Iela Mari
Donatella Caione

Marika Banci

 

 Iela Mari, pseudonimo di Gabriela Ferrario, è nata a Milano nel 1931. È stata una illustratrice e scrittrice che ha lasciato un segno potente nella storia della letteratura dell’infanzia, ma anche del design, dell’illustrazione e in particolare nell’evoluzione degli albi illustrati. Ha frequentato il corso di pittura presso l'Accademia di Brera, dove ha conosciuto Enzo Mari, che a quel tempo stava studiando scenografia, e che, oltre che suo marito, è divenuto nel 1955 suo compagno di condivisione nella ricerca figurativa ed espressiva. La coppia ha avuto due figli e il primo libro di Iela, La mela e la farfalla, è il risultato di un lavoro a quattro mani. Insieme hanno realizzato numerosi altri albi illustrati di grande innovazione grafica. In seguito, mentre suo marito si è dedicato alla creazione di giochi, oggetti e mobili, lei ha continuato a illustrare libri, ideando un linguaggio basato sull’immagine, destinato ai bambini e alle bambine. Nel 1965 sono terminati sia il matrimonio che il sodalizio artistico.

Nel 1968 ha pubblicato Il palloncino rosso, un libro che ha rivoluzionato la letteratura per l’infanzia, un testo che riproduce il processo naturale di bambine e bambini nella scoperta della realtà. Non è un caso che a pubblicarlo sia stata Emme Edizioni, una casa editrice nata in quegli anni, fondata da Rosellina Archinto, che è stata visionaria nel valorizzare opere che il pubblico italiano allora non era in grado di apprezzare. È stata una piccola rivoluzione per l’editoria: una lezione per chi, allora come oggi, lavorava con l’illustrazione, la grafica, il design. Al primo volume ne sono seguiti altri, sempre per Emme Edizioni, in un contesto particolare per l’editoria: quello della Milano di fine anni Sessanta. La particolarità principale delle opere di Iela Mari è l’uso essenziale ed efficacissimo delle forme e dei colori che diventa un linguaggio carico di senso. Sono gli anni in cui cominciano a diffondersi quelli che con espressione inglese vengono chiamati silent book, cioè libri silenziosi. Un’espressione che non amo usare perché questa tipologia di albi illustrati, quando realizzata con maestria, non è affatto composta da libri silenziosi ma semplicemente da libri senza parole, nei quali è fortissima la potenza comunicativa delle illustrazioni che, grazie appunto a un sapiente utilizzo delle forme e dei colori, creano un vero e proprio linguaggio.

La narrazione senza parole di Iela Mari dunque costituisce un nuovo modo di raccontare la bellezza delle forme e dei cicli della natura, suscitando in chi legge la libertà nell’interpretazione. Il suo segno grafico, che a vederlo pare estremamente semplice nella sua nitidezza, è in realtà il frutto di una tecnica elaborata. Infatti lo stile di Mari, al tempo stesso minimalista e dettagliatissimo, è frutto di un metodo di lavoro rigoroso, ben descritto da Agostina e Michele, figlia e figlio dell'artista:

«Quando nostra madre lavorava ai suoi primi libri, La mela e la farfalla e L’uovo e la gallina, eravamo poco più che bambini: eppure ricordiamo che ad affascinarci, nel suo lavoro, non era tanto il risultato, splendido per la purezza e l’eleganza del segno, quanto il metodo. Tutto doveva essere religiosamente a posto e in ordine: il cartoncino bristol su cui era proibito appoggiare i polpastrelli; la carta da lucido fissata con puntine (rigorosamente a tre denti, mai a due); la colla, che poteva essere solo la Cow-Gum, da spalmare solo con una certa spatolina flessibile da cui poi si “scapperavano” via grumi brunastri di colla rappresa destinata a essere usata come gomma da cancellare (ricordiamo agglomerati grossi come meteoriti)…».

Gli albi di Iela nascono rivolti al mondo dell'infanzia ma non sono libri solo per bambine e bambini, come non lo sono tutti gli albi illustrati d'autore, come ad esempio quelli di Bruno Munari che però hanno lasciato una traccia molto più potente. Indubbiamente il lavoro di Munari è stato straordinario e innovativo ma quello di Iela Mari non è stato meno importante. Sin da qualche anno prima della scomparsa, avvenuta nel 2014, sono state organizzate molte mostre delle sue opere in Italia e all’estero. Nel 2010 la Bologna Children's Book Fair le ha dedicato la prima mostra monografica: Il mondo attraverso una lente. Venne portato a conoscenza del pubblico un patrimonio di rilevanza sconcertante, ignorato fino a quel momento: tavole originali e prove di stampa di tutti i progetti realizzati, conservati in ottimo stato dall'autrice; un numero cospicuo di menabò; pellicole in 35 mm; disegni per tessuti stampati, destinati a diventare oggetti di arredamento nelle camerette.

Con i suoi menabò, Iela Mari entrava nelle scuole d’infanzia e capiva insieme a bambini e bambine se le sue storie potessero funzionare o meno e perché e nello stesso tempo testi e manuali si svecchiavano grazie al suo contributo, infatti negli anni Settanta i suoi libri sono ripresi e citati. L’albero farà parte di un’antologia scolastica, intitolata Osservare leggere inventare, composta da albi illustrati rivolti alle seconde elementari (Emme Edizioni, 1979) ed è stata importante la sua attività di progettazione grafica per l’editoria rivolta alle scuole. Forse l'essere rimasta molto legata al mondo infantile e scolastico è stato un limite per la sua notorietà che sarebbe stata sicuramente maggiore se si fossa occupata di design e comunicazione visiva rivolta a un pubblico adulto, come è successo al marito Enzo Mari o all'ancora più noto Bruno Munari ma non possiamo che provare gratitudine per il suo splendido lavoro dedicato all'infanzia.

Ingrid Vang Nyman
Emma de Pasquale

Marika Banci

 

Artista poliedrica, curiosa, dissonante, Ingrid Vang è nata nel 1916 a Vejen, nel sud di Jylland, in Danimarca. Sin da bambina dimostra uno spiccato talento per il disegno e per la pittura, che la porta a trasferirsi a Copenaghen nel 1933, per essere finalmente ammessa nel 1937 alla Accademia Reale Danese di Belle Arti. Tuttavia, dopo solo un anno, abbandona prima di concludere il proprio percorso di formazione, cominciando a lavorare come libera artista e trasferendosi a Stoccolma con Arne Nyman, poeta, pittore e illustratore conosciuto durante gli studi, che diventerà il suo compagno di vita.

Nei primi anni Quaranta, pienamente inserita nella vita bohémienne svedese, Ingrid Vang comincia a pubblicare le sue prime illustrazioni, soprattutto grazie all’intercessione di Gallie Åkerhielm, parente del marito e sua grande amica, che la mette in contatto con Åhlén & Åkerlund, gli editori del settimanale Husmodern. Il suo nome comincia a girare per le riviste svedesi, specie dopo l’illustrazione del racconto Julafton bland eskimåer della scrittrice Pipaluk Freuchen sulla rivista Dagens Nyheter nel dicembre 1944. La collaborazione con Freuchen, che è, tra l’altro, sua cugina, porterà alla pubblicazione di un libro per l'infanzia di grande successo: Ivik, den faderløse (tradotto in inglese come Eskimo boy e in italiano come Ivik l’orfanello eschimese).

Illustrazione di Ingrid Vang Nyman in Ivik, den faderløse, Hugo Gebers Forlag, 1945.

Lo stile di Ivik è distante dai colori vividi, le prospettive distorte, i richiami modernisti a cui ci ha abituato la Vang Nyman di Pippi Calzelunghe – di cui si dirà tra poco – ma l’artista trova una sua cifra personale anche in un’avventura più ancorata al realismo, com’è quella del bambino eschimese, e confinata nella bidimensionalità del bianco e nero: i disegni assumono, anzi, spesso, un valore didascalico che illustra a giovani lettori e lettrici le diverse tecniche di caccia del popolo Inuit e lo stile di vita delle famiglie eschimesi, così come la fauna della Groenlandia. L’attenta ricerca etnografica che accompagna le illustrazioni di Ivik è un modus operandi del lavoro di Vang Nyman: nonostante non abbia avuto l’opportunità di girare il mondo, l’artista dimostra infatti grande curiosità per culture diverse dalla propria, in particolar modo per le tradizioni dell’Asia e dell’Africa. Negli anni in cui lavora a Ivik, disegna molte altre illustrazioni con protagonisti bambini e bambine inuit, tanto che saranno raccolte dopo la sua morte in un volume dal titolo Människornas land, accompagnate da un testo scritto da Franz Berliner. È un caso editoriale particolarmente interessante in quanto, in questo caso, è il racconto ad essere commissionato per cucirsi intorno a un set di immagini che raccontano una storia e delineano una trama ben precisa.

Copertina diMänniskornas land.,

Mossa dalla stessa curiosità, compone anche una serie di litografie con l’intenzione di pubblicarle in un libro scolastico di geografia o a corredo di articoli di carattere etnografico.

Children in East and West
Children in East and West

Da queste illustrazioni, raccolte postume, è indubbio che il fascino per la cultura e l’arte asiatiche, in particolar modo per le tecniche xilografiche giapponesi, abbia avuto un impatto determinante sullo sviluppo artistico di Vang Nyman: la scelta di utilizzare contorni netti e blocchi di colore, spesso senza ombreggiature, richiama infatti in maniera piuttosto evidente il mokuhanga nipponico. Il grande successo arriva nel 1945, quando ha inizio il sodalizio editoriale con Astrid Lindgren, autrice di Pippi Calzelunghe. I disegni di Ingrid rispecchiano perfettamente e, anzi, amplificano l’animo anticonvenzionale e rivoluzionario della giovane Pippi: l’illustratrice gioca con l’ordine spaziale e con l’uso della prospettiva tanto che oggetti e personaggi sembrano fluttuare nel foglio, come se non ci fosse gravità ad ancorarli al suolo.

Il suo stile, con i netti tratti neri e i colori accesi e uniformi, con le sue prospettive distorte e le proporzioni alterate, ha dato una scossa all’arte svedese, proponendo un modello di illustrazione per bambini e bambine che evochi in maniera diretta, semplice e immediata gli snodi centrali del testo letterario, senza però rinunciare alla ricchezza di dettagli e a una complessa articolazione dell’immagine.

Che l’unicità dei disegni di Vang Nyman sia stata determinante per il successo di Pippi Calzelunghe nel mondo è una consapevolezza che ha sempre avuto ben chiara la stessa Astrid Lindgren, che infatti commentava la loro collaborazione affermando che «l’autore che ha avuto la fortuna di trovare un illustratore congeniale per il suo libro, è eternamente grato a quell’artista». Per Lindgren ha illustrato, tra gli altri, anche Il libro di Bullerby (uscito in Svezia nel 1947) e alcuni racconti poi raccolti da Iperborea nell’edizione italiana di Greta Grintosa (2017).

Dopo aver divorziato dal marito, si trasferisce a Nacka, vicino a Stoccolma, dove vivrà fino al 1954, anno in cui torna a Copenaghen. Così come gli anni Quaranta, anche gli anni Cinquanta sono un periodo di lavoro molto intenso e fitto di collaborazioni, aggravato tuttavia dalle critiche condizioni psicologiche dell’artista. Tra le collaborazioni più interessanti, si può ad esempio ricordare l’illustrazione della traduzione svedese di The dragon fish della scrittrice Premio Nobel Pearl S. Buck.

Sono momenti caratterizzati da importanti conflitti con il mondo editoriale svedese e internazionale, generati – pare – dalle alte richieste di compenso avanzate dall’illustratrice tanto per le edizioni in lingua originale, quanto per l’utilizzo dei suoi disegni nelle traduzioni estere. Il 13 dicembre 1959, a soli 43 anni, Ingrid Vang Nyman si suicida.

Nel 2016, per celebrare il centenario della sua nascita, il Kunstmuseum di Vejen ha allestito un’esposizione dedicata alle sue illustrazioni, che mostra al pubblico non solo i disegni pubblicati in volume ma anche molti interessanti lavori inediti e materiali d’archivio. Ancora oggi, a sessant’anni dall’uscita di Pippi, i disegni di Ingrid Vang Nyman continuano a far sognare bambini e bambine di tutto il mondo di poter vivere avventure fantastiche e costruire nuovi mondi immaginari.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

Artiste polyvalente, curieuse et dissonante, Ingrid Vang est née en 1916 à Vejen, dans le sud du Jutland, au Danemark. Dès l’enfance, elle montre un talent marqué pour le dessin et la peinture, ce qui la pousse à s’installer à Copenhague en 1933. Elle est finalement admise en 1937 à l’Académie royale danoise des beaux-arts. Cependant, après seulement un an, elle interrompt ses études avant de les terminer, commence à travailler en tant qu’artiste indépendante et s’installe à Stockholm avec Arne Nyman – poète, peintre et illustrateur rencontré pendant ses études – qui devient son compagnon.

Au début des années quarante, pleinement intégrée à la vie bohème suédoise, Ingrid Vang commence à publier ses premières illustrations, notamment grâce à l’intercession de Gallie Åkerhielm, parente de son compagnon et grande amie, qui la met en relation avec la maison d’édition Åhlén & Åkerlund, éditrice du magazine Husmodern. Son nom commence à circuler dans la presse suédoise, surtout après l’illustration du conte Julafton bland eskimåer (Un réveillon de Noël chez les Esquimaux), écrit par l’autrice Pipaluk Freuchen et publié dans le journal Dagens Nyheter en décembre 1944. La collaboration avec Freuchen – qui est d’ailleurs sa cousine – conduit à la publication d’un livre jeunesse à grand succès: Ivik, den faderløse (traduit en anglais Eskimo Boy et en français Ivik l’orphelin esquimau).

Illustration de Ingrid Vang Nyman àIvik, den faderløse, Hugo Gebers Forlag, 1945.

Le style de Ivik se distingue par son éloignement des couleurs vives, des perspectives déformées et des références modernistes auxquelles Vang Nyman nous a habitué·es dans Fifi Brindacier – sur laquelle nous reviendrons bientôt. Toutefois, elle parvient à imprimer sa marque personnelle même dans cette aventure plus réaliste, centrée sur un petit garçon inuit, dans un univers en noir et blanc aux dessins souvent didactiques. Ces illustrations expliquent aux jeunes lecteur·ices les différentes techniques de chasse des Inuits, le mode de vie de leurs familles, ainsi que la faune du Groenland. La rigueur ethnographique qui accompagne les dessins d’Ivik est une méthode de travail propre à Vang Nyman. Bien qu’elle n’ait pas eu l’opportunité de voyager à travers le monde, elle se montre très curieuse des cultures différentes de la sienne, notamment celles d’Asie et d’Afrique. Pendant les années de travail sur Ivik, elle réalise de nombreuses autres illustrations représentant des enfants inuit, qui seront réunies après sa mort dans un volume intitulé Människornas land, accompagné d’un texte de Franz Berliner. Ce cas éditorial est particulièrement intéressant, car ici, c’est le récit qui est commandé pour accompagner un ensemble d’images déjà conçues, lesquelles racontent une histoire cohérente.

Couverture deMänniskornas land.,

Animée par la même curiosité, elle crée aussi une série de lithographies destinées à être publiées dans un manuel de géographie scolaire ou à accompagner des articles ethnographiques.

Children in East and West
Children in East and West

Ces illustrations, publiées à titre posthume, montrent clairement l’influence que l’art asiatique – en particulier les techniques de gravure japonaise – a exercée sur son style. Le choix de lignes nettes et de zones de couleur uniforme, souvent sans ombrage, rappelle de manière évidente le mokuhanga japonais. Le grand succès arrive en 1945, lorsque commence sa collaboration éditoriale avec Astrid Lindgren, autrice de Fifi Brindacier (Pippi Långstrump). Les dessins d’Ingrid reflètent et amplifient l’esprit anticonformiste et révolutionnaire de la jeune Fifi: l’illustratrice joue avec l’espace et la perspective au point que les objets et personnages semblent flotter sur la page, comme s’ils n’étaient soumis à aucune gravité.

Son style – avec ses lignes noires franches, ses couleurs éclatantes et homogènes, ses perspectives tordues et proportions modifiées – bouleverse l’art suédois et propose un nouveau modèle d’illustration jeunesse, capable d’évoquer avec clarté et immédiateté les nœuds narratifs du texte tout en conservant richesse de détail et complexité graphique.

Astrid Lindgren a toujours été consciente de l’importance des dessins de Vang Nyman pour le succès mondial de Fifi Brindacier. Elle déclara d’ailleurs en regard de leur collaboration: «L’auteur qui a la chance de trouver un illustrateur en harmonie avec son livre lui en est éternellement reconnaissant». Pour Lindgren, elle illustre également Le Livre de Bullerby (publié en Suède en 1947) ainsi que certains contes réunis plus tard dans l’édition italienne de Greta Grintosa (2017), publiée par Iperborea.

