Augusta Holmès
Danila Baldo


Danila Baldo

 

«La gloria è immortale e la tomba effimera. Le anime non dicono addio».

Questi sono i versi scritti sulla tomba di Augusta Holmés, che non si possono leggere senza imbarazzo, perché in realtà la gloria di questa musicista, così famosa durante la sua vita, fu davvero molto effimera. Dopo la sua morte nel 1903, le sue opere uscirono rapidamente dai programmi di concerto. Ciò che è sopravvissuto per alcuni decenni è la composizione Noël: Trois anges sont venus ce soir, del 1884, cantata da Tino Rossi: una posterità molto magra... E ai nostri giorni, il nome Holmès non significa più nulla per la maggior parte delle/dei musicisti professionisti. Hermann Zenta è lo pseudonimo maschile sotto il quale Augusta Mary Anne Holmès compone i suoi primi brani lirici, per poter essere ascoltata e pubblicata in una società che non prendeva in considerazione seriamente il talento femminile nelle arti; in questo sorella di altre compositrici del diciannovesimo secolo, quali Fanny Mendelssohn e Clara Schumann. È solo nel 1864 che il nome di Augusta Holmés compare per la prima volta sulla stampa, in occasione di un concerto che la giovane pianista sedicenne tiene a Ginevra. Suona in particolare due valzer di sua composizione, di cui si sono perse le tracce.

Augusta Holmès, fotografia pubblicata sulla rivista Musica nel gennaio 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève

Augusta Holmès ritratta da Mademoiselle Marie Huet

Nata a Parigi il 16 dicembre 1847, è unica figlia di una madre di sangue scozzese, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, e dell’ufficiale irlandese Charles William Scott Dalkeith Holmes, trasferito in Francia dove il cognome fu modificato aggiungendo un accento grave sull’ultima sillaba. I suoi genitori conoscevano quasi tutte le più importanti e interessanti personalità nel mondo della musica e Augusta passò la sua fanciullezza vicino a Versailles. Da adulta, parlando dei suoi anni a Versailles, ricorderà con emozione «le sue passeggiate nel parco del castello, tra i boschetti dove stanno gruppi o statue di dei e dee dell'antichità». Dimostrò fin da piccola un interesse per la poesia, il disegno e la musica, ma sua madre cercò di scoraggiare i suoi talenti musicali. Gli Holmès trascorrevano gli inverni a Parigi in rue des Écuries d'Artois, dove avevano come vicino Alfred de Vigny, che divenne padrino di Augusta, ma che, seguendo i desideri della madre, non incoraggiò la sua vocazione musicale, pur avendo avuto un ruolo significativo nella sua educazione e crescita spirituale. Dopo la morte della madre, Augusta all’età di 11 anni prese le prime lezioni con Henri Lambert, un organista alla cattedrale di Versailles e in questa giovanissima età diresse un brano scritto per la banda dell’artiglieria di Versailles. In seguito seguì lezioni di strumentazione e orchestrazione e nel 1875, all’età di ventotto anni, divenne anche allieva di César Franck.

Augusta Holmès all’età di 18 anni

Era molto bella e fu amata anche dal compositore Saint Saëns, ma rifiutò di sposarlo. Altri ammiratori furono Franck stesso, Wagner, D’Indy, De l’Isle-Adam e Mallarmé. Divenne l’amante di Catulle Mendés, e madre delle sue tre figlie e due figli, ma non lo sposò. Gli invitati nella casa del padre lasceranno numerose testimonianze sul potere di incanto di Augusta. La giovane donna mantiene il suo mistero e infiamma i cuori, suo padre le permette di disporre di una libertà rara per l’epoca. Tra i frequentatori del salotto di Versailles, il comico Auguste de Villiers de l'Isle-Adam ha lasciato una testimonianza preziosa, spesso citata da giornali e riviste. La narrazione della sua prima visita, intorno al 1869, mostra che la seduzione della padrona di casa si basava in gran parte sui suoi talenti di musicista:

«In un soggiorno dal gusto molto severo, decorato di dipinti, alberi, armi, arbusti, statue e di antichi libri, seduta, davanti a un grande pianoforte, una svelta giovane ragazza. Sembra una figura ossiana. Dubitavo anche, a questa vista, che la deplorevole influenza di una qualsiasi Madame de Staël non avesse già pervertito con un sentimentalismo Rococò l'artista bambina. Dopo la sua accoglienza schietta e cordiale, ho riconosciuto che non ero in presenza di una persona enfatica, e che Augusta Holmès era davvero un essere vivente. I musicisti ancora una volta non si erano sbagliati»

Durante la Guerra franco-prussiana, la compositrice si impegna nel servizio di ambulanza. «L’abbiamo vista sui nostri campi di battaglia soccorrere i nostri feriti, porta il cibo ad alcuni, ad altri cure e consolazioni», ricorderà Gabrielle d'Eze.

Holmès sentiva una grande affinità per la musica di Wagner e in conseguenza i suoi lavori vennero scritti per grandi forze orchestrali e corali. Compose tre opere liriche: Héro et Leandre nel 1875; Astartéx: Lancelot du lac – queste mai eseguite – mentre La montagne noire, dramma lirico in quattro atti e cinque scene, fu rappresentata per la prima volta all’Opera di Parigi nel 1895, ma senza successo. Lei stessa scriveva i testi delle sue canzoni e oratori, così come il libretto per La Montagne Noire e le poesie inserite nei suoi poemi sinfonici, tra cui Irlande e Andromède, che la fecero conoscere come compositrice di programmi musicali con significato politico. Altri grandi lavori includevano sinfonie drammatiche e poemi sinfonici come l’Ode Trionphale per il centenario della Rivoluzione nel 1889 e L’Hymne à la Paix eseguito nel 1890 a Firenze per una serie di manifestazioni in onore di Dante. In un secolo in cui la “donna-compositrice” è raramente considerata una vera professionista, queste due opere raggiungono un successo difficile da immaginare. Degli applausi così frenetici, i nostri contemporanei li riserverebbero a delle rock star dello spettacolo o dello sport.

Augusta Holmès nel suo studio, fotografia pubblicata sulla rivista Musicanel febbraio 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève
Augusta Holmès studio in via Juliette-Lamber, Parigi, fotografata da Henri Mairet

Le sue circa 130 melodie portano gioia nei saloni, mentre i concerti programmano regolarmente le sue partiture orchestrali. Nessun’altra compositrice francese ha prodotto così tanto per orchestra prima della I guerra mondiale. A Parigi come in provincia, Holmès è protagonista di festival e concerti monografici interamente dedicati alla sua musica. Inoltre, è la prima compositrice francese che possa considerarsi orgogliosa di aver avuto una carriera ufficiale. Ricevette una educazione accademica, che a volte si scontrava con le sue doti naturali, da lei stessa riconosciute e apprezzate, come disse nelle sue memorie:

«Quando un motivo mi entra nel cervello, vi si fissa in maniera indelebile, e una volta definito, non mi serve rivederlo né correggerlo. È così che sono arrivata a poter scrivere degli atti interi completamente a memoria»


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

«La gloire est immortelle et le tombeau éphémère. Les âmes ne disent pas adieu.»

Ce sont les vers inscrits sur la tombe d'Augusta Holmès, qui ne peuvent être lus sans embarras, car en réalité, la gloire de cette musicienne, si célèbre de son vivant, a été très éphémère. Après sa mort en 1903, ses œuvres ont disparu rapidement des programmes de concert. Ce qui est resté pendant quelques décennies est la composition Noël : Trois anges sont venus ce soir, de 1884, chantée par Tino Rossi : une postérité bien maigre... Et aujourd'hui, le nom Holmès ne signifie plus rien pour la plupart des musiciennes et musiciens professionnels. Hermann Zenta est le pseudonyme masculin sous lequel Augusta Mary Anne Holmès a composé ses premières œuvres lyriques, afin de pouvoir être écoutée et publiée dans une société qui ne prenait pas au sérieux le talent féminin dans les arts ; elle fait ainsi partie des sœurs d'autres compositrices du XIXe siècle, telles que Fanny Mendelssohn et Clara Schumann. Ce n’est qu’en 1864 que le nom d’Augusta Holmès apparaît pour la première fois dans la presse, lors d’un concert que la jeune pianiste de seize ans donne à Genève. Elle y joue en particulier deux valses de sa composition, dont les traces se sont perdues.

Augusta Holmès, photographie publiée dans la revue Musica en janvier 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès interprétée par Mademoiselle Marie Huet

Née à Paris le 16 décembre 1847, elle est fille unique d’une mère écossaise, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, et d’un officier irlandais, Charles William Scott Dalkeith Holmes, transféré en France où le nom a été modifié en ajoutant un accent grave sur la dernière syllabe. Ses parents connaissaient presque toutes les personnalités les plus importantes et intéressantes du monde de la musique, et Augusta a passé son enfance près de Versailles. Adulte, en parlant de ses années à Versailles, elle se souviendra avec émotion « de ses promenades dans le parc du château, entre les bosquets où se trouvent des groupes ou des statues des dieux et déesses de l'antiquité ». Dès son plus jeune âge, elle a manifesté un intérêt pour la poésie, le dessin et la musique, mais sa mère a tenté de décourager ses talents musicaux. Les Holmès passaient leurs hivers à Paris, rue des Écuries d’Artois, où leur voisin était Alfred de Vigny, qui est devenu le parrain d’Augusta, mais, suivant les désirs de sa mère, il ne soutenait pas sa vocation musicale, bien qu’il ait joué un rôle important dans son éducation et son développement spirituel. Après la mort de sa mère, Augusta, à l’âge de 11 ans, a pris ses premières leçons avec Henri Lambert, un organiste à la cathédrale de Versailles, et à cet âge très jeune, elle a dirigé une œuvre écrite pour la fanfare de l'artillerie de Versailles. Elle a ensuite suivi des cours d’instrumentation et d’orchestration et, en 1875, à l’âge de vingt-huit ans, elle est devenue également élève de César Franck.

Augusta Holmès à 18 ans

Elle était très belle et a été aimée aussi par le compositeur Saint-Saëns, mais elle a refusé de l’épouser. D’autres admirateurs ont été Franck lui-même, Wagner, D’Indy, De l’Isle-Adam et Mallarmé. Elle est devenue l’amante de Catulle Mendès, et mère de ses trois filles et de ses deux fils, mais ne l’a pas épousé. Les invités chez son père ont laissé de nombreux témoignages sur le pouvoir d’envoûtement d’Augusta. La jeune femme gardait son mystère et enflammait les cœurs, son père lui permettait de jouir d’une liberté rare pour l’époque. Parmi les habitués du salon de Versailles, le comique Auguste de Villiers de l’Isle-Adam a laissé un témoignage précieux, souvent cité dans les journaux et revues. Le récit de sa première visite, vers 1869, montre que la séduction de la maîtresse des lieux reposait en grande partie sur ses talents de musicienne:

«Dans un salon au goût très sévère, décoré de peintures, d’arbres, d’armes, de buissons, de statues et de vieux livres, assise, devant un grand piano, une jeune fille agile. Elle semble une figure ossianique. Je doutais aussi, à cette vue, que la déplorable influence de quelque Madame de Staël n’ait déjà perverti par un sentimentaliste Rococo l’artiste enfant. Après son accueil franc et cordial, j’ai reconnu que je n’étais pas en présence d’une personne emphatique, et qu’Augusta Holmès était vraiment un être vivant. Encore une fois, les musiciens ne s’étaient pas trompés».

Pendant la guerre franco-prussienne, la compositrice s'engage dans les services d'ambulance. «Nous l’avons vue sur nos champs de bataille secourir nos blessés, apporter de la nourriture à certains, des soins et des consolations à d’autres», se souviendra Gabrielle d’Eze.

Holmès ressentait une grande affinité pour la musique de Wagner et, par conséquent, ses œuvres ont été écrites pour de grandes forces orchestrales et chorales. Elle a composé trois opéras lyriques : Héro et Léandre en 1875 ; Astartex : Lancelot du lac – ces deux derniers jamais joués – tandis que La montagne noire, drame lyrique en quatre actes et cinq scènes, a été représenté pour la première fois à l’Opéra de Paris en 1895, mais sans succès. Elle écrivait elle-même les textes de ses chansons et oratorios, ainsi que le livret pour La Montagne Noire et les poèmes insérés dans ses poèmes symphoniques, parmi lesquels Irlande et Andromède, qui l’ont fait connaître comme compositrice de programmes musicaux à signification politique. D’autres grandes œuvres incluent des symphonies dramatiques et des poèmes symphoniques comme l’Ode Triomphale pour le centenaire de la Révolution en 1889 et L’Hymne à la Paix joué en 1890 à Florence lors d’une série de manifestations en l’honneur de Dante. Dans un siècle où la « femme-compositrice » est rarement considérée comme une vraie professionnelle, ces deux œuvres ont atteint un succès difficile à imaginer. Des applaudissements aussi frénétiques, nos contemporains les réserveraient à des rock stars du spectacle ou du sport.

Augusta Holmès dans son atelier, photographie publiée dans la revue Musica en février 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Atelier Augusta Holmès rue Juliette-Lamber, Paris, photographié par Henri Mairet

Ses quelque 130 mélodies apportent de la joie dans les salons, tandis que les concerts programment régulièrement ses partitions orchestrales. Aucune autre compositrice française n’a produit autant pour orchestre avant la Première Guerre mondiale. À Paris comme en province, Holmès est l’une des figures principales des festivals et concerts monographiques entièrement dédiés à sa musique. De plus, elle est la première compositrice française à pouvoir être fière d’avoir eu une carrière officielle. Elle a reçu une éducation académique, qui se heurtait parfois à ses talents naturels, reconnus et appréciés par elle-même, comme elle le dit dans ses mémoires:

«Quand un motif entre dans ma tête, il s’y fixe de manière indélébile, et une fois défini, il ne me sert à rien de le revoir ni de le corriger. C’est ainsi que j’ai pu écrire des actes entiers complètement de mémoire».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

«Glory is immortal and the grave ephemeral. Souls do not say goodbye».

These are the verses written on the tomb of Augusta Holmés, which cannot be read without embarrassment, because the glory of this musician, so famous during her lifetime, was indeed very ephemeral. After her death in 1903, her works were quickly dropped out of concert programs. What survived for a few decades was the composition Noël: Trois anges sont venus ce soir, from 1884, sung by Tino Rossi - a very meager posterity. And in our days, the name Holmès no longer means anything to most professional musicians. Hermann Zenta is the male pseudonym under which Augusta Mary Anne Holmès composed her first operatic pieces, in order to be heard and published in a society that did not take female talent in the arts seriously. In this she was a sister to other nineteenth-century female composers, such as Fanny Mendelssohn and Clara Schumann. It was not until 1864 that Augusta Holmés's name first appeared in the press, on the occasion of a concert the young 16-year-old pianist gave in Geneva. She notably played two waltzes of her own composition, the traces of which have been lost.

Augusta Holmès, photograph published in the magazine Musica in January 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès portrayed by Mademoiselle Marie Huet

Born in Paris on Dec. 16, 1847, she was the only child of a Scottish mother, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, and an Irish officer - Charles William Scott Dalkeith Holmes. Her parents had moved to France where their surname was changed by adding an accent on the last syllable. Her parents knew almost all the most important and interesting personalities in the world of music, and Augusta spent her childhood near Versailles. As an adult, speaking of her years at Versailles, she would recall with emotion "walks in the castle park, among the groves where groups of statues of gods and goddesses of antiquity stand." From an early age she showed an interest in poetry, drawing and music, but her mother tried to discourage her musical talents. The Holmès family spent their winters in Paris on the rue des Écuries d'Artois, where they had as a neighbor, Alfred de Vigny, who became Augusta's godfather, but who, following her mother's wishes, did not encourage her musical vocation despite playing a significant role in her education and spiritual growth. At the age of 11, after her mother's death, Augusta took her first lessons with Henri Lambert, an organist at Versailles Cathedral, and at this very early age conducted a piece written for the Versailles artillery band. Later she took lessons in instruments and orchestration, and in 1875, at the age of twenty-eight, she also became a student of César Franck.

Augusta Holmès at the age of 18

She was very beautiful and was loved by the composer Saint Saëns, but she refused to marry him. Other admirers included Franck himself, Wagner, D'Indy, De l'Isle-Adam and Mallarmé. She became the mistress of Catulle Mendés, and mother of three daughters and two sons with him, but did not marry him. Guests in her father's house left numerous testimonies to Augusta's powers of enchantment. The young woman maintained her mystery and set hearts aflame, and her father allowed her a freedom rare for the time. Among the frequenters of the Versailles salon, the comedian Auguste de Villiers de l'Isle-Adam left a valuable commentary, often quoted in newspapers and magazines. The narrative of his first visit, around 1869, shows that the Augusta’s charms were largely based on her talents as a musician. He wrote:

«In a living room of very severe taste, decorated with paintings, trees, weapons, shrubs, statues and ancient books, sitting, in front of a large piano, a svelte young girl. She looks like an Ossian figure. I also doubted, at this sight, that the deplorable influence of any Madame de Staël had not already perverted the child artist with a Rococo sentimentality. After her frank and cordial reception, I recognized that I was not in the presence of a created person, and that Augusta Holmès was indeed a living being. The musicians once again had not been mistaken».

During the Franco-Prussian War, the composer engaged in ambulance service. "We saw her on our battlefields succoring our wounded, bringing food to some, care and consolation to others," Gabrielle d'Eze recalled.

Holmès felt a great affinity for Wagner's music and as a result her works were written for large orchestral and choral assemblies. She composed three operas - Héro et Leandre in 1875, Astartéx: Lancelot du lac (these never performed), while La montagne noire, an operatic drama in four acts and five scenes, was first performed at the Paris Opera in 1895, but without success. She wrote the lyrics for her songs and oratorios herself, as well as the libretto for La Montagne Noire and the texts included in her symphonic poems, including Irlande and Andromède, which made her known as a composer of musical programs with political significance. Other major works included dramatic symphonies and symphonic poems such as the Ode Trionphale for the centenary of the French Revolution in 1889 and L'Hymne à la Paix performed in 1890 in Florence for a series of events in honor of Dante. In a century when the "woman composer" was rarely considered a true professional, these two works achieved a success hard to imagine. Such frenzied applause our contemporaries would reserve for rock stars of show business or sports.

Augusta Holmès in her studio, photograph published in the magazine Musica in February 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès studio in Juliette-Lamber street, Paris, photographed by Henri Mairet

Her approximately 130 melodies brought joy to salons, while concerts regularly programmed her orchestral scores. No other female French composer produced so much for orchestras before World War I. In Paris as in the provinces, Holmès starred in festivals and concerts devoted entirely to her music. Moreover, she was the first female French composer who could take pride in having had an official career. She received an academic education, which at times clashed with her natural gifts, which she herself recognized and understood. In her memoirs she said:

«When a motif enters my brain, it becomes indelibly fixed there, and once defined, I do not need to revise or correct it. That is how I came to be able to write whole acts completely from memory».


