata a insegnare alla Glasgow School of Art nel dipartimento della decorazione del libro conobbe il suo futuro marito, il pittore e designer Earnest Archibald Taylor. I due si sposarono nel 1908, si trasferirono a Stanford — dove nacque la figlia Merle— ma nel 1910 decisero di spostarsi a Parigi. Qui, con l’intenzione di fermarsi definitivamente, fondarono a Montmartre lo Sheiling Atelier, una scuola di arti decorative. Nella capitale francese, Jessie Marion King subì un cambiamento decisivo: ispirata dall’artista russo Léon Bakst, introdusse per la prima volta il colore nelle proprie illustrazioni. Una svolta importantissima, visibile in tutta la sua bellezza, nel lavoro fatto su La casa dei melograni, una raccolta di racconti dello scrittore Oscar Wilde, ripubblicata in questa nuova veste nel 1915. Nonostante l’idea iniziale, allo scoppio della Prima guerra mondiale, King e Taylor decisero di tornarsene in Scozia. Si stabilirono a Kirkcudbright, un piccolo villaggio di pescatori che il pittore E. A. Hornel aveva trasformato in comunità di artisti. Qui, Jessie iniziò a dedicarsi alla decorazione della ceramica, al disegno di gioielli per l'azienda londinese Liberty, alla stampa di tessuti, alla realizzazione di abiti e di murales, dando vita a quel profilo di artista assoluta che oggi il mondo conosce. Risale a questo periodo Come Cenerentola riuscì ad andare al ballo, un piccolo libro sul batik, una tecnica indonesiana di tintura del tessuto, composto da accurate spiegazioni e attente illustrazioni. Cenerentola, finalmente, senza aspettare nessuna madrina, fatina o aiuto da chicchessia, senza compromessi o ricatti, utilizza il batik per farsi da sola il proprio vestito e andare al ballo. Quasi a dire che l’arte e la conoscenza sono gli strumenti attraverso i quali le donne possono finalmente acquisire l’indipendenza e il controllo sulla propria vita.

Jessie Marion King morì a Kirkcudbright il 3 agosto del 1949. Fu una donna libera e sognatrice; un’artista completa e visionaria. Aveva un grande acume e una pura abilità nel disegno che le hanno permesso di spaziare nella tecnica e nel materiale senza mai inficiare, però, le qualità altissime dei suoi lavori. Divenne internazionale, non soltanto perché durante la sua esistenza ricevette commissioni da tutto il mondo che le permisero di esibire le sue opere in Europa, in America e in India. Fu internazionale soprattutto perché ebbe la profonda capacità e intelligenza di attingere ispirazione da innumerevoli luoghi e tradizioni: dalla Scozia alla Russia; dal Giappone all’Italia, da Léon Bakst a Sandro Botticelli. Illustrò il magico e l’onirico. E dimostrò, infine, che le fate esistono davvero.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

Les fées existent. Et ceux qui n’y croient pas, ceux qui pensent que ces créatures magiques ne sont pas réelles, peuvent tranquillement arrêter ici leur lecture et ne pas aller plus loin. Car s’il y a une constante, une matrice qui a toujours guidé l’art et l’esprit de Jessie Marion King, c’est bien l’enchantement puisé et inspiré par le “petit peuple”. Avec lui, elle a donné forme à l’invisible, peint et cousu des rêves faits main, et transporté dans la réalité l’onirique et le féerique.

Et ce n’était pas un hasard, non.

Jessie Marion King croyait réellement aux fées, au point de pouvoir communiquer avec elles. On disait qu’elle possédait la seconde vue, qu’elle pouvait les voir. Elle-même racontait qu’elle avait senti leur contact, lorsqu’un après-midi, adolescente, elle s’était endormie sur les collines d’Argyll. Un appel, peut-être. Une mission ou une prise de responsabilité. Toujours est-il que, dans chaque œuvre qu’elle a créée, on perçoit, nette et évanescente, la respiration du Sidhe. Et si l’on pense au nombre impressionnant de ses travails, des illustrations pour livres d’enfance aux ex-libris, des cartes de vœux aux costumes, tissus, bijoux, fresques et céramiques, on peut affirmer, avec la certitude propre aux contes de fées, qu’elle a représenté le point de rencontre entre deux mondes: un solstice fait d’art, de tradition et de métissage, où chaque trait, pensé et réalisé, naît du talent, de l’étude et de la foi.

Dernière de quatre sœurs, King est née dans la paroisse de New Kilpatrick, à Bearsden, banlieue de Glasgow, dans le Dunbartonshire, le 20 mars 1875. Son père, James Waters King, était ministre de l’Église d’Écosse; sa mère, Mary Anne Anderson, une femme profondément religieuse, rigide dans ses comportements et sa mentalité, au point que sa fille devait cacher ses dessins pour éviter qu’elle ne les déchire. Ce que Jessie ne recevait pas de sa mère, elle l’a trouvé chez sa gouvernante, qui l’a élevée et encouragée à poursuivre ce qui, dès l’enfance, apparaissait comme un don inné. Et qui sait si cette femme, pour divertir la petite, ne lui avait pas raconté des histoires et légendes de la tradition des Highlands. Fille d’un homme d’Église, elle a reçu une éducation typique des classes sociales élevées, sans cependant bénéficier des mêmes opportunités que la richesse offrait, sans mérite, à l’aristocratie. Elle a donc dû tracer elle-même son propre chemin.Un chemin qui a commencé au Queen Margaret College de Glasgow, où elle a étudié pour devenir enseignante d’art.

Mais King ne voulait pas enseigner l’art. Elle voulait la faire. Elle voulait la créer. Et c’est pour cette raison qu’elle a décidé, cette fois contre l’avis de toute sa famille, de s’inscrire à la Glasgow School of Art, la meilleure institution artistique de toute la Grande-Bretagne, dirigée à l’époque par Francis Newbery. Newbery, bien qu’il n’ait jamais vraiment bien accordé avec Jessie, avait un esprit ouvert à l’innovation et au changement. Et, chose peut-être étrange pour un homme de l’époque victorienne, il croyait profondément aux femmes et à leur travail, au point d’engager plusieurs enseignantes, dont sa femme Jessie Newbery, dans les cours de l’institut. Les enseignants étaient davantage des artistes pratiquants que des professeurs certifiés. Il a fondé un club artistique qui permettait aux étudiants de sortir du cursus national de l’école. Son idée était de garantir une formation dans les techniques traditionnelles, afin de développer chez chaque individu un talent unique et complet. Et c’est justement dans l’étude de ces techniques artisanales que King s’est investie au début de son parcours à l’école, en particulier dans la décoration et la reliure de livres, sans toutefois obtenir un succès particulier. Ce n’est qu’en se consacrant à l’illustration, en expérimentant et en affinant sa ligne et son trait, que son talent a véritablement explosé, grâce à une technique faite de bidimensionnalité, de lignes souples, de formes élégantes et détaillées.

En 1898, elle a participé au concours annuel de South Kensington, où elle a remporté la médaille d’argent. Ce concours représentait une vitrine importante sur le monde artistique européen. Et en effet, c’est à partir de ce moment que les portes du panorama artistique international se sont ouvertes pour elle. Elle a commencé à recevoir des commandes de la maison d’édition berlinoise Globus Verlag, puis elle a participé, à Turin en avril 1902, à la Première Exposition Internationale d’Art Décoratif Moderne avec deux œuvres dans la section de la Glasgow School: un paravent conçu par George Logan et enrichi de ses dessins, et la reliure d’un livre réalisée en or sur parchemin blanc, L’Évangile de l’Enfance, qui lui a valu le premier prix. À partir de ce moment, les commandes d’illustrations se sont succédées de façon impressionnante. Parmi toutes, peut-être la plus importante fut celle pour La Défense de Guenièvre et autres poèmes, un recueil de poèmes de William Morris publié pour la première fois en 1858. Dans ce projet, King s’est inspirée principalement de l’artiste Aubrey Vincent Beardsley, qui avait lui-même beaucoup emprunté au style japonais. Mais surtout, elle a intégré tout ce qu’elle était et en quoi elle croyait : les légendes médiévales, la tradition folklorique, le mythe et les récits du cycle breton. Les images, finement détaillées, s’insèrent dans des décorations naturalistes complexes, avec des roses, des oiseaux, des feuilles, des étoiles et des pétales. Les mêmes fils de roses et d’étoiles, d’hirondelles plongeantes et de lys délicats forment les cadres des pages. Jessie King a également conçu la reliure — en toile rouge foncé, avec sur la couverture l’image dorée d’une Guenièvre aux bras tendus dans une auréole d’étoiles — ainsi que le lettrage, s’inspirant du style de Jessie Rowat Newbery, issu des inscriptions des pierres tombales du XVIIe siècle.

Appelée à enseigner à la Glasgow School of Art dans le département de décoration du livre, elle a rencontré son futur mari, le peintre et designer Earnest Archibald Taylor. Ils se sont mariés en 1908, se sont installés à Stanford, où leur fille Merle est née, mais en 1910 ils ont décidé de partir à Paris. Là, avec l’intention de s’y établir définitivement, ils ont fondé à Montmartre le Sheiling Atelier, une école d’arts décoratifs. Dans la capitale française, Jessie Marion King a connu une transformation décisive : inspirée par l’artiste russe Léon Bakst, elle a introduit pour la première fois la couleur dans ses illustrations. Un tournant majeur, visible dans toute sa splendeur dans son travail sur La maison des grenades, un recueil de nouvelles de Oscar Wilde, réédité dans cette nouvelle version en 1915. Malgré leur projet initial, à l’éclatement de la Première Guerre mondiale, King et Taylor ont décidé de retourner en Écosse. Ils se sont installés à Kirkcudbright, un petit village de pêcheurs que le peintre E. A. Hornel avait transformé en communauté artistique. Là, Jessie a commencé à se consacrer à la décoration de céramique, à la conception de bijoux pour la maison Liberty à Londres, à l’impression de tissus, à la création de vêtements et de fresques, donnant naissance à ce profil d’artiste totale que le monde connaît aujourd’hui. C’est de cette époque que date Comment Cendrillon est allée au bal, un petit livre sur le batik, une technique indonésienne de teinture textile, composé d’explications précises et d’illustrations soignées. Cendrillon, enfin, sans attendre de marraine, de fée ou d’aide quelconque, sans compromis ni chantage, utilise le batik pour se confectionner elle-même sa robe et aller au bal. Comme pour dire que l’art et la connaissance sont les outils à travers lesquels les femmes peuvent enfin acquérir leur indépendance et le contrôle de leur vie.

Jessie Marion King est morte à Kirkcudbright le 3 août 1949. Elle fut une femme libre et rêveuse ; une artiste complète et visionnaire. Elle possédait une grande perspicacité et une pure habileté dans le dessin qui lui ont permis d’explorer les techniques et les matériaux sans jamais compromettre la qualité exceptionnelle de ses œuvres. Elle est devenue une figure internationale, non seulement parce qu’elle a reçu, au cours de sa vie, des commandes du monde entier, lui permettant d’exposer en Europe, en Amérique et en Inde, mais surtout parce qu’elle avait cette capacité et cette intelligence profondes de puiser son inspiration dans d’innombrables lieux et traditions : de l’Écosse à la Russie, du Japon à l’Italie, de Léon Bakst à Sandro Botticelli. Elle a illustré le magique et l’onirique. Et elle a prouvé, enfin, que les fées existent vraiment.


Traduzione spagnola

Graziana Santoro

Las hadas existen. Quien crea que estas criaturas mágicas no son reales puede, sin pensárselo, dejar de leer y no continuar más allá. Y esto porque, si hay una constante, una matriz que siempre ha regulado el arte y el espíritu de Jessie Marion King, se encuentra exactamente en el encanto sacado y extraído del "pequeño pueblo’’. Fue capaz de dar luz lo invisible, y de pintar y coser a mano los sueños, de trasladar lo onírico y el cuento a la realidad.

Y no era una casualidad, no.

Jesse Marion King creía con toda su alma en las hadas, y por eso era capaz de comunicar con ellas. Se rumorea que ella tenía la segunda visión, que le permitía verlas. Ella misma decía haber sentido su toque cuando era joven, una tarde durante la cual se hallaba sobre las colinas de Argyll y se quedó dormida. Una llamada, tal vez. Un encargo o una toma de responsabilidad. Lo cierto es que, en cada una de sus obras, se vislumbra, nítido y evanescente, el suspiro del Sidhe. Si se considera el enorme número de sus trabajos, desde las ilustraciones de libros para la infancia hasta los ex libri, pasando por las tarjetas de felicitación, los disfraces, tejidos, joyas, murales y cerámicas, se puede afirmar, con la certeza propia de los cuentos de hadas, que ella representó el punto de encuentro entre dos mundos. Un solsticio hecho de arte, tradición y contaminación, donde cada trazo, pensado y realizado, nace del talento, del estudio y de la fe.

Última de cuatro hermanas, King nació el 20 de marzo del 1875, en la parroquia de New Kilpatrick, en Bearsden, una zona residencial en Glasgow, que se halla en Dunbartonshire. Su padre, James Waters King, era ministro de la iglesia escocesa; su madre, Mary Anne Anderson, era una mujer profundamente religiosa, con rigidez en la conducta y mentalidad, lo que obligó a su hija a esconderle sus dibujos para evitar que se los rompiera. Lo que su madre no fue capaz de darle, se lo dio la gobernanta, quien la crió y la alentó a perseguir lo que, desde su niñez, parecía ser una capacidad innata. Ojalá que aquella mujer, con el fin de entretener a la niña, no le hubiese contado historias y leyendas de la tradición de las Tierras Altas. Como hija de un hombre de la Iglesia, recibió la típica instrucción de la clase alta, sin acceso a las mismas oportunidades que la riqueza aseguraba, sin merito, a la aristocracia. Tuvo que encontrar sola su camino. Camino que empezó al Queen Margaret College de Glasgow para formarse como profesora de arte.

Sin embargo, King no quería enseñar arte. Quería realizarlo. Quería crearlo. Por esto decidió, contra la opinión de toda la familia esta vez, matricularse a la Glasgow School of Art, la mejor institución artística de toda Gran Bretaña, dirigida, en aquel momento, por Francis Newbery. Newbery, que nunca se llevó demasiado bien con Jessie, tenía una mente abierta a la innovación y al cambio. Algo quizás extraño para un hombre de la época victoriana, creía mucho en las mujeres y en su labor, tanto que empleó a varias profesoras, incluida su esposa Jessie Newbery, en los cursos del instituto. Los profesores y las profesoras eran más artistas practicantes que maestros de arte certificados. Fundó un club artístico que permitía a los/las estudiantes formarse en el curso de la escuela de arte nacional. Su idea era garantizar una formación en las técnicas propias de la tradición, para que cada individuo desarrollara un talento único y completo. King se comprometió precisamente en el estudio de estas técnicas artesanales al inicio de su experiencia en la escuela, en particular en la decoración y encuadernación de libros, pero sin tener mucho éxito. Su talento explotó solo cuando comenzó a dedicarse a la ilustración, experimentando y perfeccionando la línea y el trazo, gracias a una técnica hecha de bidimensionalidad, línea sinuosa, forma elegante y detallada.