Après son divorce, elle s’installe à Nacka, près de Stockholm, où elle vit jusqu’en 1954, avant de retourner à Copenhague. Les années cinquante, comme la décennie précédente, sont marquées par une activité artistique intense et de nombreuses collaborations, mais aussi par un état psychologique fragile. Parmi ses travaux les plus notables de cette période, on peut citer ses illustrations pour la traduction suédoise de The Dragon Fish, un livre de Pearl S. Buck, lauréate du prix Nobel de littérature.

Ces années sont marquées par de nombreux conflits avec les maisons d’édition suédoises et internationales, souvent liés – semble-t-il – aux exigences élevées de rémunération posées par l’illustratrice, tant pour les éditions originales que pour les versions traduites. Le 13 décembre 1959, à seulement 43 ans, Ingrid Vang Nyman met fin à ses jours.

En 2016, à l’occasion du centenaire de sa naissance, le musée d’art de Vejen organise une exposition consacrée à ses illustrations. L’événement présente non seulement ses œuvres publiées, mais aussi de nombreux travaux inédits et documents d’archives. Aujourd’hui encore, soixante ans après la parution de Fifi Brindacier, les dessins d’Ingrid Vang Nyman continuent de faire rêver les enfants du monde entier, les invitant à vivre des aventures fabuleuses et à imaginer de nouveaux univers.


Traduzione spagnola

Laura Cavallaro

Artista polifacética, curiosa, disonante, Ingrid Vang nació en 1916 en Vejen, en el sur de Jutlandia, en Dinamarca. Desde niña demostró un notable talento para el dibujo y la pintura, lo que la llevó a trasladarse a Copenhague en 1933, donde finalmente fue admitida, en 1937, en la Real Academia Danesa de Bellas Artes. Sin embargo, tras solo un año, abandonó sus estudios antes de completarlos, comenzando a trabajar como artista independiente y mudándose a Estocolmo con Arne Nyman, poeta, pintor e ilustrador que había conocido durante sus estudios y que se convertiría en el compañero de su vida.

A principios de los años cuarenta, plenamente integrada en la vida bohemia sueca, Ingrid Vang comienza a publicar sus primeras ilustraciones, gracias sobre todo a la intercesión de Gallie Åkerhielm, pariente de su marido y gran amiga suya, quien la pone en contacto con Åhlén & Åkerlund, editores del semanario Husmodern. Su nombre empieza a circular en las revistas suecas, especialmente tras la ilustración del relato Julafton bland eskimåer de la escritora Pipaluk Freuchen, publicado en la revista Dagens Nyheter en diciembre de 1944. La colaboración con Freuchen, quien además era su prima, daría lugar a la publicación de un libro infantil de gran éxito: Ivik, den faderløse (traducido al inglés como Eskimo Boy y al italiano como Ivik l’orfanello eschimese, sin traducción al español).

Ilustración de Ingrid Vang Nyman enIvik, den faderløse, Hugo Gebers Forlag, 1945.

El estilo de Ivik se aleja de los colores vivos, las perspectivas distorsionadas y las referencias modernistas a los que nos tiene acostumbrados Vang Nyman de Pippi Långstrump –de la que hablaremos en breve– pero la artista encuentra también en esta aventura, más anclada al realismo, como la del niño esquimal, una expresión personal propia, contenida en la bidimensionalidad del blanco y negro: de hecho, los dibujos adquieren, un valor casi didáctico, ilustrando a los jóvenes lectores y lectoras las distintas técnicas de caza del pueblo inuit, el estilo de vida de las familias esquimales, así como la fauna de Groenlandia. La atenta investigación etnográfica que acompaña las ilustraciones de Ivik es un modus operandi característico del trabajo de Vang Nyman: a pesar de no haber tenido la oportunidad de viajar por el mundo, la artista demuestra una gran curiosidad por culturas distintas a la propia, en particular por las tradiciones de Asia y África. Durante los años en los que trabaja en Ivik, realiza muchas otras ilustraciones protagonizadas por niños y niñas inuit, tantas que, tras su muerte, serán recopiladas en un volumen titulado Människornas land y acompañadas por un texto escrito por Franz Berliner. Se trata de un caso editorial especialmente interesante, ya que el relato fue encargado a posteriori, para adaptarse a un conjunto de imágenes que ya narraban una historia y delineaban una trama muy concreta.

Portada deMänniskornas land.,

Impulsada por la misma curiosidad, compone también una serie de litografías con la intención de publicarlas en un libro escolar de geografía o como complemento de artículos de carácter etnográfico.

Children in East and West
Children in East and West

A partir de estas ilustraciones, recopiladas de manera póstuma, es indudable que la fascinación por la cultura y el arte asiáticos, en particular por las técnicas xilográficas japonesas, tuvo un impacto determinante en el desarrollo artístico de Vang Nyman: la elección de utilizar contornos definidos y bloques de color, a menudo sin sombreado, recuerda de manera bastante evidente el mokuhanga japonés. El gran éxito llega en 1945, cuando comienza la colaboración editorial con Astrid Lindgren, autora de Pippi. Los dibujos de Ingrid reflejan perfectamente, e incluso amplifican, el espíritu anticonvencional y revolucionario de la joven Pippi: la ilustradora juega con el orden espacial y con el uso de la perspectiva, tanto que los objetos y personajes parecen flotar en la página, como si no existiera la gravedad que los ancle al suelo.

Su estilo, con trazos negros marcados y colores intensos y planos, con perspectivas distorsionadas y proporciones alteradas, sacudió el arte sueco, proponiendo un modelo de ilustración para niños y niñas que evocara de forma directa, simple e inmediata los elementos centrales del texto literario, sin renunciar a la riqueza de los detalles ni a una compleja articulación visual.

Que la unicidad de los dibujos de Vang Nyman fue determinante para el éxito mundial de Pippi Långstrump es una certeza que siempre tuvo muy clara la misma Astrid Lindgren, quien de hecho comentaba su colaboración afirmando que «el autor que ha tenido la suerte de encontrar un ilustrador afín para su libro está eternamente agradecido a ese artista». Para Lindgren, ilustró también, entre otros, Los niños de Bullerbyn (publicado en Suecia en 1947) y algunos cuentos que en Italia fueron recopilados posteriormente por Iperborea en el volumen Greta Grintosa (2017).

Tras divorciarse de su marido, se muda a Nacka, cerca de Estocolmo, donde vivirá hasta 1954, año en que regresa a Copenhague. Así como lo fueron los años cuarenta, los años cincuenta también son un período de intenso trabajo y numerosas colaboraciones, aunque agravado por el delicado estado psicológico de la artista. Entre las colaboraciones más interesantes se puede mencionar la ilustración de la traducción sueca de The Dragon Fish, de la escritora y Premio Nobel Pearl S. Buck.

Fueron momentos marcados por importantes conflictos con el mundo editorial sueco e internacional, generados –al parecer– por sus elevadas pretensiones económicas , tanto para las ediciones en lengua original como para el uso de sus dibujos en las traducciones extranjeras. El 13 de diciembre de 1959, con tan solo 43 años, Ingrid Vang Nyman se suicida.

En 2016, para celebrar el centenario de su nacimiento, el Kunstmuseum de Vejen organizó una exposición dedicada a sus ilustraciones, que mostró al público no solo los dibujos publicados en libros, sino también muchas obras inéditas e interesantes materiales de archivo. Aún hoy, a sesenta años de la aparición de Pippi, los dibujos de Ingrid Vang Nyman siguen haciendo soñar a niños y niñas de todo el mundo con vivir aventuras fantásticas y construir nuevos mundos imaginarios.


Traduzione spinglese

Syd Stapleton

A multifaceted, curious, dissonant artist, Ingrid Vang was born in 1916 in Vejen, southern Jylland, Denmark. From an early age she showed a marked talent for drawing and painting, which led her to move to Copenhagen in 1933, finally being admitted to the Royal Danish Academy of Fine Arts in 1937. However, after only a year, she dropped out before completing her training, beginning to work as a freelance artist and moving to Stockholm with Arne Nyman, a poet, painter and illustrator she met during her studies, who would become her life partner. 

In the early 1940s, fully embedded in Swedish bohemian life, Ingrid Vang began to publish her first illustrations, mainly through the intercession of Gallie Åkerhielm, a relative of her husband and a great friend of hers, who put her in touch with Åhlén & Åkerlund, the publishers of the weekly Husmodern. Her name began to circulate in Swedish magazines, especially after her illustration of the short story Julafton bland eskimåer by writer Pipaluk Freuchen in Dagens Nyheter magazine in December 1944. The collaboration with Freuchen, who was, by the way, her cousin, would lead to the publication of a highly successful children's book, Ivik, den faderløse (translated in English as Eskimo Boy).

Illustration by Ingrid Vang Nyman inIvik, den faderløse, Hugo Gebers Forlag, 1945.

Ivik's style is far from the vivid colors, distorted perspectives, and modernist references to which the Vang Nyman of Pippi Longstocking has accustomed us - about which more will be said in a moment - but the artist found her own personal mark even in an adventure more anchored in realism, as is that of the Eskimo child, and confined to the two-dimensionality of black and white. Indeed, the drawings often take on a didactic value illustrating to young readers the different hunting techniques of the Inuit people and the lifestyle of Eskimo families, as well as the wildlife of Greenland. The careful ethnographic research that accompanied Ivik's illustrations is a modus operandi of Vang Nyman's work. Despite not having had the opportunity to travel the world, the artist in fact demonstrated great curiosity for cultures other than her own, especially the traditions of Asia and Africa. During the years she worked on Ivik, she drew many more illustrations featuring Inuit boys and girls, so much so that they would be collected after her death in a volume entitled Människornas land, accompanied by a text written by Franz Berliner. This is a particularly interesting publication in that, in this case, it is the story that is commissioned to sew itself around a set of images that tell a story and delineate a definite plot.

Cover ofMänniskornas land.,

Moved by the same curiosity, she also composed a series of lithographs with the intention of publishing them in a school geography book or to accompany ethnographic articles.

Children in East and West
Children in East and West

From these illustrations, collected posthumously, there is no doubt that a fascination with Asian culture and art, especially Japanese woodcut techniques, had a decisive impact on Vang Nyman's artistic development. Indeed, her choice to use sharp outlines and blocks of color, often without shading, is rather reminiscent of Japanese mokuhanga. Great success came in 1945, when the publishing partnership with Astrid Lindgren, author of Pippi Longstocking, began. Ingrid's drawings perfectly reflect and, indeed, amplify the unconventional and revolutionary spirit of the young Pippi. The illustrator plays with spatial order and the use of perspective so much so that objects and characters seem to float in the paper, as if there were no gravity anchoring them to the ground.

Her style, with its sharp black strokes and bright, uniform colors, with its distorted perspectives and altered proportions, has given Swedish art a jolt, proposing a model of illustration for boys and girls that evokes in a direct, simple and immediate way the central junctures of the literary text, but without sacrificing the richness of detail and complex articulation of the image.

That the uniqueness of Vang Nyman's drawings was instrumental in the success of Pippi Longstocking around the world is an awareness that was always clear to Astrid Lindgren herself, who commented on their collaboration by stating that "the author who was fortunate enough to find a congenial illustrator for her book is eternally grateful to that artist." For Lindgren she also illustrated, among others, The Book of Bullerby (released in Sweden in 1947) and some short stories later collected by Iperborea in the Italian edition of Greta Grintosa (2017).

These were times marked by major conflicts with the Swedish and international publishing world, generated - it seems - by the high demands for compensation made by the illustrator both for the original language editions and for the use of her drawings in foreign translations. On December 13, 1959, at only 43 years of age, Ingrid Vang Nyman committed suicide.

In 2016, to celebrate the centenary of her birth, the Kunstmuseum in Vejen mounted an exhibition dedicated to her illustrations, showing the public not only drawings published in volumes but also many interesting unpublished works and archival materials. Even today, sixty years after the release of Pippi, Ingrid Vang Nyman's drawings continue to make children all over the world dream of fantastic adventures and building new imaginary worlds.

 

Cicely Mary Barker
Sveva Fattori

Marika Banci

 

Cicely Mary Barker nasce a West Croydo, nel Surrey, nel 1895. Affetta da epilessia, malattia che scomparirà al termine della Seconda guerra mondiale, trascorre l’infanzia nella sua casa natale, circondata dall’affetto dei genitori e della sorella maggiore. Fin da bambina dimostra di avere uno spiccato senso artistico e una propensione all’arte che suo padre, intagliatore professionista, incoraggerà fortemente. Nel 1908 il signor Barker iscriverà la figlia alla Croydon School of Art, pagando per lei un corso per corrispondenza che Cicely seguirà fino al 1919. Il 1911 fu un anno particolarmente fortunato per l’artista. A soli sedici anni, vinse il secondo premio nella sezione manifesti del concorso artistico della Croydon Art Society. Poco dopo divenne il più giovane membro permanente del comitato della stessa società dove, successivamente, svolse la professione di insegnante. Nello stesso anno avvenne il suo debutto artistico: quattro dei suoi disegni vennero acquistati dalla Raphael Tuck & Sons che li pubblicò come cartoline. Da quel momento, Cicely riuscirà a fare della sua arte una professione, spaziando tra lavori spiccatamente commerciali (biglietti d’auguri, disegni per riviste e cartoline) e libri illustrati. Durante il perido della maturità l’artista viaggiò moltissimo, intraprendendo numerosi viaggi di studio al fine di affinare la sua pittura e accrescere le competenze artistiche. Dopo la morte della sorella, avvenuta nel 1954 a causa di un infarto, Cicely dedicò gran parte del suo tempo alla cura della madre, tralasciando la propria attività. Ciononostante, Barker riuscì comunque a portare a compimento i suoi lavori pittorici ed editoriali.

Flower Fairies: tra fiaba e realtà

Negli anni della fanciullezza, Cicely, costretta a casa per via della salute cagionevole, trova conforto nei libri illustrati per l'infanzia. Tra tutti, si appassiona in particolar modo ai testi di Kate Greenway e Randolph Caldecott, autori che influenzeranno intensamente la sua formazione. L’ambiente domestico, nel quale si forma e cresce, resterà negli anni successivi una grande fonte di ispirazione. Nel giardino della casa di Waldron, dove la famiglia Barker si trasferirà nel 1924, l’artista creerà il suo studio d’arte personale mentre sua sorella Dorothy adibirà una stanza sul retro dell'abitazione ad asilo nido. Saranno proprio bambine e bambini dell’asilo a fornire a Cicely il modello per le sue fate dei fiori. Ispirandosi alla scuola Preraffaelita, di cui apprezza particolarmente il realismo e la pittura di rarefatta eleganza, l’artista ritrarrà elementi presi dal vero proiettandoli in una dimensione fiabesca. Le sue fate floreali sono appunto la concretizzazione di questa perenne tensione tra fiaba e realtà: il linguaggio artistico di Barker raccorda senza fratture la botanica (fiori e piante sono frutto di una meticolosa ricerca scientifica, per la quale si avvalse anche dell’aiuto del personale dei Kew Gardens) alla fantasia del popolo dei boschi, nato dalla conciliazione tra gli elementi reali (i visi dei bambini e delle bambine che frequentavano l’asilo della sorella) e la finzione della loro resa pittorica. Afferma Cicely: «lasciatemi dire chiaramente che ho dipinto tutte le piante e i fiori con molta attenzione, partendo dall’osservazione delle piante e dei fiori veri; ma le fate e tutto ciò che le circonda sono solo finzione».

La fata della parsimonia, 1934

La sua espressione artistica, velata dalla stessa atmosfera infantile in cui vivrà gran parte della sua esistenza, è fortemente radicata al sentire e alle suggestioni del tempo. Nel periodo immediatamente successivo alla Prima guerra mondiale, anche a seguito della pubblicazione di The Coming of the Fairies di Sir Arthur Conan Doyle, dell’opera fiabesca di I. R. Outhwaite e soprattutto di Peter Pan di J. M. Barrie, le fate diventeranno un tema e personaggi frequenti tanto nella letteratura quanto nella pittura. L’impianto fiabesco delle scritture e delle illustrazioni permetteva agli uomini e alle donne dell’epoca di immaginare un mondo di innocenza e di speranza, una realtà in cui proiettarsi per sfuggire agli orrori della guerra appena conclusa. Dunque, non stupisce l’entusiasmo con cui il pubblico accolse il primo volume di Cicely: Flower Fairies of the Spring pubblicato nel 1923. I libri illustrati in cui dominano le figure delle fate floreali sono ben sedici, undici dei quali pubblicati vivente l’autrice-illustratrice. Tra questi ricordiamo: Flower Fairies of the Summer (1925), raccolta di “canti” di ventiquattro fate differenti, a ognuna delle quali è associato un fiore o una pianta (“canto della fata delle clematis”; “canto della fata della primula scarlatta”; “la canzone della fata del cardo”, …); A Flower Fairy Alphabet (1934), in cui si succedono, in ordine alfabetico, ventiquattro componimenti intitolati con nomi di piante ed erbe a ciascuna delle quali è associata una determinata tipologia di fata; Flower Fairies of the Wayside (1948), anch’esso composto da tanti canti quante sono le fate ritratte. In ogni canzone, le fate assumono le fattezze e le peculiarità degli elementi botanici a cui sono associate. Per le illustrazioni a corredo dei testi, Cicely utilizzerà diverse tecniche pittoriche: acquerelli, inchiostri, oli e pastelli.