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

 

«La gloria es inmortal y la tumba efímera. Las almas no se despiden».

Estos son los versos escritos en la tumba de Augusta Holmès, que no pueden leerse sin vergüenza, porque la gloria de esta música, tan famosa en vida, fue efectivamente muy efímera. Tras su muerte en 1903, sus obras desaparecieron rápidamente de los programas de conciertos. Lo que sobrevivió durante algunas décadas fue la composición Noël: Trois anges sont venus ce soir de 1884, cantada por Tino Rossi – una posteridad muy exigua. Y en nuestros días, el nombre de Holmès ya no significa nada para la mayoría de los músicos profesionales. Hermann Zenta es el seudónimo masculino con el que Augusta Mary Anne Holmès compuso sus primeras piezas operísticas, con el fin de ser escuchada y publicada en una sociedad que no tomaba en serio el talento femenino en las artes. En esto fue hermana de otras compositoras del siglo XIX, como Fanny Mendelssohn y Clara Schumann. En 1864 el nombre de Augusta Holmès apareció por primera vez en la prensa, con motivo de un concierto que la joven pianista de 16 años realizó en Ginebra. En particular, interpretó dos valses compuestos por ella, de los que no queda rastro.

Augusta Holmès, fotografía publicada en la revista Musica en enero de 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès interpretada por Mademoiselle Marie Huet

Nacida en París el 16 de diciembre de 1847, era hija única, de madre escocesa, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, y de padre irlandés, el oficial Charles William Scott Dalkeith Holmes. Sus padres se habían trasladado a Francia, donde les cambiaron el apellido añadiendo un acento en la última sílaba. Sus padres conocían a casi todas las personalidades más importantes e interesantes del mundo de la música y Augusta pasó su infancia cerca de Versalles. De adulta, al hablar de sus años en Versalles, recordaba con emoción "los paseos por el parque del castillo, entre las arboledas donde se alzan grupos de estatuas de dioses y diosas de la antigüedad". Desde muy pequeña mostró interés por la poesía, el dibujo y la música, pero su madre intentó desalentar su talento musical. La familia Holmès pasaba los inviernos en París, en la rue des Écuries d’Artois, donde tenían como vecino a Alfred de Vigny, que se convirtió en el padrino de Augusta, pero que, siguiendo los deseos de su madre, no fomentó su vocación musical a pesar de desempeñar un papel importante en su educación y crecimiento espiritual. A los once años, tras la muerte de su madre, Augusta recibió sus primeras lecciones de Henri Lambert, organista de la catedral de Versalles, y a esa edad tan temprana dirigió una pieza escrita para la banda de artillería de Versalles. Más tarde recibió clases de instrumento y orquestación y en 1875, a la edad de veintiocho años, se convirtió también en alumna de César Franck.

Augusta Holmès a los 18 años

Era muy bella y fue amada por el compositor Saint Saëns, pero se negó a casarse con él. Otros admiradores suyos fueron el propio Franck, Wagner, D'Indy, De l’Isle-Adam y Mallarmé. Fue amante de Catulle Mendés, con quien tuvo tres hijas y dos hijos, pero no se casó. Los huéspedes de la casa paterna dejaron numerosos testimonios del poder de encantamiento de Augusta. La joven mantuvo su misterio y encendió los corazones, y su padre le permitió una libertad poco común para la época. Entre los frecuentadores del salón de Versalles, el cómico Auguste de Villiers de l’Isle-Adam dejó un valioso comentario, citado a menudo en periódicos y revistas. La narración de su primera visita, hacia 1869, muestra que los encantos de Augusta se basaban en gran medida en sus dotes como música. Escribió:

«En un salón de gusto muy severo, decorado con cuadros, árboles, armas, arbustos, estatuas y libros antiguos, sentada, frente a un gran piano, una joven esbelta. Parece una figura de Ossian. También dudé, a su vista, de que la deplorable influencia de cualquier Madame de Staël no hubiera pervertido ya a la niña artista con un sentimentalismo rococó. Después de su franca y cordial acogida, reconocí que no estaba en presencia de una persona creada, y que Augusta Holmès era, en efecto, un ser vivo. Una vez más, los músicos no se habían equivocado».

Durante la guerra franco-prusiana, la compositora se dedicó al servicio de ambulancias. "La vimos en nuestros campos de batalla socorrer a nuestros heridos, llevando comida a unos, cuidados y consuelo a otros", recuerda Gabrielle d’Eze.

Holmès sentía una gran afinidad por la música de Wagner y, en consecuencia, sus obras fueron escritas para grandes conjuntos orquestales y corales. Compuso tres óperas: Héro et Leandre en 1875, Astartéx: Lancelot du lac (que nunca se representó), mientras que La montagne noire, drama operístico en cuatro actos y cinco escenas, se estrenó en la Ópera de París en 1895, pero sin éxito. Ella misma escribió las letras de sus canciones y oratorios, así como el libreto de La Montagne Noire y los textos incluidos en sus poemas sinfónicos, entre ellos Irlande y Andromède, que la dieron a conocer como compositora de programas musicales con significado político. Otras obras importantes fueron sinfonías dramáticas y poemas sinfónicos, como la Ode Trionphale para el centenario de la Revolución, en 1889, y L'Hymne à la Paix, interpretado en 1890 en Florencia para una serie de actos en honor de Dante. En un siglo en el que la «mujer compositora» rara vez era considerada una verdadera profesional, estas dos obras alcanzaron un éxito difícil de imaginar. Nuestros contemporáneos reservarían aplausos tan frenéticos a las estrellas del espectáculo o del deporte.

Augusta Holmès en su estudio, fotografía publicada en la revista Musica en febrero de 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Estudio de Augusta Holmès en la calle Juliette-Lamber, París, fotografiado por Henri Mairet

Sus aproximadamente 130 melodías alegran los salones, mientras que los en conciertos se programan regularmente sus partituras orquestales. Ninguna otra compositora francesa produjo tanto para orquesta antes de la Primera Guerra Mundial. Tanto en París como en provincias, Holmès es la protagonista de festivales y conciertos monográficos enteramente dedicados a su música. Además, es la primera compositora francesa que puede enorgullecerse de haber tenido una carrera oficial. Recibió una educación académica, que a veces chocaba con sus talentos naturales, que ella reconocía y apreciaba, tal y como afirma en sus memorias:

«Cuando un motivo entra en mi cerebro, se fija allí de forma indeleble y, una vez definido, no necesito revisarlo ni corregirlo. Así es como llegué a ser capaz de escribir actos enteros completamente de memoria».

 

Pauline García – Viardot
Barbara Belotti


Daniela Godel

 

È stata nutrita di musica e note fin dalla nascita. Con il padre Manuel García famoso tenore, la madre Joaquína Sitchez soprano, la sorella maggiore Maria Malibran, vera celebrità del bel canto e acclamata ovunque per le eccelse doti canore, era praticamente impossibile non avere un destino già stabilito. Così fin da piccola Pauline García, nata a Parigi nel 1821, studiò musica. E anche con immensa passione, sognando di diventare da grande una celebre pianista e compositrice. Ma alla morte prematura del padre, la madre le impose la carriera di cantante lirica e Pauline ubbidì abbandonando i suoi sogni e cominciando a studiare solo canto. Si preparò così a una carriera di palcoscenico che fu comunque piena di soddisfazioni e successi.

Carl Timoleon von Neff, Ritratto di Pauline García- Viardot, 1842

A sedici anni il debutto a Bruxelles in un recital canoro e nel 1839 l’esordio nel teatro londinese del Covent Garden, nel ruolo di Desdemona nell’Otello di Gioacchino Rossini. Un vero trionfo e un tale successo che fu scritturata subito dal Théâtre des Italiens di Parigi nello stesso ruolo. Il direttore del teatro, il giornalista e scrittore Louis Viardot, presto diventò suo marito, sembra su consiglio di George Sand molto amica di Pauline, e lasciò la direzione teatrale per diventare manager e impresario della moglie. La voce da contralto di Pauline non poteva competere con quella fantasmagorica della sorella Maria ‒ nel frattempo prematuramente scomparsa ‒ ma la giovane cantante seppe trovare comunque la sua strada e il suo pubblico adorante grazie a doti interpretative straordinariamente drammatiche. Il compositore Camille Saint Saëns affermò che la sua voce evocava il gusto delle arance amare, non poteva essere definita delicata, argentina o vellutata, ma aveva i toni forti del dramma e delle forme epiche. Pauline sapeva incantare l’uditorio anche nelle parti non cantate, la sua presenza scenica, l’espressione del volto, l’enfasi dei gesti erano di tale livello che lo stesso Charles Dickens, dopo aver assistito a una sua interpretazione, scrisse che Pauline era dotata di una recitazione sublime. Una presenza scenica così non poteva non ispirare la sua amica George Sand che infatti, nel romanzo Consuelo, costruì il ruolo della protagonista ‒ una cantante lirica del Settecento ‒ proprio su di lei.

Pauline García- Viardot in abiti da scena

Pauline García- Viardot

La carriera di contralto si svolse soprattutto all’estero: all’inizio degli anni ’40 entrò a far parte della compagnia del Teatro Imperiale di San Pietroburgo, poi tra il 1848 e il 1855 fu scritturata dal Covent Garden di Londra, sempre con grande successo di pubblico e di critica; dal 1863 fino al 1870 si trasferì a Baden Baden con la famiglia, preferendola alla Francia dove non si esibì molto anche a causa della situazione politica che mal si conciliava con lo spirito liberale di Pauline. Durante il soggiorno in Russia strinse un legame fortissimo con lo scrittore Ivan Turgenev, che nelle biografie viene indicato come il suo secondo marito, accanto a Louis Viardot. Nessuno studio ha mai dimostrato la natura di questo rapporto, talmente profondo e sentito da durare una vita intera: Turgenev fu sempre accanto alla famiglia García Viardot, li seguì negli spostamenti dovuti alla carriera di Pauline, ne condivise le vicende esistenziali e, quando Louis e Ivan si ammalarono, Pauline fu vicina a entrambi con le stesse cure e la stessa dedizione fino alla morte. Il grande sogno di diventare una compositrice non si spense mai e, pur costretta a intraprendere un’altra strada, si circondò di musica e musicisti. Fu amica di Clara Schumann, di Chopin e, dopo l’abbandono della scena teatrale nel 1863, si dedicò, oltre che all’insegnamento, al suo amatissimo pianoforte e alla composizione, scrivendo musiche liriche per voce e pianoforte e opere da camera. L’amore per la musica fu talmente intenso che alla fine del suo percorso musicale londinese non ebbe indugi nell’impegnare una parte cospicua dei guadagni nell’acquisto della partitura originale del Don Giovanni di Mozart, ora conservata nella Bibliothèque Nationale di Parigi.

Il salotto musicale di casa García- Viardot

Celebre fu il suo salotto intellettuale e musicale, dove le maggiori personalità dell’Europa della seconda metà dell’Ottocento si riunivano per omaggiarla e ascoltare musica di altissimo livello, compresi brani di Bach eseguiti grazie a un organo da camera costruito da Aristide Cavaillé-Coll. Nonostante il precoce allontanamento dai palcoscenici lirici, Pauline non abbandonò del tutto le esibizioni: le ultime apparizioni furono nel 1870 per la Rapsodia per contralto, che Brahms compose ispirandosi proprio alla voce di Pauline, e nel 1873 per l’oratorio Marie – Magdeleine di Jules Massenet. La lunga e intensa vita di Pauline García- Viardot si concluse nel 1910, quasi novantenne, assistita dall’ex allieva Mathilde de Nogueiras.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Elle a été nourrie de musique et de notes dès sa naissance. Avec son père Manuel García, célèbre ténor, sa mère Joaquína Sitchez, soprano, et sa sœur aînée Maria Malibran, véritable célébrité du bel canto et acclamée partout pour ses dons vocaux exceptionnels, il était pratiquement impossible pour elle d’avoir un destin autre que celui qu’on lui avait tracé. Ainsi, dès son jeune âge, Pauline García, née à Paris en 1821, étudie la musique, et ce, avec une immense passion, rêvant de devenir une célèbre pianiste et compositrice. Mais après la mort prématurée de son père, sa mère lui impose la carrière de chanteuse lyrique, et Pauline obéit, abandonnant ses rêves pour se consacrer exclusivement au chant. Elle se prépare ainsi à une carrière sur scène, qui, malgré tout, sera remplie de satisfactions et de succès.

Carl Timoleon von Neff, Portrait de Pauline García- Viardot, 1842

À seize ans, elle fait ses débuts à Bruxelles dans un récital vocal, puis en 1839, elle débute au théâtre du Covent Garden à Londres, dans le rôle de Desdémone dans l'Otello de Gioacchino Rossini. Un véritable triomphe, un tel succès qu'elle est immédiatement engagée par le Théâtre des Italiens à Paris pour le même rôle. Le directeur du théâtre, le journaliste et écrivain Louis Viardot, devient rapidement son mari, semble-t-il sur les conseils de George Sand, très amie de Pauline, et il abandonne la direction théâtrale pour devenir manager et impresario de sa femme. La voix de contralto de Pauline ne pouvait rivaliser avec celle de sa sœur Maria ‒ qui est morte prématurément ‒ mais la jeune chanteuse trouve néanmoins sa voie et son public adoré grâce à des talents d'interprétation extraordinairement dramatiques. Le compositeur Camille Saint-Saëns affirme que sa voix évoquait le goût des oranges amères, elle ne pouvait être qualifiée de délicate, argentée ou veloutée, mais elle possédait les tonalités fortes du drame et des formes épiques. Pauline savait envoûter son public même dans les parties non chantées ; sa présence scénique, l'expression de son visage, l'intensité de ses gestes étaient d'un tel niveau que Charles Dickens, après avoir assisté à une de ses performances, écrivit que Pauline avait une interprétation sublime. Une telle présence scénique ne pouvait que inspirer son amie George Sand, qui, dans son roman Consuelo, créa le personnage de la protagoniste ‒ une chanteuse lyrique du XVIIIe siècle ‒ basé sur elle.

Pauline García-Viardot en costumes de scène

Pauline García- Viardot

La carrière de contralto se déroule principalement à l'étranger : au début des années 1840, elle rejoint la compagnie du Théâtre impérial de Saint-Pétersbourg, puis entre 1848 et 1855, elle est engagée par le Covent Garden de Londres, avec un grand succès tant auprès du public que de la critique. De 1863 à 1870, elle s'installe à Baden-Baden avec sa famille, qu’elle préfère à la France où elle ne se produit pas beaucoup, en raison de la situation politique qui ne s’accordait pas avec l’esprit libéral de Pauline. Pendant son séjour en Russie, elle tisse un lien très fort avec l’écrivain Ivan Turgenev, qui dans les biographies est souvent désigné comme son second mari, aux côtés de Louis Viardot. Aucune étude n’a jamais prouvé la nature de cette relation, mais elle était si profonde et sincère qu’elle dura toute une vie. Turgenev resta toujours proche de la famille García-Viardot, la suivit dans ses déplacements dus à la carrière de Pauline, partagea leurs événements existentiels et, lorsque Louis et Ivan tombèrent malades, Pauline fut présente pour les soigner avec une même attention et dévouement jusqu'à leur décès. Le grand rêve de devenir compositrice ne s’éteint jamais, et bien que forcée de suivre une autre voie, elle s’entoure de musique et de musiciens. Elle fut amie avec Clara Schumann, Chopin et, après l’abandon de la scène théâtrale en 1863, elle se consacre, outre l'enseignement, à son pianoforte adoré et à la composition, écrivant des musiques lyriques pour voix et piano ainsi que des œuvres de chambre. L’amour de la musique était si intense qu’à la fin de son parcours musical à Londres, elle n’hésite pas à consacrer une partie importante de ses gains à l'achat de la partition originale du Don Giovanni de Mozart, aujourd’hui conservée à la Bibliothèque nationale de Paris.

Le salon musical de la maison García-Viardot

Célèbre fut aussi son salon intellectuel et musical, où les plus grandes personnalités de l’Europe de la seconde moitié du XIXe siècle se retrouvaient pour l’honorer et écouter de la musique d’un niveau exceptionnel, y compris des morceaux de Bach joués grâce à un orgue de chambre construit par Aristide Cavaillé-Coll. Malgré son départ précoce des scènes lyriques, Pauline ne renonce pas complètement aux performances : ses dernières apparitions ont lieu en 1870 pour la Rhapsodie pour contralto, composée par Brahms en s’inspirant justement de la voix de Pauline, et en 1873 pour l'oratorio Marie-Magdeleine de Jules Massenet. La longue et intense vie de Pauline García-Viardot se termine en 1910, presque nonagénaire, entourée de l'ex élève Mathilde de Nogueiras.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

 

Fue alimentada con música y notas desde que nació. Con el padre Manuel García famoso tenor, la madre Joaquína Sitchez soprano, la hermana mayor María Malibran verdadera celebridad del bel canto y aclamada en todas partes por sus excelentes dotes de canto, era prácticamente imposible no tener un destino ya establecido. Así, desde pequeña Pauline García, nacida en París en 1821, estudió música. Y también con inmensa pasión, soñando con ser, una vez mayor, una famosa pianista y compositora. Pero a la muerte prematura de su padre, su madre le impuso la carrera de cantante lírica y Pauline obedeció abandonando sus sueños y comenzando a estudiar sólo canto. Así se preparó para una carrera de escenario que, sin embargo, estuvo llena de satisfacciones y éxitos.

Carl Timoleon von Neff, Retrato de Pauline García-Viardot, 1842

A los dieciséis años debutó en Bruselas en un recital de canto y en 1839 en el teatro londinense del Covent Garden, en el papel de Desdémona en el Otello de Gioacchino Rossini. Un verdadero triunfo, y con tal éxito que la contrataron inmediatamente en el Théâtre des Italiens de París en el mismo papel. El director del teatro, el periodista y escritor Louis Viardot, pronto se convirtió en su esposo, según parece por consejo de George Sand muy amiga de Pauline, y dejó la dirección teatral para convertirse en manager y empresario de su esposa. La voz de contralto de Pauline no podía competir con la fantasmagórica voz de su hermana María ‒mientras tanto prematuramente desaparecida‒ pero la joven cantante supo encontrar su camino y un público que la adoraba gracias a sus dotes interpretativas extraordinariamente dramáticas. El compositor Camille Saint Saëns afirmó que su voz evocaba el sabor de las naranjas amargas, no podía definirse delicada, argentina o aterciopelada, pero tenía los tonos fuertes del drama y de las formas épicas. Pauline sabía encantar al auditorio incluso en las partes no cantadas, su presencia escénica, la expresión del rostro, el énfasis de los gestos eran de tal nivel que el mismo Charles Dickens, después de asistir a una interpretación suya, escribió que Pauline estaba dotada de una capacidad de interpretación sublime. Una presencia escénica así no podía no inspirar a su amiga George Sand, quien, en la novela Consuelo (1842-43), construyó el papel de la protagonista, una cantante lírica del siglo XVII, precisamente sobre ella.