En 1898 participó en el concurso anual de South Kensington, asegurándose la medalla de plata. Esta era una ventana que le permitía asomarse al mundo artístico europeo de gran importancia y, de hecho, a partir de entonces se le abrieron las puertas del panorama artístico internacional. Comenzó a recibir encargos de la editorial berlinesa Globus Verlag, para luego participar a la Primera exposición internacional de arte decorativo moderno en Turín, en abril de 1902, con dos obras en la sección de la Glasgow School: un biombo diseñado por George Logan y embellecido con sus dibujos, y la encuadernación de un libro realizada en oro sobre pergamino blanco, L’Evangile de l’Enfance, que le hará ganar el primer premio. A partir de este momento, los encargos como ilustradora se repitieron de una manera impresionante. Entre todas, quizás la más importante fue la de La defensa de Ginebra y otros poemas, una colección de poesías de William Morris, publicada por primera vez en 1858. Para esta, King se inspiró sobre todo en la artista Aubrey Vincent Beardsley, quien había tomado mucho del estilo japonés. Pero, sobre todo, incluyó todo lo que era y en lo que confiaba: las leyendas medievales, la tradición folclórica, el mito y los relatos del ciclo bretón. Las imágenes, perfectamente detalladas, están insertadas en intrincadas decoraciones naturalistas con rosas, pájaros, hojas, estrellas y pétalos. Los mismos hilos de rosas y estrellas, de golondrinas en picada y de lirios delicados componen los marcos de las páginas. Jessie King también se encargó de la encuadernación –en tela rojo oscuro con la figura de una Ginebra en oro, en la portada, con los brazos extendidos dentro de un halo de estrellas– y del littering, basándose en el estilo de Jessie Rowat Newbery proveniente de las inscripciones de las lápidas del siglo XVII.

Convocada a enseñar en la Glasgow School of Art en el departamento de decoración de libros, conoció a su futuro esposo, el pintor y diseñador Earnest Archibald Taylor. Los dos se casaron en 1908, se trasladaron a Stanford –en donde nació su hija Merle– pero en 1910 decidieron mudarse a París. Allí, con la intención de quedarse definitivamente, fundaron en Montmartre la Sheiling Atelier, una escuela de artes decorativas. En la capital francesa, Jessie Marion King experimentó un cambio decisivo: inspirada por el artista ruso Léon Bakst, introdujo por primera vez el color en sus ilustraciones. Fue un avance significativo, visible en toda su belleza, en el trabajo realizado sobre La casa de los granados, una colección de cuentos del escritor Oscar Wilde, republicada en esta nueva versión en 1915.A pesar de la idea inicial, al estallar de la Primera Guerra Mundial, King y Taylor decidieron regresar a Escocia. Se establecieron en Kirkcudbright, un pequeño pueblo de pescadores que el pintor E. A. Hornel había transformado en una comunidad de artistas. Allí, Jessie empezó a dedicarse a la decoración de la cerámica, al diseño de joyas para la empresa londinense Liberty, a la impresión de tejidos, a la realización de ropa y murales, dando vida a ese perfil de artista absoluta que todo el mundo hoy conoce. Se remonta a ese período Cómo Cenicienta logró irse al baile, un pequeño libro sobre el batik, una técnica indonesia de teñido de telas, compuesto por explicaciones precisas e ilustraciones cuidadosas. Cenicienta, finalmente, sin esperar a ninguna madrina, hada o ayuda de quien sea, sin compromisos ni chantajes, utiliza el batik para hacerse su propio vestido e irse al baile; como si quisiera decir que el arte y el conocimiento son las herramientas a través de las cuales las mujeres pueden finalmente adquirir la independencia y el control sobre sus propias vidas.

Jessie Marion King murió en Kirkcudbright el 3 de agosto de 1949. Fue una mujer libre y soñadora; una artista completa y visionaria. Tenía una gran agudeza y una habilidad pura en el dibujo, estas le permitieron abarcar diversas técnicas y materiales sin comprometer nunca la altísima calidad de sus obras. Ella devino ‘mundial’, no solo porque durante su vida recibió encargos de todo el mundo que le permitieron exhibir sus obras en Europa, América e India. Fue ‘mundial’ sobre todo porque tuvo la profunda capacidad e inteligencia de tomar inspiración de innumerables lugares y tradiciones: desde Escocia hasta Rusia; desde Japón hasta Italia, de Léon Bakst a Sandro Botticelli. Ilustró lo mágico y lo onírico. Y por fin, demostró que las hadas existen de verdad.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Fairies exist. And those who do not believe it, those who think that these magical creatures are not real, can safely stop reading here and go no further. For if there is a constant, a matrix that has always governed Jessie Marion King's art and spirit, it is precisely the enchantment fished out and drawn from the “little people.” With it she has given substance to the invisible, painted and sewn handmade dreams and ferried the dreamlike and the fairy-tale into reality.

And this is no accident, no.

Jessie Marion King really believed in fairies, so much so that she could communicate with them. It is said that she had second sight, that she could see them. She herself says she felt their touch when, as a teenager, she had fallen asleep one afternoon in the hills of Argyll. A calling, perhaps. An assignment or a taking on of responsibility. The fact is that, in every work she created, one glimpses, sharp and evanescent, the sigh of the Sidhe. And if one thinks of the enormous number of her works, from children's book illustrations to ex libris, from greeting cards to costumes, textiles, jewelry, murals and ceramics, one can say, with the certainty proper to fairy tales, that she represented the meeting point between the two worlds, a solstice made of art, tradition and contemplation, where every stroke, thought out and made, was born of talent, study and faith.

The last of four sisters, King was born in the parish of New Kilpatrick, in Bearsden, a suburb of Glasgow, Dunbartonshire (Scotland), on March 20, 1875. Her father, James Waters King, was a Church of Scotland minister. Her mother, Mary Anne Anderson, was a deeply religious woman, rigid in behavior and mentality, so much so that her daughter was forced to hide her drawings from her lest she snatch them away. What Jessie did not get from her mother, she received from the family housekeeper, who raised her and encouraged her to pursue what, from childhood, appeared to be an innate ability. And who knows whether the woman, to entertain the little girl, told her stories and legends of Highland lore. As the daughter of a clergyman, she received the education typical of the upper classes, without, however, having the same opportunities that wealth gave, without merit, to the aristocracy. She had, therefore, to chart her own path. A path she began at Queen Margaret College in Glasgow to train as an art lecturer.

King, however, did not want to teach art. She wanted to make it. She wanted to create it. And that was why she decided, against the advice of her entire family this time, to enroll in the Glasgow School of Art, the finest art institution in all of Britain, directed, at that time, by Francis Newbery. Newbery, who also never got along too well with Jessie, had an open mind to innovation and change. And, perhaps oddly for a man of the Victorian era, he believed so much in women and their work that he employed several teachers, including his wife Jessie Newbery, in the courses at the institute. The lecturers and teachers were more practicing artists than certified art masters. He founded an art club that allowed students to get out of the national art school class. His idea was to ensure training in the techniques proper to the tradition, so that each individual would develop a talent that was unique and complete. And it was in the study of these craft techniques that King engaged at the beginning of her time at the school, particularly in book decoration and binding, without, however, having any particular success. It was only when she began to devote herself to illustration, experimenting and refining line and stroke, that her talent exploded, thanks to a technique made up of two-dimensionality, supple line, and elegant and detailed form.

In 1898 she participated in the annual South Kensington competition, securing the silver medal. It was a window of great importance to the European art world and it was from there that the doors to the international art scene opened wide for her. She began to receive commissions from the Berlin publishing house Globus Verlag, and then participated, in Turin, in April 1902, in the First International Exhibition of Modern Decorative Art with two works in the Glasgow School section - a screen designed by George Logan and embellished with her drawings, and the binding of a book done in gold on white vellum, L'Evangile de l'Enfance, which won her first prize. From this time on, commissions as an illustrator followed impressively. Of all of them perhaps the most important was for The Defense of Geneva and Other Poems, a collection of poems by William Morris, first published in 1858. In it, King was inspired primarily by the artist Aubrey Vincent Beardsley, who had drawn so much from the Japanese style. But, above all, she inserted all that she was and believed in - medieval legends, folk lore, myth, and tales from the Breton cycle. The perfectly detailed images are embedded in intricate naturalistic decorations, with roses, birds, leaves, stars and petals. The same strands of roses and stars, swooping swallows and delicate lilies make up the frames of the pages. Jessie King was also responsible for the binding - in dark red cloth with, on the front plate, the figure of a Guinevere in gold with outstretched arms within a halo of stars - and the littering, drawing in Jessie Rowat Newbery's style from 17th-century tombstone inscriptions.

Called to teach at the Glasgow School of Art in the book decoration department she met her future husband, painter and designer Earnest Archibald Taylor. The two married in 1908, moved to Stanford - where daughter Merle was born - but in 1910 decided to move to Paris. Here, intending to stay permanently, they founded the Sheiling Atelier, a school of decorative arts, in Montmartre. In the French capital, Jessie Marion King underwent a decisive change: inspired by the Russian artist Léon Bakst, she introduced color into her illustrations for the first time. A most important change, visible in all its beauty, in the work done on The House of Pomegranates, a collection of short stories by the writer Oscar Wilde, republished in this new guise in 1915. Despite the initial idea, at the outbreak of World War I, King and Taylor decided to return to Scotland. They settled in Kirkcudbright, a small fishing village that the painter E. A. Hornel had turned into an artists' community. Here, Jessie began to devote herself to decorating pottery, designing jewelry for the London firm Liberty, printing textiles, making clothes and murals, creating the absolute artist profile the world knows today. Dating from this period is How Cinderella Was Able to Go to the Ball, a small book on batik, an Indonesian technique of dyeing fabric, consisting of careful explanations and similarly careful illustrations. In the book, Cinderella finally, without waiting for any godmother, fairy or help from anyone, without compromise or blackmail, uses batik to make her own dress and go to the ball. As if to say that art and knowledge are the tools through which women can finally gain independence and control over their lives.

Jessie Marion King died in Kirkcudbright on August 3, 1949. She was a free woman and dreamer - a complete and visionary artist. She had a great acumen and sheer skill in drawing that allowed her to range in technique and material without ever detracting, however, from the very high qualities of her work. She became internationally known, not only because during her lifetime she received commissions from all over the world that enabled her to exhibit her works in Europe, America and India. She was international above all because she had the profound ability and intelligence to draw inspiration from countless places and traditions - from Scotland to Russia, from Japan to Italy, from Léon Bakst to Sandro Botticelli. She illustrated the magical and the dreamlike. And she proved, finally, that fairies do exist.

 

Maria Teresa Talani
Valeria Pilone

Carola Pignati

 

Maria Teresa Talani è stata una rinomata incisora di pietre dure, attiva nell’ultimo decennio del XVIII e nel primo quarto del XIX secolo, in particolare a Napoli, Roma, Milano, a servizio dei Borboni, dei Bonaparte e della loro corte, e di altri prestigiosi committenti. Non abbiamo molte notizie biografiche precise su di lei. Da uno studio contenuto nella rivista open access LANX della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università degli Studi di Milano (https://riviste.unimi.it/index.php/lanx/index, G. Tassinari, Teresa Talani, incisore di gemme in epoca napoleonica, “LANX” 18 (2014), pp. 48‐128), deduciamo che Teresa Talani, detta “La Talani”, nacque a Bergamo probabilmente nel 1765, fu forse figlia del tedesco Giovanni Moro Tedesco (Moor), anch’egli incisore di gemme, che si era poi stabilito a Venezia. Nel 1797 sposò un mercante d’arte legato alla corte partenopea, Vincenzo Talani, stabilendosi con lui a Napoli; infatti, in più fonti viene indicata come «moglie di un mercante d’arte». È molto interessante il dato che la vede citata dallo scrittore e diplomatico tedesco Johann Isaak von Gerning nella letteratura di viaggio nelle pagine dedicate alla città di Napoli, in cui compare, per l’appunto, come Teresa Talani, moglie di un commerciante di incisioni. Il marito ha un negozio di stampe e antichità vicino al Palazzo Reale, nei pressi della Real Fabbrica di Porcellane.

Biglietto da visita, Maria Teresa Talani

Talani dice di sé: «Nata Cisalpina, io mi reputo troppo fortunata se i miei talenti non saranno affatto inutili per i miei Concittadini». È consapevole, dunque, della sua professionalità e potenzialità. Come leggiamo nello studio di Gabriella Tassinari, «la Talani ripete che, in seguito ai ben noti terribili rivolgimenti politici, aveva dovuto abbandonare, con gravi perdite, Napoli e Roma, ed era ritornata nella sua patria, fiduciosa nell’attenzione e assistenza del governo della Cisalpina. E la Talani, che risiede a Milano, sottolinea il suo essere cisalpina, una concittadina e un’artista volta all’utile e allo splendore della sua patria». I «terribili rivolgimenti politici» sono un riferimento al colpo di stato del 1799 compiuto da Napoleone, che costringe la donna a lasciare il Mezzogiorno e a trasferirsi a Milano («mio malgrado ho dovuto abbandonare, diversi titoli che mi saranno cari finché vivo, quelli cioè di Moglie, di Madre, e di Artista. Ma la Rivoluzione che tutto ha distrutto, ha fugato ancora da quelle infelici contrade le Scienze, e le Arti che da questa nascente Republica, come da una tenera Madre, sono state in gran parte accolte nel suo seno»), preoccupata per il sostentamento economico della sua famiglia, come ha modo di evidenziare in più missive: «Ma io ho una famiglia che richiama tutte le mie più tenere cure. Le proprie mie disgrazie l’hanno resa infelice abbastanza; non oso lusingarmi che voi C.R. che le vostre provide disposizioni ci assicureranno un avvenire meno infelice, e che ad esempio di tanti altri Artisti Cisalpini vi compiacerete accordare una mediocre esistenza» (citazioni da alcuni documenti databili 1800-1801).

 
Teresa Talani. Documento. Milano, Archivio di Stato

Dallo studio di Tassinari, apprendiamo anche che Talani avrebbe voluto istituire una scuola pubblica per l’arte dell’incisione, richiesta che non viene accolta e sulla quale lei ritorna in vari documenti, in cui ribadisce di avere desiderio di dare gloria alla patria con l’insegnamento della nobile arte dell’incisione, ma non può farlo senza adeguato sostegno economico. Si deduce come la donna e artista versi in una condizione economica sfavorevole, ma il governo non vuole concederle un lavoro fisso come maestra di incisione. Eppure la richiesta di gemme, cammei e pietre era in espansione in quel periodo. Ci si chiede: come mai? Forse perché donna? È, infatti, certamente notevole che Talani si fosse affermata in una forma artistica che non annoverava molte donne. Il sussidio le viene comunque accordato, come leggiamo in un documento del 1801:

«Il Ministro dell’Interno Alla Cittadina Maria Teresa Talani Intagliatrice di Camei: Il saggio che avete dato de’ vostri lavori d’incisione in Cameo e le deplorabili vostre circostanze hanno invitate sopra di voi le favorevoli considerazioni del Comitato di Governo. Per darvi però occasione di segnalarvi ognor più nella vostr’arte, e di meritare un sussidio alla vostra situazione, ha decretato che siate incaricata di fare un cameo di gran forma, e a foggia di Medaglione un Ritratto istoriato del Primo Console Bonaparte, e che a tal’effetto consultiate il rinomato Pittore Appiani, che sarà pure eccitato a combinare con voi le idee più convenienti ad ben eseguire questo concetto. Frattanto vi ha il Governo assegnata la somma di Lire Mille, e Cinquecento correnti, che vi verranno corrisposte in due rate. Prendete adunque da queste disposizioni nuovo argomento, e coraggio per distinguervi nell’onorevole vostra professione, e per illustrare maggiormente, in Francia, col vostro nome la fama del nome Cisalpino negli studi d’un’Arte, che da moderni trascurata, fu in tanto pregio tenuta e tanto coltivata dagli antichi».

Dalle parole poc’anzi riportate, si deduce che il governo della Cisalpina le commissiona un’opera, riconoscendo in Talani un’artista di pregio, e la invita a prendere coraggio per intraprendere questo nuovo lavoro, ma non ci sono margini per un impiego costante nel tempo.

Teresa Talani. Busto virile di profilo, con barba e capelli ricci. Cammeo in agata. Collezione Brozzoni. Brescia, Civici Musei d'Arte e Storia. Teresa Talani. Busto di Baccante con lunghi capelli. Cammeo. Ubicazione ignota. Calco nella raccolta Cades. Milano, Gabinetto Numismatico e Medagliere.