La fata del mughetto, 1934  La fata del Narciso
La fata del salice, 1940

Le opere di ispirazione religiosa

Nata da una famiglia profondamente religiosa, Cicely fu una devota cristiana per tutta la sua vita. Il pastore e storico anglicano Canon Derek Ingram Hill la definì un pilastro portante della chiesa della sua città natale, la chiesa di Saint Andrew, per il cui fonte battesimale l’artista realizzò una serie di pannelli a olio sul tema dei sette sacramenti. La fede permeò tutte le sue produzioni, dalle cartoline ai libri illustrati per l'infanzia. Inoltre, molte delle opere furono destinate dalla stessa Barker a raccolte fondi per missioni umanitarie e iniziative religiose. Nel 1923 Cicely realizzò per la Society for Promoting Christian Knowledge (Società per la promozione della conoscenza cristiana) cinque biglietti d’auguri raffiguranti angeli e bambine/i; uno di questi, The Darling of the World Has Come (Il tesoro del mondo è arrivato), verrà acquistato nel 1926 dalla Regina Maria.

Nel 1916 Barker dipinse cinque cartoline a tema sacro. In una di queste illustrazioni, Prayer, una donna con i capelli raccolti viene ritratta genuflessa sull’inginocchiatoio mentre, con le mani giunte in preghiera, volge il suo sguardo al cielo terso. È probabile che per la raffigurazione femminile Cicely trasse ispirazione da sua sorella Dorothy, che servì da modello. Negli anni Trenta, le sorelle Barker collaboreranno alla realizzazione del libro He Leadeth Me (Egli mi guida; 1933), la seconda delle due opere bibliche illustrate che Cicely scrisse per piccoli lettori e lettrici (il primo, Children’s Book of Hymns, fu edito nel 1929). Oltre alle opere narrative e pittoriche su carta stampata, completano il ciclo delle pitture religiose i dipinti realizzati per alcuni edifici anglicani. Nel 1929 Cicely dipinse per il tabernacolo della casa delle donne indigenti (LLandaff House) il trittico a olio The Feedinf of the Five Thousand (L’alimentazione dei cinquemila). Seguirà, nel 1934, The Parable of the Great Supper (La parabola della Grande Cena) per la cappella di San Giorgio, nella periferia di Londra. Dopo la morte della sorella maggiore, Cicely dipinse in sua memoria la vetrata della chiesa di Saint Edmund, a Pitlake.

Cicely Mary Barker morirà nel 1973, all’età di 77 anni. Oggi, dopo più di cinquant’anni dal suo decesso, le sue fate floreali continuano a vagare nel mondo, trasportando lettrici e lettori, grandi e piccoli, in un mondo di magia e meraviglia.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

Cicely Mary Barker est née à West Croydon, dans le Surrey, en 1895. Atteinte d’épilepsie – maladie qui disparaîtra à la fin de la Seconde Guerre mondiale – elle passe son enfance dans la maison familiale, entourée de l’affection de ses parents et de sa sœur aînée. Dès son plus jeune âge, elle montre un fort sens artistique et une passion pour l’art, que son père, sculpteur professionnel, encourage vivement. En 1908, M. Barker inscrit sa fille à la Croydon School of Art et paie pour elle un cours par correspondance que Cicely suit jusqu’en 1919. L’année 1911 est particulièrement favorable à l’artiste. À seulement seize ans, elle remporte le deuxième prix dans la catégorie des affiches lors du concours artistique organisé par la Croydon Art Society. Peu de temps après, elle devient le plus jeune membre permanent du comité de cette même société, où elle exerce ensuite comme enseignante. Cette année-là marque également ses débuts artistiques: quatre de ses dessins sont achetés par Raphael Tuck & Sons, qui les publie sous forme de cartes postales. Dès ce moment, Cicely parvient à faire de son art une véritable profession, alternant travaux à caractère commercial (cartes de vœux, illustrations pour magazines et cartes postales) et livres illustrés. À l’âge adulte, l’artiste voyage beaucoup, entreprenant de nombreux séjours d’étude afin d’affiner sa peinture et de développer ses compétences artistiques. Après le décès de sa sœur en 1954, victime d’un infarctus, Cicely consacre une grande partie de son temps à s’occuper de sa mère, délaissant quelque peu son activité. Néanmoins, elle réussit à achever ses projets picturaux et éditoriaux.

Flower Fairies: entre conte et réalité

Pendant son enfance, contrainte de rester à la maison en raison de sa santé fragile, Cicely trouve du réconfort dans les livres illustrés pour enfants. Parmi tous, elle se passionne particulièrement pour les œuvres de Kate Greenaway et de Randolph Caldecott, deux auteurs qui influencent fortement sa formation. Le cadre domestique dans lequel elle grandit reste pour elle, tout au long de sa vie, une grande source d’inspiration. Dans le jardin de la maison de Waldron, où la famille Barker s’installe en 1924, l’artiste crée son propre atelier tandis que sa sœur Dorothy transforme une pièce à l’arrière de la maison en crèche. Ce sont justement les enfants de la crèche qui servent de modèles à Cicely pour ses fées des fleurs. S’inspirant de l’école préraphaélite, qu’elle apprécie particulièrement pour son réalisme et son élégance picturale, l’artiste représente des éléments réels qu’elle transpose dans un univers féerique. Ses fées florales incarnent cette tension permanente entre conte et réalité: le langage artistique de Barker unit sans rupture la botanique (les fleurs et les plantes étant le fruit d’une recherche scientifique rigoureuse, pour laquelle elle reçoit également l’aide du personnel des jardins de Kew) à l’imaginaire du peuple des bois, né de la fusion entre des éléments réels (les visages des enfants fréquentant la crèche de sa sœur) et la fiction picturale. Cicely affirme:«Je veux préciser que j’ai peint toutes les plantes et les fleurs avec beaucoup de soin, en les observant dans la réalité; mais les fées et tout ce qui les entoure sont pure invention.»

La fée de la parcimonie, 1934

Son expression artistique, teintée de l’atmosphère enfantine dans laquelle elle vit une grande partie de sa vie, reste profondément ancrée dans les sensibilités de son époque. Juste après la Première Guerre mondiale, notamment avec la publication de The Coming of the Fairies de Sir Arthur Conan Doyle, les contes de fées de I. R. Outhwaite et surtout Peter Pan de J. M. Barrie, les fées deviennent un thème fréquent aussi bien dans la littérature que dans la peinture. L’univers féerique des textes et des illustrations permet aux femmes et aux hommes de l’époque d’imaginer un monde d’innocence et d’espoir, une réalité alternative dans laquelle ils peuvent se réfugier pour échapper aux horreurs de la guerre. Il n’est donc pas surprenant que le public accueille avec enthousiasme le premier volume de Cicely, Flower Fairies of the Spring, publié en 1923. Ses livres illustrés, centrés sur les fées florales, sont au nombre de seize, dont onze publiés de son vivant. Parmi eux, on peut citer: Flower Fairies of the Summer (1925), recueil de “chants” de vingt-quatre fées, chacune associée à une fleur ou une plante (ex.: “le chant de la fée de la clématite”, “le chant de la fée de la primevère écarlate”, “le chant de la fée du chardon”...); A Flower Fairy Alphabet (1934), où vingt-quatre poèmes suivent l’ordre alphabétique, chacun intitulé d’après une plante ou une herbe, et associé à une fée spécifique; Flower Fairies of the Wayside (1948), également composé d’autant de chants que de fées illustrées. Dans chaque chanson, les fées prennent les traits et les particularités des éléments botaniques auxquels elles sont rattachées. Pour illustrer ces textes, Cicely utilise différentes techniques: aquarelle, encre, huile et pastels.

La fée du muguet,, 1934  La fée du narcisse
La fée du saule,, 1940

Les œuvres d’inspiration religieuse

Issue d’une famille profondément croyante, Cicely reste une chrétienne dévouée toute sa vie. Le pasteur anglican et historien Canon Derek Ingram Hill la considère comme un pilier de l’église de sa ville natale, l’église Saint Andrew, pour laquelle elle réalise une série de panneaux à l’huile représentant les sept sacrements, destinés au baptistère. Sa foi traverse l’ensemble de son œuvre, des cartes postales aux livres pour enfants. Plusieurs de ses créations sont destinées à des collectes de fonds pour des missions humanitaires ou religieuses. En 1923, elle crée pour la Society for Promoting Christian Knowledge cinq cartes de vœux représentant des anges et des enfants ; l’une d’elles, The Darling of the World Has Come (Le Trésor du monde est arrivé), est achetée en 1926 par la reine Mary.

En 1916, Barker peint cinq cartes postales sur le thème religieux. Dans l’une d’elles, Prayer, une femme aux cheveux relevés est représentée à genoux sur un prie-Dieu, les mains jointes, le regard tourné vers un ciel limpide. Il est probable que pour cette figure féminine, Cicely se soit inspirée de sa sœur Dorothy, qui lui a servi de modèle. Dans les années 1930, les sœurs Barker collaborent à la réalisation de He Leadeth Me (Il me guide; 1933), le deuxième ouvrage biblique illustré par Cicely pour les jeunes lecteurs (le premier, Children’s Book of Hymns, paraît en 1929). Outre les œuvres imprimées, son cycle de peintures religieuses comprend aussi des fresques et tableaux destinés à certains bâtiments anglicans. En 1929, elle peint le triptyque The Feeding of the Five Thousand pour le tabernacle de Llandaff House, un foyer pour femmes indigentes. En 1934, elle réalise The Parable of the Great Supper pour la chapelle Saint George, en banlieue de Londres. Après la mort de sa sœur aînée, elle peint en sa mémoire un vitrail pour l’église Saint Edmund, à Pitlake.

Cicely Mary Barker s’éteint en 1973, à l’âge de 77 ans. Aujourd’hui, plus de cinquante ans après sa disparition, ses fées florales continuent de voyager à travers le monde, emmenant petits et grands dans un univers de magie et d’émerveillement.


Traduzione spagnola

Noemi Bertani

Cicely Mary Barker nació en West Croydon, en Surrey, en 1895. Afectada por epilepsia, enfermedad que desapareció al finalizar la Segunda Guerra Mundial, pasó su infancia en su casa natal, rodeada por el cariño de su padre, de su madre y de su hermana mayor. Desde niña mostró un notable sentido artístico y una predisposición por el arte que su padre, tallador profesional, incentivó intensamente. En 1908 el señor Barker inscribió a su hija en la Croydon School of Art, pagando un curso por correspondencia que Cicely siguió hasta 1919. El año 1911 fue especialmente afortunado para la artista. Con tan solo dieciséis años, ganó el segundo premio en la sección de carteles del concurso artístico de la Croydon Art Society. Poco después se convirtió en el miembro permanente más joven del comité de dicha sociedad, donde más adelante ejercería como docente. Ese mismo año se produjo su debut artístico: la Raphael Tuck & Sons adquirió cuatro de sus dibujos y los publicó como postales. Desde ese momento, Cicely logró hacer del arte su profesión, alternando entre trabajos marcadamente comerciales (tarjetas de felicitación, dibujos para revistas y postales) y libros ilustrados. Durante su madurez la artista viajó mucho, emprendiendo numerosos viajes de estudio para perfeccionar su pintura y mejorar sus competencias artísticas. Tras la muerte de su hermana en 1954 a causa de un infarto, Cicely dedicó gran parte de su tiempo al cuidado de su madre, dejando en segundo plano su actividad. No obstante, aun así, Barker logró llevar a buen término sus trabajos pictóricos y editoriales.

Flower Fairies: entre cuento y realidad

Durante los años de su infancia, Cicely, obligada a permanecer en casa por culpa de su salud frágil, encontró consuelo en los libros ilustrados. Entre todos, se apasionó particularmente por los libros de Kate Greenway y Randolph Caldecott, que influyeron intensamente en su formación. El entorno doméstico, en el que creció y se formó, seguiría siendo en los años siguientes una gran fuente de inspiración. En el jardín de la casa de Waldron, adonde la familia Barker se mudó en 1924, la artista creó su estudio de arte personal, mientras su hermana Dorothy convirtió una habitación trasera en guardería. Serían justamente los niños y las niñas de la guardería quienes proporcionarían a Cicely el modelo para sus hadas de las flores. Inspirándose en la escuela prerrafaelita, de la cual apreciaba especialmente el realismo y la pintura de fina elegancia, la artista retrató elementos tomados de la realidad proyectándolos en una dimensión de cuento de hadas. De hecho, sus hadas de las flores son la concretización de la tensión perenne entre cuento y realidad: el lenguaje artístico de Barker une sin fracturas la botánica (flores y plantas son el fruto de una meticulosa investigación científica, para la cual se valió también de la ayuda del personal de los Kew Gardens) y la fantasía del pueblo de los bosques, nacido de la combinación entre elementos reales (los rostros de los niños y de las niñas que asistían a la guardería de su hermana) y la ficción de su representación pictórica. Afirmaba Cicely: «Dejadme decir claramente que he pintado todas las plantas y las flores con mucho cuidado, partiendo de la observación de plantas y flores reales; pero las hadas y todo lo que las rodea solo son ficción».

El hada de la parsimonia, 1934

Su expresión artística, impregnada de la misma atmósfera infantil en la que vivió gran parte de su existencia, está profundamente arraigada en la sensibilidad y las sugestiones de su tiempo. En el período inmediatamente posterior a la Primera Guerra Mundial, también a consecuencia de la publicación de The Coming of the Fairies de Sir Arthur Conan Doyle, la obra fantástica de I. R. Outhwaite y sobre todo Peter Pan de J. M. Barrie, las hadas se convirtieron en un tema y en personajes recurrentes tanto en la literatura como en la pintura. La estructura de cuento de hadas de los textos y de las ilustraciones permitía a los hombres y las mujeres de la época imaginar un mundo de inocencia y esperanza, una realidad en la que proyectarse para huir de los horrores de la guerra recién terminada. No sorprende, por tanto, el entusiasmo con el que el público acogió el primer volumen de Cicely, Flower Fairies of the Spring, publicado en 1923. Los libros ilustrados en los que dominan las figuras de las hadas de las flores son dieciséis, once de los cuales se publicaron cuando la autora-ilustradora aún seguía en vida. Entre ellos recordemos Flower Fairies of the Summer (1925), una recopilación de “canciones” de veinticuatro hadas diferentes, cada una asociada a una flor o planta (“canción del hada de las clemátides”; “canción del hada de la prímula escarlata”; “canción del hada del cardo” …); A Flower Fairy Alphabet (1934), donde se suceden, en orden alfabético, veinticuatro composiciones tituladas con nombres de plantas y hierbas, cada una asociada a un determinado tipo de hada; Flower Fairies of the Wayside (1948), compuesto igualmente por tantas canciones cuantas hadas hay retratadas. En cada canción, las hadas asumen las facciones y características de los elementos botánicos a los que están asociadas. Para las ilustraciones que acompañan los textos, Cicely utilizó diversas técnicas pictóricas: acuarelas, tintas, óleos y pasteles.

El hada del lirio de los valles, 1934  El hada del narciso
El hada del sauce, 1940

Obras de inspiración religiosa

Nacida de una familia profundamente religiosa, Cicely fue una devota cristiana durante toda su vida. El pastor e historiador anglicano Canon Derek Ingram Hill la definió como un pilar central de la iglesia de su ciudad natal, la iglesia de Saint Andrew, para cuya pila bautismal la artista realizó una serie de paneles al óleo sobre el tema de los siete sacramentos. La fe impregnó todas sus producciones, desde las postales hasta los libros ilustrados para niños. Además, destinó muchas de sus obras a recaudar fondos para misiones humanitarias e iniciativas religiosas. En 1923 Cicely realizó para la Society for Promoting Christian Knowledge (Sociedad para la promoción del conocimiento cristiano) cinco tarjetas de felicitación que representaban ángeles, niños y niñas; una de ellas, The Darling of the World Has Come (El tesoro del mundo ha llegado), fue adquirida en 1926 por la reina María.

En 1916 Barker pintó cinco postales de temática religiosa. En una de las ilustraciones, Prayer, una mujer con el pelo recogido aparece arrodillada sobre el reclinatorio mientras, con las manos juntas en oración, dirige su mirada al cielo despejado. Es probable que para la representación femenina Cicely se inspirara en su hermana Dorothy, quién posó como modelo. En los años Treinta las hermanas colaboraron en la creación del libro He Leadeth Me (Él me guía; 1933), la segunda de las dos obras bíblicas ilustradas que Cicely escribió para pequeños lectores y lectoras (la primera, Children’s Book of Hymns, se publicó en 1929). Además de las obras narrativas y pictóricas en papel, completan el ciclo de pinturas religiosas las obras realizadas para algunos edificios anglicanos. En 1929 Cicely pintó para el tabernáculo de la casa de las mujeres indigentes (LLandaff House) el tríptico al óleo The Feeding of the Five Thousand (La alimentación de los cinco mil). Le seguiría, en 1934, The Parable of the Great Supper (La parábola de la Gran Cena) para la capilla de San Jorge, en las afueras de Londres. Tras la muerte de su hermana mayor, Cicely pintó en su memoria la vidriera de la iglesia de Saint Edmund, en Pitlake.