Pauline García-Viardot con vestuario escénico

Pauline García- Viardot

Su carrera de contralto se desarrolló sobre todo en el extranjero: a principios de los años cuarenta entró a formar parte de la compañía del Teatro Imperial de San Petersburgo, luego entre 1848 y 1855 fue contratada en el Covent Garden de Londres, siempre con gran éxito tanto de público come de crítica; de 1863 a 1870 se trasladó a Baden con su familia, prefiriéndola a Francia, donde no actuó mucho debido a la situación política, que difícilmente se conciliaba con el espíritu liberal de Pauline. Durante su estancia en Rusia, estableció un vínculo muy fuerte con el escritor Ivan Turgueniev, a quien se refiere en sus biografías como su segundo esposo, junto a Louis Viardot. Ningún estudio ha demostrado nunca la esencia de esta relación, tan profunda y sentida como para durar toda una vida: Turgueniev estuvo siempre al lado de la familia García-Viardot, los siguió en los viajes debidos a la carrera de Pauline, compartió sus asuntos existenciales y, cuando Louis e Ivan se enfermaron, Pauline estuvo cerca de ambos con el mismo cuidado y la misma dedicación hasta la muerte. El gran sueño de ser compositora nunca se extinguió y, aunque obligada a tomar otro camino, se rodeó de música y de músicos y músicas. Fue amiga de Clara Schumann, de Chopin y, tras abandonar la escena teatral en 1863, se dedicó, además de a la enseñanza, a su amado piano y a la composición, escribiendo música lírica para voz y piano y obras de teatro y de cámara. El amor por la música fue tan intenso que al final de su trayectoria musical londinense no dudó en invertir una parte importante de sus ganancias en la compra de la partitura original de Don Giovanni de Mozart, actualmente conservada en la Biblioteca Nacional de París.

El salón musical de la casa García-Viardot

Fue célebre su salón intelectual y musical, donde las principales personalidades de la Europa de la segunda mitad del siglo XIX se reunían para rendirle homenaje y escuchar música de altísimo nivel, incluyendo piezas de Bach interpretadas gracias a un órgano de cámara construido por Aristide Cavaillé-Coll. A pesar de su temprana retirada de los escenarios líricos, Pauline no abandonó por completo las actuaciones: las últimas apariciones fueron en 1870 para la Rapsodia para contralto, que Brahms compuso inspirándose precisamente en la voz de Pauline, y en 1873 para el oratorio Marie-Magdeleine de Jules Massenet. La larga e intensa vida de Pauline García-Viardot se concluyó en 1910, con casi noventa años, asistida por la ex alumna Mathilde de Nogueiras.

 

Louise Dumont Farrenc
Maria Chiara Pulcini


Daniela Godel

 

La Francia della Restaurazione è un ambiente edonistico dove l’opera lirica e le storie romantiche fanno da padrone: gli spettacoli nei teatri sono regolari ma qualitativamente ripetitivi, segno di una certa arretratezza a livello di gusto musicale; in molti lo notano ma pochi cercano di porvi rimedio, specie quando si prende ispirazione dalla sempre più odiata area tedesca, che stava vivendo un vero e proprio rinascimento grazie a musicisti come Beethoven e Schumann. È in questo clima che Jeanne-Louise Dumont nasce il 31 maggio del 1804. È figlia d’arte: suo padre, Jacques-Edme, è discendente di una dinastia di scultori di successo, mestiere che passerà al figlio Augustine-Alexandre, meglio conosciuto col nome Auguste; da parte della madre Marie-Elisabeth-Louise Curton proviene dai Coypel, ritrattisti e ritrattiste di corte. La famiglia Dumont è ben nota negli ambienti culturali parigini e non passa molto tempo prima che Louise abbia il suo battesimo artistico: a sei anni inizia a prendere lezioni di pianoforte da Cecile Soria, allievo del maestro Muzio Clementi, mostrando ben presto un incredibile talento.

Louise Farrenc ritratta da un artista anonimo. © Bibliothèque Nationale de France Louise Farrenc ritratta da Luigi Rubio (1835)

Continua i suoi studi col virtuoso pianista Ignaz Moscheles, futuro direttore del Conservatorio di Lipsia, e col compositore Johann Nepomuk Hummel, compagno di Beethoven e allievo anch’egli di Clementi; con loro Dumont si mostra versata anche nella composizione, fatto che porta i genitori a cercare di iscriverla al Conservatorio di Parigi all’età di soli 15 anni. Qui la ragazzina affronta purtroppo la prima vera discriminazione causata dal proprio sesso: il Conservatorio ammette solo uomini e nonostante le sue innegabili abilità non fa eccezione per lei, costretta quindi a prendere lezioni private per poter proseguire il suo percorso. Il suo insegnante è Anton Reicha, uno dei professori di musica più quotati dell’epoca. Fa amicizia con un flautista, Aristide Farrenc, di lei dieci anni più grande e che si esibisce regolarmente alla Sorbona poco distante da casa sua; non passa molto prima che tra i due scocchi la scintilla. Louise ha 17 anni quando si sposano nel 1821, sigillando un’unione che sarà felice e all’insegna del mutuo rispetto; prende il cognome del marito, per il quale interrompe gli studi per poterlo accompagnare nei tour in giro per l’Europa dove si esibisce anche lei. Aristide, però, sentendo che quello stile di vita errabonda non fa per lui, torna con la moglie a Parigi e fonda la casa editrice Éditions Farrenc, diventando presto uno dei punti di riferimento per la pubblicazione di musica in Francia.

Louise Dumont, ora Farrenc, riprende e completa i suoi studi con Reicha; nel 1826 dà alla luce Victorine, l’unica figlia, anche lei un precoce prodigio del pianoforte, che di frequente si esibirà con la madre pure durante cerimonie importanti. Ricomincia ad andare in tournée in giro per l’Europa, suonando e componendo e ottenendo fama di abile musicista in poco tempo. Aristide è completamente coinvolto nella sua carriera, convinto sostenitore del suo talento: non solo la finanzia ma organizza gli eventi in cui si esibisce, pubblica e diffonde per tutto il continente le sue produzioni. Un’unione, la loro, felice e feconda, una rarità per numerose musiciste contemporanee di Farrenc. Ella compone solo per pianoforte fino agli anni Trenta dell’Ottocento, guadagnandosi le lodi di importanti figure del panorama musicale di allora come Robert Schumann. Inizia poi a scrivere brani di musica per orchestra – due overture che non verranno mai pubblicate – e da camera; quest’ultima tipologia è quella che le fa guadagnare più successo e la critica non esita a compararla – pur con molte reticenze e spesso in modo paternalistico – ad altri celebri compositori dell'epoca.

Diventa talmente conosciuta da venire chiamata a insegnare pianoforte al Conservatorio di Parigi nel 1842, incarico che accetta volentieri. Non solo è l’unica donna nel corpo docente – e lo sarà per tutto il XIX secolo – ma è anche la più famosa e una delle più capaci, descritta dai suoi studenti come una docente brillante che ha portato molti di loro a vincere premi prestigiosi e ad avviare la relativa carriera. Nonostante questo, è la meno pagata in virtù del suo sesso. Farrenc terrà la cattedra per trent’anni, fino al 1873. Solo dopo i primi dieci anni prenderà lo stesso stipendio dei suoi colleghi, dopo lo straordinario successo di Nonetto in mi bemolle maggiore, op. 38: alla premiere dell'opera, a cui partecipa anche il famoso violinista Joseph Joachim, Farrenc pretende che la sua paga sia alzata, una richiesta che il direttore del Conservatorio Daniel Auber accontenta. Nel 1859 l'amata Victorine viene a mancare dopo una lunga malattia e con lei muore anche la vena creativa di Farrenc, che non comporrà più; si getta anima e corpo nell’insegnamento e nell’attività di ricerca, aiutando il marito e la sua casa editrice.

Grazie alla sua musica da camera viene premiata ben due volte dall’Accademia delle Belle Arti con il prestigioso “Prix Chartier”, nel 1861 e nel 1869. Oltre all’insegnamento e alle tournée Farrenc e il marito si dedicano alla musica antica, ritrovando vecchi spartiti per clavicembalo e ripubblicandoli; curano e pubblicano Le Trésor des Pianistes, una raccolta di oltre due secoli di spartiti per clavicembalo e piano di ben 23 volumi. Quando Aristide muore nel 1865 Louise continua a pubblicare da sola i restanti 11 volumi, reggendo l’attività fino alla morte avvenuta nel 1875. Nonostante l’enorme successo in vita, la Francia la dimentica molto presto: il suo Nonetto le sopravvisse per qualche anno, permettendole di apparire in libri di musica come Pianistes célebrès di Antoine Françoise Marmontel. Tuttavia, il suo stile assai vicino a quello di Beethoven e al romanticismo tedesco, in un’epoca in cui la sconfitta per mano prussiana nel 1870 brucerà per decenni, contribuirà a farla cadere nell’oblio. Questo fino al XX secolo, quando un rinnovato interesse per le compositrici riporta alla luce il suo lavoro e la sua influenza sulla musica francese.

Come già detto per molto tempo Farrenc ha composto solo per pianoforte e solo dagli anni Trenta inizia a sperimentare con la musica da camera e da orchestra, mostrando sempre un alto livello di indipendenza e versatilità. Discostandosi dai suoi contemporanei preferisce comporre sonate e sinfonie, generi non più coltivati in Francia dalla Rivoluzione; il suo stile è fortemente influenzato dalla musica di Vienna, dove hanno studiato i suoi maestri: ciò l’ha allontanata dal gusto musicale francese dell’epoca, portandola a un genere più astratto, privo di un peso narrativo. Si rifà spesso a lavori del XVII e XVIII secolo, non mera imitazione ma invito a chi ascolta a ricordare la musica del passato, di norma snobbata dai contemporanei. Scrive per strumenti a fiato, archi e ovviamente per pianoforte; tra i suoi pezzi più famosi Quintetto per pianoforte op. 30 e 31, Sestetto per pianoforte e fiati op. 40, Trio per pianoforte op. 33 e 34, Nonetto per fiati e archi op.38, Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte op. 44. Il Concerto per pianoforte in B minore è forse la sua opera più audace e lontana sia dal suo stile che da quello francese, di cui tuttavia rimane solo un manoscritto incompleto. La sua Terza sinfonia op. 36 è stata eseguita alla Société des concerts du Conservatoire nel 1849 riscuotendo enorme successo. In tutto la musicista ha scritto 49 composizioni. Stranamente non ci sono opere liriche nonostante il genere fosse molto in voga in Francia. Dalle fonti sappiamo che non è stato per volontà di Farrenc, che anzi ha provato a sperimentare anche in questo campo: tuttavia, essendo donna, non le è stato mai concesso un libretto su cui lavorare.

Copertina di un manoscritto autografato dei 30 Études(Op. 26) di Louise Farrenc. © Bibliothèque Nationale de France
La prima registrazione completa al mondo della musica sinfonica di Louise Farrenc, pubblicata su cd nel 2021

L’insegnamento è stato la sua più grande passione, il suo metodo sobrio e diretto è stato tramandato a lungo. Il suo Trenta studi in tutte le chiavi maggiori e minori, una raccolta per pianoforte sia musicale che pedagogica, continuerà ad essere stampata decenni dopo la morte dell'autrice. Oltre al perfezionamento della tecnica, Farrenc fornisce una lezione di storia introducendo lo/la studente a una pletora di diversi stili di scrittura musicale, da Bach fino all’epoca a lei contemporanea. Un’opera preziosa che mostra sia l’abilità di docente sia la sua indipendenza, il suo rifiuto di ancorarsi alle mode e la sua passione di ricercatrice.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

La France de la Restauration était un environnement hédoniste où l’opéra et les récits romantiques dominaient : les spectacles dans les théâtres étaient réguliers mais qualitativement répétitifs, signe d’un certain retard au niveau du goût musical. Beaucoup le remarquaient, mais peu cherchaient à y remédier, notamment lorsque l’inspiration venait de la zone germanique de plus en plus détestée, qui vivait une véritable renaissance grâce à des musiciens comme Beethoven et Schumann. C’est dans ce climat que Jeanne-Louise Dumont est née le 31 mai 1804. Elle était fille d’artistes : son père, Jacques-Edme, descendait d’une dynastie de sculpteurs renommés, métier qu’il transmit à son fils Augustine-Alexandre, mieux connu sous le nom d’Auguste. Du côté de sa mère, Marie-Élisabeth-Louise Curton, elle descendait des Coypel, portraitistes de cour. La famille Dumont était bien connue dans les cercles culturels parisiens, et il ne fallut pas longtemps avant que Louise ait son baptême artistique : à six ans, elle commence à prendre des cours de piano auprès de Cécile Soria, élève du maître Muzio Clementi, et montre rapidement un talent extraordinaire.

Louise Farrenc interprétée par un artiste anonyme. © Bibliothèque Nationale de France interprétée par Luigi Rubio (1835)

Elle poursuit ses études avec le pianiste virtuose Ignaz Moscheles, futur directeur du Conservatoire de Leipzig, et avec le compositeur Johann Nepomuk Hummel, compagnon de Beethoven et également élève de Clementi. Avec eux, Dumont démontre une aptitude remarquable pour la composition, ce qui pousse ses parents à tenter de l’inscrire au Conservatoire de Paris à l’âge de seulement 15 ans. Là, la fille fait face à sa première véritable discrimination due à son sexe : le Conservatoire n’admettait que des hommes, et malgré ses compétences indéniables, il ne fait pas d’exception pour elle. Elle doit donc prendre des leçons privées pour continuer son parcours. Son professeur était Anton Reicha, l’un des enseignants les plus respectés de l’époque. Elle se lie d’amitié avec un flûtiste, Aristide Farrenc, de dix ans son aîné, qui se produisait régulièrement à la Sorbonne, non loin de chez elle. Très vite, une étincelle naquit entre eux. Louise avait 17 ans lorsqu’ils se marièrent en 1821, scellent une union heureuse et fondée sur le respect mutuel. Elle prit le nom de son mari et interrompit ses études pour l’accompagner dans ses tournées à travers l’Europe, où elle jouait également. Cependant, Aristide, sentant que ce mode de vie nomade ne lui convenait pas, retourna avec son épouse à Paris et fonda la maison d’édition Éditions Farrenc, qui devint rapidement une référence en matière de publication musicale en France.

Louise Dumont, désormais Farrenc, reprend et achève ses études avec Reicha. En 1826, elle donne naissance à Victorine, leur fille unique, également prodige précoce du piano, qui se produisait souvent avec sa mère lors d’événements importants. Louise recommence à tourner à travers l’Europe, jouant et composant, et acquiert rapidement une renommée en tant que musicienne talentueuse. Aristide s’investit pleinement dans sa carrière, convaincu de son génie : il finançait ses projets, organisait ses événements, publiait et diffusait ses œuvres dans tout le continent. Une union qui a été heureuse et fructueuse, une rareté parmi les nombreuses musiciennes contemporaines de Farrenc. Elle compose uniquement pour piano jusqu’aux années 1830, recevant les éloges de grandes figures musicales de l’époque, comme Robert Schumann. Elle commence ensuite à écrire des pièces pour orchestre – deux ouvertures qui n’ont jamais été publiées – et de la musique de chambre, genre qui lui apporte le plus de succès. La critique n'hésite pas à la comparer, bien que souvent de manière réticente et paternaliste, à d’autres compositeurs célèbres de son époque.

Elle devient si connue qu’elle est appelée à enseigner le piano au Conservatoire de Paris en 1842, poste qu’elle accepte avec plaisir. Non seulement elle était la seule femme dans le corps professoral – et le resterait tout au long du XIXe siècle – mais elle était aussi la plus célèbre et l’une des plus compétentes. Ses élèves la décrivaient comme une enseignante brillante qui les menait à remporter des prix prestigieux et à lancer leur carrière. Malgré cela, elle était la moins payée en raison de son sexe. Farrenc conserve son poste pendant trente ans, jusqu’en 1873. Ce n’est qu’après dix ans qu’elle obtient le même salaire que ses collègues, grâce au succès extraordinaire de son Nonetto en mi bémol majeur, op. 38. Lors de la première de cette œuvre, où participait également le célèbre violoniste Joseph Joachim, Farrenc exige une augmentation de salaire, demande à laquelle le directeur du Conservatoire, Daniel Auber, accède. En 1859, sa chère Victorine meurt après une longue maladie, emportant avec elle la créativité de Farrenc, qui ne compose plus jamais. Elle se consacre entièrement à l’enseignement et à la recherche, aidant son mari dans sa maison d’édition.

Grâce à sa musique de chambre, elle a été récompensée deux fois par l’Académie des Beaux-Arts avec le prestigieux “Prix Chartier” en 1861 et 1869. Outre l’enseignement et les tournées, Farrenc et son mari s’intéressèrent à la musique ancienne, retrouvent d’anciens manuscrits pour clavecin et les rééditent. Ils publièrent Le Trésor des Pianistes, une collection de plus de deux siècles de partitions pour clavecin et piano en 23 volumes. Lorsque Aristide mourut en 1865, Louise continua seule à publier les 11 volumes restants, maintenant l’activité jusqu’à sa mort en 1875. Malgré le succès énorme qu’elle avait connu de son vivant, la France l’oublia rapidement : son Nonetto survit quelques années, ce qui lui permit d’apparaître dans des ouvrages musicaux comme Pianistes célèbres d’Antoine François Marmontel. Cependant, son style, très proche de celui de Beethoven et du romantisme allemand, dans une époque marquée par la défaite contre les Prussiens en 1870, contribue à la faire tomber dans l’oubli. Ce n’est qu’au XXe siècle, grâce au renouveau de l’intérêt pour les compositrices, que son travail et son influence sur la musique française sont redécouverts.