Nella sua produzione artistica, Talani si è distinta per alcuni ritratti di prestigiosi personaggi contemporanei. Tra le sue opere più famose, si ricorda certamente l’intaglio con il ritratto di Lady Emma Hamilton come Baccante, montato in un anello d’oro e conservato al National Maritime Museum a Greenwich, omaggio a una donna chiacchieratissima e affascinante, amante del celebre ammiraglio britannico Horatio Nelson. L’intaglio gli apparteneva (gli era stato dato da Sir Hamilton, marito di Emma), e se ne servì come sigillo per alcune sue lettere. Rilevante è anche il cammeo con il ritratto dell’imperatrice Giuseppina Beauharnais, conservato a Baltimora presso The Walters Art Museum. Incastonato in una cornice d’oro profilata di smalto blu, montato a pendente come gioiello, questo cammeo era stato acquistato da William T. Walters nel 1892 e in origine apparteneva a Elizabeth-Frances Dillon, detta Fanny, nipote dell’imperatrice Giuseppina e moglie di Henry-Gratien Bertrand, che era stato generale e consigliere di Napoleone: dunque, un’opera importante posseduta da personaggi di rilievo della corte napoleonica. Merita un’ultima attenzione il cammeo in sardonice che raffigura Leda nuda che abbraccia e bacia il cigno posto tra le sue gambe. Tale soggetto erotico risulta essere molto comune nel repertorio degli incisori dell’epoca, come dimostra il fatto che il celebre incisore Giovanni Pichler lo ha replicato più volte, diventando modello da imitare, come nel caso appunto del lavoro di Talani.

Teresa Talani. Ritratto di profilo di Lady Emma Hamilton come baccante Teresa Talani. Ritratto di profilo dell’imperatrice Giuseppina Beauharnais con lunghi capelli raccolti
Teresa Talani, Leda e il cigno

È notevole quanto Maria Teresa Talani sia riuscita a fare: ricavarsi uno spazio all’interno dell’arte dell’incisione cercando di conciliare quei tre ruoli che lei stessa mette in evidenza in una sua lettera, ovvero moglie, madre e artista, firmandosi La Cittadina M.a Teresa Talani Nativa di Bergamo Incisora di Camei.


Traduzione spagnola

Maria Carreras i Goicoechea

Maria Teresa Talani fue una famosa grabadora de piedras duras, activa en el ultimo decenio del siglo XVIII y en el primer cuarto del siglo XIX, en particular en Nápoles, Roma, Milán, al servicio de los Borbones, de Bonaparte y su corte, y de otros importantes comitentes. No tenemos muchas informaciones biográficas sobre ella. En un estudio publicado enla revista open acces «Lanx» de la Escuela de especialización en arqueologia de la Universidad de Milán (https//riviste.unimi.it/index/.php./lanx/index.G.tassinari, Teresa Talani, incisore di gemmein epoca napoleonica,lanx18 (2014), pp. 48-128), deducimos que Teresa Talani, conocida como “La Talani”, nació en Bergamo probablemente en 1765, fue quizás hija del alemán Giovanni Moro Tedesco (the Moor), también él incisor de piedras preciosas, que se había trasladado a Venecia. En 1797 se casó con un marchante de arte vinculado con la corte partenopea, Vincenzo Talani, estableciéndose con él en Nápoles: en efecto, en varias fuentes aparece indicada como la «mujer de un marchante de arte». Es muy interesante que la cite el escritor y diplomático alemán Joaahn Isaak Von Gerning, en la literatura de viaje, en las páginas dedicadas a la ciudad de Nápoles, donde aparece como Teresa Talani, mujer de un comerciante de grabados. Su marido tiene una tienda de antigüedades y grabados cerca del Palacio Real, en los alrededores de la Fábrica Real de Porcelanas.

Talani dice de sí misma: «Nacida Cisalpina, me reputo afortunada si mis talentos no serán inútiles para mis conciudadanos». Es consciente, sin duda, de su profesionalidad y potencial. Como podemos leer en el estudio de Gabriella Tassinari «la Talani repite que, a causa de las revueltas políticas, había tenido que abandonar, con graves pérdidas, Nápoles y Roma, que había vuelto a su patria, confiando en la atención y la asistencia del gobierno Cisalpino. Ella, que vive en Milán subraya su ser cisalpina, una ciudadana y artista votada al esplendor de su patria.» Las «terribles revueltas política»s son una referencia al golpe de estado de Napoleón en 1799, que la obliga a dejar el sur e irse a Milán («A pesar mío he tenido que abandonar varios títulos, que siempre serán entrañables para mí, es decir el de Esposa, Madre y Artista. Pero la revolución que todo lo destruyó auyentó de aquellas tierras infelices las Ciencias y las Artes, que fueron acogidas por esta República naciente, como por una madre en su seno»), preocupada por la situación económica de su familia, como subrayó en varias cartas: «Pero yo tengo una familia que necesita de todos mis cuidados. Mis desgracias ya la han hecho muy infeliz; no me atrevo a creer que Sus disposiciones nos asegurarán un futuro menos infeliz, y que para ejemplo de muchos otros artistas cisalpinos, Se complacerá en concederme una existencia mediocre.» (son extractos de algunos documentos de 1800-1801).

 

Con el estudio de Tassinari también aprendemos que Talani hubiera querido instituir una escuela pública para el arte del grabado, instancia que no resultó acogida y de la que habla en varios documentos, donde reitera su deseo de glorificar a su patria con la enseñanza del noble arte del grabado, pero no puede hacerlo sin una adecuada ayuda económica. Se deduce como esta artista se encuentra en una condición económica poco favorable, sin embargo el gobierno no quiere concederle un trabajo fijo como maestra de grabado, si bien la demanda de gemas, camafeos y piedras se hallaba en una fase de expansión en aquel periodo. Nos preguntamos ¿por qué?, ¿quizás porque era mujer? En efecto es notable que Talani se afirmara en una forma artística que no enumeraba a muchas mujeres. De todos modos, le concedieron el subsidio, como podemos leer en un documento de 1801:

«El Ministro del Interior a la Ciudadana Maria Teresa Talani Talladora de Camafeos: la muestra que habéis dado de vuestros grabados de camafeos y las deplorables circustancias en que versáis han atraído las condiciones favorables del Comité de Gobierno. Para daros ocasión de sobresalir aún más en vuestra arte, y merecer un subsidio para vuestra situación, ha decretado que se os encargue un camafeo muy grande, y en forma de Medallón un retrato historiado del Primer Cónsul Bonaparte, y que para ello consultéis al famoso Pintor Appiani, que combinará con sus ideas más convenientes con las Vuestras para realizar adecuadamente este concepto. Mientras tanto, el Gobierno os ha asignado la cantidad de mil quinientas liras, que se os entregarán en dos plazos. Tomad de estas disposiciones nuevo argumento y coraje para distinguiros en vuestra profesión, y para ilustrar aún más en Francia, con vuestro nombre, la fama del nombre Cisalpino en los estudios de un arte descuidado por los modernos, que fue prestigioso y muy cultivado por los antiguos».

De este texto se deduce que el gobierno de la Cisalpina le comisionó una obra, reconociendo en Talani una artista de valor, y que la invitaba a tomar coraje para empezar este nuevo trabajo, pero no hace referencia a ningún trabajo costante en el tiempo.

En su producción artistica Talani destacó por algunos retratos de personajes contemporaneos famosos. Entre las obras más conocidas, se encuentra sin duda la talla con el retrato de Lady Emma Hamilton como Bacante, montada en un anillo de oro conservado en el National Maritime Museum de Greenwich, homenaje a una mujer muy discutida y fascinante, amante del famoso almirante inglés Horatio Nelson. La talla (entregada por sir Halmiton, esposo de Emma) le pertenecía y la había usado como sello en algunas de sus cartas. También es relevante el retrato de la emperadora Josefina Beauharnais, conservado en Baltimore en el The Walters Art Museum. Engarzado en un marco de oro ribeteado de esmalte azul, montado en un colgante como joya, este camafeo fue adquirido por William T. Walters en 1892 y perteneció en su origne a Elizabeth Frances Dillon, conocida como Fanny, nieta de la emperatriz Josefina y esposa de Henry-Gratien Bertrand, que había sido general y consejero de Napoleón: así pues, una obra importante poseída por personajes relevantes de la corte napoleónica. También merece nuestra atención el camafeo en sardónice que representa a Leda desnuda que abraza y besa el cisne que tiene entre sus piernas. Este tema erótico es común en el repertorio de los grabadores de aquella época, como demuestra que el grabador Giovanni Pilcher lo replicara mas de una vez, llegando a ser un modelo a imitar, como en el caso de la obra de Talani.

Es muy importante lo que Maria Teresa Talani logró: un espacio en el arte del grabado intentando coinciliar los tres papeles que ella misma pone en evidencia en una de sus cartas, es decir, el de esposa, madre y artista, que se firmaba «La Cittadina M.a Teresa Talani, Nativa di Bergamo incisora di camei».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Maria Teresa Talani was a renowned gemstone engraver, active in the last decade of the 18th and the first quarter of the 19th century, particularly in Naples, Rome, and Milan, serving the Bourbons, the Bonapartes and their court, and other prestigious patrons. We do not have much precise biographical information about her. From a study contained in the open access journal LANX of the School of Specialization in Archaeological Heritage of the University of Milan (https://riviste.unimi.it/index.php/lanx/index, G. Tassinari, Teresa Talani, incisore di gemme in epoca napoleonica, "LANX" 18 (2014), pp. 48-128), we deduce that Teresa Talani, known as "La Talani," was born in Bergamo probably in 1765, was perhaps the daughter of the German Giovanni Moor, also a gem engraver, who had later settled in Venice. In 1797 she married an art dealer connected with the Neapolitan court, Vincenzo Talani, settling with him in Naples. In several sources she is referred to as "the wife of an art dealer." Of great interest is the fact that she is mentioned by the German writer and diplomat Johann Isaak von Gerning in his travel literature in the pages devoted to the city of Naples, in which she appears, as Teresa Talani, wife of an engraving merchant. Her husband had a print and antique store near the Royal Palace, near the Royal Porcelain Factory.

Talani said of herself, "Born a Cisalpine, I consider myself too fortunate if my talents will not be at all useless to my fellow citizens." She is aware, then, of her professionalism and potential. As we read in Gabriella Tassinari's study, "Talani repeats that, as a result of the well-known terrible political upheavals, she had had to leave, with grave losses, Naples and Rome, and had returned to her homeland, confident in the attention and assistance of the Cisalpine government. And Talani, who resided in Milan, emphasized her being a Cisalpine, a fellow citizen and an artist turned to the usefulness and splendor of her homeland." The "terrible political upheavals" are a reference to the 1799 coup d'état carried out by Napoleon, which forced her to leave the Mezzogiorno and move to Milan ("in spite of myself I had to abandon several titles that will be dear to me as long as I live, those namely of Wife, Mother, and Artist. But the Revolution that has destroyed everything, has still fled from those unhappy quarters the Sciences, and the Arts that by this nascent Republic, as by a tender Mother, have been largely welcomed into its bosom"). Concerned about the economic sustenance of her family, as she had occasion to point out in several missives, she wrote, "But I have a family that calls all my tenderest care. My own misfortunes have made them unhappy enough. I dare not flatter myself that your provided dispositions, C.R., will assure us a less unhappy future, and that by the example of so many other Cisalpine Artists you will be pleased to accord a mediocre existence" (quotations from some documents dated 1800-1801).

 

From Tassinari's study, we also learn that Talani would have liked to establish a public school for the art of engraving, a request that was not granted and to which she returns in various documents, in which she reiterates that she has a desire to give glory to her homeland by teaching the noble art of engraving, but cannot do so without adequate financial support. It is inferred how the woman and artist is in an unfavorable economic condition, but the government does not want to grant her a permanent job as a teacher of engraving. Yet the demand for gems, cameos and stones was booming at that time. One wonders, how come? Perhaps because she was a woman? It is, in fact, certainly remarkable that Talani had established herself in an artistic form that did not include many women. The subsidy was granted to her nonetheless, as we read in an 1801 document: 

«The Minister of the Interior To the Citizen Maria Teresa Talani Intaggliatrice di Camei: The essay you have given of your work of engraving in Cameo and your deplorable circumstances have invited upon you the favorable considerations of the Committee of Government. In order, however, to give you an opportunity to distinguish yourself more and more in your art, and to merit a subsidy to your situation, it has decreed that you be commissioned to make a cameo of great form, and in the shape of a Medallion an engraved Portrait of the First Consul Bonaparte, and that for this purpose you consult the renowned Painter Appiani, who will also be energized to combine with you the most suitable ideas to execute this concept well. In the meantime the Government has assigned to you the sum of One Thousand Lire, and Five Hundred current, which will be paid to you in two installments. Take therefore from these dispositions new understanding, and courage to distinguish yourselves in your honorable profession, and to illustrate more, in France, with your name the fame of the Cisalpine name in the studies of an Art, which neglected by moderns, was in such value held and so much cultivated by the ancients.».

From the words just quoted, it can be deduced that the Cisalpine government commissioned a work from her, recognizing Talani as a fine artist, and invited her to take courage to undertake this new work, but there was no room for steady employment over time.

 In her artistic production, Talani has distinguished herself for a number of portraits of prestigious contemporary figures. Among her most famous works is certainly the carving with the portrait of Lady Emma Hamilton as Bacchante, mounted in a gold ring and preserved at the National Maritime Museum in Greenwich, a tribute to a much-talked-about and fascinating woman, mistress of the famous British admiral Horatio Nelson. The carving belonged to him (it was given to him by Sir Hamilton, Emma's husband), and he used it as a seal for some of his letters. Also of note is the cameo with a portrait of Empress Josephine Beauharnais, preserved in Baltimore at The Walters Art Museum. Set in a gold frame profiled with blue enamel, mounted as a pendant as a piece of jewelry, this cameo had been acquired by William T. Walters in 1892 and originally belonged to Elizabeth-Frances Dillon, called Fanny, granddaughter of Empress Josephine and wife of Henry-Gratien Bertrand, who had been Napoleon's general and adviser: thus, an important work owned by prominent figures of the Napoleonic court. Deserving final attention is the striking cameo depicting Leda nude embracing and kissing the swan placed between her legs. Such an erotic subject turns out to be very common in the repertoire of engravers of the time, as evidenced by the fact that the famous engraver Giovanni Pichler replicated it several times, becoming a model to be imitated, as in the case of Talani's work.

It is remarkable how much Maria Teresa Talani managed to do - carving out a space for herself within the art of engraving by trying to reconcile those three roles that she herself highlights in one of her letters, namely wife, mother and artist, signing herself as Citizen M. Teresa Talani Native of Bergamo Engraver of Cameos.

 

Francesca Bresciani
Barbara Belotti

Carola Pignati

 

Il talento delle donne è entrato anche nella costruzione della grande Basilica di San Pietro in Vaticano. Fino a non molto tempo fa si conoscevano pochissimi nomi di artiste attive nella corte pontificia, prima fra tutte Lavinia Fontana, nominata Pontificia Pittrice durante il papato di Clemente VIII.

Lavinia Fontana, Autoritratto nello studio, 1579, olio su rame, Firenze, Museo degli Uffizi, Collezione di autoritratti

Studi più recenti, condotti tra i documenti dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, hanno permesso di rintracciare numerose figure femminili attive nella ricostruzione e, successivamente, nel mantenimento dell’edificio vaticano, un lungo percorso storico cominciato all’inizio del XVI secolo. Le realizzazioni di opere e i cantieri che si susseguirono nel tempo furono e rimasero sempre nelle mani degli uomini, ma alcune donne – soprattutto mogli, figlie, sorelle di dipendenti pontifici – hanno accompagnato la storia della basilica. Francesca Bresciani è una delle donne al servizio della Fabbrica di San Pietro ma, nel suo caso, non perché erede dell’attività di un padre o di un marito defunto, ma perché le capacità tecniche e artistiche nella lavorazione delle pietre dure erano ritenute eccelse. Come spesso accade non sono molte le notizie: figlia d’arte, cosa abbastanza frequente, dotata di rara destrezza ed esperienza nella lavorazione del lapislazzuli, venne apprezzata da numerosi prelati e aristocratici della sua epoca; soprattutto seppe farsi valere in un mondo dominato dal “genio” e dalla perizia maschile. A lungo dimenticata nelle ricerche storiche, recenti studi ne hanno messo in luce il valore e il Comune di Roma, nell’ottobre del 2023, le ha dedicato una strada nel XV Municipio. La troviamo attiva nella Fabbrica di San Pietro nel corso della seconda metà del Seicento, impegnata nella realizzazione del Tabernacolo del Santissimo Sacramento, voluto da papa Clemente X e ideato da Gian Lorenzo Bernini in occasione del Giubileo del 1675.