Cicely Mary Barker falleció en 1973, a los 77 años. Hoy, más de cincuenta años después de su fallecimiento, sus hadas de las flores siguen vagando por el mundo, transportando a lectores y lectoras de todas las edades, a un mundo de magia y maravilla.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Cicely Mary Barker was born in West Croydo, Surrey, in 1895. Suffering from epilepsy, a disease that would disappear for her at the end of World War II, she spent her childhood in her native home, surrounded by the affection of her parents and older sister. From an early age she showed a keen artistic sense and a penchant for art that her father, a professional carver, strongly encouraged. In 1908 Mr. Barker enrolled his daughter in the Croydon School of Art, paying for a correspondence course for her that Cicely took until 1919. 1911 was a particularly fortunate year for the artist. At only sixteen, she won second prize in the poster section of the Croydon Art Society's art competition. Shortly thereafter she became the youngest permanent member of the committee of the same society where she later served as a teacher. In the same year her artistic debut occurred: four of her drawings were purchased by Raphael Tuck & Sons, which published them as postcards. From then on, Cicely managed to make her art a profession, ranging between distinctly commercial work (greeting cards, magazine designs and postcards) and illustrated books. During her period of maturity the artist traveled extensively, undertaking numerous study trips in order to refine her painting and increase her artistic skills. After her sister died of a heart attack in 1954, Cicely devoted much of her time to caring for her mother, neglecting her own work. Nevertheless, Barker still managed to complete her pictorial and editorial work.

Flower Fairies: between fairy tale and reality

In her childhood years, Cicely, homebound due to poor health, found solace in children's picture books. Of all of them, she became particularly fond of the texts of Kate Greenway and Randolph Caldecott, authors who would intensely influence her education. The domestic environment, in which she was formed and grew up, would remain a great source of inspiration in later years. In the garden of Waldron's house, where the Barker family would move in 1924, the artist would create her personal art studio while her sister Dorothy would set up a room at the back of the house as a nursery. It would be the kindergarten children who would provide Cicely with the model for her flower fairies. Inspired by the Pre-Raphaelite school, whose realism and painting of rarefied elegance she particularly appreciated, the artist would portray elements taken from life by projecting them into a fairy-tale dimension. Her floral fairies are the concretization of this perennial tension between fairy tale and reality - Barker's artistic language seamlessly connects botany (flowers and plants were the result of meticulous scientific research, for which she also enlisted the help of Kew Gardens staff) to the fantasy of the woodland people, born of the reconciliation between real elements (the faces of the boys and girls who attended her sister's kindergarten) and the fiction of their pictorial rendering. Cicely states, "Let me say clearly that I painted all the plants and flowers very carefully, starting from the observation of real plants and flowers; but the fairies and everything around them are just fiction."

The Fairy of Parsimony, 1934

Her artistic expression, veiled by the same childhood atmosphere in which she would live much of her existence, is strongly rooted in the feeling and suggestions of the time. In the period immediately following World War I, partly as a result of the publication of Sir Arthur Conan Doyle's The Coming of the Fairies, I. R. Outhwaite's fairy work and especially J. M. Barrie's Peter Pan, fairies would become a frequent theme and characters in literature as well as in painting. The fairy setting of the writings and illustrations allowed the men and women of the time to imagine a world of innocence and hope, a reality into which they could project themselves to escape the horrors of the war that had just ended. So, it is not surprising the enthusiasm with which the public greeted the first volume of Cicely’s: Flower Fairies of the Spring published in 1923. There are no fewer than sixteen picture books in which the figures of flower fairies dominate, eleven of which were published while the author-illustrator was living. These include: Flower Fairies of the Summer (1925), a collection of "songs" by twenty-four different fairies, each of which is associated with a flower or plant ("song of the clematis fairy"; "song of the scarlet primrose fairy"; "the song of the thistle fairy," ... ); A Flower Fairy Alphabet (1934), in which twenty-four compositions titled with names of plants and herbs with each of which a certain type of fairy is associated; Flower Fairies of the Wayside (1948), also composed of as many songs as there are fairies portrayed. In each song, the fairies take on the features and peculiarities of the botanical elements with which they are associated. For the illustrations accompanying the texts, Cicely used a variety of painting techniques: watercolors, inks, oils and pastels.

The Lily of the Valley Fairy, 1934  The Daffodil Fairy
The Willow Fairy, 1940

The religiously inspired works

Born into a deeply religious family, Cicely was a devout Christian throughout her life. Anglican pastor and historian Canon Derek Ingram Hill called her a mainstay of her hometown church, St. Andrew's, for whose baptismal font the artist created a series of oil panels on the theme of the seven sacraments. Faith permeated all her productions, from postcards to illustrated children's books. In addition, many of the works were intended by Barker herself for fundraisers for humanitarian missions and religious initiatives. In 1923 Cicely produced five greeting cards depicting angels and little girl(s) for the Society for Promoting Christian Knowledge. One of these, The Darling of the World Has Come, would be purchased in 1926 by Queen Mary.

In 1916 Barker painted five sacred-themed postcards. In one of these illustrations, Prayer, a woman with her hair up is portrayed genuflecting on her knees as, with hands clasped in prayer, she turns her gaze to the clear sky. It is likely that for the female depiction Cicely drew inspiration from her sister Dorothy, who served as a model. In the 1930s, the Barker sisters would collaborate on the book He Leadeth Me (1933), the second of two illustrated biblical works that Cicely wrote for young men and women readers (the first, Children's Book of Hymns, was published in 1929). In addition to the narrative and pictorial works in print, the cycle of religious paintings was completed by paintings done for a number of Anglican buildings. In 1929 Cicely painted the oil triptych The Feeding of the Five Thousand for the tabernacle of the Poor Women's House (LLandaff House). This was followed in 1934 by The Parable of the Great Supper for St. George's Chapel in suburban London. After the death of her older sister, Cicely painted the stained-glass window of St. Edmund's Church, Pitlake, in her memory.

Cicely Mary Barker died in 1973, at the age of 77. Today, more than 50 years after her death, her flower fairies continue to roam the world, transporting readers, young and old, into a world of magic and wonder.

Sybille Merian
Livia Capasso

Marika Banci

 

Sulla figura di Maria Sibylla Merian, nonostante la sua comprovata rilevanza scientifica, è calata nel tempo una coltre di oblio, a riprova di come le donne, soprattutto le scienziate, siano state vittime di un fenomeno di cancellazione. Eppure i suoi contributi sono stati molto importanti per il rigore delle indagini, la chiarezza delle classificazioni, la tenacia con cui ha perseguito i suoi interessi, nonostante la concezione generale vedesse le donne come emotive e gli uomini razionali, nonostante i viaggi e le spedizioni venissero considerati pericolosi per una donna. Nel XIX secolo le donne furono escluse ufficialmente dalle pratiche scientifiche, e la memoria di molte viaggiatrici fu cancellata perché trasgredivano l’immagine allora attesa di una donna rispettabile. Solo nel XXI secolo i movimenti femministi hanno salvato tante di loro dall’oblio.

Ritratto di Maria Sibylla Merian, 1679, Jacob Marrel

Merian è tra le artiste scelte per il ciclo “Le Grandi Assenti”: l’articolo che la riguarda è apparso su Vitamine vaganti del 20 maggio 2023: https://vitaminevaganti.com/2023/05/20/le-grandi-assenti-anna-maria-sibylla-merian/. Il suo percorso differisce dalla maggior parte delle altre donne naturaliste che normalmente erano mogli che accompagnavano le spedizioni dei mariti. Le sue spettacolari illustrazioni, essendo diverse dagli standard dell’epoca, furono oggetto di molte critiche e ridotte a illustrazioni artistiche. Per parecchi anni, infatti, è stata vista come un'artista piuttosto che come una scienziata quale era, poiché lei non era un'accademica, non aveva studiato all’università, conosceva poco il latino e sostanzialmente non aveva nessuna delle qualifiche richieste a chi professava un lavoro scientifico. Aveva avuto, però, accesso ai volumi di storia naturale perché era la figlia di un importante editore di libri, Matthäus Merian, che aveva sposato sua madre, la sua seconda moglie, nel 1646. Maria nacque a Francoforte sul Meno l'anno successivo, nona figlia di Matthäus, che morì pochi anni dopo. La madre si risposò con Jacob Marrel, pittore di fiori e nature morte, che impartì alla piccola Maria la prima formazione artistica. Fin dall'infanzia Merian studiò gli insetti, principalmente farfalle e falene, e allevava bruchi. Per anni ha osservato e annotato sistematicamente il comportamento dei bruchi, disegnando ogni fase del loro sviluppo. All'età di tredici anni dipinse le sue prime immagini di insetti e piante da esemplari che aveva catturato. A diciotto anni sposò il pittore Johann Andreas Graff, allievo del patrigno; due anni dopo si stabilirono a Norimberga, città natale del marito. Nel 1675 pubblicò il suo primo libro: Neues Blumenbuch (Nuovo libro di fiori); una seconda edizione, intitolata Florum fasciculi tres, uscì nel 1680 e comprendeva trentasei tavole di incisioni colorate di fiori, spesso con insetti, resi con una particolare cura di dettagli.

Rosa ad arbusto con lepidottero, larva e pupa (sin.) - Ciclamino bianco (dex)- Maria Sibylla Merian
Fiori, farfalle e melograno (sin.) -Frutti di anacardi (dex) - Maria Sibylla Merian

Non tutti i disegni provenivano da osservazione diretta; alcuni dei fiori sembrano essere basati su disegni del patrigno Jacob Marrel. I suoi fiori fornirono modelli per le giovani donne dell’epoca, nella cui educazione il ricamo era una parte essenziale. Nel 1679 pubblicò la prima edizione di Der Raupen Wunderbare Verwandelung, und sonderbare Blumennahrung (La meravigliosa trasformazione dei bruchi e delle loro abitudini alimentari), contenente cinquanta tavole di incisioni; in seguito pubblicò altre edizioni di questo libro.

Falena Sfinge e gloria mattutina - Maria Sibylla Merian

Le tavole descrivevano dettagliatamente con immagini e didascalie il ciclo di vita da bruco a farfalla, dimostrando che ogni fase del cambiamento dipendeva dal numero di piante di cui l’insetto poteva nutrirsi. Merian notò che la dimensione delle loro larve aumentava se avevano abbastanza cibo, osservò  i possibili effetti del clima sulla loro metamorfosi e sul loro numero. I suoi dettagliati disegni sono basati per lo più su insetti vivi nel loro ambiente naturale, e questo le consentiva di rappresentare accuratamente i colori, che erano andati perduti negli esemplari conservati. Ai suoi tempi gli insetti avevano ancora la reputazione di "bestie del diavolo" e il processo di metamorfosi era in gran parte sconosciuto; la convinzione contemporanea diffusa era che fossero "nati dal fango" per generazione spontanea. Merian documentò il contrario e descrisse i cicli di vita di 186 specie di insetti, ma il suo lavoro fu largamente ignorato dagli scienziati dell'epoca. A Norimberga Merian continuò a dipingere e a creare disegni per il ricamo. Nel 1678 la famiglia si trasferì a Francoforte sul Meno; qualche anno dopo si separò dal marito e partì col fratellastro Matthäus e le figlie per il castello Waltha nei Paesi Bassi, per vivere in una comune protestante di labadisti. Rimasero lì per tre anni e Merian trovò il tempo per studiare storia naturale e latino, la lingua in cui venivano scritti i libri scientifici. Nelle brughiere della Frisia, osservò la nascita e lo sviluppo delle rane, e le raccolse per sezionarle.

Metamorfosi di una rana e di un fiore blu (sin.) - Metamorfosi di una farfalla-bruco su un ramo di ciliegio (dex)- Maria Sibylla Merian

Merian abbandonò la comunità nel 1691, non condividendo la rigida condotta di vita imposta e la condivisione dei beni. Tornò ad Amsterdam, dove ebbe l’opportunità di visitare l'Orto botanico e le collezioni private di piante e di insetti. Amsterdam era allora un centro importante per la scienza, l'arte e il commercio e Merian divenne una figura di spicco tra i botanici, gli scienziati e i collezionisti. Le navi mercantili riportavano conchiglie, piante e animali conservati mai visti prima, che fecero nascere in lei il desiderio di viaggiare.

Un ritratto professionale di Maria Sibylla Merian (1700 circa, placca su rame di Jacobus Houbraken da un ritratto di Georg Gsell)

Nel 1699, la città di Amsterdam le concesse il permesso di recarsi in Suriname in Sud America, insieme alla figlia minore Dorothea. Il 10 luglio, la cinquantaduenne Merian e sua figlia salparono. L'obiettivo della missione era trascorrere cinque anni per studiare nuove specie di insetti. La spedizione non aveva mecenati o sponsor, e Maria Sibilla vendette molti suoi dipinti per autofinanziarla. Madre e figlia lavorarono in Suriname per due anni, viaggiando per tutta la colonia e disegnando animali e piante locali. Registrarono i nomi locali delle piante, ne descrissero gli usi e scoprirono tutta una serie di animali e piante precedentemente sconosciuti. Nel giugno 1701 una malattia, forse la malaria, la costrinse a tornare nella Repubblica olandese, dove aprì un negozio nel quale vendeva gli esemplari che aveva raccolto e le sue incisioni. Per quattro anni si dedicò alla scrittura di Metamorphosis Insectorum Surinamensium, che fu pubblicato nella sua prima edizione in olandese e latino nel 1705.

Copertina della versione olandese della Metamorphosis Insectorum Surinamensium di Maria Sibylla Merian, pubblicata nel 1705 (sin.) - Copertina della versione latina (dex)

Il libro contiene illustrazioni di diverse piante, classificate come commestibili, medicinali, aromatiche, tossiche. Per le piante commestibili, criticò i coloni che si preoccupavano di coltivare solo canna da zucchero e accusò la loro mancanza di curiosità che sprecava il potenziale della fertile terra del Suriname dove diverse piante già conosciute, come la vite, potevano essere coltivate. Si concentrò sulle specie medicinali e tossiche, come l'olio dei semi di Ricinus communis o la Senna obtusifolia, che venivano applicate sulle ferite, o le piante abortive con le quali le donne schiave controllavano la loro riproduzione. In un brano Maria Sibylla Merian descrive l'uso tradizionale di Caesalpinia pulcherrima: «I semi vengono dati alle partorienti, perché accelerano il parto. Per questo motivo le donne indigene, duramente ridotte in schiavitù dagli olandesi, cercano questa pianta per abortire, affinché i loro figli non nascano schiavi e non debbano sopportare le stesse sofferenze delle loro madri». Osserva che il consumo di anguria ha numerosi benefici per la salute, come la riduzione delle malattie cardiache, un migliore controllo della pressione alta, un abbassamento del colesterolo LDL.

Illustrazione (sin.) e descrizione (dex) della Passiflora laurifolia nel Metamorphosis Insectorum Surinamensium di Maria Sibylla Merian (1705)

Ananas e scarafaggio (sin.) - Ragni, formiche e colibrì su un ramo di guava (dex) - Maria Sibylla Merian (1705)

Nel corso dei secoli alcune specie classificate da Merian ricevettero, in onore della scienziata, l’epiteto di “Merianella”, in seguito abbandonato. A differenza della maggior parte dei naturalisti del XVII e XVIII secolo, Merian riconobbe l'aiuto degli schiavi, principalmente donne africane e indigene, nel riconoscimento delle specie e nell'acquisizione di conoscenze sul loro uso. Nel 1715 Merian ebbe un ictus. Nonostante fosse parzialmente paralizzata, continuò il suo lavoro. Morì ad Amsterdam nel 1717. Dopo la sua morte il libro fu ristampato nel 1719, 1726 e 1730, in tedesco, olandese, latino e francese. Merian è stata un modello e una guida che ha indicato a tante giovani donne la possibilità di avere successo, perseguendo le proprie passioni, ha mostrato che è possibile essere un’artista o una scienziata, senza essere inevitabilmente svalutate o socialmente escluse. Il volto di Merian era impresso nei biglietti di banca di cinquecento Marchi della Repubblica Federale Tedesca, prima della conversione della Germania all'euro. Il suo ritratto è apparso anche su un francobollo tedesco, uscito il 17 settembre 1987, e molte scuole sono intitolate a lei. Nel 2005 in Germania è stata varata una nave da ricerca intitolata a Maria S. Merian. Il 2 aprile 2013 è stata onorata con un Doodle di Google in occasione del 366° anniversario della nascita.