Comme mentionné précédemment, Farrenc compose pendant longtemps uniquement pour le piano, et ce n’est qu’à partir des années Treintes qu’elle commence à expérimenter avec la musique de chambre et orchestrale, faisant toujours preuve d’un haut niveau d’indépendance et de polyvalence. En se démarquant de ses contemporains, elle préfère composer des sonates et des symphonies, des genres qui n’étaient plus cultivés en France depuis la Révolution. Son style est fortement influencé par la musique de Vienne, où ses maîtres ont étudié : cela l’a éloignée du goût musical français de l’époque, l’amenant à un genre plus abstrait, dépourvu de charge narrative. Elle s’inspire souvent de travaux des XVIIe et XVIIIe siècles, non pas pour les imiter, mais pour inviter l’auditeur à se souvenir de la musique du passé, habituellement dédaignée par ses contemporains. Elle écrit pour des instruments à vent, des cordes, et bien sûr pour le piano. Parmi ses œuvres les plus célèbres figurent le Quintette pour piano op. 30 et 31, le Sextuor pour piano et vents op. 40, le Trio pour piano op. 33 et 34, le Nonette pour vents et cordes op. 38, et le Trio pour clarinette, violoncelle et piano op. 44. Son Concerto pour piano en si mineur est peut-être son œuvre la plus audacieuse et la plus éloignée de son style habituel ainsi que du style français. Malheureusement, il ne reste qu’un manuscrit incomplet de cette pièce. Sa Troisième Symphonie op. 36 a été exécutée à la Société des concerts du Conservatoire en 1849, rencontrant un énorme succès. Au total, la musicienne a écrit 49 compositions. Étonnamment, il n’y a aucune œuvre lyrique, bien que ce genre fût très en vogue en France à l’époque. D’après les sources, ce n’est pas par manque de volonté de Farrenc, qui a effectivement essayé de s’aventurer dans ce domaine. Cependant, en tant que femme, il ne lui a jamais été permis de recevoir un livret sur lequel travailler.

Couverture d'un manuscrit dédicacé des 30 Études (Op. 26) de Louise Farrenc. © Bibliothèque Nationale de France
Le premier enregistrement complet au monde de la musique symphonique de Louise Farrenc, sorti sur CD en 2021

L’enseignement a été sa plus grande passion, et sa méthode sobre et directe a été transmise pendant longtemps. Son Trente études dans toutes les tonalités majeures et mineures, une collection pour piano à la fois musicale et pédagogique, a continué d’être publiée des décennies après sa mort. En plus de perfectionner la technique, Farrenc offre une leçon d’histoire en introduisant l’élève à une multitude de styles d’écriture musicale différents, de Bach jusqu’à son époque contemporaine. Une œuvre précieuse qui reflète à la fois ses talents de pédagogue, son indépendance, son refus de se conformer aux modes, et sa passion pour la recherche.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Restoration France was a hedonistic environment where opera and romantic stories ruled the day. Performances in theaters were regular but qualitatively repetitive, a sign of a certain backwardness in musical taste. Many noticed this but few sought to remedy it, especially when inspiration was taken from the increasingly hated Germany, which was experiencing a true renaissance thanks to musicians such as Beethoven and Schumann. It was in this climate that Jeanne-Louise Dumont was born on May 31, 1804. She was a daughter of art - her father, Jacques-Edme, was a descendant of a dynasty of successful sculptors, a trade that she would pass on to her son Augustine-Alexandre, better known by the name Auguste. Her mother, Marie-Elisabeth-Louise Curton came from the Coypels, who were court portrait painters. The Dumont family was well known in Parisian cultural circles, and it was not long before Louise had her artistic baptism. At the age of six she began taking piano lessons from Cecile Soria, a pupil of the master Muzio Clementi, and soon showed incredible talent.

Louise Farrenc portrayed by an anonymous artist. ©Bibliothèque Nationale de France Louise Farrenc portrayed by Luigi Rubio (1835)

She continued her studies with the virtuoso pianist Ignaz Moscheles, future director of the Leipzig Conservatory, and with the composer Johann Nepomuk Hummel, Beethoven's companion and also a pupil of Clementi. With them Dumont also showed herself versed in composition, a fact that led her parents to try to enroll her at the Paris Conservatory when she was only 15. Here the young girl unfortunately faced her first real discrimination caused by her gender - the Conservatoire admited only men, and despite her undeniable abilities, there was no exception for her, thus forcing her to take private lessons in order to pursue her passion. Her teacher was Anton Reicha, one of the most highly regarded music professors of the time. She befriended a flutist, Aristide Farrenc, who was ten years her senior and performed regularly at the Sorbonne not far from her home. It was not long before sparks fly between the two. Louise was 17 when they married in 1821, sealing a union that would be happy and marked by mutual respect. She took her husband's surname, and she interrupted her studies so she could accompany him on tours around Europe where she also performed. Aristide, however, feeling that a wandering lifestyle is not for him, returned with his wife to Paris and founded the publishing house Éditions Farrenc, soon becoming one of the benchmarks for music publishing in France.

Louise Dumont, now Farrenc, resumed and completed her studies with Reicha. In 1826 she gave birth to Victorine, her only daughter, also a precocious piano prodigy, who would frequently perform with her mother at important ceremonies. She began touring again around Europe, playing and composing, and gaining fame as a skilled musician in a short time. Aristide was completely involved in her career, a convinced supporter of her talent. He not only financed her but also organized the events at which she performed, and published and disseminated her productions throughout the continent. Their union, happy and fruitful, was a rarity among many of Farrenc's contemporary musicians. She composed only for piano until the 1830s, earning the praise of important figures on the musical scene at the time such as Robert Schumann. She then began to write pieces of music for orchestra - two overtures that would never be published - and chamber music. The latter type earned her the most acclaim, and critics did not hesitate to compare her - though with much reticence and often patronizingly - to other celebrated composers of the time.

She became so well known that she was called to teach piano at the Paris Conservatory in 1842, a position she gladly accepted. Not only was she the only woman on the teaching staff - and she would be throughout the 19th century - but she was also the most famous and one of the most capable, described by her students as a brilliant teacher who led many of them to win prestigious prizes and launch related careers. Despite this, she was the lowest-paid, by virtue of her gender. Farrenc would hold the professorship for thirty years, until 1873. It was only after the first ten years that she was able to obtain the same salary as her colleagues, after the extraordinary success of Nonetto in E-flat Major, Op. 38. At the premiere of the work, which was also attended by the famous violinist Joseph Joachim, Farrenc demanded that her pay be raised, a request that Conservatory director Daniel Auber acceded to. In 1859 her beloved Victorine passed away after a long illness, and with her died Farrenc's creative vein Composing no longer, she threw herself heart and soul into teaching and research, helping her husband and his publishing house.

Thanks to her chamber music she was twice awarded the prestigious "Prix Chartier" by the Academy of Fine Arts, in 1861 and 1869. In addition to teaching and touring, Farrenc and her husband devoted themselves to early music, finding old harpsichord scores and republishing them. They edited and published Le Trésor des Pianistes, a 23-volume collection of more than two centuries of harpsichord and piano scores. When Aristide died in 1865 Louise continued to publish the remaining 11 volumes on her own, holding up the business until her death in 1875. Despite her enormous success in her lifetime, France soon forgot her. Her Nonetto survived her for a few years, allowing her to appear in music books such as Pianistes célebrès by Antoine Françoise Marmontel. However, her style - very close to that of Beethoven and German Romanticism, at a time when defeat at the hands of Prussia in 1871 would burn for decades - contributing to her falling into oblivion. That was until the 20th century, when a renewed interest in women composers brought her work and her influence on French music back to light.

As mentioned above, for a long time Farrenc composed only for piano and only from the 1930s did she begin to experiment with chamber and orchestral music, always displaying a high level of independence and versatility. Departing from her contemporaries, she prefered to compose sonatas and symphonies, genres no longer cultivated in France since the Revolution. Her style was strongly influenced by the music of Vienna, where her masters studied. This distanced her from the French musical taste of the time, leading her to a more abstract genre, lacking narrative weight. She often drew on works from the 17th and 18th centuries, not mere imitation but an invitation to listeners to remember the music of the past, usually snubbed by contemporaries. She wrote for wind instruments, strings and of course for piano. Among her most famous pieces are Quintet for piano op. 30 and 31, Sextet for piano and winds op. 40, Trio for piano op. 33 and 34, Nonetto for winds and strings op.38, Trio for clarinet, cello and piano op. 44. The Piano Concerto in B minor is perhaps her most daring work and far removed from both her own and the French style, of which, however, only an incomplete manuscript remains. Her Third Symphony Op. 36 was performed at the Société des concerts du Conservatoire in 1849 to enormous acclaim. In all, the musician wrote 49 compositions. Strangely, there are no operas despite the fact that the genre was very much in vogue in France. We know from sources that this was not at the behest of Farrenc, who rather tried to experiment in this field as well. However, being a woman, she was never given a libretto to work on.

Teaching was her greatest passion. Her sober and direct method has long been handed down. Her Thirty Etudes in All Major and Minor Keys, a collection for piano both musical and pedagogical, would continue to be printed decades after the author's death. In addition to perfecting technique, Farrenc provides a history lesson by introducing the student to a plethora of different styles of music writing, from Bach to her contemporary era. A valuable work that shows both her skill as a teacher and her independence, her refusal to anchor herself in fashions and her passion as a researcher.

Cover of an autographed manuscript of the 30 Études (Op. 26) by Louise Farrenc. © Bibliothèque Nationale de France
The world's first complete recording of Louise Farrenc's symphonic music, released on CD in 2021

Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

 

La Francia de la Restauración es un entorno hedonista donde la ópera lírica y las historias románticas dominan: los espectáculos en los teatros son regulares, pero cualitativamente repetitivos, señal de un cierto retraso en el gusto musical; muchos lo notan, pero pocos intentan remediarlo, especialmente cuando se toma inspiración de la cada vez más odiada área alemana, que estaba viviendo un verdadero renacimiento gracias a músicos como Beethoven y Schumann. En este clima nace Jeanne-Louise Dumont el 31 de mayo de 1804. Es hija del arte: su padre, Jacques-Edme, es descendiente de una dinastía de escultores de éxito, oficio que pasará a su hijo Augustine-Alexandre, más conocido con el nombre de Auguste; por parte de su madre, Marie-Elisabeth-Louise Curton, desciende de los Coypel, retratistas de corte. La familia Dumont es bien conocida en los círculos culturales parisinos y no pasa mucho tiempo antes de que Louise tenga su bautismo artístico: a los seis años comienza a tomar clases de piano con Cecile Soria, alumno del maestro Muzio Clementi, mostrando muy pronto un talento increíble.

Louise Farrenc retratada por un artista anónimo. ©Biblioteca Nacional de Francia Louise Farrenc interpretada por Luigi Rubio (1835)

Continúa sus estudios con el virtuoso pianista Ignaz Moscheles, futuro director del Conservatorio de Leipzig, y con el compositor Johann Nepomuk Hummel, compañero de Beethoven y alumno de Clementi; con ellos Dumont se muestra también versada en la composición, hecho que lleva a sus padres a tratar de inscribirla en el Conservatorio de París con sólo 15 años de edad. Desgraciadamente aquí la niña se enfrenta a la primera discriminación causada por su sexo: el Conservatorio sólo admite hombres y a pesar de sus innegables habilidades no hace una excepción para ella, por lo tanto se ve obligada a tomar clases particulares para poder continuar su camino. Su profesor es Anton Reicha, uno de los profesores de música más cotizados de la época. Entabla amistad con un flautista, Aristide Farrenc, diez años mayor que ella y que actúa con regularidad en la Sorbona, a poca distancia de su casa; no pasa mucho antes de que los dos sientan la chispa. Louise tiene 17 años cuando se casan en 1821, sellando una unión que será feliz y estará basada en el respeto mutuo; toma el apellido de su marido, por lo que interrumpe los estudios para poder acompañarlo en las giras por Europa donde ella también actúa. Sin embargo, Aristide, sintiendo que ese estilo de vida errático no es para él, regresa con su esposa a París y funda la editorial Éditions Farrenc, convirtiéndose pronto en uno de los puntos de referencia para la publicación de música en Francia.

Louise Dumont, ahora Farrenc, reanuda y completa sus estudios con Reicha. En 1826 da a luz a Victorine, su única hija, también ella un prodigio precoz del piano, que a menudo actuará con su madre, incluso durante ceremonias importantes. Vuelve a hacer giras por Europa, tocando y componiendo, y en poco tiempo adquiere fama de ser una música hábil. Aristide está completamente involucrado en su carrera, es partidario convencido de su talento: no sólo financia, sino que también organiza los eventos en los que ella se exhibe, publica y difunde sus producciones por todo el continente. Una unión, la suya, feliz y fecunda, una rareza para muchas músicas contemporáneas de Farrenc. Ella compone sólo para piano hasta los años treinta del siglo XIX, ganándose los elogios de importantes figuras del panorama musical de entonces como Robert Schumann. Luego comienza a escribir música para orquesta –dos oberturas que nunca se publicarán– y para cámara; este último género es el que le proporciona más éxito y la crítica no duda en compararla –aunque con muchas reticencias y a menudo de manera paternalista– con otros compositores famosos de su época.

Se hizo tan famosa que la llamaron para enseñar piano en el Conservatorio de París en 1842, cargo que aceptó gustosamente. No sólo fue la única mujer en el cuerpo docente –y lo fue durante todo el siglo XIX– sino también la más famosa y una de las más capaces, descrita por sus estudiantes como una brillante profesora que llevó a muchos y muchas a ganar prestigiosos premios y a iniciar su propia carrera. A pesar de eso, era la menos pagada a causa de su sexo. Farrenc ocupará la cátedra durante treinta años, hasta 1873. Sólo después de los primeros diez años percibirá el mismo salario que sus colegas, después del extraordinario éxito de Nonette en mi bemol mayor, op. 38: en el estreno de la ópera, en la que participa también el famoso violinista Joseph Joachim, Farrenc exige que se le suba el sueldo, petición que el director del Conservatorio Daniel Auber acepta. En 1859 la amada Victorine fallece después de una larga enfermedad y con ella muere también la vena creativa de Farrenc, que ya no volverá a componer; se dedicará a la enseñanza y a la investigación, ayudando a su marido y a su editorial.

Gracias a su música de cámara es galardonada dos veces por la Academia de Bellas Artes con el prestigioso Prix Chartier, en 1861 y en 1869. Además de la enseñanza y de las giras, Farrenc y su esposo se dedican a la música antigua, recuperando viejas partituras para clavicémbalo y publicándolas; editan y publican Le Trésor des Pianistes, una colección de más de dos siglos de partituras para clavicémbalo y piano de 23 volúmenes. Cuando Aristide muere en 1865, Louise sigue publicando sola los 11 volúmenes restantes, manteniendo la actividad hasta su muerte en 1875. A pesar de su enorme éxito en vida, Francia la olvida muy pronto: su Nonette le sobrevive durante algunos años, permitiéndole aparecer en libros de música, como en Pianistes célebrès de Antoine Françoise Marmontel. Sin embargo, su estilo muy cercano al de Beethoven y al romanticismo alemán, en una época en la que la derrota prusiana de 1870 dolerá durante décadas, contribuirá a hacerla caer en el olvido. Esto hasta el siglo XX, cuando un renovado interés por las compositoras saca a la luz su trabajo y su influencia en la música francesa.

Como ya se ha dicho, durante mucho tiempo Farrenc sólo compuso para piano y sólo a partir de los años treinta comenzó a experimentar con la música de cámara y orquesta, mostrando siempre un alto nivel de independencia y versatilidad. Distanciándose de sus contemporáneos, prefiere componer sonatas y sinfonías, géneros que en Francia ya no se cultivaban desde la Revolución; su estilo resulta fuertemente influenciado por la música de Viena, donde estudiaron sus maestros: esto la alejó del gusto musical francés de su época, llevándola a un género más abstracto, carente de un peso narrativo. Ella se remite a menudo a obras de los siglos XVII y XVIII pero no se trata de mera imitación, sino que invita a quien escucha a recordar la música del pasado, por lo general despreciada por sus contemporáneos. Escribe para instrumentos de viento, arcos y, por supuesto, para piano; entre sus piezas más famosas, Quinteto para piano op. 30 y 31, Sexteto para piano y viento op. 40, Trío para piano op. 33 y 34, Nonette para cuerdas y arcos op. 38, Trío para clarinete, violonchelo y piano op. 44. El Concierto para piano en B menor del que sólo queda un manuscrito incompleto, es quizás su obra más atrevida y alejada tanto de su estilo como del francés. Su Tercera Sinfonía op. 36 fue dirigida en la Société des concerts du Conservatoire en 1849 con gran éxito. En total, esta música escribió 49 composiciones. Por extraño que parezca, no hay óperas líricas a pesar de que el género estaba muy de moda en Francia. Por las fuentes sabemos que no fue por voluntad de Farrenc, quien intentó experimentar también en este campo. Sin embargo, como mujer, nunca se le concedió un libreto para trabajar.

La enseñanza fue su mayor pasión, su método sobrio y directo se transmitió durante mucho tiempo. Sus Treinta estudios en todas las claves mayores y menores, una colección para piano tanto musical como pedagógica, se seguirá imprimiendo décadas después de la muerte de la autora. Además de perfeccionar la técnica, Farrenc ofrece una lección de historia presentando a su estudiante una plétora de diferentes estilos de escritura musical, desde Bach hasta su época contemporánea. Una obra valiosa que muestra tanto la capacidad de docente como su independencia, su rechazo de las modas y su pasión por la investigación.

Portada de un manuscrito autografiado de los 30 Estudios (Op. 26) de Louise Farrenc. © Biblioteca Nacional de Francia
La primera grabación completa del mundo de la música sinfónica de Louise Farrenc, lanzada en CD en 2021

 

Amy Winehouse
Chiara De Luca


Marika Banci

 

Amy Jade Winehouse (Enfield, 14 settembre 1983 – Camden Town, 23 luglio 2011) è stata una cantautrice, produttrice discografica e chitarrista britannica. Proveniente da una famiglia ebrea, fin dalla tenera età mostrò una forte passione per la musica, fondando nel 1993 un gruppo rap dal nome Sweet ‘n’ Sour, che lei stessa definì la versione bianca ed ebraica delle Salt ‘n’ Pepa – gruppo newyorkese hip-hop formatosi nel 1985. Nel 1999 entrò a far parte della National Youth Jazz Orchestra, dove iniziò il suo percorso professionale da cantante solista. Nello stesso anno venne scoperta dall'ideatore di Pop Idol Simon Fuller, firmando un contratto con l'agenzia di management 19 Entertainment. Tre anni dopo, nel 2002, con l’aiuto dell’amico e cantante Tyler James entrò in contatto con un talent scout, che la portò al suo primo contratto con l’Island Records. Sotto questa etichetta discografica avverrà il suo vero esordio musicale. Il 20 ottobre 2003 venne pubblicato Frank, il primo album in studio della cantante, prodotto da Salaam Remi e caratterizzato da forti influenze jazz. Contenente quasi interamente canzoni composte dalla stessa Winehouse, venne accolto positivamente dalla critica, che la affiancò a voci del calibro di Sarah Vaughan e Macy Gray e la nominò precorritrice della generazione nuova del soul bianco, del quale divenne una delle principali esponenti, accompagnata dalle connazionali Adele e Duffy.