Il Tabernacolo del Santissimo Sacramento, 1672-1675, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro, Cappella del Santissimo Sacramento

Il lavoro sul prezioso arredo sacro, la cui superficie fu rivestita per il 50% da lapislazzuli, si svolse nell’arco di quasi due anni, dal 1672 al 1674; nel 1678 le venne commissionata la decorazione per il Crocifisso d’altare, sempre in lapislazzuli e con parti in bronzo dorato. Francesca Bresciani fu sempre conscia delle proprie qualità artistiche e della sua perizia tecnica: in una supplica del 1672, inviata al monsignor Giannuzzi, economo della Fabbrica di San Pietro, al cardinal nipote Paluzzo Paluzzi Altieri, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, e al cardinale Camillo Massimo, membro della Congregazione della Fabbrica, non ebbe timore a definirsi esperta nell’intaglio e nella lavorazione delle pietre dure, in particolare del lapislazzuli, il cui processo lavorativo è particolarmente delicato e complesso. Pur di ottenere l’incarico per il Tabernacolo, consapevole di saperlo svolgere nel migliore dei modi, ribassò il costo di un terzo rispetto a quanto proposto dai suoi concorrenti, dimostrandosi un’imprenditrice caparbia e determinata. 

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, 1623, olio su tela, Roma, Galleria Borghese

A giudicare e valutare i candidati al lavoro di decorazione fu lo stesso ideatore dell’opera Gian Lorenzo Bernini, il quale «per informazioni prese […] dall’ebanista [Giovanni Perone] che fa il modello del medesimo tabernacolo» decise che «esser megliore la Donna». Per l’alto valore simbolico del Tabernacolo e il suo legame col Giubileo del 1675, si preferì utilizzare materiale di qualità e purezza estreme, con una colorazione intensa, che proveniva dalle miniere del Sud America e veniva acquistato a Napoli. Nelle mani di Francesca doveva trasformarsi in un prezioso rivestimento ma, nonostante la bravura che le venne sempre riconosciuta, l’intagliatrice non ricevette mai in modo diretto le partite di materiale, evidentemente di valore troppo alto per essere consegnato nelle mani di una donna. Bresciani si trovò di fronte anche altre limitazioni di non poco conto, come quella di non poter firmare le ricevute di pagamento, sottoscritte ogni volta dal marito Gerij Doyson di origine fiamminga e di professione chiavaro, che la affiancò nelle fasi di lavorazione, a cui era concesso mantenere i contatti con la committenza e al quale di volta in volta veniva consegnato il lapislazzuli necessario; Francesca aveva il compito di eseguire l’intaglio, la sagomatura e la preparazione di decine di lastre, la profilatura, l’alloggiamento nelle sedi di metallo, la levigatura e lucidatura a specchio, dirigendo nella bottega una squadra di lavoranti uomini. Per controllare che nelle operazioni di taglio non ci fosse spreco di lapislazzuli, la committenza vaticana le assegnò in affitto un’abitazione nei pressi della Basilica di San Pietro, in Borgo Pio, con due stanze al pian terreno, una cantina e un cortile con vasche e pozzo nella quale fu allestito il laboratorio, furono collocate le strumentazioni e gli attrezzi necessari e dove Francesca Bresciani si recava ogni giorno, lavorando fino a tardi e rientrando di notte a casa sua.

Tabernacolo del Santissimo Sacramento, particolare del rivestimento in lapislazzuli

Il lavoro consisteva nel ridurre in “tavolette” sottili, dello spessore massimo di due millimetri, le lastre di lapislazzuli già tagliate in pezzi dalle maestranze della Fabbrica di San Pietro, quindi incollarle su superfici di lavagna da tre millimetri in modo da ottenere un pezzo unico solido e resistente, ma utilizzando la minor quantità possibile della costosissima pietra. Con la stessa abilità con cui riduceva il lapislazzuli in porzioni sottili due millimetri, Francesca passava poi alla fase di rivestimento, accostando le lastrine una all’altra e cercando di seguire il disegno naturale delle venature per camuffare i punti di congiunzione.

Tabernacolo del Santissimo Sacramento, particolare delle scanalature dei pilastri

Grande meticolosità era necessaria anche per realizzare le scanalature delle colonne e dei pilastri che compongono il colonnato del Tabernacolo e particolarmente complesso fu il taglio “centinato”, cioè la preparazione delle lastrine concave per rivestire l’architrave, che si presenta allo sguardo come una superficie omogenea e continua.

Tabernacolo del Santissimo Sacramento, particolare dell’architrave

Per tagliare Francesca si serviva di “seghe a telaio” e dello smeriglio, polvere di roccia utilizzata con l’acqua, mentre per la sagomatura era necessario un trapano, dotato di piccole punte e dischi di ferro, fatti girare grazie al moto di ruote in legno azionate a mano oppure tramite pedaliere montate su appositi piani di lavoro. Un compito complesso e lunghissimo visto che, per segare tre soli millimetri di lapislazzuli, era necessaria un’ora di lavoro. Dopo circa due anni il nuovo Tabernacolo di San Pietro fu pronto. Francesca Bresciani aveva realizzato circa i due terzi dell’intera decorazione e poteva ritenersi soddisfatta. Per il compenso chiese un pagamento di 1940 scudi, ne ricevette 1023,38 e non senza difficoltà. Gian Lorenzo Bernini, incaricato di effettuare una valutazione della richiesta, propose di decurtare la somma a 734 scudi, con un ribasso rispetto a quanto indicato da Bresciani di più del 60%. L’intagliatrice di lapislazzuli non si diede per vinta e mise in atto le sue contromosse. Cosciente delle proprie competenze, dell’abilità tecnica e delle sue capacità imprenditoriali scrisse due suppliche, una alla Congregazione della Fabbrica di San Pietro e l’altra al cardinale Massimo nelle quali, senza mezzi termini, chiese che la questione fosse affidata a «persone intendenti dell’esercitio essendo assai diverso il lavoro della pietra da quello delle gioie», in pratica dando del non competente a Bernini. Il cardinale Massimo intervenne e decise di accogliere parte delle rimostranze di Bresciani assegnandole circa 300 scudi in più di quanto indicato dal cavalier Bernini.

Croce del Ciborio del Santissimo Sacramento, 1678, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro, Ciborio Santissimo Sacramento

Ricompensa ancora più importante fu però l’assegnazione di un nuovo incarico, il lavoro di intaglio e commettitura delle lastrine di lapislazzuli sul fondo del Crocifisso davanti al Tabernacolo del Santissimo.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

 

El talento de las mujeres también participó en la construcción de la gran Basílica de San Pedro en el Vaticano. Hasta hace poco se conocían muy pocos nombres de artistas activas en la casa pontificia, primera entre todas Lavinia Fontana, nombrada pintora Pontificia durante el papado de Clemente VIII.

Lavinia Fontana, Autorretrato en el estudio, 1579, óleo sobre cobre, Florencia, Museo de los Uffizi, Colección de autorretratos.

Estudios más recientes, realizados entre los documentos del Archivo Histórico de la Fábrica de San Pedro, permitieron rastrear numerosas figuras femeninas activas en la reconstrucción y, posteriormente, en el mantenimiento del edificio vaticano, un largo recorrido histórico iniciado a principios del siglo XVI. Las realizaciones de obras y las obras que se sucedieron a lo largo del tiempo estuvieron y permanecieron siempre en manos de los hombres, pero algunas mujeres, sobre todo esposas, hijas, hermanas de empleados pontificios, acompañaron la historia de la basílica. Francesca Bresciani fue una de las mujeres al servicio de la Fábrica de San Pedro, pero, en su caso, no porque fuera heredera de la actividad de un padre o de un marido fallecido, sino porque sus capacidades técnicas y artísticas en la elaboración de las piedras duras se consideraban excelentes. Como sucede a menudo, no son muchas las noticias: hija de un artista, algo bastante frecuente, dotada de una rara destreza y experiencia en la elaboración del lapislázuli, fue apreciada por numerosos prelados y aristócratas de su época; sobre todo se impuso en un mundo dominado por el “genio” y la pericia masculina. Olvidada durante mucho tiempo en la investigación histórica, estudios recientes pusieron de relieve su valor y el Ayuntamiento de Roma, en octubre de 2023, le dedicó una calle en el 15º Municipio. La encontramos activa en la Fábrica de San Pedro durante la segunda mitad del siglo XVII, dedicada a la construcción del Tabernáculo del Santísimo Sacramento, encargado por el papa Clemente X e ideado por Gian Lorenzo Bernini con motivo del Jubileo de 1675.

El Tabernáculo del Santísimo Sacramento, 1672-1675, Ciudad del Vaticano, Basílica de San Pedro, Capilla del Santísimo Sacramento.

El trabajo en los preciosos muebles litúrgicos, cuya superficie fue revestida en un 50% por lapislázuli, se llevó a cabo durante casi dos años, de 1672 a 1674; en 1678 se le encargó la decoración del Crucifijo de altar, tmabién en lapislázuli y con partes de bronce dorado. Francesca Bresciani siempre fue consciente de sus cualidades artísticas y de su pericia técnica: en una súplica de 1672, enviada a monseñor Giannuzzi, ecónomo de la Fábrica de San Pedro, al cardenal sobrino Paluzzo Paluzzi Altieri, camarlengo de la Santa Iglesia Romana y al cardenal Camillo Massimo, miembro de la Congregación de la Fábrica, no tuvo miedo de definirse experta en la talla y la elaboración de piedras duras, en particular del lapislázuli, cuyo proceso de trabajo es particularmente delicado y complejo. A fin de obtener el encargo para el Tabernáculo, consciente de saber cómo realizarlo de la mejor manera, redujo el coste de un tercio en comparación con lo que proponían sus competidores, demostrando ser una emprendedora obstinada y decidida.

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, 1623, olio su tela, Roma, Galleria Borghese

quien juzg y evaluó a los candidatos para el trabajo de decoración fue el mismo creador de la obra Gian Lorenzo Bernini, quien «por informaciones tomadas […] del ebanista [Giovanni Perone] que hizo el modelo del mismo tabernáculo» decidió que «era mejor la Mujer». Debido al alto valor simbólico del Tabernáculo y su vínculo con el Jubileo de 1675, se prefirió utilizar material de calidad y extrema pureza, con una coloración intensa, que provenía de las minas de América del Sur y se compraba en Nápoles. En manos de Francesca tenía que transformarse en un valioso revestimiento, pero, a pesar de la habilidad que siempre se le reconoció, la talladora nunca recibió directamente los lotes de material, aparentemente de un valor demasiado alto para ser entregado en manos de una mujer. Bresciani se enfrentó también a otras limitaciones de bastante importancia, como la de no poder firmar los recibos de pago, cada vez firmados por su marido Gerij Doyson de origen flamenco y de profesión llavero, quien la acompañó en las fases de elaboración y a quien se le permitía mantener el contacto con el cliente y a quien se le entregaba el lapislázuli necesario; Francesca se encargaba de realizar el tallado, el perfilado y la preparación de decenas de planchas, el perfilado, la carcasa en las sedes de metal, el lijado y pulido de espejo y dirigía en el taller a un equipo de obreros. Para comprobar que en las operaciones de corte no hubiera desperdicio de lapislázuli, el comitente vaticano le asignó una casa en alquiler cerca de la Basílica de San Pedro, en Borgo Pio, con dos habitaciones en la planta baja, una bodega y un patio con tinas y pozo en el que se instaló el taller, donde se colocaron los equipos y las herramientas necesarias y a donde Francesca Bresciani iba todos los días, trabajando hasta tarde y regresando por la noche a su casa.

Tabernáculo del Santísimo Sacramento, detalle del revestimiento en lapislázuli.

El trabajo consistió en reducir en "tablas" delgadas, de un espesor máximo de dos milímetros, las placas de lapislázuli ya cortadas en trozos por los obreros de la Fábrica de San Pedro, luego pegadas en superficies de tablero de tres milímetros para obtener una sola pieza sólida y resistente, pero utilizando la menor cantidad posible de la piedra más cara. Con la misma habilidad con la que reducía el lapislázuli a porciones delgadas de dos milímetros, Francesca pasaba luego a la fase de revestimiento, acercando las plaquitas unas a otras y tratando de seguir el diseño natural de las vetas para camuflar los puntos de unión.

Tabernáculo del Santísimo Sacramento, detalle de los estriados de los pilares.

Gran meticulosidad era necesaria también para realizar las estrías de las columnas y de los pilares que componen la columnata del Tabernáculo y particularmente complejo fue el corte «arqueado», es decir, la preparación de las plaquitas cóncavas para revestir el dintel, que se presenta a la vista como una superficie homogénea y continua.

Tabernáculo del Santísimo Sacramento, detalle del dintel

Para cortar, Francesca se servía de "sierras de bastidor" y del esmeril, polvo de roca utilizado con el agua, mientras que para el perfilado era necesario un taladro, equipado con pequeñas puntas y discos de hierro, que funcionaban gracias al movimiento de ruedas de madera accionadas a mano o mediante pedales montados en superficies de trabajo específicas. Una tarea compleja y muy larga, ya que, para serrar solo tres milímetros de lapislázuli, se requería una hora de trabajo. Tras casi dos años, el nuevo Tabernáculo de San Pedro estaba listo. Francesca Bresciani había realizado alrededor de dos tercios de toda la decoración y podía darse por satisfecha. Por su trabajo, pidió un pago de 1940 escudos, de los cuales recibió solo 1023,38, con dificultad. Gian Lorenzo Bernini, encargado de realizar una evaluación de la solicitud, propuso reducir la suma a 734 escudos, con una reducción con respecto a lo indicado por Bresciani de más del 60%. La cortadora de lapislázuli no se dio por vencida y puso en marcha sus contraataques. Consciente de sus propias competencias, de su habilidad técnica y de sus habilidades empresariales, escribió dos súplicas, una a la Congregación de la Fábrica de San Pedro y la otra al cardenal Massimo en las que, sin rodeos, pidió que el asunto se confiara a «personas encargadas del ejercicio, ya que el trabajo de la piedra era muy diferente de las joyas», básicamente tachando de incompetente a Bernini. El cardenal Massimo intervino y decidió aceptar parte de las quejas de Bresciani asignándole unos 300 escudos más de los indicados por el señor Bernini.

Cruz del Ciborio del Santísimo Sacramento, 1678, Ciudad del Vaticano, Basílica de San Pedro, Ciborio Santísimo Sacramento

Sin embargo, la recompensa aún más importante fue la asignación de un nuevo encargo, el trabajo de tallado y la juntura de las plaquitas de lapislázuli en el fondo del Crucifijo ante el Tabernáculo del Santísimo.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

The talents of women also entered into the construction of the great St. Peter's Basilica in the Vatican. Until not long ago, very few names of women artists active in the papal court were known, first among them Lavinia Fontana, appointed Pontifical Painter during the papacy of Clement VIII. 