Maria Sibylla Merian raffigurata su una banconota da 500 DM

Doodle di Google per l’anniversario di Maria Sibylla Merian

Merian è stata la prima donna europea a partecipare autonomamente a una spedizione scientifica in Sud America. Nel XIX secolo altre donne seguirono le sue orme ed esplorarono il mondo naturale dell'Africa. Nel 2016, Metamorphosis Insectorum Surinamensium è stato ripubblicato con descrizioni scientifiche aggiornate e, nel marzo 2017, la Lloyd Library and Museum di Cincinnati, Ohio, ha ospitato "Off the Page", una mostra che ha realizzato molte delle illustrazioni di Merian come sculture in 3D. 


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Sobre la figura de Maria Sibylla Merian, a pesar de su acreditada relevancia científica, con el tiempo cayó un velo de olvido, prueba de cómo las mujeres, especialmente las científicas, han sido víctimas de un fenómeno de borrado. Sin embargo, sus contribuciones fueron muy importantes por el rigor de sus investigaciones, la claridad de sus clasificaciones, la tenacidad con la que persiguió sus intereses, aun a sabiendas de que la concepción general veía a las mujeres como emotivas y a los hombres como racionales, y a pesar de que los viajes y expediciones eran considerados peligrosos para una mujer. En el siglo XIX las mujeres fueron excluidas oficialmente de las prácticas científicas, y la memoria de muchas viajeras fue borrada porque transgredían la imagen entonces esperada de una mujer respetable. Solo en el siglo XXI los movimientos feministas han rescatado a muchas de ellas del olvido.

Retrato de Maria Sibylla Merian, 1679, Jacob Marrel

Merian forma parte del grupo de artistas seleccionadas para el ciclo “Le Grandi Assenti” (Las Grandes Ausentes): el artículo que la concierne apareció en Vitamine Vaganti el 20 de mayo de 2023: https://vitaminevaganti.com/2023/05/20/le-grandi-assenti-anna-maria-sibylla-merian/. Su trayectoria difiere de la mayoría de las otras mujeres naturalistas, que normalmente eran esposas que acompañaban las expediciones de sus maridos. Sus espectaculares ilustraciones, al ser distintas de los estándares de la época, fueron objeto de muchas críticas y reducidas a simples ilustraciones artísticas. De hecho, durante muchos años fue vista como una artista más que como la científica que realmente era, ya que no era académica, no había estudiado en la universidad, conocía poco el latín y, en esencia, no tenía ninguna de las cualificaciones requeridas para quienes ejercían una labor científica. No obstante, tuvo acceso a los volúmenes de historia natural porque era hija de un importante editor, Matthäus Merian, quien se casó con su madre, su segunda esposa, en 1646. Maria nació en Fráncfort del Meno al año siguiente, siendo la novena hija de Matthäus, que murió pocos años después. Su madre se volvió a casar con Jacob Marrel, pintor de flores y naturalezas muertas, quien impartió a la pequeña Maria su primera formación artística. Desde la infancia, Merian estudió los insectos, principalmente mariposas y polillas, y criaba orugas. Durante años observó y anotó sistemáticamente el comportamiento de las orugas, dibujando cada etapa de su desarrollo. A los trece años pintó sus primeras imágenes de insectos y plantas a partir de ejemplares que ella misma había capturado. A los dieciocho se casó con el pintor Johann Andreas Graff, discípulo de su padrastro; dos años después se establecieron en Núremberg, ciudad natal de su marido. En 1675 publicó su primer libro: Neues Blumenbuch (Nuevo libro de flores); una segunda edición, titulada Florum fasciculi tres, apareció en 1680 y contenía treinta y seis láminas de grabados coloreados de flores, a menudo acompañadas de insectos, representados con un cuidado especial por los detalles.

Rosa arbustiva con lepidóptero, larva y pupa (izq.) – Ciclamen blanco (der.) – Maria Sibylla Merian.
Flores, mariposas y granada (izq.) – Frutos de anacardo (der.) – Maria Sibylla Merian.

No todos los dibujos procedían de la observación directa; algunas flores parecen estar basadas en diseños de su padrastro Jacob Marrel. Sus flores sirvieron de modelo para las jóvenes de la época, en cuya educación el bordado era una parte esencial. En 1679 publicó la primera edición de Der Raupen Wunderbare Verwandelung, und sonderbare Blumennahrung (La maravillosa transformación de las orugas y sus singulares hábitos alimentarios), que contenía cincuenta láminas grabadas; posteriormente publicó otras ediciones de este libro.

Falena Sfinge e gloria mattutina - Maria Sibylla Merian

Las láminas describían detalladamente, con imágenes y leyendas, el ciclo de vida desde oruga hasta mariposa, demostrando que cada fase del cambio dependía de la cantidad de plantas de las que el insecto podía alimentarse. Merian observó que el tamaño de sus larvas aumentaba si tenían suficiente comida, estudió los posibles efectos del clima en su metamorfosis y en su número. Sus detallados dibujos se basaban principalmente en insectos vivos en su entorno natural, lo que le permitía representar con precisión los colores, que se perdían en los especímenes conservados. En su época, los insectos aún tenían la reputación de “bestias del diablo” y el proceso de metamorfosis era en gran parte desconocido; se creía ampliamente que “nacían del fango” por generación espontánea. Merian documentó lo contrario y describió los ciclos de vida de 186 especies de insectos, pero su trabajo fue en gran medida ignorado por los científicos de su época. En Núremberg, Merian continuó pintando y creando diseños para el bordado. En 1678 la familia se trasladó a Fráncfort del Meno; unos años más tarde se separó de su marido y partió con su hermanastro Matthäus y sus hijas hacia el castillo de Waltha, en los Países Bajos, para vivir en una comuna protestante de labadistas. Permanecieron allí durante tres años y Merian encontró tiempo para estudiar historia natural y latín, la lengua en la que se redactaban los libros científicos. En los páramos de Frisia, observó el nacimiento y el desarrollo de las ranas, y las recolectó para diseccionarlas.

Metamorfosis de una rana y de una flor azul (izq.) – Metamorfosis de una mariposa-oruga sobre una rama de cerezo (der.) – Maria Sibylla Merian

Merian abandonó la comunidad en 1691, al no compartir ni la estricta forma de vida impuesta ni la comunión de bienes. Regresó a Ámsterdam, donde tuvo la oportunidad de visitar el Jardín Botánico y las colecciones privadas de plantas e insectos. Ámsterdam era en aquel entonces un centro importante de ciencia, arte y comercio, y Merian se convirtió en una figura destacada entre botánicos, científicos y coleccionistas. Los barcos mercantes llevaban conchas, plantas y animales conservados antes nunca vistos, lo que despertó en ella el deseo de viajar.

Un retrato profesional de Maria Sibylla Merian (ca. 1700, placa de cobre de Jacobus Houbraken a partir de un retrato de Georg Gsell).

En 1699, la ciudad de Ámsterdam le concedió el permiso para viajar a Surinam, en Sudamérica, junto a su hija menor Dorothea. El 10 de julio, Merian, de cincuenta y dos años, zarpó con su hija. El objetivo de la expedición era pasar cinco años estudiando nuevas especies de insectos. La expedición no contaba con mecenas ni patrocinadores, y Maria Sibylla vendió muchas de sus pinturas para autofinanciarla. Madre e hija trabajaron en Surinam durante dos años, recorriendo toda la colonia dibujando animales y plantas locales. Registraron los nombres locales de las plantas, describieron sus usos y descubrieron toda una serie de especies animales y vegetales hasta entonces desconocidas. En junio de 1701 una enfermedad, posiblemente malaria, la obligó a regresar a la República Holandesa, donde abrió una tienda en la que vendía los ejemplares recolectados y sus grabados. Durante cuatro años se dedicó a escribir Metamorphosis Insectorum Surinamensium, cuya primera edición fue publicada en neerlandés y latín en 1705.

Portada de la versión neerlandesa de Metamorphosis Insectorum Surinamensium de Maria Sibylla Merian, publicada en 1705 (izq.) – Portada de la versión en latín (der.)

El libro contiene ilustraciones de diversas plantas, clasificadas como comestibles, medicinales, aromáticas o tóxicas. En cuanto a las plantas comestibles, criticó a los colonos por preocuparse únicamente por cultivar caña de azúcar y los acusó de falta de curiosidad, lo que desperdiciaba el potencial de la fértil tierra de Surinam, donde ya se podían cultivar plantas conocidas como la vid. Se centró en las especies medicinales y tóxicas, como el aceite de las semillas de Ricinus communis o la Senna obtusifolia, que se aplicaban sobre heridas, o las plantas abortivas que las mujeres esclavizadas utilizaban para controlar su reproducción. En un pasaje, Maria Sibylla Merian describe el uso tradicional de Caesalpinia pulcherrima: «Las semillas se dan a las parturientas porque aceleran el parto. Por ende, las mujeres indígenas, cruelmente reducidas a la esclavitud por los neerlandeses, buscan esta planta para abortar, para que sus hijos no nazcan esclavos ni tengan que soportar los mismos sufrimientos que sus madres». Observó que el consumo de sandía tiene numerosos beneficios para la salud, como la reducción de enfermedades cardíacas, un mejor control de la hipertensión arterial y una disminución del colesterol LDL.

Ilustración (izq.) y descripción (der.) de Passiflora laurifolia en Metamorphosis Insectorum Surinamensium de Maria Sibylls Merian (1705)

Piña y escarabajo (izq.) – Arañas, hormigas y colibrí sobre una rama de guayaba (der.) – Maria Sibylla Merian (1705)

A lo largo de los siglos, algunas especies clasificadas por Merian recibieron, en honor a la científica, el epíteto de “Merianella”, aunque posteriormente fue abandonado. A diferencia de la mayoría de los naturalistas de los siglos XVII y XVIII, Merian reconoció la ayuda de las personas esclavizadas, principalmente mujeres africanas e indígenas, en la identificación de las especies y en la adquisición de conocimientos sobre su uso. En 1715, Merian sufrió un derrame cerebral. Aunque quedó parcialmente paralizada, continuó con su trabajo. Murió en Ámsterdam en 1717. Tras su muerte, su libro fue reimpreso en 1719, 1726 y 1730, en alemán, neerlandés, latín y francés. Merian fue un modelo y una guía que mostró a muchas jóvenes la posibilidad de alcanzar el éxito persiguiendo sus pasiones. Demostró que es posible ser artista o científica sin ser necesariamente infravalorada o excluida socialmente. El rostro de Merian apareció en los billetes de quinientos marcos de la República Federal de Alemania, antes de la adopción del euro. Su retrato también figuró en un sello postal alemán emitido el 17 de septiembre de 1987, y muchas escuelas llevan su nombre. En 2005, Alemania bautizó con su nombre un buque de investigación científica: el Maria S. Merian. El 2 de abril de 2013 fue homenajeada con un Doodle de Google con motivo del 366º aniversario de su nacimiento. 

Maria Sibylla Merian representada en un billete de 500 marcos alemanes.

Doodle de Google para el aniversario de Maria Sibylla Merian

Merian fue la primera mujer europea en participar de forma autónoma en una expedición científica en Sudamérica. En el siglo XIX, otras mujeres siguieron sus pasos y exploraron el mundo natural en África. En 2016, Metamorphosis Insectorum Surinamensium fue reeditado con descripciones científicas actualizadas y, en marzo de 2017, la Lloyd Library and Museum de Cincinnati, Ohio, organizó Off the Page, una exposición que transformó muchas de las ilustraciones de Merian en esculturas en 3D.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

A blanket of oblivion has descended over time on the figure of Maria Sibylla Merian, despite her proven scientific relevance, reflecting how women, especially women scientists, have been victims of a phenomenon of erasure. Yet her contributions were very important because of the rigor of her investigations, the clarity of her classifications, and the tenacity with which she pursued her interests, despite the fact that women were generally seen as emotional and men as rational, and despite the fact that travel and expeditions were considered dangerous for a woman. In the 19th century women were officially excluded from scientific work, and the record of many female travelers was erased because they transgressed the then expected image of a respectable woman. Only in the 21st century have feminist movements rescued many of them from oblivion.

Portrait of Maria Sibylla Merian, 1679, Jacob Marrel

Merian is among the artists chosen for the compilation "The Great Absentees." The article about her appeared in Vitamine Vaganti of May 2023: https://vitaminevaganti.com/2023/05/20/le-grandi-assenti-anna-maria-sibylla-merian/. Her path differs from most other women naturalists who were normally wives accompanying their husbands' expeditions. Her spectacular illustrations, being different from the standards of the time, were subjected to much criticism and reduced to artistic illustrations. For several years, in fact, she was seen as an artist rather than the scientist she was, since she was not an academic, had not studied at the university, knew little Latin, and basically had none of the qualifications required of those professing to do scientific work. She had, however, had access to volumes of natural history because she was the daughter of a prominent book publisher, Matthäus Merian, who had married her mother, his second wife, in 1646. Maria was born in Frankfurt am Main the following year, the ninth child of Matthäus, who died a few years later. Her mother remarried Jacob Marrel, a painter of flowers and still life, who imparted little Maria's early artistic training. From childhood Merian studied insects, mainly butterflies and moths, and raised caterpillars. For years she systematically observed and noted the behavior of caterpillars, drawing every stage of their development. At the age of thirteen she painted her first pictures of insects and plants from specimens she had captured. At eighteen she married painter Johann Andreas Graff, a pupil of her stepfather. Two years later they settled in Nuremberg, her husband's hometown. In 1675 she published her first book, Neues Blumenbuch (New Book of Flowers). A second edition, entitled Florum fasciculi tres, came out in 1680 and included thirty-six plates of colorful engravings of flowers, often with insects, rendered with special attention to detail.

Shrub rose with lepidopteran, larva and pupa (left) - White cyclamen (right) - Maria Sibylla Merian
Flowers, butterflies and pomegranate (left) -Cashewberry fruit (right) - Maria Sibylla Merian

Not all of the drawings came from direct observation. Some of the flowers appear to be based on drawings by her stepfather Jacob Marrel. His flowers provided models for the young women of the time, in whose education embroidery was an essential part. In 1679 she published the first edition of Der Raupen Wunderbare Verwandelung, und sonderbare Blumennahrung (The Wonderful Transformation of Caterpillars and their Food Habits), containing fifty plates of engravings; she later published other editions of this book.

Sphinx moth and morning glory, Maria Sibylla Merian

The plates detailed with pictures and captions the life cycle from caterpillar to butterfly, showing that each stage of change depended on the number of plants the insect could feed on. Merian noted that the size of their larvae increased if they had enough food, observed the possible effects of climate on their metamorphosis and their numbers. Her detailed drawings were mostly based on living insects in their natural environment, and this allowed her to accurately represent colors, which had been lost in preserved specimens. In her day, insects still had a reputation as "devil beasts," and the process of metamorphosis was largely unknown. The widespread contemporary belief was that they were "born from the mud" by spontaneous generation. Merian documented the opposite and described the life cycles of 186 insect species, but her work was largely ignored by scientists of the time. In Nuremberg Merian continued to paint and create designs for embroidery. In 1678 the family moved to Frankfurt am Main. A few years later she separated from her husband and left with her half-brother Matthäus and daughters for Castle Waltha in the Netherlands to live in a Protestant Labadist commune. They stayed there for three years, and Merian found time to study natural history and Latin, the language in which scientific books were written. On the Frisian moors, she observed the birth and development of frogs, and collected them for dissection.

Metamorphosis of a frog and a blue flower (left) - Metamorphosis of a butterfly-bruch on a cherry tree branch (right)- Maria Sibylla Merian

Merian left the community in 1691, disagreeing with the rigid lifestyle imposed and the sharing of property. She returned to Amsterdam, where she had the opportunity to visit the Botanical Garden and private collections of plants and insects. Amsterdam was then an important center for science, art, and commerce, and Merian became a prominent figure among botanists, scientists, and collectors. Merchant ships brought back preserved shells, and plants and animals she had never seen before, which sparked her desire to travel.

A professional portrait of Maria Sibylla Merian (c. 1700, copper plate by Jacobus Houbraken from a portrait by Georg Gsell).

In 1699, the city of Amsterdam granted her permission to travel to Surinam in South America, together with her youngest daughter Dorothea. On July 10, the 52-year-old Merian and her daughter set sail. The goal of the mission was to spend five years studying new insect species. The expedition had no patrons or sponsors, and Maria Sibyl sold many of her paintings to self-finance it. Mother and daughter worked in Suriname for two years, traveling throughout the colony and drawing local animals and plants. They recorded the local names of plants, described their uses and discovered a whole range of previously unknown animals and plants. In June 1701 an illness, possibly malaria, forced her to return to the Dutch Republic, where she opened a store in which she sold the specimens she had collected and her engravings. For four years she devoted herself to writing Metamorphosis Insectorum Surinamensium, which was published in its first edition in Dutch and Latin in 1705.