Il 2004 sottolineò il successo senza soluzione di continuità di Winehouse: Frank, in vetta alle classifiche dal giorno dell’uscita, figurò nella lista Mercury Prize e venne nominato ai Brit Awards nella categoria di British Female Solo Artist e British Urban Act. Nello stesso anno venne insignita dell’Ivor Novello Award, premio britannico conferito ad autori e autrici, compositori e compositrici, grazie al singolo Stronger than me. Inoltre, il 2004 fu l’anno dei primi due dischi di platino e del traguardo del milione e mezzo di copie vendute. In questo periodo Amy Winehouse debuttò in televisione, partecipando al talk show Later… with Jools Holland e scrisse per il suo amico e cantante Tyler James Long Day, una delle canzoni dell'album d’esordio.

Nonostante l’apparente periodo felice, la cantante non si sentiva appagata dalla direzione che il suo album aveva preso: Frank è suo soltanto “all’80%”, in quanto la casa discografica aveva incluso brani non compatibili con il progetto artistico che intendeva portare avanti. Nel 2006 tornò in vetta alle classifiche mondiali con l’album Back to Black, prodotto nuovamente da Salaam Remi e da Mark Ronson e ispirato alla musica dei gruppi anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo. Anticipato dalle canzoni Rehab, Love is a losing game e dall’omonima traccia Back to Black, le procurò la vittoria di cinque Grammy Awards: tre per la canzone Rehab nelle categorie Record of the Year, Song of the Year e Best Female Pop Vocal Performance, uno nella categoria Best New Artist e uno per l'album Back to Black nella categoria Best Pop Vocal Album.

Dai testi di queste celebri canzoni è possibile evincere il malessere della cantante e l’inizio del vortice di droghe e abusi da cui Amy non seppe più uscire, nonostante i molteplici tentativi da lei e dalla sua famiglia compiuti. È in tale vortice che si possono ricercare le cause del rallentamento della realizzazione del tanto atteso terzo album. In questo periodo fu il padre della cantante, Mitch Winehouse, a rassicurare il pubblico sull’imminente ritorno della figlia sulle scene e sulla pubblicazione del disco, previsto nel 2009. Il 30 maggio 2008 la cantante apparirà provata sul palco del Rock in Rio a causa di problemi respiratori. Uscirà dalla clinica nella quale era ricoverata per un enfisema polmonare il 27 giugno 2008, esibendosi due giorni dopo a Hyde Park a Londra, per onorare Nelson Mandela. Fu l’ultima esibizione prima del declino irreversibile della sua breve vita.

Il terzo disco di Amy Winehouse, Lioness: Hidden Treasures, venne pubblicato dalla Universal il 5 dicembre del 2011, dopo la morte della cantante avvenuta il 23 luglio dello stesso anno. In questo lavoro postumo, curato ancora una volta da Salaam Remi e Mark Ronson, con l’appoggio della famiglia Winehouse, sono contenute tracce inedite, accompagnate da demo registrate in passato ma rimaste sconosciute. Ad anticiparne l’uscita, un video descrittivo dell’album, dal titolo Amy Winehouse - Hidden Treasures Story, pubblicato su YouTube dagli stessi produttori. Anche in questo caso il successo fu immediato, portando Lioness: Hidden Treasures in vetta alle classifiche europee – tra le quali figurano quelle di nazioni come Austria, Paesi Bassi, Svizzera, Portogallo e Regno Unito.

Nel marzo 2012 in Francia venne pubblicato l’Ep Rehab, nel formato di disco in vinile. A maggio dello stesso anno vide la luce Amy’s Jukebox. The Music That Ispired Amy Winehouse, album commemorativo che racchiude canzoni jazz di cantanti del calibro di Frank Sinatra; gli incassi vennero devoluti alla Amy Winehouse Foundation, creata dal padre Mitch per aiutare i giovani e le giovani a risolvere i propri problemi con le dipendenze da alcol e sostanze stupefacenti. A un anno dalla morte, il successo della cantante fu inarrestabile, raggiungendo la ventiseiesima posizione nella categoria Greatest Women in Music di VH1 100 e vincendo un Grammy Award nella categoria Best Pop Duo/Group Performance con il brano Body and Soul, in collaborazione con Tony Bennett. A fine 2012 venne annunciata sulla pagina Facebook della cantante l’uscita di Amy Winehouse at The Bbc, un boxset di quattro dischi pubblicato a novembre.

Nel 2013 Winehouse ricevette l’ennesima candidatura, questa volta ai Brit Awards 2013, nella categoria British Female Solo Artist, la prima postuma nella storia del premio. La seconda nomina arrivò nel 2016, per la colonna sonora di Amy; The Girl Behind The Name, lungometraggio diretto da Asif Kapadia. Quest’ultimo, uscito nelle sale nel 2015, fu oggetto di controversie: se da una parte vinse l’Oscar nella categoria Best Documentary, dall’altra non ottenne il consenso della famiglia, la quale se ne dissociò prontamente. Nonostante la vita di Amy Winehouse sia divenuta un caso mediatico, attirando l’interesse di speculatori senza morale, devoti unicamente a un vantaggio economico, la sua musica e la sua persona furono di ispirazione alle generazioni successive, rendendo immortale la sua figura di artista straordinaria.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Amy Jade Winehouse (Enfield, 14 septembre 1983 – Camden Town, 23 juillet 2011) était une auteure-compositrice-interprète, productrice de disques et guitariste britannique. Issue d'une famille juive, dès son plus jeune âge, elle montrait une forte passion pour la musique et en 1993, elle a fondé un groupe de rap nommé Sweet ‘n’ Sour, qu’elle a elle-même décrit comme la version blanche et juive de Salt ‘n’ Pepa, un groupe de hip-hop new-yorkais formé en 1985. En 1999, elle rejoignait la National Youth Jazz Orchestra, où elle a commencé sa carrière professionnelle en tant que chanteuse soliste. La même année, elle a été découverte par Simon Fuller, le créateur de Pop Idol, et a signé un contrat avec l'agence de management 19 Entertainment. Trois ans plus tard, en 2002, grâce à son ami et chanteur Tyler James, elle a rencontré un découvreur de talents qui lui a permis de signer son premier contrat avec Island Records. Sous ce label, elle a fait ses véritables débuts musicaux. Le 20 octobre 2003, elle publiait son premier album studio, Frank, produit par Salaam Remi et fortement influencé par le jazz. Cet album, composé presque entièrement de chansons écrites par Winehouse elle-même, a été bien accueilli par la critique, qui l’a comparée à des voix comme celles de Sarah Vaughan et Macy Gray. Elle a été désignée comme une précurseure de la nouvelle génération de soul blanc, devenant l'une des principales représentantes aux côtés de ses compatriotes Adele et Duffy.

L'année 2004 soulignait le succès continu de Winehouse : Frank, en tête des classements depuis sa sortie, a figuré dans la liste du Mercury Prize et a été nommé aux Brit Awards dans les catégories British Female Solo Artist et British Urban Act. La même année, elle remportait un Ivor Novello Award, une récompense britannique décernée aux auteurs-compositeurs, grâce à son single Stronger Than Me. De plus, 2004 fut l'année de ses deux premiers disques de platine et du million et demi d'exemplaires vendus. Pendant cette période, Amy Winehouse faisait ses débuts à la télévision, participant au talk-show Later… with Jools Holland, et elle écrivait pour son ami Tyler James la chanson Long Day de son album éponyme.

Malgré cette période apparemment heureuse, la chanteuse ne se sentait pas satisfaite de la direction que son album avait prise : Frank n’était à elle qu’à “80 %”, car la maison de disques avait inclus des pièces qui n’étaient pas compatibles avec le projet artistique qu’elle voulait mener. En 2006, elle revenait en tête des classements mondiaux avec l’album Back to Black, à nouveau produit par Salaam Remi et Mark Ronson, inspiré par la musique des groupes des années 1950 et 1960. Annoncé par les chansons Rehab, Love Is a Losing Game, et la piste homonyme Back to Black, l’album lui valut cinq Grammy Awards : trois pour la chanson Rehab dans les catégories Record of the Year, Song of the Year et Best Female Pop Vocal Performance, un dans la catégorie Best New Artist et un autre pour l’album Back to Black dans la catégorie Best Pop Vocal Album.

Les paroles de ces chansons célèbres révélaient le mal-être de la chanteuse et le début de la spirale de drogues et d’abus dont Amy n’a jamais su sortir, malgré les multiples tentatives qu’elle et sa famille ont faites. C’est dans cette spirale que l’on peut chercher les causes du ralentissement de la réalisation du très attendu troisième album. Pendant cette période, c’est son père, Mitch Winehouse, qui a rassuré le public quant au retour imminent de sa fille sur scène et à la sortie de l’album, prévue pour 2009. Le 30 mai 2008, la chanteuse apparaît affaiblie sur la scène du Rock in Rio à cause de problèmes respiratoires. Elle quitte la clinique où elle était hospitalisée pour un emphysème pulmonaire le 27 juin 2008, se produisant deux jours plus tard à Hyde Park, à Londres, pour honorer Nelson Mandela. Cela a été sa dernière performance avant le déclin irréversible de sa courte vie. Le troisième album d’Amy Winehouse, Lioness: Hidden Treasures, a été publié par Universal le 5 décembre 2011, après la mort de la chanteuse survenue le 23 juillet de la même année. Dans cet album posthume, encore une fois supervisé par Salaam Remi et Mark Ronson, avec le soutien de la famille Winehouse, on retrouve des pièces inédites, accompagnées de démos enregistrées dans le passé mais restées inconnues. Pour en annoncer la sortie, une vidéo descriptive de l’album, intitulée Amy Winehouse – Hidden Treasures Story, a été publiée sur YouTube par les mêmes producteurs. Là encore, le succès est immédiat, plaçant Lioness: Hidden Treasures en tête des classements européens – parmi lesquels ceux de l’Autriche, des Pays-Bas, de la Suisse, du Portugal et du Royaume-Uni.

En mars 2012, en France, l’EP Rehab fut publié au format vinyle. En mai de la même année sort Amy’s Jukebox. The Music That Inspired Amy Winehouse, un album commémoratif regroupant des chansons jazz de chanteurs comme Frank Sinatra. Les bénéfices ont été reversés à la Amy Winehouse Foundation, créée par son père Mitch pour aider les jeunes à résoudre leurs problèmes de dépendance à l’alcool et aux drogues. Un an après sa mort, le succès de la chanteuse était inarrêtable, atteignant la vingt-sixième position dans la catégorie Greatest Women in Music du VH1 100 et remportant un Grammy Award dans la catégorie Best Pop Duo/Group Performance avec la chanson Body and Soul, en collaboration avec Tony Bennett. Fin 2012, la sortie de Amy Winehouse at The BBC, un coffret de quatre disques, a été annoncée sur la page Facebook de la chanteuse, et il a été publié en novembre.

En 2013, Winehouse reçoit une énième nomination, cette fois aux Brit Awards 2013 dans la catégorie British Female Solo Artist, la première nomination posthume dans l’histoire du prix. La seconde nomination arrive en 2016, pour la bande originale de Amy: The Girl Behind the Name, un long-métrage réalisé par Asif Kapadia. Ce dernier, sorti en salles en 2015, a été sujet à controverse: d’un côté, il remporte l’Oscar dans la catégorie Best Documentary, de l’autre, il n'obtient pas le consentement de la famille, qui s’en dissocie rapidement. Malgré la médiatisation de la vie d’Amy Winehouse, attirant l’intérêt de spéculateurs sans scrupules, uniquement dévoués à des gains économiques, sa musique et sa personnalité ont inspiré les générations suivantes, rendant son image d’artiste extraordinaire immortelle.


Traduzione iblese

Syd Stapleton

 

Amy Jade Winehouse was a British singer-songwriter, record producer and guitarist. She was born in England on September 14, 1983, and died in Camden Town (London), July 23, 2011, at the age of only 27. Coming from a Jewish family, from an early age she showed a strong passion for music, founding in 1993 a rap group called Sweet 'n' Sour, which she called a white, Jewish version of Salt 'n' Pepa - a New York hip-hop group formed in 1985. In 1999 she joined the National Youth Jazz Orchestra, where she began her professional journey as a lead singer. In the same year she was discovered by Pop Idol creator Simon Fuller, signing a contract with the management agency 19 Entertainment. Three years later, in 2002, with the help of friend and singer Tyler James she made contact with a talent scout, which led to her first contract with Island Records. Under this record label her real musical debut took place. On October 20, 2003, Frank, the singer's first studio album, produced by Salaam Remi and featuring strong jazz influences, was released. Containing almost entirely songs composed by Winehouse herself, it was positively received by critics, who placed her alongside the likes of Sarah Vaughan and Macy Gray and named her a forerunner of the new generation of white soul, of which she became one of the leading exponents, accompanied by compatriots Adele and Duffy.

The year 2004 underscored Winehouse's seamless success. Frank, topping the charts from the day of its release, appeared on the Mercury Prize list and was nominated for Brit Awards in the categories of British Female Solo Artist and British Urban Act. That same year she was awarded the Ivor Novello Award, a British prize given to female songwriters, composers and authors, thanks to the single Stronger than Me. In addition, 2004 was the year of her first two platinum records and the 1.5 million copies sold milestone. During this period Amy Winehouse made her television debut, appearing on the talk show Later... with Jools Holland, and wrote for her friend and singer Tyler James Long Day, one of the songs on her debut album.

Despite the apparently happy period, the singer did not feel fulfilled by the direction her album had taken - Frank was only "80 percent" hers, as the record company had included songs that were not compatible with the artistic project she intended to pursue. In 2006 she returned to the top of the world charts with the album Back to Black, produced again by Salaam Remi and Mark Ronson and inspired by the music of the 1950s and 1960s groups of the last century. Preceded by the songs Rehab, Love is a Losing Game and the eponymous track Back to Black, it earned her five Grammy Awards - three for the song Rehab in the categories Record of the Year, Song of the Year and Best Female Pop Vocal Performance, one in the category Best New Artist and one for the album Back to Black in the category Best Pop Vocal Album.

From the lyrics of these famous songs, it is possible to infer the singer's malaise and the beginning of the vortex of drugs and abuse from which Amy was never able to escape, despite the many attempts she and her family made. It is in this vortex that one can look for the causes of the slowdown in the making of the long-awaited third album. During this period it was the singer's father, Mitch Winehouse, who reassured the public about his daughter's imminent return to the scene and the release of the album, scheduled for 2009. On May 30, 2008, the singer appeared to be exhausted on stage at Rock in Rio due to respiratory problems. She came out of the clinic in which she was hospitalized for pulmonary emphysema on June 27, 2008, performing two days later in London's Hyde Park to honor Nelson Mandela. It was the last performance before the irreversible decline of her short life. Amy Winehouse's third album, Lioness: Hidden Treasures, was released by Universal on December 5, 2011, after the singer's death on July 23 of that year. This posthumous work, edited once again by Salaam Remi and Mark Ronson, with the support of the Winehouse family, contains previously unreleased tracks, accompanied by demos recorded in the past but that had remained unknown. Anticipating its release was a descriptive video of the album, titled Amy Winehouse - Hidden Treasures Story, posted on YouTube by the producers themselves. Again, success was immediate, taking Lioness: Hidden Treasures to the top of the European charts - including those in nations such as Austria, the Netherlands, Switzerland, Portugal and the United Kingdom.

In March 2012 the EP Rehab was released in France, in the vinyl record format. May of the same year saw the release of Amy's Jukebox -The Music That Inspired Amy Winehouse, a memorial album encompassing jazz songs by the likes of Frank Sinatra; proceeds were donated to the Amy Winehouse Foundation, set up by her father Mitch to help young men and women with problems with alcohol and drug addiction. Within a year of her death, the singer's success was unstoppable, reaching 26th position in the VH1 100's Greatest Women in Music category and winning a Grammy Award in the Best Pop Duo/Group Performance category with the song Body and Soul, in collaboration with Tony Bennett. In late 2012 it was announced on the singer's Facebook page that Amy Winehouse at the BBC, a four-disc boxset would be released in November.

In 2013 Winehouse received yet another nomination, this time at the 2013 Brit Awards, in the British Female Solo Artist category, the first posthumous one in the history of the award. The second nomination came in 2016, for the soundtrack to Amy; The Girl Behind the Name, a feature film directed by Asif Kapadia. The latter, released in theaters in 2015, was the subject of controversy. While it won the Oscar in the Best Documentary category, it did not win the approval of the family, who promptly disassociated themselves from it. Although Amy Winehouse's life became a media focus, attracting the interest of speculators with no morals, devoted solely to financial gain, her music and person were an inspiration to subsequent generations, making her an immortal figure as an extraordinary artist.

Aretha Franklin
Mauro Zennaro


Marika Banci

 

Qui, nella periferia dell’Impero, è sempre stato difficile farsi un’idea di quello che succedeva fuori e che ci arrivava come pallida eco piuttosto confusa. Così le poche persone che nel 1963 ascoltavano Rita Pavone cantare Datemi un martello non immaginavano che quella canzoncina buffa e ballabile, dal testo piuttosto stupido ma consono ai tempi, era la versione italiana di un memorabile brano politico di Pete Seeger, e chi ascoltò anche la versione di Aretha Franklin pensò che la cantante statunitense era in effetti piuttosto brava, quasi come la Pavone nazionale. Ma allora non la sentì quasi nessuno perché Franklin, all’epoca, era piuttosto sconosciuta anche negli Stati Uniti. La storia di Aretha è emblematica e assomiglia a quella di tante altre cantanti afroamericane. Come da copione, era figlia di un pastore battista e di una pianista e cantante gospel, Barbara Vernice Siggers, una delle migliori del Paese, ammirata anche dalla grande Mahalia Jackson. Il pastore in questione, Clarence LaVaughn Franklin, nonostante l’educazione rigida che tentò di dare alle tre figlie e al primo figlio di Barbara, non era esattamente uno stinco di santo e la moglie lo lasciò nel 1948 per poi morire d’infarto nel 1952 a trentaquattro anni. Quando la mamma se ne andò, Aretha, nata a Memphis il 25 marzo 1942, aveva sei anni.