Lavinia Fontana, Self-Portrait in the Studio, 1579, oil on copper, Florence, Uffizi Museum, Self-Portrait Collection

More recent studies, conducted among the documents of the Historical Archives of the Fabbrica di San Pietro, have made it possible to trace numerous female figures active in the reconstruction and later maintenance of the Vatican building, a long historical journey that began in the early 16th century. The accomplishments of works and construction sites that followed one another over time were and always remained in the hands of men, but a number of women - mainly wives, daughters, sisters of papal employees - have contributed to the history of the basilica. Francesca Bresciani is one of the women in the service of the Fabbrica di San Pietro but, in her case, not because she inherited the business of a deceased father or husband, but because her technical and artistic skills in working with semi-precious stones were considered to be sublime. As is often the case, there is not much news – an artistic child, which is quite common, gifted with rare dexterity and experience in working with lapis lazuli, she was appreciated by numerous prelates and aristocrats of her time. Above all, she knew how to make her mark in a world dominated by male "genius" and expertise. Long forgotten in historical research, recent studies have highlighted her value, and the City of Rome, in October 2023, dedicated a street to her in the 15th City district. We find her active in the Fabbrica di San Pietro during the second half of the seventeenth century, engaged in the creation of the Tabernacle of the Blessed Sacrament, commissioned by Pope Clement X and designed by Gian Lorenzo Bernini for the Jubilee of 1675.

The Tabernacle of the Blessed Sacrament, 1672-1675. Vatican City, St. Peter's Basilica, Chapel of the Blessed Sacrament.

Work on the precious sacred furnishings, 50% of whose surface was covered with lapis lazuli, took place over a period of almost two years, from 1672 to 1674. In 1678 she was commissioned to decorate the altar crucifix, also in lapis lazuli and with gilded bronze parts. Francesca Bresciani was always conscious of her artistic qualities and technical expertise. In a 1672 supplication, sent to Monsignor Giannuzzi, bursar of the Fabbrica di San Pietro, to her cardinal nephew Paluzzo Paluzzi Altieri, Camerlengo of the Holy Roman Church, and to Cardinal Camillo Massimo, a member of the Congregation of the Fabbrica, she was not afraid to call herself an expert in the carving and working of hard stones, particularly lapis lazuli, whose working process is particularly delicate and complex. In order to obtain the commission for the Tabernacle, knowing that she knew how to do it in the best possible way, she lowered the cost by a third compared to what her competitors proposed, proving herself a stubborn and determined entrepreneur.

Gian Lorenzo Bernini, Self-Portrait, 1623, oil on canvas, Rome, Galleria Borghese

Judging and evaluating the candidates for the work of decoration was the creator of the work himself, Gian Lorenzo Bernini, who "by information taken [...] from the cabinetmaker [Giovanni Perone] who makes the model of the same tabernacle" decided that "the Woman would be better." Because of the high symbolic value of the Tabernacle and its connection to the Jubilee of 1675, it was preferred to use material of extreme quality and purity, with intense coloring, which came from the mines of South America and was purchased in Naples. In Francesca's hands it was supposed to be transformed into a precious veneer, but despite the skill she was always credited with, the carver never directly received the batches of material, evidently of too high a value to be delivered into the hands of a woman. Bresciani was also faced with other not small limitations, such as not being able to sign the payment receipts, signed each time by her husband Gerij Doyson of Flemish origin and by profession a chiavaro, who joined her in the working stages, who was allowed to maintain contact with the client and to whom the necessary lapis lazuli was delivered from time to time. Francesca had the task of carrying out the carving, shaping and preparation of dozens of slabs, profiling, placing them in metal housings, grinding and mirror polishing, and directing a team of male workers in the workshop. In order to check that no lapis lazuli was wasted in the cutting operations, the Vatican commission assigned her to rent a house near St. Peter's Basilica in Borgo Pio, with two rooms on the ground floor, a cellar and a courtyard with basins and a well in which the workshop was set up, the necessary instruments and tools were placed, and where Francesca Bresciani went every day, working late and returning at night to her home.

Tabernacle of the Blessed Sacrament, detail of the lapis lazuli facing.

The work consisted in reducing the slabs of lapis lazuli already cut into pieces by the workers of the Fabbrica di San Pietro into thin "tablets," no more than two millimeters thick, and then gluing them onto three-millimeter slate surfaces so as to obtain a single solid and strong piece, but using the smallest possible amount of the very expensive stone. Using the same skill with which she reduced the lapis lazuli into two-millimeter-thin portions, Francesca then moved on to the lining stage, placing the slabs side by side and trying to follow the natural pattern of the veins in order to camouflage the joints.

Tabernacle of the Blessed Sacrament, detail of the grooves of the pillars

Great meticulousness was also necessary to make the grooves of the columns and pillars that make up the colonnade of the Tabernacle, and particularly complex was the "centered" cut, that is, the preparation of the concave slabs to cover the architrave, which appears to the eye as a homogeneous and continuous surface.

Tabernacle of the Blessed Sacrament, detail of the lintel

To make the cuts, Francesca made use of "frame saws" and emery, rock powder used with water, while shaping required a drill mechanism, equipped with small drills and iron discs, made to turn thanks to the motion of wooden wheels operated by hand, or by means of foot pedals, mounted on special worktables. This was a complex and time-consuming task since sawing just three millimeters of lapis lazuli required an hour of work. After about two years the new St. Peter's Tabernacle was ready. Francesca Bresciani had completed about two-thirds of the entire decoration and could consider herself satisfied. For compensation she asked for a payment of 1940 scudi; she received 1023.38, and not without difficulty. Gian Lorenzo Bernini, commissioned to make an assessment of the request, proposed that the sum be reduced to 734 scudi, a reduction of more than 60 percent from Bresciani's figure. The lapis lazuli carver did not give up and implemented her countermoves. Aware of her own expertise, technical skill and entrepreneurial abilities she wrote two pleas, one to the Congregation of the Fabbrica di San Pietro and the other to Cardinal Massimo in which, in no uncertain terms, she asked that the matter be entrusted to "people knowledgeable about the work, the work of stone being very different from that of jewels," in practice calling Bernini unskilled. Cardinal Maximus intervened and decided to accommodate part of Bresciani's grievances by awarding her about 300 scudi more than cavalier Bernini indicated.

Cross of the Ciborium of the Blessed Sacrament, 1678, Vatican City, St. Peter's Basilica, Ciborium Blessed Sacrament

An even more important reward, however, was the awarding of a new commission, the work of carving and attachment of the lapis lazuli slabs on the base of the Crucifix in front of the Tabernacle of the Blessed Sacrament.

 

Maria Lai
Laura Candiani

Laura Candiani

 

Maria Lai è stata definita in tanti modi per la sua inesauribile vena artistica, per la sua creatività, per la sua unicità, ma certo chiamarla "fata operosa" è quanto mai appropriato perché rimanda alla sua terra, la Sardegna, ai lavori manuali realizzati dalle sue donne, a quelle janas che popolano la fantasia e i miti. La critica unanime la considera la più grande artista sarda del XX secolo.

Maria Lai, Telaio del meriggio (1967_ legno, spago, tela, tempera_ Ulassai, Collezione Fondazione Stazione dell’Arte). Ph. C
Maria Lai, Tenendo per mano il sole (1984-2004_ filo, stoffa, velluto, 33 x 63 cm_ Collezione privata). Ph. Credit Francesco

Era nata il 27 settembre 1919 a Ulassai, in provincia di Nuoro, ed è morta a Cardedu, località non lontana, il 16 aprile 2013, dopo aver vissuto una esistenza ricca di soddisfazioni, ma anche di lutti e ostacoli professionali. Il padre era veterinario, e lei era la seconda di cinque fra figli e figlie. Aveva una salute cagionevole e trascorreva la stagione invernale dagli zii a Gairo, quindi studiò in modo piuttosto irregolare. Dopo un drammatico fatto di sangue, tuttavia, rimase a vivere sempre in famiglia. Dal 1932 frequentò l'Istituto magistrale a Cagliari, poi si trasferì a Roma dove si iscrisse al Liceo artistico. Durante la guerra, non potendo rientrare in Sardegna, si recò a Venezia dove studiò scultura all'Accademia, rimanendovi fino al 1945. Ritornata nell'isola insegnò per pochi anni all'Istituto tecnico femminile di Cagliari, mentre tentava la via dell'arte, incontrando difficoltà ad affermarsi essendo uno spirito libero, una creatrice non allineata, una persona non catalogabile. Di nuovo a Roma ebbe il sostegno dello scrittore sardo Giuseppe Dessì che le divenne amico. Ma un altro terribile lutto colpì la sua famiglia con l'assassinio del fratello Lorenzo, forse vittima di un tentato sequestro. 

Nel 1957 riuscì a tenere la sua prima mostra di disegni presso la galleria L'Obelisco di Irene Brin, la nota giornalista e scrittrice. Dall'arte in forma poetica degli anni Sessanta passò all'Informale e alla cosiddetta Arte povera con gli affascinanti "libri cuciti" e promosse eventi e istallazioni legate alle tradizioni della sua terra, utilizzando ricami, telai, fili, carta, pani, simboli. Nel 1971 in un incidente aereo perse la vita un altro fratello, Gianni, medico apprezzato. Ma quell'anno, per altri versi, fu importante professionalmente perché Maria realizzò, alla galleria Schneider di Roma, una mostra che aveva i telai come tema principale. Conoscere la gallerista Angela Grilletti Migliavacca costituì un passo avanti per la sua carriera perché l'esperta divenne sua fedele amica e consigliera, ma pure sua curatrice; altrettanto importante fu Mirella Bentivoglio, storica dell'arte, che le consentì di arrivare alla Biennale di Venezia, nel 1978.

In una ricorrenza simbolica per la storia italiana, l'8 settembre del 1981, mise in atto un'impresa unica ed eccezionale, nata dal suo desiderio di celebrare la pace, la solidarietà, l'energia vitale. Per lungo tempo aveva cercato di convincere la popolazione del suo paese natale a realizzare la prima creazione al mondo di "arte relazionale" intitolata Legarsi alla montagna, finché riuscì nell'intento. Un progetto grandioso e complesso che richiese giorni di preparazione e tre giorni per compiersi; furono utilizzati 27 km. di stoffa celeste per legare fra di loro le persone coinvolte e alcuni pani decorati e augurali della tradizione sarda ("su pani pintau"), mentre l'estremità opposta della striscia fu portata in vetta al monte Gedili che sovrasta Ulassai; si formò così un cerchio simbolico di unione e armonia, al suono del flauto di Angelo Persichelli. Quell'anno realizzò anche una Via Crucis che donò alla chiesa parrocchiale del paese, mentre con l'amico artista Costantino Nivola, di lì a poco, nasceva il progetto del Museo a cielo aperto. Un'altra opera significativa fu compiuta nel 2006 con quei cartigli che hanno caratterizzato l'arte di Maria Lai e che hanno lo scopo primario di "tessere memorie", esposta all'interno del bel museo etnografico di Aggius (Sassari): il Meoc, intitolato a Oliva Carta Cannas, sorto grazie alla donazione di alcuni edifici e del terreno dagli eredi della donna, abile tessitrice.

Meoc. Maria Lai. Cartigli-tessendo memorie. Foto di Laura Candiani

Venne infatti organizzata una mostra dei lavori di Lai dal titolo I fili ed altre storie; basta entrare nel museo per capire il senso del messaggio: vi sono esposti infatti dei magnifici manufatti creati nel passato da sconosciute mani di donna che dimostrano quanta creatività, quanta abilità, quanta pazienza sia necessaria per applicarsi al telaio. La tessitura è un'arte antica, tipicamente femminile, che per tradizione sia in Sardegna sia in molte parti d'Italia veniva praticata nelle proprie abitazioni dove si realizzavano i corredi composti da lenzuola, tende, tovaglie, coperte con filati di canapa, cotone, lino. Ma le più esperte si dedicano anche oggi alla creazione di splendidi arazzi di lana, tappeti, cuscini, vere forme d'arte da cui emergono simboli tramandati di generazione in generazione. Ecco dunque le spighe di grano porta fortuna, la tipica pavoncella, gli animali da cortile e quelli selvatici, i fiori stilizzati, la coppia in abiti festivi che sembra pronta per il "ballo tondo". I colori variano secondo il gusto della lavorante e secondo lo scopo del manufatto, saranno vivaci e ricchi di contrasti per un arazzo da appendere al muro, ad esempio, ma saranno tenui e sfumati per una tenda, addirittura monocromatici, bianco o ecru, per cui il disegno emerge solo perché creato con minuscoli pallini in rilievo detti "pipiones".

Due anni dopo, il 26 luglio 2008, sempre ad Aggius, nacque il progetto Essere è tessere. Ancora ne fu ideatrice e protagonista Maria Lai, all'epoca quasi novantenne, che riuscì a coinvolgere la popolazione locale in quella che divenne una festa collettiva nel dipanarsi, proprio come un gomitolo, per le vie del borgo. Canti in lingua corso-gallurese, letture, giochi, mentre le donne mostravano la propria abilità e la propria fantasia tessendo all'aperto. Intanto Maria creava, infatti sui muri di alcune case oggi si possono ammirare le sue opere: dei telai stilizzati con fili metallici, dai colori brillanti, che rimandano al tema della giornata e alla manualità femminile.

 Telai stilizzati. Foto di Laura Candiani

Da allora Maria Lai fu sempre più nota e cominciò a partecipare a mostre ed eventi in tutto il mondo, compresa la Biennale di Venezia; nel 2004 arrivò la Laurea honoris causa all'Università di Cagliari; fece amicizia e attuò progetti con Bruno Munari, Dario Fo, lo stilista Antonio Marras, le cantanti sarde Marisa Sannia ed Elena Ledda. Ottenne il premio speciale della giuria al Premio Dessì nel 2007, un altro riconoscimento nel 2012 (Premio Ciampi-città di Livorno); la Camera dei Deputati ha omaggiato la sua opera Orme di leggi in occasione del 150° dall'Unità d'Italia. Negli ultimi anni di vita, sempre attiva e vivace, ha portato a compimento il suo sogno: nella rimessa della ex stazione ferroviaria di Ulassai ha fatto nascere nel 2006 il Museo d'arte contemporanea che contiene 140 sue opere e rimane la più ampia e varia testimonianza del suo personalissimo percorso artistico. Il nome di Maria Lai ormai ha varcato i confini e gli oceani; è molto amata e apprezzata negli Usa e i suoi lavori sono ospitati nelle più importanti istituzioni museali, da Matera a New York, da Parigi e Roma, da Rovereto a Firenze, da Palermo a Nuoro.

Museo Maria Lai "Stazione dell'arte", ospitato nell'ex stazione ferroviaria di Jerzu. Foto di Damiano Rossi

Traduzione francese

Rachele Stanchina

 

A cause de sa veine artistique inépuisable, de sa créativité et de son unicité Maria Lai a été surnommée en plusieures façons, mais l’appellatif le plus approprié est sans aucun doute celui de “Fée laborieuse” car il renvoie à sa terre, la Sardaigne, et aux travaux manuels realisés par ses femmes, les janas qui peuplent la fantaisie et les mythes. La critique unanime la considère la plus importante artiste sarde du XX siècle.

Maria Lai, Cadre de midi (1967_ bois, ficelle, toile, tempera_ Ulassai, Collection Fondation Stazione dell’Arte). Ph. C
Maria Lai, Tenant la main du soleil (1984-2004_ fil, tissu, velours, 33 x 63 cm_ Collection privée). Ph. Crédit Francesco

Elle naît le 27 septembre 1919 à Ulassai, près de Nuoro, et elle meurt à Cardeddu, près de son lieu de naissance, le 16 avril 2013, après une vie riche, parsemée de satisfactions mais aussi de deuils et difficultés professionnelles. Fille d’un vétérinaire, elle est la deuxième de cinq enfants. A cause de problèmes de santé elle passe les premierès années de sa vie chez ses oncles à Gairo, ce qui lui empêche d’étudier de manière régulière. Cependant, après un dramatique fait de sang, elle rentre définitivement en famille. A partir du 1932 Maria commence ses études au sein de l’Institut Magistral de Cagliari, ensuite elle s’installe à Rome pour étudier au Lycée Artistique. Pendant la Deuxième Guerre Mondiale, ne pouvant pas rentrer en Sardaigne, elle part pour Venise où elle étudie la sculpture au sein de l’Académie jusqu’au 1945. Une fois rentrée dans l’île, elle enseigne pour peu d’années à l’Institut Technique féminin de Cagliari, tout en essayant la voie de l’art. Elle a du mal a s’affirmer: Maria est un esprit libre, une artiste non alignée, à l’écart des définitions ou classifications habituelles. Les difficultés la poussent encore une fois à Rome, où elle rencontre le soutien de l’écrivain sarde Giuseppe Dessì qui devient un ami. Sa famille est frappée par un autre terrible deuil, l’assassinat de son frère Lorenzo, probablement victime d’une tentative d’enlèvement.