Cover of the Dutch version of Maria Sibylla Merian's Metamorphosis Insectorum Surinamensium, published in 1705 (left) - Cover of the Latin version (dex)

The book contains illustrations of different plants, classified as edible, medicinal, aromatic, and toxic. For the edible plants, she criticized the settlers who were concerned with growing only sugarcane and blamed their lack of curiosity that wasted the potential of the fertile land of Suriname where several already known plants, such as grapes, could be grown. She focused on medicinal and toxic species, such as oil from the seeds of Ricinus communis or Senna obtusifolia, which were applied to wounds, or abortive plants with which slave women controlled their reproduction. In one passage, Maria Sibylla Merian describes the traditional use of Caesalpinia pulcherrima: "The seeds are given to parturients because they accelerate childbirth. This is why indigenous women, harshly enslaved by the Dutch, seek this plant for abortion, so that their children are not born slaves and do not have to endure the same suffering as their mothers." She notes that watermelon consumption has numerous health benefits, such as reducing heart disease, better control of high blood pressure, and lowering LDL cholesterol.

 Illustration (left) and description (right) of Passiflora laurifolia in Maria Sibylla Merian's Metamorphosis Insectorum Surinamensium (1705)

Pineapple and beetle (left) - Spiders, ants and hummingbirds on a guava branch (right) - Maria Sibylla Merian (1705)

Over the centuries some species classified by Merian received, in honor of the scientist, the epithet "Merianella," later abandoned. Unlike most 17th- and 18th-century naturalists, Merian recognized the assistance by slaves, mainly African and indigenous women, in recognizing species and acquiring knowledge about their use. In 1715 Merian suffered a stroke. Despite being partially paralyzed, she continued her work. She died in Amsterdam in 1717. After her death the book was reprinted in 1719, 1726 and 1730, in German, Dutch, Latin and French. Merian was a role model and guide who pointed out to so many young women the possibility of success by pursuing their passions. She showed that it was possible to be an artist or scientist without being inevitably devalued or socially excluded. Merian's face was imprinted on five hundred mark bills of the Federal Republic of Germany, before Germany's conversion to the euro. Her portrait also appeared on a German postage stamp released on September 17, 1987, and many schools are named after her. In 2005, a research ship named after Maria S. Merian was launched in Germany. On April 2, 2013, she was honored with a Google Doodle on the 366th anniversary of her birth.

Maria Sibylla Merian depicted on a DM 500 banknote

Google Doodle for the anniversary of Maria Sibylla Merian

Merian was the first European woman to independently participate in a scientific expedition to South America. In the 19th century, other women followed in her footsteps and explored the natural world of Africa. In 2016, Metamorphosis Insectorum Surinamensium was republished with updated scientific descriptions, and in March 2017, the Lloyd Library and Museum in Cincinnati, Ohio, hosted "Off the Page," an exhibition that realized many of Merian's illustrations as 3-D sculptures.

 

Althea McNish
Rossana Laterza

Daniela Godel

 

«Una delle cinque designer donne che hanno cambiato la storia» (Architectural Digest).

La sua carriera artistica è stata decisamente luminosa anche a intenderla in senso strettamente letterale, per l’uso inedito ai suoi tempi nel campo del design tessile e della moda di «…pigmenti straordinariamente vividi» e luminosi. Nel 2022 la William Morris Gallery di Londra ha ospitato una mostra retrospettiva sull’artista, riproposta l’anno successivo alla Whitworth Art Gallery di Manchester, dal titolo Colour is mine. «…design innovativi… rosa lussureggiante e rosso intenso, fasce pittoriche di dettagli neri punteggiano motivi ripetuti e variegati… Althea McNish vedeva il nero come un colore potente…». https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Elementi di rottura in cui la scrittrice e storica dell’arte Kirsty Jukes coglie un cambio di passo rispetto alla moda della metà del secolo. «Sostituendo i più tradizionali pastelli, marroni, oliva e ruggine con vibranti magenta, scarlatti, chartreuse, melone e azzurro, porta ogni tonalità alla sua massima saturazione» (Ivi). Soluzioni artistiche in cui le radici che la tengono ancorata al lussureggiante paesaggio, alla flora, alla fauna e alle tradizioni culturali caraibiche della sua isola, e che lei stessa ha sempre definito il suo occhio tropicale, si intrecciano ai fermenti innovativi della Londra degli anni Sessanta, la Swinging London che da capitale di un impero sta per trasformarsi in capitale della moda.

Althea Mc Nish nasce nel 1924 a Port of Spain nell’isola di Trinidad che con Tobago, fin dal 1888, era stata amministrata come territorio unico dal Regno Unito. Nel 1962 le due isole diventano uno Stato indipendente e nel 1976 si trasformano in una Repubblica nell’ambito del Commonwealth. Nella sua lunga storia coloniale il Paese ha visto avvicendarsi i domini spagnolo, olandese, courlander, francese e inglese. La dominazione spagnola del XVI secolo aveva decimato la popolazione nativa e solo con le migrazioni coloniali spagnola e soprattutto francese post-rivoluzionaria, incentivate da esenzioni fiscali, le isole hanno cominciato a popolarsi di piantatori di cacao, indaco e tabacco con al seguito la manodopera schiavile proveniente dall’Africa e da altre colonie. Economia decollata specie a fine Settecento con i coloni inglesi orientati alla produzione della canna da zucchero e del cotone. Con l’abolizione della schiavitù le isole diventano meta di schiavi liberati di altre colonie caraibiche, dell’Asia e del Sud-America e il Regno Unito, in cerca di manodopera a basso costo per i suoi coloni, favorisce l’immigrazione nei Caraibi di persone a contratto provenienti dal sub-continente indiano.

L’incontro scontro di tale incredibile varietà di popolazioni, storie e tradizioni ha dato luogo a una caleidoscopica mescolanza culturale. La famiglia di Althea appartiene alla middle class colta dell’isola, suo padre Joseph Claude è scrittore ed editore discendente dei coloni Merikin (ex schiavi afro-americani che avevano combattuto nella guerra anglo francese del 1812), mentre la madre, Margaret Bourne, è una sarta e stilista ben nota. Althea, incoraggiata dalla famiglia, sviluppa precocemente l’interesse per il disegno e la pittura. L’isola sta vivendo una fase effervescente dal punto di vista politico, identitario, artistico e culturale e la ragazza entra a far parte della Trinidad Arts Society fondata nel 1943 da Sybil Atteck, disegnatrice biologica, acquarellista e pittrice espressionista che ne influenza lo stile. Dopo aver allestito la sua prima mostra a sedici anni, Althea continua a disegnare come cartografa e illustratrice entomologica per il governo britannico a Trinidad, tuttavia sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di una dimensione più congeniale si interessa anche di ingegneria edilizia e di architettura. Intanto la madrepatria britannica, in cerca di braccia per la ricostruzione post-bellica, favorisce i primi flussi migratori caraibici (Windrush generation) con cui arrivano anche esponenti della cultura, dell’arte e dello spettacolo, i ritmi del calipso e la tradizione del carnevale trinidadiano. Le aspettative ottimistiche della maggior parte della popolazione migrante destinata a lavorare come manodopera a basso costo vengono presto deluse a causa del clima diffusamente ostile e razzista che colpisce soprattutto la gente nera rendendo difficile persino trovare un alloggio dignitoso, fino a sfociare in episodi di aperta intolleranza e violenza (Notting Hill 1958).

Nel 1951, avendo vinto una borsa di studio per studiare architettura presso l’Architectural Association School di Bedford Square a Londra, Althea vi si trasferisce con la madre ricongiungendosi anche al padre che già vi lavora. Frequenta l’ambiente intellettuale e artistico della diaspora afro-caraibica e, per sua esplicita ammissione, lungo il suo percorso di studi non vivrà direttamente alcuna forma di discriminazione. Ben presto cambia corso per iscriversi alla London School of Printing and Graphic Arts dove l’incontro con lo scultore e incisore Eduardo Paolozzi, insegnante di disegno tessile, sarà determinante per la scelta di applicare il suo talento artistico ai tessuti. Segue il corso post laurea al Royal College of Art, situato entro gli spazi del Victoria & Albert Museum dove, «imparando a sviluppare combinazioni di colori, creare ripetizioni, preparare le opere d’arte per la produzione, apprendeva il processo di produzione» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Le competenze acquisite nella progettazione e nella produzione le permettono di salvaguardare la sua libertà inventiva e l’integrità dei colori scelti. Se l’audacia del disegno e del colore nei suoi progetti possono scoraggiare i serigrafi, le sue raffinate competenze tecniche tendono a superare ogni ostacolo. «Ogni volta che gli stampatori mi dicevano che non era possibile farlo, mostravo loro come farlo. In poco tempo l’impossibile diventava possibile» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Nelle sue tasche non possono mancare la matita per gli schizzi e la chiave a brugola indispensabile a regolare gli accessori sui telai serigrafici.

Secondo la storica del design Libby Sellers, Althea, fortemente determinata a esprimersi attraverso il suo originale e innovativo vocabolario artistico e a preservare la brillantezza dei suoi colori, non percepisce alcuno stridore fra le sue creazioni e lo spazio del Victoria and Albert Museum come luogo consacrato ufficialmente alle collezioni storiche dell’Impero britannico. Del resto negli anni Cinquanta e Sessanta si esce dall’austerità e dal grigiore del dopoguerra e il Royal College of Art è fucina della Pop Art, il design britannico si sta trasformando e il motto "Il colore è mio" è sintesi calzante della nuova arte di Althea: «…il tripudio di colori di McNish era come un vulcano in eruzione attraverso il centro del modernismo britannico conservatore» (Kirsty Jukes). Durante il corso di studi, tra i suoi design di maggior successo spicca Golden Harvest ispirato da una passeggiata in un campo di grano nell’Essex. « “A Trinidad camminavo attraverso le piantagioni di zucchero e campi di riso e ora stavo camminando attraverso un campo di grano. Un’esperienza gloriosa”. Questo bucolico idillio inglese trasposto attraverso la sua lente colorata, dà vita al progetto (1959). Il modello e le sue varie colorazioni saranno successivamente acquistati da Hull Traders» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).

Nel 1957 alla mostra di fine corso post laurea del Rca espone stampe vivaci e vistose ricche di motivi e fiori tropicali, disegni tessili che «portavano le forme botaniche naturali al limite dell’astrazione, con una tavolozza di colori sfrenata che ribaltava le rigide regole del design britannico del dopoguerra» (https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Subito dopo Arthur Stuart Liberty dei grandi magazzini di Londra, «Riconoscendone il talento unico e convinto che i consumatori britannici desiderino disperatamente andare oltre il grigiore degli anni del dopoguerra incarica la giovane designer di creare nuovi ed esclusivi design sia per la moda che per i tessuti d’arredamento. Tra i molti progetti ricordiamo Cebollas (1958) e Hibiscus (1958)» (Ivi). Lavora inoltre per Zika Ascher che dal 1942 con la stilista Lida, sua moglie, ha aperto un laboratorio di stampa su seta producendo tessuti stravaganti e sperimentali per l’industria della moda (famosi i foulard stampati con opere di grandi artisti contemporanei esposti in gallerie come opere d’arte) e che annovera fra i suoi clienti Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy e Lanvin.

I design di Althea appaiono sulle più note riviste di moda europee. Nel 1959 comincia anche a progettare per l’azienda di arredamento Hull Traders «specializzata in piccole tirature di tessuti disegnati da artisti che venivano serigrafati a mano utilizzando coloranti ricchi di pigmento»(Ivi). Shirley Craven, la principale designer dell’azienda, le commissiona nove modelli fra cui il citato Golden Harvest e Painted desert. «Inizialmente chiamato Old Man dal nome comune del cactus gigante, questo tessuto strabiliante incarna l’approccio di Althea, con il suo design grafico vagamente disegnato in nero su colori vivaci. Ed è anche il simbolo della sua totale padronanza dei processi e della tecnologia della serigrafia» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Lavora per aziende leader del Regno Unito come Cavendish Textiles, Danasco, Heals e Wallpaper Manufactures Ltd., per British Rail e Orient Steam Navigation, progettando tessuti destinati alla moda e all’arredamento, pannelli laminati, murales e carta da parati.

McNish si è sempre percepita come un’artista, da pittrice affermata a Trinidad a contatto con l’avanguardia culturale londinese supera i rigidi confini tra belle arti e arte applicata per approdare a nuove forme espressive e creando un linguaggio tutto suo: «Il mio design è funzionale, ma libero, puoi indossarlo, sedertici sopra, sdraiartici e starci in piedi sopra». Sperimenta tecniche pionieristiche, come la stampa dei suoi disegni direttamente su tavole laminate decorative di Warerite e multistrato dalla lavorazione complessa ed estremamente specialistica, progetta nuovi materiali e un nuovo tessuto in poliestere come il Terilene. E per il design trae ispirazione ovunque: «Non devo guardare molto lontano, di solito sono gli oggetti a portata di mano che mi vengono in aiuto. Vedo un’idea in una cipolla, un cavolo o qualsiasi altro oggetto in giro per lo studio». Viaggia regolarmente in Europa, vendendo i suoi progetti direttamente a prestigiose ditte in Svizzera, Italia Francia e Scandinavia e riceve nel suo studio londinese acquirenti e produttori stranieri. Nel 1966 disegna i tessuti per il guardaroba ufficiale della regina Elisabetta II per il Royal Tour nei Caraibi. All’Ideal Home Show di Londra del 1966 progetta e allestisce la Bachelor Girls Room, una stanza per una ragazza di città come lei, indipendente economicamente, che ha fiducia in sé stessa e svolge un lavoro creativo, svincolata da aspettative sociali e familiari che limitino entro i confini domestici le ambizioni e i desideri delle ragazze. Uno spazio agile e libero in cui poter esprimere la propria personalità, arredato con mobili componibili e vivaci stampe floreali, coerentemente con l’idea che «le donne dovrebbero avere sempre l’opportunità di mettere in mostra sé stesse, i propri talenti e i propri risultati…».

Come attivista per i diritti civili della comunità caraibica contribuisce a fondare il Cam (Caribbean Artistic Movement) impegnato dal 1966 al 1972 a promuovere l’arte, la musica e le tradizioni caraibiche. E mentre i discorsi razzisti di Enoch Powell fomentano discriminazione e violenze contro la popolazione immigrata non bianca, nonostante siano state approvate leggi contro la segregazione razziale, Althea decora gli spazi britannici con la flora della sua Trinidad, esprimendo la sua libera creatività, sentendosi legittimamente parte di un discorso artistico che valica i confini nazionali e diventando simbolo di una vera e propria «fusione di culture creolizzate». Nel 1969 sposa il designer di gioielli e argentiere John Weiss con cui condivide una ricca e profonda vita sentimentale, l’amore per l’arte e la passione per lo studio delle culture della migrazione e per l’insegnamento. Nel 1973 recita e progetta il set per Full House, un programma della Bbc sulle arti caraibiche di John La Rose, scrittore e attivista per i diritti civili della comunità caraibica fondatore del Cam. Nel 1958 organizza il Carnevale caraibico di Notting Hill collaborando con Claudette Jones, amica di famiglia e attivista per i diritti civili, ricoprendo, negli anni successivi, il ruolo di giudice. Nel 1963 British Vogue la definisce «il nuovo volto del British design». Nel 1969 allestisce la mostra centrale all’Ideal Home Show dal titolo Fiesta riportando da Trinidad una selezione di costumi premiati al Carnevale fra cui uno disegnato da lei. Espone in mostre collettive e personali in tutto il mondo continuando a vivere nella sua casa studio di West Green Road a Tottenham dove muore all’età di 95 anni, dopo 60 anni di attività.

A partire dagli anni Ottanta fino al 2022, anno della prima retrospettiva a lei dedicata, Althea McNish cade nell’oblio insieme a una quantità di artiste/i della diaspora afro-caraibica in Gran Bretagna. Il 15 maggio 2023 per celebrare il novantanovesimo anniversario dalla sua nascita, in West Green Road viene apposta una targa, la Nubian Jak Community Trust che riconosce il contributo storico delle minoranze etniche e della migrazione afrodiscendente in Gran Bretagna: «Il suo impatto sulla capitale ha risuonato per oltre mezzo secolo e confidiamo che la targa continuerà a rendere la sua eredità meglio conosciuta e non più invisibile alle generazioni future». Nell’autunno del 2024, nel centenario della nascita, si prevede l’uscita della prima monografia su Althea McNish scritta da Rose Sinclair per Yale Publishers.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

«Une des cinq designers femmes qui ont changé l’histoire» (Architectural Digest).