Aretha Franklin (a sinistra) con il padre C.L. Franklin e la sorella Carolyn nel 1965

La famiglia si trasferì a Detroit, dove il pastore Franklin divenne ministro di una grande comunità religiosa e le sorelle furono impegnate a cantare durante le funzioni. Aretha suonava anche il pianoforte. La sua voce era già calda e potente, e il repertorio che cantava era ovviamente quello religioso: il gospel. A partire dai dodici anni cominciò a seguire il padre, predicatore di grande fascino e successo (era chiamato “La voce da un milione di dollari”), nei suoi viaggi di predicazione e anche a essere notata da agenti e impresari. A quattordici anni aveva anche già subito due stupri e affrontato due gravidanze ma questo, diversamente dalla sua voce, non era considerato poi così eccezionale. Casa Franklin, comunque, era frequentata da molti personaggi del mondo musicale, da cui la giovane Aretha prendeva ispirazione. A sedici anni seguì l’amico di famiglia Martin Luther King e cantò nelle manifestazioni in cui lui parlava in favore dei diritti civili.

Ma proprio la voce e le sue figure di riferimento, le grandi cantanti gospel, furono paradossalmente ciò che le impedì di raggiungere prima il successo: era bravissima, ma non abbastanza originale. Nel 1960, a diciotto anni, convinse il padre a tentare la sorte a New York con l’amico Sam Cooke, già stella di prima grandezza, e il reverendo Franklin acconsentì e finanziò alcune incisioni demo. Così le fu proposto un contratto con la casa discografica Columbia, ma questa le impose un repertorio che non la valorizzava. Tra il 1960 e il 1966 incise ben cinque album e alcuni 45 giri, tra cui il brano già citato di Pete Seeger, un pezzo bellissimo rovinato da un arrangiamento mediocre. Nonostante un discreto successo, il repertorio pop che la Columbia le imponeva non era nelle sue corde e, nonostante i circa centomila dollari annui di guadagno, Aretha aveva bisogno di una casa discografica che rendesse giustizia alla sua vena musicale afroamericana che, nata dal gospel, si stava evolvendo nel rythm and blues, la faccia moderna del vecchio blues nero. Inoltre si trovò perfino a dover restituire del denaro alla Columbia perché, a dispetto degli anticipi ricevuti e dei complimenti, le vendite restavano piuttosto fiacche. E il suo rapporto con l’uomo che aveva sposato nel 1961, il musicista e manager Ted White, si andava deteriorando: cosa ovvia, dato che lui si era dimostrato un violento. Alla scadenza del contratto, Aretha si trasferì all’Atlantic Records. Descrisse così il suo ingresso all’Atlantic: «Mi fecero sedere al pianoforte e i successi cominciarono ad arrivare».

Aretha Franklin con Wexler, produttore dell’Atlantic Records, nel 1966

Il suo nuovo produttore, Jerry Wexler, aveva finalmente capito la personalità di Aretha: era semplicemente un’artista impossibile da imbrigliare. Dava il meglio di sé improvvisando, facendo di testa sua in piena libertà interpretativa. Dal 1967 al 1970 Aretha incise i pezzi più celebri della sua carriera, tra cui Respect, di Otis Redding, che trasformò in un inno femminista, e (You Make Me Feel) A Natural Woman, di Carole King, il brano che nel 2015 cantò a Washington davanti al presidente Barack Obama, alla first lady Michelle LaVaughn Robinson e all’autrice Carole King visibilmente commossa. Il successo, finalmente. Ma non la serenità. La fatica degli anni precedenti, le molestie subite, la violenza di cui una giovane donna nera era circondata e vittima non le permisero di godersi la libertà artistica e la celebrità. D’altro canto depressione e ricorso ad alcol e sostanze varie erano tipici dell’ambiente, una scorsa alle biografie delle grandi artiste afroamericane lo può confermare. Come altre prima, anche Aretha fu insignita da pubblico e critica di un titolo nobiliare: Lady Soul, la regina della musica soul. Fu la prima artista nera a conquistare la copertina della rivista Time e la prima donna accolta, il 3 gennaio 1987, nella leggendaria Rock ’n’ Roll Hall of Fame di Cleveland (il che la dice lunga sulla considerazione che tale istituzione ha delle musiciste).

Aretha restò all’Atlantic per un decennio riportando un successo altalenante. I gusti e le mode musicali cambiavano velocemente e il trionfo della disco music non le giovò. Le solide radici religiose e civili della sua musica non potevano convivere con le atmosfere da discoteca che cominciavano a imperversare e che il mercato imponeva. La sua produzione appareva confusa ma non mancarono le perle, come Young Gifted and Black, di Nina Simone, divenuta un inno dell’orgoglio nero, e il periodico ritorno al gospel, come l’album Amazing Grace che la riportò alla musica delle origini. Il trionfo definitivo arrivò nel 1980 con il film The Blues Brothers di John Landis, in cui Aretha interpreta una piccola parte di grande impatto cantando Think!, del 1968. Il film, in cui appaiono altri grandi musicisti, sia nella band dei fratelli Blues che come comprimari, divenne leggendario. Aretha, la cui canzone è un inno alla libertà, in realtà non fa una parte particolarmente brillante: interpreta la moglie del chitarrista Matt “Guitar” Murphy che vuole impedire al marito di unirsi alla band e farlo rimanere a gestire la loro rosticceria: un’immagine pedante e conservatrice, anche se l’interpretazione è meravigliosa.

Ormai celebre in tutto il mondo, Aretha Franklin proseguì a incidere dischi, concentrandosi sulla musica più adatta alla sua personalità e in duetti spesso sorprendenti, come quelli con Whitney Houston ed Elton John, né mancarono esibizioni per alcuni versi sconcertanti, come l’interpretazione di Nessun dorma, da Turandot di Giacomo Puccini, alla cerimonia di consegna dei Grammy Awards del 1998, in sostituzione di Luciano Pavarotti malato: un brano non adatto a lei, che però lo esegue, come sempre, affondando la voce nel blues.Il nuovo secolo rivelò una Aretha Franklin diva irrequieta, le apparizioni sul palco si rarefecero – anche a causa del suo rifiuto di viaggiare in aereo, che la terrorizzava – e anche i dischi apparvero più raramente. Nel 2014 David Ritz, scrittore statunitense specializzato in biografie, pubblicò Respect, versione riveduta e corretta di From These Roots, biografia “ufficiale” di Aretha scritta con lei nel 1999; la nuova versione, a quanto pare, era più c completa e veritiera circa argomenti di carattere personale a suo tempo “censurati” dalla cantante.

Nel 2015 il grande trionfo a Washington sopra ricordato, e poi la malattia. Aretha Franklin morì a Detroit il 16 agosto 2018. Nel 2021 la rivista Rolling Stone dichiarò la sua versione di Respect, fra cinquecento selezionate, la “più grande canzone di tutti i tempi”. La motivazione recitava:

«Aretha non avrebbe mai interpretato la parte della donna disprezzata: il suo secondo nome era “Rispetto”». E proseguiva: «le richieste orgogliose della canzone hanno avuto una forte risonanza con il movimento per i diritti civili e l’emergente rivoluzione femminista, adattandosi a un’artista che ha sostenuto il Black Panther Party e ha cantato al funerale di Martin Luther King Jr. Nel suo libro di memorie del 1999, Franklin scrisse che la canzone rifletteva “il bisogno dell’uomo e della donna media della strada, dell’uomo d'affari, della madre, del pompiere, dell'insegnante: tutti volevano rispetto”. Lo facciamo ancora».


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Ici, dans la périphérie de l'Empire, il a toujours été difficile de se faire une idée de ce qui se passait ailleurs et qui nous arrivait comme un écho pâle et assez confus. Ainsi, les quelques personnes qui, en 1963, écoutaient Rita Pavone chanter Datemi un martello, n'imaginaient pas que cette petite chanson drôle et dansante, au texte plutôt stupide mais adapté à l'époque, était la version italienne d'un mémorable morceau politique de Pete Seeger, et ceux qui ont aussi entendu la version d'Aretha Franklin pensaient que la chanteuse américaine était en fait assez douée, presque comme la Pavone nationale. Mais à l'époque, presque personne ne l'a entendue, car Franklin, à ce moment-là, était plutôt inconnue même aux États-Unis. L'histoire d'Aretha est emblématique et ressemble à celle de nombreuses autres chanteuses afro-américaines. Comme dans un scénario prévisible, elle était la fille d'un pasteur baptiste et d'une pianiste et chanteuse de gospel, Barbara Vernice Siggers, l'une des meilleures du pays, admirée même par la grande Mahalia Jackson. Le pasteur en question, Clarence LaVaughn Franklin, malgré l'éducation stricte qu'il essayait de donner à ses trois filles et au premier fils de Barbara, n'était pas exactement un modèle de vertu, et sa femme le quitte en 1948 pour mourir d'une crise cardiaque en 1952, à l'âge de trente-quatre ans. Quand sa mère est partie, Aretha, née à Memphis le 25 mars 1942, avait six ans.

Aretha Franklin (la sinistre) avec le père C.L. Franklin et Sorella Carolyn en 1965

La famille a déménagé à Detroit, où le pasteur Franklin est devenu ministre d'une grande communauté religieuse, et les sœurs ont été impliquées dans les chants pendant les services. Aretha jouait aussi du piano. Sa voix était déjà chaude et puissante, et le répertoire qu'elle chantait était bien sûr celui religieux : le gospel. À partir de l'âge de douze ans, elle a commencé à suivre son père, un prédicateur très charismatique et à succès (on l'appelait "La voix d'un million de dollars") lors de ses voyages de prédication, et elle a aussi commencé à être remarquée par des agents et des managers. À quatorze ans, elle avait déjà subi deux viols et vécu deux grossesses, mais cela, contrairement à sa voix, n'était pas considéré comme si exceptionnel. La maison Franklin, de toute façon, était fréquentée par de nombreuses personnalités du monde musical, dont la jeune Aretha s'inspirait. À seize ans, elle a suivi l'ami de la famille, Martin Luther King, et a chanté lors des manifestations où il parlait en faveur des droits civiques.

Mais c'est justement sa voix et ses modèles, les grandes chanteuses de gospel, qui l'ont paradoxalement empêchée d'atteindre le succès plus tôt : elle était brillante, mais pas assez originale. En 1960, à dix-huit ans, elle a convaincu son père de tenter sa chance à New York avec l'ami Sam Cooke, déjà une grande star, et le révérend Franklin a accepté et financé quelques enregistrements démo. Ainsi, elle a reçu une offre de contrat avec la maison de disques Columbia, mais celle-ci lui a imposé un répertoire qui ne la mettait pas en valeur. Entre 1960 et 1966, elle a enregistré pas moins de cinq albums et plusieurs singles, dont la chanson déjà mentionnée de Pete Seeger, une belle chanson gâchée par un arrangement médiocre. Malgré un succès modéré, le répertoire pop imposé par Columbia n'était pas dans ses cordes et, malgré un revenu annuel d'environ cent mille dollars, Aretha avait besoin d'une maison de disques qui rende justice à sa veine musicale afro-américaine qui, née du gospel, évoluait vers le rhythm and blues, la version moderne de l'ancien blues noir. En outre, elle a même dû rembourser de l'argent à Columbia, car, malgré les avances reçues et les compliments, les ventes restaient plutôt faibles. Et sa relation avec l'homme qu'elle avait épousé en 1961, le musicien et manager Ted White, se détériorait : une conséquence logique, étant donné que lui s'était montré violent. À la fin du contrat, Aretha a déménagé chez Atlantic Records. Elle a décrit ainsi son entrée chez Atlantic : « Ils m'ont fait asseoir au piano, et les succès ont commencé à arriver.»

Aretha Franklin avec le producteur d'Atlantic Records Wexler en 1966

Son nouveau producteur, Jerry Wexler, avait enfin compris la personnalité d'Aretha : elle était simplement une artiste impossible à contenir. Elle donnait le meilleur d'elle-même en improvisant, en faisant tout à sa manière avec une liberté d'interprétation totale. Entre 1967 et 1970, Aretha Franklin enregistre les pièces les plus célèbres de sa carrière, y compris Respect d’Otis Redding, qu'elle transforme en hymne féministe, et (You Make Me Feel) A Natural Woman de Carole King, une chanson qu'elle chante en 2015 à Washington devant le président Barack Obama, la première dame Michelle LaVaughn Robinson, et l'auteure Carole King, visiblement émue. Le succès, enfin. Mais pas la sérénité. La fatigue des années précédentes, les abus subis, la violence qui entourait et affectait une jeune femme noire ne lui permettent pas de profiter pleinement de sa liberté artistique et de sa célébrité. D’ailleurs, la dépression et le recours à l'alcool et aux drogues étaient fréquents dans cet environnement, comme le montrent les biographies de nombreuses grandes artistes afro-américaines. Comme d'autres avant elle, Aretha reçoit des critiques et du public un titre de noblesse : Lady Soul, la reine de la musique soul. Elle est la première artiste noire à figurer sur la couverture du magazine Time et la première femme à être admise, le 3 janvier 1987, dans le légendaire Rock 'n' Roll Hall of Fame de Cleveland (ce qui en dit long sur la place des musiciennes dans cette institution).

Aretha reste chez Atlantic pendant une décennie, connaissant un succès inégal. Les goûts et les modes musicaux changent rapidement, et le triomphe de la disco ne lui est pas favorable. Ses solides racines religieuses et civiles ne s'accordent pas avec les ambiances de discothèque qui commencent à dominer et que le marché impose. Sa production paraît confuse, mais elle inclut quelques perles, comme Young Gifted and Black de Nina Simone, devenu un hymne de la fierté noire, et des retours périodiques au gospel, comme l'album Amazing Grace qui la ramène à sa musique d'origine. Le triomphe définitif arrive en 1980 avec le film The Blues Brothers de John Landis, où Aretha joue un petit rôle marquant en chantant Think! de 1968. Le film, dans lequel apparaissent d'autres grands musiciens, tant dans le groupe des frères Blues que parmi les seconds rôles, devient légendaire. Aretha, dont la chanson est un hymne à la liberté, ne joue pas un rôle particulièrement brillant : elle incarne l'épouse du guitariste Matt "Guitar" Murphy, cherchant à l'empêcher de rejoindre le groupe et voulant qu'il reste pour gérer leur rôtisserie : une image pédante et conservatrice, même si son interprétation est merveilleuse.

Désormais célèbre dans le monde entier, Aretha Franklin continue d'enregistrer des disques, en se concentrant sur la musique qui correspond le mieux à sa personnalité et en réalisant des duos souvent surprenants, comme ceux avec Whitney Houston et Elton John. Il y a aussi des performances pour le moins surprenantes, comme son interprétation de Nessun dorma de Turandot de Giacomo Puccini aux Grammy Awards de 1998, en remplacement de Luciano Pavarotti malade : une pièce qui ne lui est pas adaptée, mais qu'elle chante néanmoins en y insufflant son style blues. Le nouveau siècle révèle une Aretha Franklin diva agitée, ses apparitions sur scène deviennent plus rares – en partie à cause de sa peur de voyager en avion – et ses disques paraissent aussi moins fréquemment. En 2014, David Ritz, écrivain américain spécialisé en biographies, publie Respect, une version révisée et corrigée de From These Roots, la biographie officielle d'Aretha écrite avec elle en 1999 ; la nouvelle version est, semble-t-il, plus complète et honnête quant à des aspects personnels autrefois censurés par la chanteuse.

En 2015, le grand triomphe à Washington précédemment mentionné, puis la maladie. Aretha Franklin meurt à Détroit le 16 août 2018. En 2021, le magazine Rolling Stone déclare que sa version de Respect, parmi cinq cents chansons sélectionnées, est la "plus grande chanson de tous les temps". La motivation disait:

«Aretha n’aurait jamais joué le rôle de la femme méprisée : son deuxième prénom était “Respect”». Elle poursuivait: «Les revendications fières de la chanson ont résonné fortement avec le mouvement des droits civiques et la révolution féministe naissante, s’adaptant à une artiste qui soutenait le Black Panther Party et chantait aux funérailles de Martin Luther King Jr. Dans son livre de mémoires de 1999, Franklin a écrit que la chanson reflétait "le besoin de l'homme et de la femme moyens, de l'homme d'affaires, de la mère, du pompier, de l'enseignant : tous voulaient du respect". Nous en avons toujours besoin.».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Here on the outskirts of the Empire, it was always difficult to get an idea of what was going on inside, other than what came to us as pale, rather fuzzy echoes. So, the few people who heard Rita Pavone sing If I Had a Hammer in 1963 had no idea that that funny, danceable little song, with rather silly lyrics but appropriate to the times, was the Italian version of a memorable political song by Pete Seeger. And those who also heard Aretha Franklin's version thought that the American singer was actually quite good, almost as good as the national Pavone. But hardly anyone heard that version then, because Franklin, at the time, was rather unknown even in the United States. Aretha's story is emblematic and resembles that of so many other African American singers. As per the common script, she was the daughter of a Baptist pastor and Barbara Vernice Siggers, a pianist and gospel singer, one of the best in the country and admired by the great Mahalia Jackson. The pastor in question, Clarence LaVaughn Franklin, despite the strict upbringing he tried to give to his three daughters and Barbara's first son, was not exactly universally popular, and his wife left him in 1948 only to die of a heart attack in 1952 at the age of thirty-four. When her mother died, Aretha, born in Memphis on March 25, 1942, was only six years old.

Aretha Franklin (a sinistra) with the father C.L. Franklin and the sorella Carolyn nel 1965

The family moved to Detroit, where Pastor Franklin became minister of a large religious organization and the sisters were busy singing during services. Aretha also played the piano. Her voice was already warm and powerful, and the repertoire she sang was obviously religious - gospel. From the age of twelve she began to follow her father, a very charming and successful preacher (he was called "The Million Dollar Voice"), on his preaching trips, and she was also noticed by agents and impresarios. By the time she was fourteen, she had also suffered two rapes and faced two pregnancies but this, unlike her voice, was not considered all that exceptional. The Franklin house, however, was frequented by many musical figures, from whom young Aretha took inspiration. At sixteen she followed family friend Martin Luther King and sang at events where he spoke in favor of civil rights.

But her voice and her role models, the great gospel singers, were paradoxically what prevented her from achieving success sooner - she was great, but not original enough. In 1960, at the age of eighteen, she convinced her father to try her luck in New York with her friend Sam Cooke, already a top star, and Reverend Franklin agreed and financed some demo recordings. She was thus offered a contract with the Columbia record company, but it imposed a repertoire on her that didn’t help at all. Between 1960 and 1966 she recorded no less than five albums and a few 45s, including the aforementioned Pete Seeger song, a beautiful piece marred by a mediocre arrangement. Despite a fair amount of success, the pop repertoire that Columbia imposed on her was not in her wheelhouse, and despite making about a hundred thousand dollars a year, Aretha needed a record company that would do justice to her African-American musical heritage, which, born of gospel, was evolving into rhythm and blues, the modern face of the old black blues. She even found herself having to return money to Columbia because sales remained rather sluggish, in spite of her successes and the compliments she received. And her relationship with the man she had married in 1961, musician and manager Ted White, was deteriorating - he had proven to be abusive. When her contract expired, Aretha moved to Atlantic Records. She described her joining Atlantic this way, "They sat me down at the piano and the hits started coming."