En 1957 Maria réussit à exposer pour la prémière fois ses dessins à la galérie L’OBELISCO de Irene Brin, célèbre journaliste et écrivaine. Bientôt elle abandonne l’art poétique des années soixante et passe à l’art Informale et à l’Arte Povera avec les fascinants “livres cousus”. Elle encourage et soutient des événements et des installations liées aux traditions de son pays d’origine, à travers l’utilisation des broderies, métiers à tisser, fils, papier, pains, symboles…L’année 1971 est marquée par un autre deuil, la mort de son frère Gianni, médicin reconnu dans son domaine, à la suite d’un accident d’avion. Mais la même année se révèle importante pour la carrière de l’artiste: elle organise à la Galerie Schneider de Rome une expositions de ses œuvres ayant comme sujet principal les métiers à tisser. La connaissance de Angela Grilletti Migliavacca agit comme un élan pour son succès: la marchande d’art devient une conseillère et une amie fidèle, ainsi que sa curatrice personnelle. Un autre rôle important est celui de Mirella Bentivoglio, historienne de l’art, grâce à laquelle Maria participe à la biennale de Venise en 1978.

Le 8 septembre 1981, date importante et symbolique pour l’histoire Italienne, son désir de célébrer la paix, la solidarité, l’énergie vitale se concrétise dans une entreprise exceptionnelle et originale. Elle avait longuement essayé de pousser les gens de son village natal à la réalisation de la première tentative au monde d’un “art relationnel” au titre Se lier à la montagne. Elle y parvient finalement. La réalisation de ce projet grandieuse et complexe demande des jours de préparation et trois journées pour la mise en place. On utilise 27 km de tissu bleu ciel pour créer des liens entre les maisons des habitants du village, ainsi qu’ bon nombre de pains votifs decorés, typiques de la tradition sarde au nom de “su pani pintau”. L’autre but du tissu est placé au sommet du mont Gedili, qui domine Ulassai. Se realise ainsi, au son de la flûte de Angelo Persichelli, un cercle symbolique d’union et d’harmonie. C’est toujour en 1981 la réalisation d’une Via Crucis qu’elle donne à la paroisse du village et, peu après, celle du projet du Musée en plein air avec la collaboration de son ami artiste Costantino Nivola. En 2006 c’est la fois de l’exposition au titre Les fils et d’autres histoires organisée au sein du Musée d’Ethnographie de Aggius, près de Sassari. Ce Musée, nommée MEOC, est dédié à l’habile tisseuse Oliva Carta Cannas et a été construit sur le terrain et dans les immoeubles familiaux à la suite d’une importante donation de la part des héritiers de l’artiste.

Meoc. Maria Lai.Cartouches-tissant des mémoires Photo de Laura Candiani

 Cette nouvelle expo présente les “Cartiglio” qui, ayant comme bût principal de “tisser des souvenirs, ont caractérisé toute la production artistique de Maria Lai: il suffit d’entrer dans les salles du Musée pour comprendre le sens de ce message. On y trouve des merveilleux ouvrages crées au fil du temps par des mains féminines habiles et sans nom: chaque pièce est un témoignage de combien de créativité, d’habilité et de patience soit nécessaire pour s’appliquer au métier à tisser. Le tissage est un art ancestral, reservé aux femmes, pratiqué par tradition, en Sardaigne comme dans d’autres régions d’Italie, à la maison. A l’intérieur des murs domestiques l’on réalisait le trousseau qui comptait draps, rideaux, nappes de table, couvertures en tissu de chanvre, coton ou bien lin. Encore aujourd’hui les tisseuses les plus expérimentées se dédient à la création de merveilleuses tapisseries en laine, tapis et coussins, véritables expressions artistiques qui réproduisent des symboles transmis au sein de la famille à travers les générations. On y trouve les épis de blé porte bonheur, le joli vanneau, les animaux de la court ainsi que la faune sauvage, les petites fleurs stylisées, le couple en tenue de fête prête pour le “bal rond”. Les couleurs suivent le goût de la tisseuse ou bien la destination d’usage du manufait: elles sont vives et riches en contraste pour une tapisserie, douces et fanées pour un rideau ou bien monochrome, en blanc ou écru. Dans ce dernier cas le décor se rèvèle uniquement par des petits nœuds en relief, dits “pipiones”.

Deux années après, le 26 juillet 2008, Maria réalise à Aggius le projet Etre c’est tisser. Elle est presque nonagénaire, mais sa vitalité lui permet de réussir à engager tous les habitants du village dans une fête collective, qui se démêle parmi les ruelles comme un véritable pelote. Pendant que les femmes montrent leus expertise et leur fantaisie en tissant en plein air, le village résonne de chants en langue Corse-gallurese, de jeux, de lectures à haute-voix. Au même temps Marie réalise ses ouvrages, qui encore aujourd’hui décorent les murs de quelque maison: des métiers à tisser stylisés aux couleurs vivaces, crées avec des fils en métal qui renvoient au thème de la journée et aux habilitées manuelles féminines.

 Cadres stylisés, Photo de Laura Candiani

A partir de cette date Maria devient de plus en plus célèbre et commence à prendre part à des expos et évenément dans le monde entier, y compris la Biennale de Venise. En 2004 l’Université de Cagliari lui remets un diplôme honorifique, elle collabore et devient amie de Bruno Munari, de Dario Fo, du styliste Antonio Marras, des chanteuses sardes Marisa Sannia et Elena Ledda. En 2007 Maria obtient le prix spécial du jury au sein du Prix Dessì, et en 2012 le Prix Ciampi- Ville de Livorno. La Chambre des Députés rend hommage à son œuvre Empreintes des lois à l’occasion du 150° de l’Unité Italienne. Sans perdre sa vivacité et son énergie, pendant les dernières années de sa vie Marie reussit à accomplir son rêve: la création en 2006 du Musée d’Art Contemporain dans les dépôts de l’ancienne gare de Ulassai. Il abrite 140 ouvrages et cette collection demeure le témoignage le plus complet et riche de son parcour artistique, tout à fait personnel et hors du commun. Le nom de Maria Lai a déshormais franchi toutes les frontières: elle est très appreciée et aimée aux Etats-Unis, on peut admirer ses ouvrages au sein des Musées les plus importants, de Matera à New York, de Paris à Rome, de Rovereto à Florence, de Palermo à Nuoro.

Musée Maria Lai "Stazione dell’arte", situé dans l’ancienne gare de Jerzu. Photo de Damiano Rossi.

Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

 

Maria Lai fue definida de muchas maneras por su inagotable vena artística, por su creatividad, por su singularidad, pero ciertamente llamarla “hada laboriosa” es muy apropiado porque se refiere a su tierra, Cerdeña; a los trabajos manuales realizados por sus mujeres; a las Janas que pueblan la fantasía y los mitos. La crítica unánime la considera la mayor artista sarda del siglo XX.

Maria Lai, Marco del mediodía (1967_ madera, cuerda, tela, témpera_ Ulassai, Colección Fundación Stazione dell’Arte). Ph. C.
Maria Lai, Sosteniendo la mano del sol (1984-2004_ hilo, tela, terciopelo, 33 x 63 cm_ Colección privada). Ph. Crédito Francesco

Nació el 27 de septiembre de 1919 en Ulassai (Nuoro) y murió en Cardedu, localidad no muy lejana, el 16 de abril de 2013, después de haber vivido una existencia llena de satisfacciones, pero también de lutos y obstáculos profesionales. Su padre era veterinario y ella era la segunda de cinco herman*s. Tenía mala salud y pasaba el invierno en casa de sus tíos en Gairo, por lo tanto, estudió de forma bastante irregular. Sin embargo, después de un dramático hecho de sangre, se quedó a vivir siempre en familia. Desde 1932 asistió al Instituto de Secundaria en Cagliari y luego se trasladó a Roma, donde se matriculó en el Liceo Artístico. Durante la guerra, al no poder regresar a Cerdeña, se trasladó a Venecia, donde estudió escultura en la Academia, permaneciendo allí hasta el 1945. De nuevo en la isla enseñó durante unos años en el Instituto Técnico Femenino de Cagliari, mientras intentaba el camino del arte, encontrando dificultades para afirmarse al ser ella un espíritu libre, una creadora no alineada, una persona incatalogable. Otra vez en Roma contó con el apoyo del escritor sardo Giuseppe Dessì, que se hizo amigo suyo. Pero otro terrible duelo afectó a su familia con el asesinato de su hermano Lorenzo, tal vez víctima de un intento de secuestro.

En 1957, consiguió realizar su primera exposición de dibujos en la galería “L'Obelisco” de Irene Brin –conocida periodista y escritora. Del arte en forma poética de los años sesenta pasó al Informal y al llamado Arte pobre con los fascinantes “libros cosidos”; promovió eventos e instalaciones vinculadas a las tradiciones de su tierra, en las que utilizaba: bordados, telares, hilos, papeles, panes y símbolos. En 1971, en un accidente aéreo, perdió la vida otro hermano suyo, Gianni, un médico reconocido. Pero, en otros aspectos, ese año fue importante profesionalmente porque María realizó, en la galería Schneider de Roma, una exposición que tenía los telares como tema principal. Conocer a la galerista Angela Grilletti Migliavacca constituyó un gran avance en su carrera, porque la experta se convirtió en su fiel amiga y consejera, pero también en su comisaria; igualmente importante fue Mirella Bentivoglio, una historiadora del arte que le permitió llegar a la Bienal de Venecia en 1978.

En un aniversario simbólico para la historia italiana, el 8 de septiembre de 1981, puso en marcha una hazaña única y excepcional, que nació de su deseo de celebrar la paz, la solidaridad y la energía vital. Durante mucho tiempo había tratado de convencer a la población de su pueblo natal para que realizara la primera creación del mundo de “arte relacional” titulada Legarsi alla montagna (Atarse a la montaña), hasta que lo logró. Un proyecto grandioso y complejo que requirió días de preparación y tres días para llevarse a cabo; se utilizaron 27 km de tela azul celeste para unir a las personas involucradas y algunos panes decorados y augurales de la tradición sarda (su pani pintau), mientras que el extremo opuesto de la tira fue llevado a la cima del monte Gedili, que domina Ulassai; se formó así un círculo simbólico de unión y armonía, mientras Angelo Persichelli tocaba la flauta. Ese año también realizó un Vía Crucis que donó a la iglesia parroquial del pueblo, mientras que junto al artista Costantino Nivola, amigo suyo, poco después, dieron luz al proyecto del Museo al aire libre. Otra obra significativa fue realizada en 2006 con los tapices que caracterizaron el arte de Maria Lai y tienen el objetivo principal de “tejer recuerdos”, expuesta en el hermoso Museo etnográfico de Aggius (Sassari): el MEOC, dedicado a Oliva Carta Cannas, una hábil tejedora, surgido gracias a la donación de algunos edificios y terrenos por parte de sus herederos.

Meoc. Maria Lai.Carteles-tejiendo memorias Foto de Laura Candiani

 De hecho, se organizó una exposición de las obras de Lai titulada I fili ed altre storie (Los hilos y otras historias); solo tenéis que entrar en el museo para entender el significado del mensaje: de hecho, hay expuestos magníficos artefactos creados en el pasado por manos de mujeres desconocidas que demuestran cuánta creatividad, cuánta habilidad, cuánta paciencia se necesita para aplicarse al bastidor. El tejido es un arte antiguo, típicamente femenino, que por tradición tanto en Cerdeña como en muchas partes de Italia se practicaba en las casas donde se hacían los ajuares compuestos por sábanas, cortinas, manteles de cáñamo, algodón y lino. Pero, las más expertas, incluso hoy, se dedican a la creación de espléndidos tapices de lana, alfombras, cojines, verdaderas formas de arte de las que emergen símbolos transmitidos de generación en generación. Entonces, están las espigas de trigo que traen buena suerte, el típico pavo real, los animales de corral y los salvajes, las flores estilizadas, la pareja con ropa festiva que parece estar lista para el “baile redondo”. Los colores varían según el gusto de la trabajadora y el propósito del artefacto; por ejemplo, serán vibrantes y ricos en contrastes para un tapiz de pared, pero serán tenues y matizados para una cortina, incluso monocromáticos, blancos o crudos, por los que el diseño surge solo porque se crea con pequeños puntos en relieve llamados “pibiones”.

 Dos años después, el 26 de julio de 2008, también en Aggius, nació el proyecto Essere è tessere (Ser es tejer). La creadora y protagonista fue otra vez María Lai, de casi noventa años en aquel momento, quien logró involucrar a la población local en la que se convirtió en una fiesta colectiva al dispersarse, como un ovillo, por las calles del pueblo. Cantos en lengua corsa-galluresa, lecturas, juegos, mientras que las mujeres mostraban su habilidad e imaginación tejiendo al aire libre. Entretanto, María creaba; de hecho, hoy se pueden admirar sus obras en las paredes de algunas casas: bastidores estilizados con hilos metálicos de colores brillantes, que se refieren al tema del día y a la manualidad femenina.

 Marcos estilizados Foto de Laura Candiani

Desde entonces, Maria Lai fue cada vez más conocida y comenzó a participar en exposiciones y eventos en todo el mundo, incluida la Bienal de Venecia; en 2004 se le concedió el doctorado honorario por la Universidad de Cagliari; hizo amistad e implementó proyectos con Bruno Munari, Dario Fo, el modisto Antonio Marras, las cantantes sardas Marisa Sannia y Elena Ledda. Recibió el premio especial del jurado, el Premio Dessì, en 2007 y otro reconocimiento en 2012 (Premio Ciampi-ciudad de Livorno); la Cámara de Diputados homenajeó su obra Orme di leggi (Huellas de leyes) con motivo del 150 aniversario de la Unificación de Italia. En los últimos años de su vida, siempre activa y vivaz, cumplió su sueño: en el depósito de la antigua estación de tren de Ulassai nació en 2006 el Museo de Arte Contemporáneo, que contiene 140 obras suyas y sigue siendo el testimonio más amplio y variado de su personalísimo recorrido artístico. El nombre de Maria Lai traspasó fronteras y océanos; es muy querida y apreciada en los Estados Unidos y sus obras se encuentran en los principales museos, desde Matera hasta Nueva York pasando por París, Roma, Rovereto, Florencia, Palermo y Nuoro.

Museo Maria Lai "Stazione dell’arte", ubicado en la antigua estación de tren de Jerzu. Foto de Damiano Rossi.

Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Maria Lai has been defined in so many ways for her inexhaustible artistic vein, for her creativity, for her uniqueness, but certainly calling her an "industrious pixie" is as appropriate as ever because it harkens back to her land, Sardinia, to the handiwork carried out by its women, to those “Janas” (fairies/pixies/witches) that populate fantasy and myths. Unanimous critics consider her the greatest Sardinian artist of the 20th century.