Grâce l’usage de “pigments étonnamment vibrants et lumineux”, tout à fait inédit à cette époque au sein du design textile et de la mode, la carrière artistique de Althea a été lumineuse au sens propre du mot. En 2022 la William Morris Gallery de Londres a accueilli une rétrospective au titre Colour is mine dediée à l’artiste, proposée à nouveau l’année suivante par la Whitworth Art Gallery de Manchester. Le commentaire “…design innovatif…rose exubérant et rouge intense, bandes peintes en détails noirs qui marquent les motifs répétés ou bien diversifiés… Althea Mc Nish utilise le noir comme une couleur puissante…” résume en peu de mots la puissance de son travail. https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Travail qui s’organise autour de plusierurs points de rupture que l’écrivain et historienne de l’art Kirsty Jukes définit comme un “changement de rythme par rapport à la mode de la moitié du siècle”. “Mc Nish pousse chaque tonalité à sa saturation maximale, remplaçant les nuances pastels traditionnelles telles que les marrons, olive, rouille par des vibrants magenta,cramoisi, chartreuse,melon et azur.” Les racines qui lient Althea au paysage verdoyant,à la flore, à la faune et aux traditions culturelles de son île antillaise, et que elle- même a toujour défini son œil tropical, se mèlent aux vagues d’innovation qui parcourent la Londres des années soixante, la Swinging London qui est en train de perdre son rôle de capitale d’un empire pour se transformer en capitale de la mode.

Althea Mc Nish naît en 1924 à Port of Spain dans l’île de Trinidad qui, avec Tobago, était administrée par le Royaume Uni depuis 1888 comme un seul territoire. En 1962 les deux îles acquièrent l’indépendance et en 1976 s’organisent comme une république au sein du Commonwealth. Tout au long de son histoire coloniale le Pays a connu tour à tour les dominations espagnole, hollandaise, courlander, française et anglaise. La domination espagnole du XVI siècle avait décimé la population native, mais c’est au sein des migrations coloniales espagnole et notamment française à la suite de la Révolution (encouragée par une exemption d’Impôts) que les îles ont été peuplées par les planteurs de cacao, indigo et tabac, suivis par la main-d’ôeuvre des esclaves provenants de l’Afrique et d’autres colonies. L’économie démarre à la fin du XVIII siècle grâce aux colons anglais qui se dédient à la production de la canne à sucre et du coton. A la suite de l’abolition de l’esclavage, les îles accueillent les esclaves libérés provenants d’autres colonies antillaises, aussi bien que de l’Asie ou de l’Amérique du Sud. C’est alors que le Royaume Uni, à la recherche de main-d’ôeuvre à bas coût pour ses colons, encourage l’immigration aux Caraibes d’individus à contract provenants du sous-continent indien.

Cet incroyable mélange de populations, histoires et traditions a produit un mixage culturel kaléidoscopique. La famille d’Althea fait partie de la middle class cultivée de l’île: son père Joseph Claude est un écrivain et éditeur qui descend des colons Merikin (esclaves afro-américains qui avaient pris part à la guerre anglo-française du 1812) tandis que sa mère Margaret Bourne est une couturière et styliste renommée. Encouragée par sa famille, Althea s’intéresse bientôt au dessin et à la peinture dans une période qui voit l’ île parcourue par des vagues de renouvement politique, identitaire, artistique et culturel. La jeune fille fait partie de la Trinidad Arts Society fondée en 1943 par Sybil Atteck, illustratrice biologique, aquarelliste et peintre expressionniste dont le style va influencer celui de Althea. Après avoir organisé sa prémière expositionà l’âge de seize ans, elle continue à dessiner comme cartographe et illustratrice entomologique pour le gouvernement britannique à Trinidad. Toutefois elle est à la recherche de nouvelles idées et de situations plus correspondantes à ses intérêts, et s’oriente aussi vers l’ingénierie de contruction et vers l’architecture. C’est la période où l’Angleterre encourage les premiers mouvements migratoires (Windrush generation) caribéens, à la recherche de main- d’œuvre pour la reconstruction d’après-guerre. A la suite de ce flux arrivent aussi des nombreux représentants de la culture, de l’art et du spectacle, ainsi que le rythme du Calipso et la tradition du Carnaval de Trinidad. Malheureusement les attentes de la plupart des migrants, destinés à travailler comme main- d’œuvre bon marché, sont bientôt déçues: l’atmosphère hostile et raciste vers les noirs est tellement forte qu’il devient difficile même trouver un logement décent, et on arrive à des épisodes d’intolérance et de violence (Notting Hill 1958).

En 1951 Althea obtient une bourse pour étudier l’architecture au sein de l’Architectural Association School de Bedford Square a Londres et elle s’installe dans la capitale avec sa mère et son père, qui y travaille depuis quelque temps. Elle fréquente le milieu intellectuel et artistique de la diaspora afro-antillaise et elle avoue de n’avoir jamais connu des situations de discriminations tout au long de ses études. Bientôt, elle change son parcours et s’inscrit à la London School of Printing and Graphic Arts: c’est à ce moment qu’elle décide d’orienter son talent artistique vers les tissus, grâce aussi à la rencontre avec le sculpteur et graveur Eduardo Paolozzi qui est son enseignant de design textile. Althea poursuit son parcours avec un cours de troisième cycle au Royal College of Art, situé à l’intérieur du Victoria & Albert Museum. Ici elle “apprend à développer les jeux des couleurs, créer des répétitions, preparer des œuvres d’art pour la production, bref, apprendre le processus complet de la production”(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Les compétences sur la conception et la fabrication apprises tout au long de ses études lui permettent de préserver sa liberté en matière de projet, ainsi que le choix des couleurs à utiliser. Face aux doutes posés par les imprimeurs devant l’audace du dessin et de la couleur, avec ses compétences techniques elle est capable de surmonter toute difficulté: “Chaque fois qu’un imprimeur me disait qu’il n’était pas possible de réaliser ce que je lui proposais, je lui montrais comment le faire et en peu de temps l’impossible devenait possible” (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Dans ses poches ne manquent jamais un crayon pour les croquis et une clé hexagonale indispensable pour régler l’écran de sérigraphie.

L’historienne du design Libby Sellers déclare qu’ Althea se trouve parfaitement à l’aise au milieu du Victoria and Albert Museum, malgré ce lieu soit consacré officiellement aux collections historiques de l’Empire Britannique. La jeune fille considère ses créations parfaitement intégrées au milieu, poussée par le désir de s’exprimer à travers son vocabulaire artistique personnel, fait de couleurs vibrants et innovatifs. Ce n’est pas au hasard que dans les années cinquante et soixante on sort de l’austérité et de la grisaille de l’après guerre et le Royal College of Art est le foyer de la Pop Art. Le design britannique est en pleine transformation, la devise “la couleur est mienne” est le résumé parfait de la nouvelle art de Althea: ”…le festival de couleurs de Mc Nish était comme un volcan en éruption à travers le centre du modernisme britannique conservateur” (Kirsty Jukes). Pendant le cours de ses études, parmi les dessins qui ont le plus grand succès, se détache Golden Harvest, qui prend inspiration d’une promenade dans un champ de blé dans la région anglaise de l’Essex. “A Trinidad je marchais au long des plantations de canne à sucre et champs de riz, et maintenant je marchais à travers un champ de blé. C’était une expérience glorieuse”. L’idylle bucolique, revisité à travers la lentille colorée d’Althea donne naissance au projet (1959). Le modèle avec ses différentes couleurs est successivement acheté par Hull Traders(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).

En 1957 Althea présente ses travaux à l’exposition de fin du cours d’études: il s’agit d’ impressions vivaces et bruyantes, riches en motifs et fleurs tropicaux, dessins textiles qui “conduisaient les formes botaniques de la nature à la limite de l’abstraction, par une palette de couleurs débordante, capable de basculer les strictes régles du design britannique de l’après-guerre. https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Peu après Arthur Stuart Liberty des grands magasins de Londres, en reconnaissant le talent unique d’Althea et convaincu que les consommateurs britanniques souhaient absolument abandonner la grisaille des années de l’après-guerre, confie à la jeune designer la création de dessins exclusifs et nouveaux à reproduire soit dans la mode que dans les tissus de décoration. Parmi un grand nombre de projets il faut remarquer Cebollas (1958) et Hibiscus (1958). (Ivi) Althea travaille aussi pour Zika Ascher qui depuis 1942, avec sa femme et styliste Lyda, a ouvert un atelier de presse sur soie. Ascher produit pour l’industrie de la mode des tissus extravagants et expérimentaux (ces célèbres foulards imprimés avec des ouvrages des grands artistes contemporains, aujourd’hui exposés dans les galeries comme des chef-d’œuvres). Parmi ses clients on remarque Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy e Lanvin.

Les dessins d’Althea paraissent dans les pages des revues de mode éuropéennes les plus importantes. En 1959 démarre sa collaboration avec l’entreprise de décor d’intérieurs Hull Traders “specialisée dans le tirage limité de tissus artistiques, sérigraphiés à la main en utilisant des colorants riches en pigments” (Ivi). Le chef designer de l’entreprise, Shirley Craven, demande à Althea neuf modèles, parmi lesquels le susmentionné Golden Harvest et Painted desert. Appelé au début Old Man par le nom du cactus géant, ce tissu étonnant incarne le style d’Althéa, avec son design graphique esquissé en noir sur des couleurs vivaces. Et c’est aussi la démonstration de sa maîtrise totale en ce qui concerne les processus et la technologie de la sérigraphie.(https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Althea travaille pour les entreprises du Royaume Unis telles que Cavendish Textiles, Danasco, Heals et Wallpaper Manufactures Ltd., pour British Rail et Orient Steam Navigation, en projetant des tissus destinés à la mode et au décor, des panneaux stratifiés,des fresques et de la tapisserie.

Mc Nish s’est toujours perçue comme une artiste: depuis ses prémières expériences comme peintre rénommée à Trinidad jusqu’au liens avec l’avant-garde culturelle londonnaise, elle franchit les limites strictes entre beaux-arts et arts décoratifs. Elle parvient à des formes expressives nouvelles tout en forgeant son style personnel: ” Mon design est fonctionnel mais sans contrainte: tu peux le porter, t’asseoir dessus, t’allonger dessus, y monter dessus”. Althea expérimente des techniques novatrices, telles que l’impression de ses dessins directement sur des planches laminées décoratives en Warerite ou bien sur des feuilles stratifiées au processus compliqué, elle conçoit des nouveaux matériaux et un nouveau tissu en polyester nommé Terilene. Elle prend inspiration un peu partout:” Je ne dois pas chercher trop loin, d’habitude ce sont les choses de tous les jours qui m’inspirent. Je trouve une idée dans un oignon, un chou ou n’importe quel objet se trouve dans mon atelier.” L’artiste voyage régulièrement en Europe pour vendre ses projets directement aux entreprises prestigieuses de Suisse, Italie, France ou bien Scandinavie, tout en accueillant dans son cabinet à Londres les clients et producteurs étrangers. En 1966 est chargée de dessiner les tissus pour le garde-robe officiel de la Reine Elisabeth II en voyage pour le Royal Tour dans les Caraibes. La même année elle prends part à l’Ideal Home Show de Londres: elle conçoit et aménage la Bachelor Girls Room, une chambre pour une jeune fille citadine comme elle, financièrement indépendante, confiante en elle-même grâce à un travail créatif, libérée de contraintes sociales ou familiales qui puissent étouffer les aspirations et les désirs féminins. La chambre se présente comme un endroit flexible et libre, à l’intérieur du quel il est possible exprimer sa propre personnalité: amenagée avec des meubles modulaires et décorée par des motifs floraux aux couleurs vibrantes, elle transmet le concept que ”les femmes devraient avoir toujours la possibilité d’exhiber leurs talents et leurs résultats aussi bien que elles-mêmes”.

En tant qu’activiste pour les droits civiques de la communauté antillaise, elle participe à la fondation du CAM (Caribbean Artistic Movement), qui entre le 1966 et le 1972 s’occupe de faire connaître l’art, la musique et les traditions des Caraibes. Pendant que les discours racistes de Enoch Powell fomentent la discrimination et les violences contre la population immigrée de couleur, bien que les lois contre la ségrégation raciale aient été approuvées, Althea décore les intérieurs britanniques avec la flore de sa Trinidad, en exprimant sa liberté créatrice, consciente de prendre part à un discours artistique qui franchit les frontières nationales et devient symbôle d’une véritable ”fusion de cultures créoles”. En 1969 Althea se marie avec le créateur de bijoux John Weiss, avec son époux elle partage non seulement une vie conjugale profonde et riche, mais aussi l’amour pour l’art et la passion pour l’étude des cultures des migrations et pour l’enseignement. En 1973 elle aménage le décor et prends part en tant qu’actrice à Full House, une émission de la BBC sur les arts antillaises de John La Rose, écrivain et activiste pour les droits civiques de la communauté caraibique, fondateur du Cam. En 1958 Althea organise le Carnaval Caraibique de Notting Hill en collaboration avec Claudette Jones, amie de famille et elle aussi activiste, et dans les années suivantes elle fait partie du jury. En 1969 elle aménage l’exposition centrale au titre Fiesta à l’IDEAL HOME SHOW, en utilisant une selection de costumes qui avaient obtenu un prix au concours du carnaval, dont l’un dessiné par elle- même. Tout en menant sa vie dans sa maison atelier de West Green Road à Tottenham, elle participe à des expositions individuelles et collectives partout dans le monde. Elle meurt enfin à 95 ans, après 60 ans d’activité.

A partir des années 80 et jusqu’au 2022, date de la prémière retrospective qu’on lui dédie, Althea Mc Nish tombe dans l’oubli avec un grand nombre d’artistes qui avaient fait partie de la diaspora afro-antillaise en Grande Bretagne. Le 15 mai 2023, à l’occasion du 99ième anniversaire de sa naissance, on pose une plaque en West Green Road, la Nubian Jak Community Trust, qui reconnait l‘importance du contribut historique apporté à la Grande Bretagne par les minorités ethniques et par la migration des gens de couleur. “L’influence de sa personnalité s’est épanouie sur la capitale pendant plus qu’un demi-siècle: nous confions que cette plaque permettra aux générations futures de mieux connaître son héritage et de ne pas laisser tomber l’oubli sur cette femme formidable”. La sortie de la prémière biographie dediée à Althea Mc Nish, par Rose Sinclair aux éditions Yale Publishers, a eu lieu dans l’automne 2024, à l’occasion du centenaire de la naissance de l’artiste.


Traduzione spagnola

Alexandra Paternò

«Una de las cinco diseñadoras que han cambiado la historia» (Architectural Digest).

Su carrera artística fue sin duda luminosa, también en un sentido estrictamente literal, por su uso inédito de «…pigmentos extraordinariamente vívidos» y luminosos en el campo del diseño textil y de la moda. En 2022, la William Morris Gallery de Londres acogió una exposición retrospectiva sobre la artista, que se repitió el año siguiente en la Withworth Art Gallery de Manchester, titulada Colour is mine (El color es mío). «…diseños innovadores… rosas exuberantes y rojos profundos, bandas pictóricas de detalles negros puntean motivos repetidos y variados… Althea McNish veía el negro como un color poderoso…». (https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Elementos rompedores en los que la escritora e historiadora del arte Kristy Jukes reconoce un cambio de ritmo con respecto a la moda de mediados de siglo XX. «Sustituyendo los pasteles, marrones, oliva y óxido más tradicionales por vibrantes magenta, escarlatas, chartreuse, melón y azul claro, lleva cada tono a su máxima saturación» (Ibid). Soluciones artísticas en las que las raíces que la mantienen anclada al exuberante paisaje, a la flora, a la fauna y a las tradiciones culturales caribeñas de su isla, y que ella misma siempre ha llamado su ojo tropical, se entrelazan con los fermentos innovadores de Londres de los años sesenta, el Swinging London que estaba a punto de transformarse de capital de un imperio en capital de la moda.

Althea McNish nació en 1924 en Puerto España, en la isla de Trinidad que junto con Tobago había sido administrada como un solo territorio por el Reino Unido desde 1888. Las dos islas se convirtieron en 1962 en estado independiente y en 1976 en república dentro de la Commonwealth. En su larga historia colonial, el país ha alternado los dominios español, holandés, curlandés, francés e inglés. El dominio español del siglo XVI había diezmado la población nativa y solamente con las migraciones coloniales españolas, y sobre todo francesas después de la revolución, estimuladas por las exenciones fiscales, ambas islas empezaron a poblarse de plantadores de cacao, índigo y tabaco, acompañados por mano de obra esclava procedente de África y otras colonias. La economía despegó, especialmente a finales del siglo XVIII con los colonos británicos centrados en la producción de caña de azúcar y algodón. Después de la abolición de la esclavitud, las islas se convirtieron en la meta de los esclavos liberados de otras colonias caribeñas, asiáticas y sudamericanas, y el Reino Unido, en búsqueda de mano de obra barata para sus colonos, favoreció la inmigración al Caribe de trabajadores contratados en el subcontinente indio.