Aretha Franklin with Atlantic Records producer Wexler in 1966

Her new producer, Jerry Wexler, had finally figured out Aretha's personality - she was simply an artist impossible to harness. She was at her best improvising, doing her own thing with complete interpretive freedom. From 1967 to 1970 Aretha recorded the most celebrated songs of her career, including Respect, by Otis Redding, which she turned into a feminist anthem, and (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, by Carole King, the song she sang in Washington in 2015 in front of President Barack Obama, first lady Michelle Obama and the visibly moved songwriter Carole King. Success, at last. But not serenity. The fatigue of her earlier years, the harassment she suffered, and the violence with which a young black woman was surrounded and victimized didn’t allow her to enjoy artistic freedom and stardom. On the other hand, depression and a resort to alcohol and various substances were typical of the environment - a glance at the biographies of great African American female artists can confirm this. Like others before, Aretha was given a noble title - Lady Soul, the Queen of Soul Music - by the public and critics. She was the first black artist to grace the cover of Time magazine and the first woman inducted, on January 3, 1987, into the legendary Rock 'n' Roll Hall of Fame in Cleveland (which speaks volumes about that institution's regard for female musicians).

Aretha remained with Atlantic for a decade, with fluctuating success. Musical tastes and fashions were changing rapidly, and the triumph of disco music didn’t benefit her. The solid religious and civic roots of her music could not coexist with the disco atmosphere that was beginning to rage and that the market dictated. Her output appeared muddled but there was no shortage of gems, such as Nina Simone's Young Gifted and Black, which became an anthem of black pride, and the periodic return to the gospel, such as the album Amazing Grace, which brought her back to the music of her origins. An enormous triumph came in 1980 with John Landis's 1968 film The Blues Brothers, in which Aretha plays a small, impactful part singing Think! The film, in which other great musicians appear, both in the Blues Brothers band and as supporting players, became legendary. Aretha, whose song is an ode to freedom, did not actually play in a particularly wonderful role. She played the wife of guitarist Matt "Guitar" Murphy, who wanted to prevent her husband from joining the band and have him stay on to run their deli - a pedantic and conservative image - although the performance is wonderful.

Having become world-famous, Aretha Franklin went on to make records, concentrating on music best suited to her personality and in often surprising duets, such as those with Whitney Houston and Elton John, nor were there any lack of performances that were in some ways disconcerting, such as her performance of Nessun Dorma, from Giacomo Puccini's Turandot, at the 1998 Grammy Awards ceremony, replacing the ailing Luciano Pavarotti. It wasn’t a song well suited to her, but she performed it, as always, lowering her voice into the blues. The new century revealed a restless Aretha Franklin as a diva. Stage appearances became rare - partly because of her refusal to travel by air, which terrified her - and even records appeared less frequently. In 2014 David Ritz, a U.S. writer specializing in biographies, published Respect, a revised and corrected version of From These Roots, Aretha's "official" biography written with her in 1999. The new version was apparently more complete and truthful about the personal topics that had been "censored" by the singer in the earlier version.

In 2015 there was the great triumph in Washington, D.C. mentioned above, and then came illness. Aretha Franklin died in Detroit on August 16, 2018. In 2021 Rolling Stone magazine declared her version of Respect, among five hundred selected, the "greatest song of all time." The rationale read,

«Aretha would never play the scorned woman… Her middle name was Respect." It continued, "the song’s unapologetic demands resonated powerfully with the civil rights movement and emergent feminist revolution, fitting for an artist who donated to the Black Panther Party and sang at the funeral of Martin Luther King Jr. In her 1999 memoir, Franklin wrote that the song reflected ‘the need of the average man and woman in the street, the businessman, the mother, the fireman, the teacher - everyone wanted respect. We still do».


Traduzione spagnola

Silvia Cercarelli

 

Aquí, en las afueras del Imperio, siempre ha sido difícil hacerse una idea de lo que ocurría afuera y que nos llegaba como un eco pálido y bastante confuso. Así que las pocas personas que en 1963 escuchaban a Rita Pavone cantar Datemi un martello no se imaginaban que esa canción divertida y bailable, con una letra bastante estúpida pero apropiada a los tiempos, era la versión italiana de una memorable canción política de Pete Seeger, y quienes también escucharon la versión de Aretha Franklin pensaron que la cantante estadounidense era en realidad bastante buena, casi como nuestra Pavone. Sin embargo, casi nadie la escuchaba porque Franklin, en auqle entonces, era bastante desconocida incluso en los Estados Unidos. La historia de Aretha es emblemática y se asemeja a la de muchas otras cantantes afroamericanas. Como de costumbre, era hija de un pastor bautista y de una de las mejores pianistas y cantantes de góspel del país, Barbara Vernice Siggers, admirada también por la gran Mahalia Jackson. El pastor en cuestión, Clarence LaVaughn Franklin, a pesar de la estricta educación que trató de dar a sus tres hijas y al primer hijo de Barbara, no era exactamente un santo y su esposa lo abandonó en 1948. Luego ella murió de un ataque de corazón en 1952, a la edad de treinta y cuatro años. Cuando su madre se fue, Aretha, nacida en Memphis el 25 de marzo de 1942, tenía seis años.

Aretha Franklin (una sinistra) con el padre C.L. Franklin y la sorella Carolyn nel 1965

La familia se mudó a Detroit, donde el pastor Franklin se convirtió en ministro de una gran comunidad religiosa y las hermanas solían cantar durante las funciones. Aretha también tocaba el piano. Su voz ya era cálida y poderosa, y el repertorio que cantaba era obviamente el religioso: el góspel. A partir de los doce años comenzó a seguir a su padre, un predicador de gran encanto y éxito (le llamaban "La Voz de un millón de dólares"), en sus viajes de predicación y también a hacerse notar por agentes y empresarios. A los catorce años también había sufrido ya dos violaciones y se había enfrentado a dos embarazos, pero esto, a diferencia de su voz, no se consideraba tan excepcional. La casa de Franklin, sin embargo, era frecuentada por muchas personalidades del mundo musical, en las que se inspiró la joven Aretha. A los dieciséis años siguió a Martin Luther King, amigo de la familia, y cantó en las protestas a favor de los derechos civiles.

Pero fueron precisamente su voz y sus figuras de referencia, las grandes cantantes de góspel, las que, paradójicamente, le impidieron alcanzar el éxito al principio: era muy buena, pero no lo suficientemente original. En 1960, a la edad de dieciocho años, convenció a su padre para probar suerte en Nueva York con su amigo Sam Cooke, ya una estrella de primera magnitud, y el reverendo Franklin aprobó y financió algunas grabaciones de maquetas. Así que le ofrecieron un contrato con la discográfica Columbia, pero la compañía le impuso un repertorio que no la valoraba. Entre 1960 y 1966 grabó cinco álbumes y unos sencillos, entre ellos la ya mencionada canción de Pete Seeger, una hermosa pieza arruinada por un arreglo mediocre. A pesar de un éxito moderado, el repertorio pop que le impuso la Columbia no era su estilo y, a pesar de los aproximadamente cien mil dólares anuales de ganancias, Aretha necesitaba una compañía discográfica que hiciera justicia a su vena musical afroamericana que, nacida del góspel, estaba evolucionando hacia el rhythm and blues, la cara moderna del viejo blues negro. También tuvo que devolver dinero a la Columbia porque, a pesar de los adelantos y los cumplidos que recibió, las ventas siguieron siendo bastante lentas. Y su relación con el hombre con el que se había casado en 1961, el músico y mánager Ted White, se estaba deteriorando: obviamente, ya que él había demostrado que era un violento. Cuando su contrato expiró, Aretha se mudó a la Atlantic Records. Describió su entrada en la Atlantic de la siguiente manera: "Me hicieron sentar al piano y empezaron a llegar los éxitos".

Aretha Franklin con el productor de Atlantic Records Wexler en 1966

Su nuevo productor, Jerry Wexler, había entendido por fin la personalidad de Aretha: era simplemente una artista imposible de limitar. Daba lo mejor de sí misma improvisando, haciendo lo suyo con total libertad de interpretación. De 1967 a 1970 Aretha grabó las canciones más famosas de su carrera, entre ellas Respect, de Otis Redding, que convirtió en un himno feminista, y (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, de Carole King, la canción que en 2015 cantó en Washington frente al presidente Barack Obama, a la primera dama Michelle LaVaughn Robinson y a la escritora Carole King, visiblemente emocionada. Éxito, por fin. Pero no la serenidad. El cansancio de los años anteriores, los abusos sufridos, la violencia por la que una joven mujer negra fue rodeada y victimizada no le permitieron disfrutar de la libertad artística y la celebridad. Por otro lado, la depresión y el consumo de alcohol y diversas sustancias eran propios del ambiente, un vistazo a las biografías de los grandes artistas afroamericanos puede confirmarlo. Al igual que otras anterior a ella, Aretha también fue premiada por el público y la crítica con un título nobiliario: Lady Soul, la reina de la música soul. Fue la primera artista negra en conquistar la portada de la revista Time y la primera mujer recibida, el 3 de enero de 1987, en el legendario Salón de la Fama del Rock 'n' Roll de Cleveland (lo que dice mucho de la estima de la institución por las mujeres músicas).

Aretha permaneció en el Atlántico durante una década y logró un éxito mixto. Los gustos musicales y las modas cambiaron rápidamente y el triunfo de la música disco no la ayudó. Las sólidas raíces religiosas y civiles de su música no podían convivir con los ambientes disco que empezaban a hacer estragos y que el mercado imponía. Su producción parecía confusa pero no faltaron las perlas, como Young Gifted and Black, de Nina Simone, que se convirtió en un himno de orgullo negro, y el regreso periódico al gospel, como el álbum Amazing Grace que la devolvió a la música de sus orígenes. El triunfo definitivo llegó en 1980 con la película The Blues Brothers de John Landis, en la que Aretha interpreta un pequeño papel de gran impacto cantando Think!, de 1968. La película, en la que aparecen otros grandes músicos, tanto en la banda de los hermanos Blues como como actores secundarios, se convirtió en legendaria. Aretha, cuya canción es un himno a la libertad, en realidad no juega un papel particularmente brillante: interpreta a la esposa del guitarrista Matt "Guitar" Murphy que quiere evitar que su esposo se una a la banda y para que se quede para administrar su asador: una imagen pedante y conservadora, aunque la interpretación es maravillosa.

Ya famosa en todo el mundo, Aretha Franklin siguió grabando discos, concentrándose en la música que mejor se adaptaba a su personalidad y en dúos a menudo sorprendentes, como aquellos con Whitney Houston y Elton John, y no faltaron interpretaciones en cierto modo desconcertantes, como la interpretación de Nessun dorma, de Turandot de Giacomo Puccini, en la ceremonia de los premios Grammy de 1998, reemplazando a Luciano Pavarotti que estaba enfermo: una canción no apta para ella, pero la interpretó, como siempre, hundiendo su voz en el blues. El nuevo siglo reveló a una inquieta diva Aretha Franklin, las apariciones en el escenario fueron escasas -también debido a su rechazo a viajar en avión, que la aterrorizaba- e incluso los discos aparecieron más raramente. En 2014 David Ritz, escritor estadounidense especializado en biografías, publicó Respect, una versión revisada y corregida de From These Roots, una biografía "oficial" de Aretha escrita con ella en 1999; la nueva versión, al parecer, era más completa y veraz sobre temas de carácter personal en su momento "censurados" por la cantante.

En 2015 se produjo el gran triunfo en Washington mencionado anteriormente, y luego la enfermedad. Aretha Franklin murió en Detroit el 16 de agosto de 2018. En 2021, la revista Rolling Stone declaró su versión de Respect, entre quinientas seleccionadas, como la "mejor canción de todos los tiempos". La motivación decía:

«Aretha nunca habría interpretado el papel de la mujer despreciada: su segundo nombre era 'Respeto'». Y seguía: «Las orgullosas demandas de la canción resonaron fuertemente con el movimiento por los derechos civiles y la revolución feminista emergente, encajando con una artista que apoyó al Partido Black Panther y cantó en el funeral de Martin Luther King Jr. En sus memorias de 1999, Franklin escribió que la canción reflejaba "la necesidad de los hombres y mujeres de la calle, de los hombres de negocios, de las madres, de los bomberos, de los maestros: todos querían respeto". Todavía lo queremos».

 

Dusty Springfield
Laura Candiani


Marika Banci

 

Era il 1965 e al Festival di Sanremo si esibivano, a fianco di interpreti italiani/e, cantanti di fama internazionale, soprattutto di provenienza inglese e americana; quell'edizione fu vinta da Bobby Solo con Se piangi, se ridi, in parte risarcito dell'esclusione dell'anno precedente, quando non fu fatto cantare in playback a causa dell'abbassamento di voce. Su quel palco, insieme fra gli altri a Gene Pitney, Petula Clark, Connie Francis, comparve anche la giovane e graziosa inglese Dusty Springfield, semisconosciuta al pubblico italiano. Cantò due brani che non lasciarono un segno particolare: Tu che ne sai e Di fronte all'amore. Ma proprio lì aveva ascoltato una canzone che l'aveva colpita particolarmente e che continua a essere bellissima: Io che non vivo, musica e voce di Pino Donaggio, testo di Vito Pallavicini. Pensate che se ne vendettero più di 80 milioni di dischi in tutto il mondo e fu cantata dalle massime celebrità: da Cher a Elvis Presley, da Tom Jones a Brenda Lee. E Dusty, appunto, se la portò a Londra dove la fece tradurre dall'amica Vicky Wickham: nacque così You Don't Have to Say You Love Me che le fruttò ottime vendite e grande popolarità.

Paul e Ringo con Tom Jones e Dusty Springfield ai Melody Maker Pop Awards alla Post Office Tower, Londra, 13 settembre 1966

Prendendo qualche notizia da Ondarock (specie riguardo al memorabile Lp Dusty in Memphis) e dal bel libro di Lucio Mazzi Just like a woman dedicato alle straordinarie donne interpreti del pop, del rock e della canzone d'autore, si viene a sapere che Dusty si chiamava Mary Isabel Catherine Bernadette O'Brien, ma fu soprannominata Dusty, che si potrebbe tradurre con "impolverata" perché era una bambina molto vivace e giocava spesso a pallone all'aria aperta. Era nata a Londra il 16 aprile 1939 da una coppia arrivata dall'Irlanda e amava fin da piccola la musica, grazie anche alla passione del nonno che le faceva ascoltare dischi di qualità; lei però voleva cantare e aveva come idolo la celebre Peggy Lee. Prima dei venti anni lasciò gli studi ed entrò in un gruppo musicale femminile: le Lana Sisters; l'esperienza le fu utile per darle delle basi di armonia, di tecnica di canto e di registrazione dei suoni. Cominciò con qualche esibizione in pubblico e alla tv, incise fra l'altro la versione tradotta del brano di Mina Tintarella di luna. Nel 1960 formò un gruppo folk con il fratello Tom e Reshad Feild, denominato The Springfields; ebbero un certo successo, trovarono un contratto, perfino poterono cantare a Nashville, il tempio americano della musica folk, e registrare un album. Ma il trio durò poco perché lei decise di fare carriera da solista, scegliendo come cognome proprio Springfield, e perché altri generi di musica si stavano affermando.

Subito realizza un 45 giri che entra nelle classifiche e le dà notorietà: I Only Want To Be with You; seguono altri dischi interessanti (fra cui A Girl Called Dusty) e collaborazioni con musicisti destinati a grande fama, come Burt Bacharach e Carole King. Viene anche in Italia e fa conoscere Stupido stupido, versione tradotta di Wishin' and Hopin'. In quello stesso 1964 a Città del Capo, in Sudafrica, avviene un fatto senza precedenti: si esibisce in un concerto in cui il pubblico, per sua richiesta, è misto e ciò le frutta l'immediata espulsione dal Paese. Sarà definita una scocciatrice dalla stampa britannica; in realtà è una persona coerente, dal carattere spiccato, che non tollera il razzismo e le discriminazioni. Un sondaggio della rivista New Musical Express comunque la mette al primo posto fra le voci femminili, eppure era l'epoca di cantanti forse più celebri di lei come Sandie Shaw (la ricordate? amava esibirsi a piedi nudi) e Cilla Black.

Tornando al Festival di Sanremo e alla registrazione del futuro grande successo, anzi un evergreen come si dice in gergo, fra le prime cento canzoni di ogni tempo secondo un sondaggio della Bbc, si racconta che Dusty fosse molto pignola, attenta ai suoni, una vera perfezionista e pretendeva un effetto di eco che in studio non si riusciva a ottenere. Alla fine fu soddisfatta quando poté cantare nel fondo di una scala, dalla cantina della sede discografica dove era stato montato un microfono. In breve ebbe anche un'altra notevole gratificazione professionale perché le fu offerto un programma televisivo tutto per sé dove lanciò il secondo Lp e presentò al pubblico inglese nuovi talenti, personaggi del blues emergenti, da Steve Wonder ragazzino alle Supremes, da Marvin Gaye ai Temptations. Riconfermata in patria cantante dell'anno, la sua carriera trova sbocchi straordinari negli Usa dove la talentuosa Carole King scrive apposta per lei Some of Your Lovin' e Goin' Back e Bacharach le regala The Look of Love, brano indimenticabile che farà parte della colonna sonora del film Agente 007 Casino Royale.

Dusty era assai miope, ma non portava gli occhiali per mostrare i suoi begli occhi sempre truccati alla perfezione; indossava abiti luccicanti che mettevano in evidenza la sua figurina snella e minuta, portava i capelli biondi, secondo la moda di allora, gonfi e cotonati, ma era una ragazza cattolica di provenienza umile, dal carattere mutevole, insicura, con molti dolori dentro di sé che mascherava sotto l'apparente felicità ed eleganza. Un suo problema poco risolto, vista l'epoca, era l'orientamento sessuale che le creava notevoli disagi e inquietudine. Quello però che metteva pace fra le due anime, quella di Mary e quella di Dusty, era la notevole voce di mezzosoprano estremamente duttile, tanto che l'avevano soprannominata "gazza ladra", perché alla lettera rubava modi, tonalità, stile, acuti, passando da un genere all'altro con una disinvoltura senza pari: tradizione, folk, pop, rock, blues, soul, tutto era in grado di sperimentare.