Maria Lai, Frame of midday (1967_ wood, string, canvas, tempera_ Ulassai, Collection of the Stazione dell’Arte Foundation). Ph. C.
Maria Lai, Holding the Sun’s Hand (1984-2004_ thread, fabric, velvet, 33 x 63 cm_ Private Collection). Ph. Credit Francesco

She was born on Sept. 27, 1919, in Ulassai, in the province of Nuoro, Sardinia and died in Cardedu, a town not far away, on April 16, 2013, after living an existence full of satisfaction, but also of professional mourning and obstacles. Her father was a veterinarian, and she was the second of five children. She had poor health and spent the winter season at her aunt and uncle's in Gairo, so she studied rather irregularly. After a dramatic act of bloodshed, however, she remained living with the family all the time. From 1932 she attended the Istituto magistrale in Cagliari, then moved to Rome where he enrolled in the Liceo artistico. During the war, unable to return to Sardinia, she went to Venice where she studied sculpture at the Accademia, remaining there until 1945. Back on the island she taught for a few years at the Women's Technical Institute in Cagliari, while trying her hand at art, encountering difficulties in establishing herself, being a free spirit, a non-aligned creator, a person who could not be catalogued. Back in Rome she had the support of the Sardinian writer Giuseppe Dessì, who became her friend. But another terrible bereavement struck her family with the murder of her brother Lorenzo, perhaps the victim of an attempted kidnapping.

n 1957 she was able to hold her first exhibition of drawings at the L'Obelisco gallery of Irene Brin, the well-known journalist and writer. From art in poetic form in the 1960s she moved on to the Informal and so-called Arte Povera with the fascinating "sewn books" and promoted events and installations related to the traditions of her land, using embroidery, looms, threads, paper, breads, and symbols. In 1971 another brother, Gianni, a respected physician, lost his life in a plane crash. But that year, in other ways, was important professionally because Maria produced, at the Schneider Gallery in Rome, an exhibition that had looms as its main theme. Getting to know gallery owner Angela Grilletti Migliavacca constituted a step forward for her career because the expert became her faithful friend and adviser, but also her curator. Equally important was Mirella Bentivoglio, an art historian, who enabled her to get to the Venice Biennale, in 1978.

On a symbolic anniversary for Italian history, September 8, 1981, she put in place a unique and exceptional undertaking, born of her desire to celebrate peace, solidarity, and vital energy. For a long time she had been trying to convince the people of her hometown to carry out the world's first creation of "relational art" entitled Binding to the Mountain, until she succeeded. It was a grandiose and complex project that took days of preparation and three days to accomplish. Twenty-seven km. of blue cloth was used to bind together the people involved and some decorated and augural breads from the Sardinian tradition ("su pani pintau"), while the opposite end of the strip was carried to the summit of Mount Gedili overlooking Ulassai. Thus a symbolic circle of union and harmony was formed, to the sound of Angelo Persichelli's flute. That year she also made a Stations of the Cross, which she donated to the town's parish church, while with her artist friend Costantino Nivola, the Open-Air Museum project was born shortly thereafter. Another significant work was accomplished in 2006 with those cartouches that have characterized Maria Lai's art and that have the primary purpose of "weaving memories," displayed inside the beautiful ethnographic museum in Aggius (Sassari): the Meoc, named after Oliva Carta Cannas, which arose thanks to the donation of some buildings and land by the heirs of the woman, a skilled weaver.

Meoc. Maria Lai.Carteles-tejiendo memorias. FPhoto by Laura Candiani

In fact, an exhibition of Lai's work entitled I fili ed altre storie (The threads and other stories) was organized. One only has to enter the museum to understand the meaning of the message - there are in fact magnificent artifacts created in the past by unknown women's hands that show how much creativity, how much skill, how much patience is needed to apply oneself to the loom. Weaving is an ancient art, typically feminine, that by tradition both in Sardinia and in many parts of Italy was practiced in homes where they made the trousseaux composed of sheets, curtains, tablecloths, blankets with hemp, cotton, and linen yarns. But the most skilled are still dedicated today to the creation of beautiful woolen tapestries, rugs, pillows, true art forms from which emerge symbols handed down from generation to generation. Here, then, are the ears of wheat for good luck, the typical lapwing, farmyard and wild animals, stylized flowers, and the couple in festive attire looking ready for the "round dance." The colors vary according to the taste of the worker and according to the purpose of the artifact, they will be bright and richly contrasting for a tapestry to be hung on the wall, for example, but they will be muted and faded for a curtain, even monochromatic, white or ecru, for which the design emerges only because it is created with tiny raised dots called "pipiones."

Two years later, on July 26, 2008, again in Aggius, the project Being Is Weaving was born. Still its creator and protagonist was Maria Lai, then almost 90 years old, who managed to involve the local population in what became a collective festivasl in unraveling, just like a ball of yarn, through the streets of the village. Songs in the Corsican-Gallurese language, readings, and games, as women showed off their skills and imagination by weaving outdoors. Meanwhile, Maria was creating, and on the walls of some houses today you can admire her works - stylized looms with metal wires, brightly colored, referring to the theme of the day and women's manual skills.

 Stylized frames Photo by Laura Candiani

Since then Maria Lai has become increasingly well-known. She began participating in exhibitions and events around the world, including the Venice Biennale. In 2004 came an honorary degree from the University of Cagliari. She befriended and implemented projects with Bruno Munari, Dario Fo, fashion designer Antonio Marras, and Sardinian singers Marisa Sannia and Elena Ledda. She obtained the special jury prize at the Dessì Prize in 2007, and another award in 2012 (Ciampi-City of Livorno Prize). The Chamber of Deputies honored her work Orme di leggi on the occasion of the 150th anniversary of the Unification of Italy. In the last years of her life, always active and lively, she brought her dream to fruition. In the building of the former railway station in Ulassai, she gave birth in 2006 to the Museum of Contemporary Art, which contains 140 of her works and remains the widest and most varied testimony of her very personal artistic journey. Maria Lai's name has now crossed borders and oceans - she is much loved and appreciated in the U.S. and her works are housed in the most important museum institutions, from Matera to New York, from Paris to Rome, from Rovereto to Florence, from Palermo to Nuoro.

Maria Lai Museum "Stazione dell’arte", located in the former Jerzu railway station. Photo by Damiano Rossi.

Otti Berger
Laura Candiani

Giulia Canetto

 

Una vicenda dolorosa, una vita spezzata, una artista visionaria che non ha potuto esprimersi come e quanto avrebbe ancora voluto e potuto fare, stroncata dalla violenza nazista. Questa è la storia della croata Otti (Otilija Ester) Berger, nata da famiglia ebraica il 4 ottobre 1898 a Zmajevac, allora nell'Impero Austro-ungarico, e uccisa ad Auschwitz nel 1944. Studiò prima a Vienna poi alla Reale Accademia delle Belle Arti di Zagabria dal 1922 al 1926, quindi, grazie anche al perfetto bilinguismo, entrò come allieva al Bauhaus di Dessau, in Germania, dove ebbe come maestri Lazlo Moholy-Nagi, Vasilij Kandinsky, Paul Klee. Fu ritenuta in assoluto una delle migliori studenti e si diplomò brillantemente nel 1929 in Arte tessile. Degno di nota il fatto che in quel periodo le allieve fossero più numerose degli allievi, 84 a 79, e costituissero una fucina di creatività, anche se negli anni il loro numero fu fortemente ridimensionato e il loro ruolo confinato in ambiti specifici, ritenuti minori, come la tessitura, a fronte dei settori privilegiati: architettura, design, arte. Nel frattempo Otti aveva sperimentato nuove tecniche e nuovi tessuti, unendo la pratica alla rappresentazione grafica grazie a fotografie e dipinti. Significativo anche che avesse trovato due docenti aperte al rinnovamento, come Anni Albers (1899-1994) e Gunta Stölzl (1897-1983) con cui condivise l'idea che la tessitura non fosse necessariamente un'attività femminile. In quegli anni così produttivi e vivaci, pieni di originalità e fantasia, scrisse un trattato sulla metodologia della produzione tessile che piacque al direttore della scuola Walter Gropius ma non fu mai pubblicato: Stoffe im Raum (Tessuto per la casa). Qui aveva affermato:

«Un pezzo di stoffa deve essere toccato e sentito; bisogna tenerlo tra le mani. La bellezza di una cosa si riconosce soprattutto dalla sua sensazione. La sensazione delle cose tra le mani può essere un'esperienza altrettanto bella quanto il colore può esserlo per gli occhi o il suono per l'orecchio».

Otti Berger – Book (dettaglio), 1930 Otti berger- stoffa

Nel 1929 fu a Stoccolma dove scrisse un testo sulle tecniche svedesi che influenzò in seguito la sua pubblicazione di istruzioni sulla tessitura: Bindungslehre. Alle dimissioni di Stölzl, nel 1931 assunse la direzione del settore dedicato al tessuto del Bauhaus dove operò in modo indipendente, basandosi sulla sua esperienza passata di allieva e sulla sua attività di disegnatrice sperimentale, con una profonda conoscenza delle necessità industriali e con la convinzione di trovare soluzioni alternative. Formò una generazione nuova di artiste, inserendo nel programma la produzione e la pratica, oltre al disegno iniziale; fra queste emersero Zsuzsa Markos-Ney che operò a Parigi e Etel Fodor-Mittag che poi lavorò in Sudafrica. Nel 1932 tuttavia il nuovo direttore Mies van der Rohe affidò la direzione a un'altra docente, la tedesca Lilly Reich (1885-1947). A questo punto Berger aprì nel suo appartamento a Berlino un proprio laboratorio chiamato Atelier für Textilien, utilizzando alcuni telai acquistati dalla scuola. Cominciò a stabilire fruttuose collaborazioni con industrie tessili grazie alle sue idee innovative, come quella di utilizzare la plastica e materiali artificiali. Fu allora che dette vita a tessuti pratici e robusti, con una vasta gamma cromatica, per uso domestico che denominò: pointé, heliotroop, diagonal, decorati da forme astratte, geometriche ed essenziali. Si segnalano fra le altre le collaborazioni con la svizzera Wohnbedarf AG, le manifatture C.F. Baumgartel e figli, Schriever, Websky, Hartmann e Wiesen. Aveva anche lavorato per l'azienda olandese De Ploeg che vendeva i suoi tessuti ai grandi magazzini Metz &Co e De Bijenkorf, imponendo un nuovo stile negli arredi, che fece scuola.

Otti Berger-Campione di Rivestimento per Mobili Tubolari-1932-1937

Otti cominciò a "firmare" le sue creazioni con le proprie iniziali in caratteri minuscoli e di fatto fu l'unica fra chi proveniva dall'esperienza del Bauhaus a ottenere in due casi il brevetto per i suoi disegni e i suoi progetti: uno in Germania nel 1934 e uno a Londra nel 1937. Nel 1936 però l'attività venne chiusa a causa delle leggi imposte dal governo nazista che impedivano alle persone ebree di lavorare. Otti si recò a Londra e sperava di raggiungere gli Stati Uniti, dove si erano trasferiti anche alcuni vecchi docenti del Bauhaus, come Ludwig Hilberseimer. In Gran Bretagna si manteneva con sporadiche collaborazioni che includevano la Helios Ldt e Marianne Straub (1909-94), designer altrettanto innovatrice; tuttavia aveva difficoltà con la lingua, anche a causa di un deficit uditivo, e nei rapporti sociali ritenendo quella popolazione molto riservata; diceva di sentirsi sola e che per essere accettata in una cerchia di amicizie ci sarebbero voluti almeno dieci anni. Nel 1938 il suo ex-insegnante Lazlo Moholy-Nagi la invitò a Chicago e Otti si dette da fare per ottenere i documenti per l'espatrio e il visto come lavoratrice. Tuttavia venne trattenuta da varie circostanze sfavorevoli: la madre aveva gravi problemi di salute e lei non riusciva a trovare a Londra un lavoro stabile, così fece la scelta di ritornare in patria; nel 1941 le morì il padre, l'anno seguente la madre; il 27 aprile 1944 con i restanti membri della sua famiglia fu deportata, prima verso un campo di raccolta nella cittadina ungherese di Mohács, poi ad Auschwitz e non fece più ritorno. Si salvò solo il fratello Otto che ipotizzò la sua prematura morte nella camera a gas, forse proprio a causa dei problemi di udito.

Otti Berger Otti Berger – Sede della scuola Bauhaus a Dessau

Anche se la sua vita fu breve, Otti Berger ha lasciato un segno forte e potente nell'arte tessile e sue opere si trovano oggi in vari musei del mondo: il Metropolitan Museum of Art (il celebre Met di New York), il Busch-Reisinger Museum facente parte del Museo dell'Università di Harvard, l'Art Institute di Chicago, all'interno della collezione Hilberseimer, il Museo Nazionale di Oslo. La sua influenza artistica e creativa, che precorreva i tempi, si diffuse in tutta Europa grazie alle collaborazioni con riviste specializzate: Domus, la svedese Spektrum, International Textiles (rivista tedesca pubblicata in più Paesi), Der Konfektionar. Ancora oggi ci piace ricordare il suo dolce sorriso e cogliere la sua geniale inventiva osservando quanto di bello e innovativo ha creato.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

 

Une histoire douloureuse, une vie coupée, une artiste visionnaire qui n’a pas pu s’exprimer dans la façon et pour le temps qu’elle aurait voulu et pu encore faire, puisque elle a été suffoquée par la violence nazi. C’est l’histoire de Otti (Otiljia Ester) Berger, croate, née d’une famille juive le 4 octobre 1898 à Zmajevac, à ce temps-là au sein de l’empire austro-hongrois, et finalement tuée à Auschwitz en 1944. Otti étudie d’abord à Vienne, puis, pendant les années 1922-1926, à l’Académie Royale des Beaux Arts à Zagabre. Successivement, grâce à son parfait bilinguisme, elle entre au Bauhaus de Dessau, en Allemagne, où elle devient élève de Lazlo Moholy-Naji, Vasilij Kandinsky, Paul Klee. Elle est considérée comme une des étudiantes les plus talentueuses: en 1929 elle obtient avec mention son diplôme en Art Textile. Il faut remarquer comme en cette période les jeunes étudiantes étaient plus nombreuses que les hommes (84 contre 79) et elles représentaient un foyer de créativité. Cependant, au cours des années, leur nombre vient fortement réduit ainsi que leur rôle, releguées dans des domaines précis, tel que le tissage, qui étaient considérés de mineure importance par rapport à d’autres secteurs privilegiés: architecture, design, art. Pendant ses études Otti expérimente des nouvelles techniques et des nouveaux tissus. Ses travaux, à travers la photographie et la peinture, combinent la pratique à la représentation graphique. Ella a la chance d’avoir rencontré deux professeures ouvertes à l’innovation: Anni Albers (1899-1994) et Gunta Stolzl (1897-1983). Elle partage avec ses enseignants l’idée que le tissage n’est pas exclusivement une affaire de femmes. Pendant cette période productive et dynamique, remplie de fantaisie et d’originalité, Otti écrit Stoffe im Raum (TISSUS POUR LA MAISON) un traité sur la méthodologie de la production textile, qui soulève l’intêret du directeur Walter Gropius. Cependant, le travail n’a jamais été édité. Elle y affirme:

«On doit toucher et écouter un bout de tissu, il faut le prendre dans les mains. L’on ressent la beauté d’un objet surtout à partir de la sensation qu’il nous donne. Les sensations qui naissent lorsque nous prenons des choses entre nos mains sont aussi fortes et belles que la couleur pour les yeux ou le son pour l’oreille».

Otti Berger – Livre (détail), 1930 Otti berger- Tissu

En 1929 Otti s’installe à Stockholm. Ici elle écrit Bindungslehre, un essai sur les techniques suédoises qui, dans la suite, va influer sur toute sa publication dédiée au tissage. En 1931, à la suite des démissions de Stolzl, elle dirige la branche du Bauhaus qui s’occupe des textiles et elle y agit de façon autonome grâce à son savoir-faire d’élève et à son activité précedente de dessinatrice expérimentale. Otti est convaincue de reussir à trouver des solutions alternatives aux nouveaux besoins de l’industrie, qu’elle connaît parfaitement. C’est ainsi qu’elle introduit dans le programme d’études non seulement le dessin initial du tissu, mais aussi la production et la pratique. Elle forge une nouvelle generation d’artistes, parmi lesquelles ressortent les personnalités de Zsuzsa Markos-Ney à Paris et Etel Fodor-Mittag qui travaillera en Afrique du Sud. Cependant, en 1932 le nouveau directeur Mies van der Rohe charge l’allemande Lilly Reich (1885-1947) de la direction du secteur textile. Otti décide d’ouvrir, dans son appartement de Berlin, un atelier personnel pour utiliser des cadres qu’elle a acheté de l’école: c’est la naissance de l’Atelier fur Textilien et d’une période de fructueuses collaborations avec les industries textiles. Elle a des idées tout à fait innovatrices, telles que l’utilisation du plastique ou de matériaux synthétiques qui lui permettent de créer des tissus à usage domestique, pratiques et résistants, avec une large gamme chromatique. Ses créations portent les noms pointé, heliotroop, diagonal et sont décorées par des formes abstraites, géometriques et essentielles. Naissent ainsi des collaborations importantes: aves l’industrie suisse Wohnbedarf AG, la manufacture C.F. Baumgartel et fils, Schriever, Websky, Hartmann et Wiesen. Otti travaille aussi pour l’entreprise hollandaise De Ploeg, qui vend ses tissus aux grands magasins Metz&Co et De Bijenkorf, et s’impose avec un nouveau style de décoration qui va faire école.

Otti Berger - Échantillon de revêtement pour meubles tubulaires - 1932-1937

Elle commence à “signer” ses créations avec ses initiales minuscules: parmi les artistes provenantes de l’expérience du Bauhaus, elle est la seule à obténir deux fois le brévet pour ses dessins et ses projets, en Allemagne en 1934 et à Londres en 1937. Toutefois, en 1936 les nouvelles lois du gouvernement nazi empêchent aux juifs de travailler et Otti doit interrompre son activité. Elle part pour Londres, d’où elle souhait rejoindre les Etats-Unis comme avaient fait Ludwig Hilberseimer et d’autres vieux enseignants du Bauhaus. Une fois en Angleterre elle gagne sa vie grâce à des collaborations ponctuelles avec Helios Ldt ou Marianne Straub (1909-1994), une styliste innovatrice. Mais elle a du mal à s‘intégrer socialement, elle considère la population trop réservée et son déficit auditif lui cause des problèmes avec la langue. Elle ressent la solitude, convaincue que seulement après une dizaine d’années lui serait possible s’entourer d’une cercle d’amitiés. En 1938 son ancien enseignant Lazlo Moholy-Nagi l’invite à Chicago: Otti s’active afin d’obtenir les papiers pour l’expatriation et le permis en tant que travailleuse. Mais elle est retenue par toute une série de circonstances défavorables: sa mère est sérieusement malade et elle n’arrive pas à trouver un travail régulier à Londres, donc elle décide de rentrer en Allemagne. En 1941 meurt son père, l’année suivante sa mère. Le 27 avril 1944, avec ce qui reste de sa famille, elle est déportée d’abord dans un centre dans la ville de Mohacs en Hongrie, et ensuite à Auschwitz d’où elle ne reviendra jamais. Le seul survécu de sa famille, son frère Otto, a supposé que Otti ait trouvé dès son arrivée la mort dans les chambres à gaz, peut- être à cause de sa surdité.

Otti Berger Otti Berger – Siège de l'école Bauhaus à Dessau

Malgrè une vie briève, Otti Berger a laissé une marque forte et puissante au sein de l’art textile. Ses oeuvres sont aujourd’hui exposées dans plusieurs musées du monde: le Metropolitan Museum of Art (le célèbre MET de New York), le Busch-Reisinger Museum qui fait partie du Musée de l’Université de Harvard, l’Art Institute de Chicago (au sein de la collection Hilberseimer), le Musée National de Oslo. Son influence artistique et créative, qui était en avance sur son temps,se propage au sein de l’Europe entière grâce à la collaboration avec des révues spécialisées telles que Domus , la suédoise Spectrum, International Textiles ( révue allemande publiée dans différents Pays) ou Der Konfektionar. Encore aujourd’hui nous aimons nous souvenir de son sourire doux ou apprécier son inventive brillante, en observant les belles et originales créations qu’elle nous a laissé.


Traduzione spagnola

Graziana Santoro

 

Un asunto doloroso, una vida rota, una artista visionaria que no logró expresarse como deseaba y podía, truncada por la violencia nazi. Esta es la historia de la croata Otti (Otilija Ester) Berger, de familia judía, nacida el 4 octubre de 1898 en Zmajevac en el Imperio Austrohúngaro y asesinada en Auschwitz en 1944. Estudió primero en Viena y luego en la Real Academia de Bellas Artes de Zagreb desde 1922 hasta 1926; gracias a su perfecto bilingüismo, fue aceptada como alumna en la Bauhaus de Dessau, en Alemania, y sus maestros fueron Lazlos Moholy-Nagi, Vasilij Kandisky y Paul Klee. Fue considerada una de las mejores alumnas que jamás tuvieron y se graduó con éxito en 1929 en Arte Textil. Vale la pena mencionar que en esa época, el número de las alumnas era mayor que el de los alumnos, respectivamente 84 contra 79. Representaban una fábrica de ideas, aunque su número fue reducido a lo largo de los años y su papel fue limitado a ámbitos especificos, considerados inferiores como la tejeduría, en comparación con sectores privilegiados: arquitectura, diseño, arte. Entretanto, Otti experimentaba nuevas tecnicas y nuevos tejidos, combinando la práctica con la representación gráfica, gracias a fotografías y pinturas. También cabe destacar su hallazgo de dos maestras abiertas a la renovación, Anni Albers (1899-1994) y Gunta Stölzl (1897-1983), con quienes pudo compartir la idea de que la textura no era una actividad obligatoriamente femenina. Durante esos años tan productivos y brillantes, llenos de fantasía y originalidad, Otti escribió un tratado sobre la metodología de producción textil; y aunque eso le gustó mucho a Walter Gropius, director de la escuela, nunca fue publicado: Stoffe im Raum (Tela para el hogar). Sus palabras:

«Un pedazo de paño hay que tocarlo y sentirlo; hay que sostenerlo entre las manos. Su belleza pasa a través del contacto directo. Sentir algo entre las manos puede ser una experiencia tan valiosa como ver el color a través de los ojos u oír un sonido a través de las orejas».

Otti Berger – Libro (detalle), 1930 Otti berger- Tela

En 1929 viajó a Estocolmo, y allí escribió un texto sobre las técnicas suecas, que posteriormente influyó una publicación posterior suya con instrucciones de textura: Bindungslehre. Después de la dimisión de Stölzl, en 1931 se hizo cargo del sector del tejido de la Bauhaus, donde operó independientemente, basándose en su experiencia anterior como alumna y en su actividad como diseñadora experimental, con su amplio conocimiento de las necesidades industriales y con la convicción de hallar soluciones alternativas. Formó una nueva generación de artistas, incluyendo en el programa la producción y la practica, junto al inicial diseño; entre estas, destacaron Zsuzsa Markos-Ney en el panorama parisino y Etel Fodor-Mittag que trabajó en Sudáfrica. Pero, en 1932, el nuevo director Mies van der Rohe dio el encargo a otra profesora, la alemana Lilly Reich (1885-1947). Entonces Bergerabrió en su apartamento de Berlín su proprio taller llamado Atelier für Textilien, utilizando algunos marcos comprados por la escuela. Empezó a establecer colaboraciones fructíferas con industrias textiles debido a sus ideas innovadoras, por ejemplo la de utilizar plástico y materiales artificiales. Fue entonces cuando creó tejidos prácticos y robustos para uso doméstico, con una amplia gama de colores, que que luego llamó: pointé, heliotroop, diagonal, decorados por formas abstractas, geométricas y esenciales. Destacan, entre otras, las colaboraciones con la suiza Wohnbedarf AG, las manufacturas C.F. Baumgartel e hijos, Schriever, Websky, Hartmann y Wiesen. También había trabajado para la empresa holandesa De Ploeg, que vendía sus tejidos a los grandes almacenes Metz & Co y De Bijenkorf, exigiendo un nuevo estilo para la decoración, que marcó tendencia.

Otti Berger - Muestra de revestimiento para muebles tubulares, 1932-1937

Otti empezó a "firmar" sus creaciones con sus propias iniciales en minúsculas y, de hecho, fue la única de los que provenían de la experiencia de la Bauhaus que logró obtener la patente para sus diseños y proyectos en dos ocasiones: una en Alemania en 1934 y otra en Londres en 1937. A pesar de todo, en 1936, la actividad se cerró debido a las leyes impuestas por el gobierno nazi que impedían trabajar a las personas judías. Otti se trasladó a Londres esperando llegar a los Estados Unidos, donde también se habían mudado algunos antiguos profesores de la Bauhaus, como Ludwig Hilberseimer. En Gran Bretaña sobrevivía gracias a las colaboraciones esporádicas que incluían la Helios Ltd y Marianne Straub (1909-94), una diseñadora igual de innovadora; sin embargo, tenía dificultades con el idioma, también debido a un déficit auditivo, y en las relaciones sociales, debido a que consideraba a esa población muy reservada; decía que se sentía sola y que para ser aceptada en un círculo de amistades se necesitarían al menos diez años. En 1938, su exprofesor Lazlo Moholy-Nagy la invitó a Chicago y Otti se esforzó por obtener los documentos para la expatriación y el visado como trabajadora. Sin embargo, fue retenida por varias circunstancias desfavorables: su madre tenía graves problemas de salud y ella no lograba encontrar un trabajo estable en Londres, por lo que decidió regresar a su país. En 1941 murió su padre; al año siguiente su madre; el 27 de abril de 1944, con los miembros restantes de su familia, fue deportada, primero a un campo de concentración en la ciudad húngara de Mohács, luego a Auschwitz y no regresó nunca más. Solo se salvó su hermano Otto, quien supuso que su muerte prematura en la cámara de gas quizás hubiera sido a sus problemas auditivos.

Otti Berger Otti Berger – Sede de la escuela Bauhaus en Dessau

Aunque su vida fue breve, Otti Berger dejó una huella fuerte y poderosa en el arte textil; sus obras se encuentran hoy en varios museos del mundo: el Metropolitan Museum of Art (el célebre Met de Nueva York), el Busch-Reisinger Museum, que forma parte del Museo de la Universidad de Harvard, el Art Institute de Chicago, dentro de la colección “Hilberseimer”, y el Museo Nacional de Oslo. Su influencia artística y creativa, claramente visionaria, se expandió por toda Europa gracias a las colaboraciones con revistas especializadas: Domus, la sueca Spektrum, International Textiles (revista alemana publicada en varios países), Der Konfektionar. Aún ahora nos encanta recordar su dulce sonrisa y captar su genial inventiva observando todo lo bello y todo lo innovador que creó.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

A painful affair, a broken life, a visionary artist who was unable to express herself as much as she wanted and could have done, crushed by Nazi violence. This is the story of Croatian Otti (Otilija Ester) Berger, born to a Jewish family on Oct. 4, 1898, in Zmajevac, then in the Austro-Hungarian Empire, and killed in Auschwitz in 1944. She studied first in Vienna then at the Royal Academy of Fine Arts in Zagreb from 1922 to 1926, then, thanks in part to her perfect bilingualism, entered as a student at the Bauhaus in Dessau, Germany, where she had Lazlo Moholy-Nagi, Vasilij Kandinsky, and Paul Klee as her teachers. She was considered by far one of the best students and graduated brilliantly in 1929 in Textile Art. It is noteworthy that at that time female students outnumbered male students, 84 to 79, and constituted a hotbed of creativity, although over the years their numbers were greatly reduced and their role confined to specific areas, considered minor, such as weaving, as opposed to the favored fields: architecture, design, and art. Meanwhile, Otti had experimented with new techniques and new textiles, combining practice with graphic representation through photographs and paintings. Significant, too, that she had found two teachers open to renewal, Anni Albers (1899-1994) and Gunta Stölzl (1897-1983), with whom she shared the idea that weaving was not necessarily a “female” activity. In those productive and vibrant years, full of originality and imagination, she wrote a treatise on the methodology of textile production that pleased school director Walter Gropius but was never published, Stoffe im Raum (Fabric for the Home). Here she had stated:

«A piece of cloth must be touched and felt; one must hold it in one's hands. The beauty of a thing is recognized above all by its feeling. The feeling of things in the hands can be as beautiful an experience as color can be to the eyes or sound to the ear.».

Otti Berger – Book (detail), 1930 Otti berger- Fabric

In 1929 she was in Stockholm where she wrote a text on Swedish techniques that later influenced her instructional publication on weaving, Bindungslehre. Upon Stölzl's resignation, in 1931 she took over as director of the Bauhaus's textile department where she operated independently, building on her past experience as a student and her work as an experimental draughtsman, with a deep understanding of industrial needs and a conviction to find alternative solutions. She trained a new generation of women artists, incorporating production and practice into the program in addition to initial design. Among them emerged Zsuzsa Markos-Ney who worked in Paris and Etel Fodor-Mittag who later worked in South Africa. In 1932, however, the new director Mies van der Rohe entrusted the direction to another lecturer, German Lilly Reich (1885-1947). At this point Berger opened her own workshop in her Berlin apartment called Atelier für Textilien, using some looms purchased from the school. She began to establish fruitful collaborations with textile industries because of her innovative ideas, such as using plastic and artificial materials. It was then that she gave birth to practical and robust fabrics, with a wide range of colors, for domestic use that she named: pointé, heliotroop, and diagonal, decorated by abstract, geometric and essential shapes. Notable among others were collaborations with the Swiss Wohnbedarf AG, the manufactures C.F. Baumgartel and Sons, Schriever, Websky, Hartmann and Wiesen. She had also worked for the Dutch company De Ploeg, which sold its fabrics to the department stores Metz &Co and De Bijenkorf, imposing a new style in furniture that set the standard.

Otti Berger - Sample of Upholstery for Tubular Furniture - 1932-1937

Otti began to "sign" her creations with her own initials in small letters and in fact was the only one among those who came from the Bauhaus experience to be granted patents for her designs in two instances: one in Germany in 1934 and one in London in 1937. In 1936, however, the business was closed because of laws imposed by the Nazi government that prevented Jewish people from working. Otti went to London and hoped to reach the United States, where some former Bauhaus teachers, such as Ludwig Hilberseimer, had also moved. In Britain she supported herself with sporadic collaborations that included the Helios Ltd. and Marianne Straub (1909-94), an equally innovative designer. However, she had difficulty with the language, partly because of a hearing impairment, and also difficulty in social relationships, believing that population to be very reserved. She said she felt lonely and that to be accepted into a circle of friends would take at least ten years. In 1938 her former teacher Lazlo Moholy-Nagi invited her to Chicago, and Otti worked hard to obtain immigration papers and a visa as a worker. However, she was held back by various unfavorable circumstances - her mother had serious health problems and she was unable to find stable work in London, so she made the choice to return to Germany. In 1941 her father died, and the following year her mother. On April 27, 1944, with the remaining members of her family, she was deported, first to a camp in the Hungarian town of Mohács, then to Auschwitz and never returned. She was survived only by her brother Otto, who speculated about her untimely death in the gas chamber, perhaps because of her hearing problems.

Otti Berger Otti Berger – Headquarters of the Bauhaus School in Dessau

Although her life was short, Otti Berger left a powerful mark on textile art, and her works can now be found in various museums around the world, including the Metropolitan Museum of Art (New York's famous Met), the Busch-Reisinger Museum (part of the Harvard University Museum), the Art Institute of Chicago, within the Hilberseimer collection, and the National Museum in Oslo. Her artistic and creative influence, which was ahead of its time, spread throughout Europe through collaborations with trade magazines: Domus, the Swedish Spektrum, International Textiles (a German magazine published in several countries), and Der Konfektionar. Even today it is good to remember her sweet smile and recall her ingenious inventiveness, while observing how beautiful and innovative her creations were.

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