Fra 1967 e 1970 la sua carriera è all'apice: incide nuovi album in cui inserisce raffinate interpretazioni di pezzi nuovi, scritti per lei da Bacharach e altri prestigiosi musicisti, a fianco di versioni inglesi di successi internazionali, fra cui Ne me quitte pas di Jacques Brel. Ritorna alla Bbc con trasmissioni tutte sue, ma di nuovo negli Usa, la sua seconda patria artistica, raccoglie i successi più clamorosi e realizza quello che probabilmente è il suo album migliore, Dusty in Memphis, in cui sfoggia le grandi doti vocali. Dal 1971 inizia tuttavia un decennio in cui Dusty vede appannarsi la sua popolarità, inoltre è il momento in cui la stampa pettegola comincia a interrogarsi sulla sua vita sentimentale; che sia una conseguenza di questo o un caso, certo è che la cantante si trasferisce a vivere a Hollywood e lascia la vita pubblica e il suo lavoro, forse anche per una serie di cure. Nel 1978 ritorna sulle scene con un nuovo look: capelli corti, spettinati, sempre bella ed elegante; ha da promuovere l'album In Begins Again e l'anno dopo ha un altro disco da presentare al pubblico, mentre si esibisce per l'ultima volta a Londra, in un importante evento benefico, davanti alle massime autorità.

Poi è il silenzio, finché Dusty viene coinvolta in un concerto dei Pet Shop Boys, suoi grandissimi ammiratori; è il 1987 e con loro canta What Have I Done to Deserve This? che diventa subito molto popolare. L'anno seguente un album celebra i 25 anni di carriera, intanto decide di ritornare a vivere in Gran Bretagna. Nel 1989 i Pet Shop Boys le dedicano nuovi brani e producono Reputation che la riporta al successo. Nel 1995, mentre sta registrando canzoni inedite, Dusty avverte un nodulo al seno che verrà curato e combattuto, ma dopo tre anni la battaglia è persa. Non fa in tempo a ricevere l'onorificenza di Officer of the Order of the British Empire e muore il 2 marzo 1999 a Henley-on-Thames, non ancora sessantenne. Persino Elisabetta II, notoriamente assai riservata, spenderà per lei sincere parole di rimpianto. D'altra parte proprio una regina se n'era andata, anche se del pop.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

C'était en 1965 et au Festival de Sanremo que se produisaient, aux côtés des interprètes italiens, des chanteurs de renommée internationale, principalement d'origine anglaise et américaine ; cette édition a été remportée par Bobby Solo avec Se piangi, se ridi, partiellement compensé par l'exclusion de l'année précédente, lorsqu'il n’avait pas pu chanter en playback à cause de sa voix qui avait baissé. Sur cette scène, aux côtés d'autres comme Gene Pitney, Petula Clark, Connie Francis, est apparue aussi la jeune et jolie anglaise Dusty Springfield, presque inconnue du public italien. Elle a chanté deux pièces qui n’ont pas laissé de trace particulière : Tu che ne sai et Di fronte all'amore. Mais c'est là qu'elle a entendu une chanson qui l'impactera particulièrement et qui continue à être magnifique : Io che non vivo, musique et voix de Pino Donaggio, texte de Vito Pallavicini. Pensez que plus de 80 millions de disques ont été vendus dans le monde entier et elle a été chantée par les plus grandes célébrités : de Cher à Elvis Presley, de Tom Jones à Brenda Lee. Et Dusty, justement, l'a emporté à Londres où elle l’a traduit par son amie Vicky Wickham : c’est ainsi qu’est né You Don't Have to Say You Love Me, qui lui rapportera d'excellentes ventes et une grande popularité.

Paul et Ringo avec Tom Jones et Dusty Springfield aux Melody Maker Pop Awards à la Post Office Tower, Londres le 13 septembre 1966

En prenant quelques informations d'Ondarock (surtout concernant le mémorable LP Dusty in Memphis) et du beau livre de Lucio Mazzi Just Like a Woman dédié aux extraordinaires femmes interprètes de pop, de rock et de chanson d'auteur, on apprend que Dusty s'appelait Mary Isabel Catherine Bernadette O'Brien, mais on la surnomme Dusty, qui pourrait se traduire par "poussiéreuse" car elle était une enfant très vive et jouait souvent au ballon en plein air. Elle est née à Londres le 16 avril 1939 d'un couple venu d'Irlande et elle aime la musique depuis son enfance, grâce aussi à la passion de son grand-père qui lui faisait écouter des disques de qualité ; elle, cependant, voulait chanter et avait pour idole la célèbre Peggy Lee. Avant d'avoir vingt ans, elle quitte les études et rejoint un groupe musical féminin : les Lana Sisters ; cette expérience lui est utile pour lui donner des bases d'harmonie, de technique vocale et d'enregistrement des sons. Elle commence par quelques performances publiques et à la télévision, elle enregistre entre autres la version traduite du pièce de Mina Tintarella di luna. En 1960, elle forme un groupe folk avec son frère Tom et Reshad Feild, nommé The Springfields ; ils ont un certain succès, trouvent un contrat et purent même chanter à Nashville, le temple américain de la musique folk, et enregistrer un album. Mais le trio dure peu car elle décide de faire carrière en solo, choisissant comme nom de scène justement Springfield, et parce que d'autres genres de musique s'affirment.

Elle réalise immédiatement un 45 tours qui entre dans les classements et lui donnera notoriété : I Only Want to Be with You ; d'autres disques intéressants suivent (dont A Girl Called Dusty) et des collaborations avec des musiciens destinés à une grande renommée, comme Burt Bacharach et Carole King. Elle a vécu aussi en Italie et a fait connaître Stupido stupido, version traduite de Wishin' and Hopin'. Cette même année, en 1964, à Cape Town, en Afrique du Sud, un fait sans précédent se produit : elle se produit lors d'un concert où le public, à sa demande, était mixte, ce qui lui vaut une expulsion immédiate du pays. Elle a été qualifiée de casse-pieds par la presse britannique ; en réalité, c'était une personne cohérente, au caractère bien trempé, qui ne tolérait pas le racisme et les discriminations. Un sondage de la revue New Musical Express la place néanmoins au premier rang parmi les voix féminines, et pourtant c'était l'époque de chanteuses peut-être plus célèbres qu'elle comme Sandie Shaw (vous vous en souvenez ? elle aimait se produire pieds nus) et Cilla Black.

En revenant au Festival de Sanremo et à l'enregistrement de son futur grand succès, en fait un evergreen comme on dit dans le jargon, parmi les cent premières chansons de tous les temps selon un sondage de la BBC, on raconte que Dusty était très exigeante, attentive aux sons, une véritable perfectionniste qui exigeait un effet d'écho que l'on ne pouvait pas obtenir en studio. À la fin, elle était satisfaite lorsqu'elle pouvait chanter au fond d'un escalier, depuis la cave de la maison de disque où un microphone avait été installé. En peu de temps, elle a eu aussi une autre gratification professionnelle notable car on lui propose une émission télévisée entièrement dédiée où elle lance son deuxième LP et présente au public anglais de nouveaux talents, des personnages du blues émergents, de Steve Wonder jeune aux Supremes, de Marvin Gaye aux Temptations. Reconduite chez elle comme chanteuse de l'année, sa carrière trouve des débouchés extraordinaires aux États-Unis où la talentueuse Carole King lui écrit Some of Your Lovin' et Goin' Back et Bacharach lui offre The Look of Love, pièce inoubliable qui fera partie de la bande originale du film Agente 007 Casino Royale.

Dusty était très myope, mais elle ne portait pas de lunettes pour montrer ses beaux yeux toujours parfaitement maquillés ; elle portait des vêtements scintillants qui mettaient en valeur sa silhouette mince et petite, elle avait des cheveux blonds, selon la mode de l'époque, volumineux et bouclés, mais c'était une fille catholique d'origine modeste, au caractère changeant, insécure, avec beaucoup de douleurs en elle qu'elle masquait sous l'apparente joie et élégance. Un de ses problèmes non résolus, vu l'époque, était son orientation sexuelle qui lui créait des désagréments et de l'inquiétude. Ce qui mettait cependant la paix entre les deux âmes, celle de Mary et celle de Dusty, était sa voix de mezzo-soprano extrêmement versatile, tant et si bien qu'on l'avait surnommée "pie voleuse", car littéralement elle volait des façons, des tonalités, des styles, des aigus, passant d'un genre à l'autre avec une aisance inégalée : tradition, folk, pop, rock, blues, soul, elle pouvait tout expérimenter.

Entre 1967 et 1970, sa carrière était à son apogée : elle enregistrait de nouveaux albums dans lesquels elle incluait des interprétations raffinées de pièces nouveaux, écrits pour elle par Bacharach et d'autres musiciens prestigieux, à côté de versions anglaises de succès internationaux, dont Ne me quitte pas de Jacques Brel. Elle revenait à la BBC avec des émissions toutes à elle, mais de nouveau aux États-Unis, sa deuxième patrie artistique, elle récoltait les succès les plus éclatants et réalisait ce qui est probablement son meilleur album, Dusty in Memphis, dans lequel elle mettait en avant ses grandes qualités vocales. À partir de 1971, elle entame cependant une décennie où Dusty voit sa popularité s'estomper, de plus, c'était le moment où la presse People commençait à s'interroger sur sa vie sentimentale ; que ce soit une conséquence de cela ou une coïncidence, il est certain que la chanteuse a déménagé à Hollywood et a abandonné la vie publique et son travail, peut-être aussi à cause d'une série de soins. En 1978, elle retourne sur scène avec un nouveau look:cheveux courts, décoiffés, toujours belle et élégante; elle avait à promouvoir l'album In Begins Again et l'année suivante, elle avait un autre disque à présenter au public, tout en se produisant pour la dernière fois à Londres, lors d'un important événement caritatif, devant les plus hautes autorités.

Puis vint le silence, jusqu'à ce que Dusty soit impliquée dans un concert des Pet Shop Boys, ses grands admirateurs ; c'était en 1987 et avec eux elle chante What Have I Done to Deserve This?, qui devient immédiatement très populaire. L'année suivante, un album célébre les 25 ans de carrière, entre-temps elle décide de retourner vivre en Grande-Bretagne. En 1989, les Pet Shop Boys lui dédient de nouvelles pièces et produisent Reputation qui la ramène au succès. En 1995, tandis qu'elle enregistrait des chansons inédites, Dusty sentait une grosseur au sein qui sera traitée et combattue, mais après trois ans, la bataille sera perdue. Elle ne reçoit pas à temps l'honneur de Officer of the Order of the British Empire et meurt le 2 mars 1999 à Henley-on-Thames, pas encore sexagénaire. Même Élisabeth II, notoirement très réservée, dépense pour elle des paroles sincères de regret. D'autre part, une reine était vraiment partie, même si c'était du pop.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

 

Era 1965 y en el Festival de San Remo, junto a artistas italianas e italianos, actuaban cantantes de renombre internacional, sobre todo de origen británico y estadounidense. En aquella edición ganó Bobby Solo con la canción Se Piangi, se ridi, lo que lo ompensó parcialmente de la exclusión del año anterior, cuando no le permitieron cantar en Playback debido a una pérdida de voz. En ese escenario, junto a otras cantantes como Gene Pitney, Petula Clark y Connie Francis, también apareció la joven y agraciada británica Dusty Springfield, poco conocida entre el público italiano. Cantó dos canciones que no dejaron una huella singular: Tu che ne sai y Di fronte all’amore. Pero justo allí escuchó una canción que la impresionó particularmente y que sigue siendo muy hermosa: Io che non vivo, música y voz de Pino Donaggio, letra de Vito Pallavicini. Pensad que se vendieron más de 80 millones de discos en todo el mundo y que fue interpretada por las mayores celebridades: de Cher a Elvis Presley, de Tom Jones a Brenda Lee. Y Dusty, precisamente, la llevó a Londres y se la hizo traducir por su amiga Vicky Wickham dando a luz You Don’t Have to Say You Love Me, que le dio buenas ventas y gran popularidad.

Paul y Ringo con Tom Jones y Dusty Springfield en los premios Melody Maker Pop Awards en la Post Office Tower, Londres, 13 de septiembre de 1966

Teniendo en cuenta la información de Ondarock (especialmente sobre el memorable disco «Dusty in Memphis») y en el buen libro de Lucio Mazzi Just like a Woman dedicado a las extraordinarias mujeres intérpretes del pop, del rock y de la canción de autor, sabemos que Dusty se llamaba Mary Isabel Catherine Bernadette O’Brien, pero fue apodada Dusty, que podemos traducir con «polvorienta», porque era una niña muy activa y a menudo jugaba al aire libre. Nació en Londres el 16 de abril de 1939 de padres inmigrantes irlandeses y desde niña amaba la música, también gracias a la pasión de su abuelo que le hacía escuchar discos de calidad; pero ella quería cantar e idolatraba a Peggy Lee. Antes de los veinte años dejó los estudios y se unió a un grupo musical femenino: las Lana Sisters. La experiencia le fue útil ya que le dio las bases de armonía, de técnica de canto y de grabación de sonidos. Comenzó con algunas actuaciones en público y en la televisión, grabó, entre otras cosas, la versión traducida de la canción de Mina Tintarella di Luna. En 1960, creó un grupo de folk con sus hermanos Tom y Reshad Feild que llamaron The Springfields. Los tres tuvieron bastante éxito, consiguieron un contrato e incluso cantaron en Nashville –el templo estadounidense de la mùsica folk– y grabaron un álbum. Pero el trío no duró mucho porque ella decidió hacer carrera en solitario –con el mismo apellido Springfield– y otros géneros musicales se estaban imponiendo.

Enseguida grabó el 45 rpm I Only Want to be with You que llegó a ser un hit y le dio fama; siguen otros discos interesantes, como A Girl Called Dusty, y colaboraciones con músicos destinados a la fama, como Burt Bacharach y Carole King. Fue también a Italia y dio a conocer la versión traducida de Wishin’ and Hopin’: Stupido Stupido. En ese mismo 1964, en la Ciudad del Cabo, en Sudáfrica, ocurrió un hecho sin precedentes: actuó en un concierto donde solicitó que el público fuera mixto y eso le causó enseguida la expulsión del país. La prensa británica la consideraba molesta; en efecto, fue una persona consecuente con un carácter fuerte que no toleraba el racismo y las discriminaciones. Una encuesta de la revista New Musical Express la puso en primer lugar entre todas las voces femeninas, sin embargo, era una época en que había cantantes quizás más famosas que ella, como Sandie Shaw (¿La recordáis? Le gustaba actuar descalza) y Cilla Black.

Volviendo al Festival de San Remo y a la grabación de su gran éxito, que también puede decirse de popularidad perenne, entre las cien mejores canciones según una encuesta de la BBC, se dice que Dusty era muy meticulosa, atentas a los sonidos, una verdadera perfeccionista y que exigía un efecto de eco que no se podía conseguir en el estudio. Por fin, se sintió satisfecha cuando pudo cantar en el rincón más humilde de una escalera, desde la bodega de la sede discográfica donde habían colocado un micrófono. Pronto tuvo otra gran gratificación profesional cuando le propusieron un programa de televisión propio donde presentó su segundo álbum e introdujo al público nuevos talentos, a nuevas promesas del blues: desde el joven Steve Wonder hasta las Supremes, de Marvin Gaye a los Temptations. Reafirmada como mejor cantante del año en su país, su carrera alcanzó nuevas alturas en los Estados Unidos, donde la talentosa Carole King escribió solo para ella Some of Your Lovin’ y Goin’ Back y Bacharach le regaló The Look of Love, una canción inolvidable que fue incluida en la banda sonora de la película 007 Casino Royal.

Dusty era muy miope, pero no usaba gafas para mostrar sus hermosos ojos siempre perfectamente maquillados; vestía ropas brillantes que resaltaban su figura esbelta y menuda, llevaba el cabello rubio y esponjoso, según la moda de la época, pero detrás de esa imagen de felicidad y elegancia, se escondía una chica católica de origen humilde, voluble, insegura y con muchos dolores interiores. En la época en que vivía, su orientación sexual era un tema pendiente que le causaba un gran malestar e inquietud. Lo que logró apaciguar las dos almas, la de Mary y la de Dusty, fue la voz extraordinaria de mezzosoprano altamente versátil, hasta el punto que la apodaron «urraca», porque literalmente robaba modos, tonalidades, estilos, agudos, mientras pasaba de un género a otro con una facilitad sin igual: tradiciones, folk, pop, rock, blues, soul; todo estaba a su alcance.

Entre 1967 y 1970 su carrera estaba en su apogeo: grabó nuevos discos en los que incluyó refinadas versiones de nuevas canciones escritas para ella por Bacharach y otros prestigiosos músicos, junto a versiones inglesas de éxitos internacionales, como Ne me quitte pas de Jacques Brel. Volvió a la BBC con programas proprios, pero nuevamente se fue a los Estados Unidos, su segunda patria artística, donde logró sus mejores éxitos y realizó quizás su mejor álbum en el que exhibió su voz dotada: Dusty in Memphis. Sin embargo, desde 1971 comenzó una década en la que Dusty vio su popularidad decaer y paralelamente el periodismo sensacionalista empezó a interesarse por su vida amorosa. Coincidencia o no, lo que fue cierto es que la cantante se mudó a vivir a Hollywood y dejó su vida pública y su carrera, quizás también para recibir algún tipo de tratamiento. En 1978, regresó con un nuevo aspecto: cabello corto y despeinado, siempre hermosa y elegante. Tenía que promover el álbum In Begins Again y el año siguiente lanzó otro disco , mientras actuaba por última vez en Londres, en un gran evento benéfico, ante a las máximas autoridades.

Y luego hubo silencio hasta el 1987, cuando Dusty fue invitada a un concierto de los Pet Shop Boys, sus grandes admiradores, y junto a ellos cantó ¿What Have I done to Deserve This? que rápidamente se hizo muy popular. El año siguiente un álbum conmemoró sus 25 años de carrera, mientras tanto decidió regresar a vivir en el Reino Unido. En 1989 los Pet Shop Boys le dedicaron nuevas canciones y produjeron Reputation que la devolvió al éxito. En 1995, mientras grababa unas canciones inéditas, Dusty sintió un bulto en el pecho que fue tratado y contra el cual luchó, pero después de tres años perdió su batalla. No alcanzó a recibir la Orden del Imperio Británico. Murió el 2 de marzo de 1999 en Henley-on-Thames, sin llegar a los sesenta años. Incluso la reina Isabel II, conocida por ser muy reservada, dedicó sinceras palabras de pésame para ella. De hecho había fallecido una reina, aunque fuera del pop.

 

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