La colisión de una variedad tan increíble de poblaciones, historias y tradiciones dio lugar a una mezcla cultural caleidoscópica. La familia de Althea pertenecía a la clase media culta de la isla, su padre Joseph Claude fue escritor y editor descendiente de los colonos Merikin (antiguos esclavos afroamericanos que habían luchado en la guerra anglo-francesa de 1812), mientras que su madre, Margare Bourne, fue una conocida costurera y diseñadora de moda. Althea, animada por su familia, desarrolló un temprano interés por el dibujo y la pintura. La isla estaba viviendo una fase de efervescencia política, identitaria, artística y cultural, y ella se unió a la Trinidad Art Society, fundada en 1943 por Sybil Atteck, diseñadora biológica, acuarelista y pintora expresionista que influyó en su estilo. Después de realizar su primera exposición a los dieciséis años, Althea siguió dibujando como cartógrafa e ilustradora entomológica para el gobierno británico en Trinidad; sin embargo, siempre en búsqueda de nuevos estímulos y de una dimensión más congenial, se interesó también por la construcción y la arquitectura. Mientras tanto, su madre patria inglesa, en búsqueda de mano de obra para la reconstrucción tras la guerra, favoreció los primeros flujos migratorios caribeños (generación Windrush), con los que llegaron también exponentes de la cultura, del arte y del espectáculo, los ritmos calipsos y la tradición carnavalesca de Trinidad. Las optimistas expectativas de la mayoría de la población inmigrante destinada a trabajar como mano de obra barata pronto se vieron truncadas debido al clima hostil y racista generalizado que afectaba especialmente a la población negra, dificultando incluso la búsqueda de una vivienda digna, llegando a producirse episodios de abierta intolerancia y violencia (Notting Hill 1958).

En 1951, tras haber ganado una beca para estudiar arquitectura en la Architectural Association School de Bedford Square, en Londres, Althea se trasladó allí con su madre, reuniéndose con su padre, que ya trabajaba allí. Frecuentó el ambiente intelectual y artístico de la diáspora afrocaribeña y, según ella misma admitió explícitamente, no experimentaría directamente ninguna forma de discriminación durante sus estudios. Pronto cambió de rumbo para matricularse en la London School of Printing and Graphic Arts, donde su encuentro con el escultor y grabador Eduardo Paolozzi, profesor de diseño textil, será importante en su decisión de aplicar su talento artístico a los tejidos. Siguió un curso de postgrado en el Royal College of Art, que se encontraba situado en los espacios del Victoria & Albert Museum donde, «aprendiendo a desarrollar combinaciones de colores, crear repeticiones, preparar obras de arte para la producción, aprendía el proceso de producción»(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Los conocimientos adquiridos en diseño y producción le permitieron salvaguardar su libertad inventiva y la integridad de los colores elegidos. Si la audacia del diseño y el color de sus proyectos podían desanimar a los impresores serigráficos, sus refinadas habilidades técnicas tendían a superar cualquier obstáculo. «Cuando los impresores me decían que no se podía, yo les enseñaba cómo hacerlo. En poco tiempo lo imposible se hizo posible» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). En sus bolsillos no faltaban nunca un lápiz de dibujo y una llave Allen necesaria para ajustar los accesorios de los bastidores de serigrafía.

Según la historiadora del diseño Libby Sellers, Althea, fuertemente decidida a expresarse a través de su original e innovador vocabulario artístico y a preservar la brillantez de sus colores, no percibía ningún choque entre sus creaciones y el espacio del Victoria and Albert Museum como lugar oficialmente dedicado a las colecciones históricas del Imperio Británico. Al fin y al cabo, en los años 50 y 60, la sociedad salía de la austeridad y la grisura de los años de posguerra y el Royal College of Art era la forja del Pop Art, el diseño británico se estaba transformando y el lema «El color es mío» era un resumen apropiado del nuevo arte de Althea: «...la explosión de colores de McNish era como un volcán en erupción en medio del conservador modernismo británico» (Kirsty Jukes). Durante sus estudios, uno de sus diseños de mayor éxito fue Golden Harvest, inspirado en un paseo por un campo de trigo en Essex. «“En Trinidad estuve paseando por plantaciones de azúcar y arrozales, y ahora estaba caminando por un campo de trigo. Una experiencia gloriosa”. Este bucólico idilio inglés transpuesto a través de su colorida lente dio origen a dicho proyecto (1959). El modelo y sus diversos colores fueron adquiridos posteriormente por Hull Traders» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).

En 1957, en la exposición de postgrado de la RCA, expuso vívidos y llamativos estampados llenos de motivos tropicales y flores, diseños textiles que «llevaban las formas botánicas naturales al borde de la abstracción, con una paleta de colores desenfrenada que revertía las rígidas normas del diseño británico de la posguerra» (https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Poco después Arthur Stuart Liberty, de los grandes almacenes londinenses, «reconociendo su talento único y convencido de que los consumidores británicos deseaban desesperadamente ir más allá de la grisura de los años de la posguerra, le encargó a la joven diseñadora la creación de nuevos y exclusivos diseños tanto para la moda como de tejidos para interiorismo». Entre los numerosos diseños se encuentran Cebollas (1958) e Hibiscos (1958)» (Ibid.). También trabajó para Zika Ascher, quien, desde 1942, con su esposa, la diseñadora de moda Lida, abrió un taller de estampación de seda que producía tejidos extravagantes y experimentales para la industria de la moda (son famosos los pañuelos estampados con obras de grandes artistas contemporáneos expuestos en galerías como obras de arte) y entre cuyos clientes figuran Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy y Lanvin.

Los diseños de Althea aparecieron en las revistas de moda más conocidas de Europa. En 1959 también empezó a diseñar para la empresa de muebles Hull Traders, «especializada en pequeñas tiradas de telas diseñadas por artistas que se serigrafiaban a mano con tintes ricos en pigmentos» (Ibid.). Shirley Craven, diseñadora principal de la empresa, le encargó nueve modelos, entre ellos los ya mencionados Golden Harvest (Cultivo Dorado) y Painted desert (Desierto Pintado). «Inicialmente llamado Old Man, por el nombre común del cactus gigante, este sorprendente tejido encarna el enfoque de Althea, con su diseño gráfico vagamente dibujado en negro sobre colores brillantes. También simboliza su dominio total de los procesos y la tecnología de la serigrafía» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Trabaja para importantes empresas británicas como Cavendish Textiles, Danasco, Heals y Wallpaper Manufactures Ltd., para British Rail y Orient Steam Navigation, diseñando tejidos para la moda y para interiorismo, paneles laminados, murales y papel pintado.

McNish siempre se percibió a sí misma como artista y, como pintora reconocida en Trinidad en contacto con la vanguardia cultural londinense, trascendió las rígidas fronteras entre bellas artes y las artes aplicadas para llegar a nuevas formas de expresión y crear un lenguaje propio: «Mi diseño es funcional, pero libre, puedes llevarlo puesto, sentarte en él, tumbarte en él y estar de pie sobre él». Experimentó con técnicas pioneras, como la impresión directa de sus diseños sobre paneles laminados decorativos de WareRite y tableros laminados multicapa con una elaboración compleja y extremadamente especializada, diseñó nuevos materiales y un nuevo tejido de poliéster como el Terylene. Y para diseñar se inspiraba en todas partes: «No tengo que buscar muy lejos, normalmente son los objetos que tengo a mano los que acuden en mi ayuda. Veo una idea en una cebolla, un repollo o cualquier otro objeto del estudio». Viajaba regularmente por Europa, vendiendo sus diseños directamente a prestigiosas firmas de Suiza, Italia, Francia y Escandinavia, y recibiendo en su estudio de Londres a compradores y fabricantes extranjeros. En 1966 diseñó los tejidos del vestuario oficial de la reina Isabel II para el Royal Tour por el Caribe. En la feria Ideal Home Show de Londres de 1966, diseñó y montó la Bachelor Girls Room (cuarto de la chica soltera), una habitación para una chica de ciudad como ella, económicamente independiente, segura de sí misma y que realizaba un trabajo creativo, libre de las expectativas sociales y familiares que limitaban sus ambiciones dentro de los confines del hogar. Un espacio ágil y libre en el que expresar la propia personalidad, amueblado con muebles modulares y vivos estampados floreales, coherente con la idea de que «las mujeres deben tener siempre la oportunidad de mostrarse a sí mismas, sus talentos y sus logros».

Como activista de los derechos civiles de la comunidad caribeña, ayudó a fundar el CAM (Movimiento Artístico Caribeño), que entre 1966 y 1972 se dedicó a promover el arte, la música y las tradiciones caribeñas. Y mientras los discursos racistas de Enoch Powell fomentaban la discriminación y la violencia contra la población inmigrante no blanca, a pesar de la aprobación de leyes contra la segregación racial, Althea decoraba los espacios británicos con la flora de su Trinidad, expresando su libre creatividad, sintiéndose legítimamente parte de un discurso artístico que traspasaba las fronteras nacionales y convirtiéndose en símbolo de una verdadera «fusión de culturas criollas». En 1969 se casó con el diseñador de joyas y platero John Weiss, con quien compartió una rica y profunda vida amorosa, el amor por el arte y la pasión por el estudio de las culturas migrantes y la enseñanza. En 1973 diseñó el escenario de Full House, un programa de la BBC sobre las artes caribeñas, en el que también actuó, realizado por John La Rose, escritor y activista de los derechos civiles de la comunidad caribeña y fundador del CAM. En 1958 organizó el Carnaval Caribeño de Notting Hill, colaborando con Claudette Jones, amiga de la familia y activista por los derechos civiles, y en los años siguientes formó parte de su jurado. En 1963, la revista British Vogue la definió como «la nueva cara del diseño británico». En 1969 montó la exposición central de la Ideal Home Show, titulada Fiesta, llevando una selección de trajes de Trinidad premiados en el Carnaval, incluso uno diseñado por ella. Tomó parte en exposiciones colectivas y personales por todo el mundo, y siguió viviendo en su estudio de West Green Road, en Tottenham, donde murió a los 95 años, después de 60 años trabajando.

Desde la década de 1980 hasta 2022, año de la primera retrospectiva que se le dedica, Althea McNish cayó en el olvido junto con la multitud de artistas de la diáspora afrocaribeña en Gran Bretaña. El 15 de mayo de 2023, con motivo del noventa y nueve aniversario de su nacimiento, se colocó una placa en West Green Road, la Nubian Jak Community Trust, que reconoce la contribución histórica de las minorías étnicas y de la migración afrodescendiente en Gran Bretaña: «Su impacto en la capital ha resonado durante más de medio siglo y confiamos en que la placa siga haciendo que su herencia sea más conocida y deje de ser invisible para las generaciones futuras». En otoño de 2024, en el centenario de su nacimiento, estaba prevista la publicación de la primera monografía sobre Althea McNish, escrita por Rose Sinclair para la editorial Yale; de momento se ha publicado un artículo (‘Black because it has power in it …’ The Textile Designs of Althea McNish de Rose Sinclair) en «Decoratives arts journal», n° 47, 2023 (https://research.gold.ac.uk/id/eprint/35793/1/06_DAS%202023%20Sinclair_pp90-107_2-03.pdf).


Traduzione inglese

Syd Stapleton

«One of five female designers who changed history» (Architectural Digest).

Her artistic career was decidedly luminous even when understood in a strictly literal sense, due to her use of "...extraordinarily vivid" and luminous pigments, unprecedented in her day in textile and fashion design. In 2022, the William Morris Gallery in London hosted a retrospective exhibition on the artist, repeated the following year at the Whitworth Art Gallery in Manchester, entitled Colour Is Mine. "...innovative designs... lush pinks and deep reds, painterly bands of black details punctuate repeated and varied patterns... Althea McNish saw black as a powerful color...." https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery Breaking elements in which writer and art historian Kirsty Jukes captures a change of pace from mid-century fashion. "Replacing the more traditional pastels, browns, olives, and rusts with vibrant magentas, scarlets, chartreuse, melon, and light blues, she takes each hue to its maximum saturation" (Ibid.). Artistic solutions in which the roots that keep her grounded in the lush Caribbean landscape, flora, fauna and cultural traditions of her island, and which she has always called her tropical eye, are intertwined with the innovative ferments of 1960s London, the Swinging London that was about to transform from the capital of an empire into the capital of fashion.

Althea Mc Nish was born in 1924 in Port of Spain on the island of Trinidad, which with Tobago had been administered as a single territory by the United Kingdom since 1888. In 1962 the two islands became an independent state and in 1976 became a republic under the Commonwealth. In its long colonial history the country has seen alternating Spanish, Dutch, Courlander, French, and British rule. Sixteenth-century Spanish rule had decimated the native population, and it was not until the Spanish and especially French post-revolutionary colonial migrations, stimulated by tax exemptions, that the islands began to be populated by cocoa, indigo and tobacco planters with slave labor from Africa and other colonies in tow. The economy took off, especially in the late 1700s, with English settlers geared toward sugarcane and cotton production. With the abolition of slavery, the islands became a destination for freed slaves from other Caribbean, Asian and South American colonies, and the United Kingdom, seeking cheap labor for its colonists, encouraged the immigration of contract laborers from the Indian sub-continent to the Caribbean.

The clash of such an incredible variety of populations, histories and traditions resulted in a kaleidoscopic cultural mix. Althea's family belonged to the island's educated middle class; her father Joseph Claude was a writer and publisher descended from Merikin settlers (former African-American slaves who had fought in the Anglo-French War of 1812), while her mother, Margaret Bourne, was a well-known seamstress and fashion designer. Althea, encouraged by her family, developed an early interest in drawing and painting. The island experienced an effervescent phase politically, identifiably, artistically and culturally, and she joined the Trinidad Arts Society founded in 1943 by Sybil Atteck, an organic draftsman, watercolorist and expressionist painter who influenced its style. After mounting her first exhibition at the age of sixteen, Althea continued to draw as a cartographer and entomological illustrator for the British government in Trinidad, yet always in search of new stimuli and a more congenial dimension she also became interested in building engineering and architecture. Meanwhile, the British motherland, in search of arms for post-war reconstruction, fosters the first Caribbean migratory flows (Windrush generation) with which exponents of culture, art and entertainment, calypso rhythms and the Trinidadian carnival tradition also arrive. The optimistic expectations of the majority of the migrant population destined to work as cheap labor were soon dashed because of the widely hostile and racist climate that affected black people in particular, making it difficult even to find decent housing, eventually erupting into incidents of open intolerance and violence (Notting Hill 1958).

In 1951, having won a scholarship to study architecture at the Architectural Association School in London's Bedford Square, Althea moved there with her mother, also reuniting with her father, who was already working there. She frequented the intellectual and artistic milieu of the Afro-Caribbean diaspora and, by her explicit admission, would not directly experience any form of discrimination along her course of study. She soon changed course to enroll at the London School of Printing and Graphic Arts where an encounter with sculptor and printmaker Eduardo Paolozzi, a teacher of textile design, would be instrumental in her decision to apply her artistic talents to textiles. She followed the postgraduate course at the Royal College of Art, located within the spaces of the Victoria & Albert Museum where, "learning how to develop color combinations, create repetitions, prepare artworks for production, she learned the production process" (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). The skills she acquired in design and production allowed her to safeguard her inventive freedom and the integrity of her chosen colors. While the boldness of design and color in her designs may deter screen printers, her refined technical skills tend to overcome all obstacles. "Whenever the printers told me it couldn't be done, I showed them how to do it. In no time the impossible became possible." (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Her pockets could not be without her sketching pencil and the Allen wrench essential for adjusting accessories on screen printing frames.

According to design historian Libby Sellers, Althea, strongly determined to express herself through her original and innovative artistic vocabulary and to preserve the brilliance of her colors, perceived no jarring between her creations and the space of the Victoria and Albert Museum as a place officially consecrated to the historical collections of the British Empire. After all, in the 1950s and 1960s, people were emerging from the austerity and grayness of the postwar years and the Royal College of Art was a hotbed of Pop Art. British design was being transformed, and the motto "Color is Mine" was a fitting summary of Althea's new art: "...McNish's riot of color was like a volcano erupting through the center of conservative British modernism" (Kirsty Jukes). While in school, among her most successful designs is Golden Harvest inspired by a walk through a wheat field in Essex. " "In Trinidad I was walking through sugar plantations and rice fields and now I was walking through a wheat field. A glorious experience." This bucolic English idyll transposed through its colorful lens gave birth to the project (1959). The model and its various colors would later be purchased by Hull Traders." https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish

In 1957 at the RCA's postgraduate exhibition she exhibited vibrant, eye-catching prints full of tropical motifs and flowers, textile designs that "took natural botanical forms to the edge of abstraction, with an unrestrained color palette that overturned the rigid rules of postwar British design" (https://www.nsead. org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/) Soon after Arthur Stuart Liberty of the London department stores, "Recognizing her unique talent and convinced that British consumers desperately wanted to move beyond the drabness of the post-war years commissioned the young designer to create new and exclusive designs for both fashion and upholstery fabrics. Among the many projects are Cebollas (1958) and Hibiscus (1958" (Ibid.).” She also worked for Zika Ascher, who in 1942, with his fashion designer wife Lida, opened a silk printing workshop producing extravagant and experimental fabrics for the fashion industry (famous are the scarves printed with works by great contemporary artists displayed in galleries as works of art) and whose clients include Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy and Lanvin.

Althea's designs appeared in Europe's best-known fashion magazines. In 1959 she also began designing for the furniture company Hull Traders, "specializing in small runs of artist-designed fabrics that were screen-printed by hand using pigment-rich dyes."(Ibid). Shirley Craven, the company's principal designer, commissioned her to design nine patterns including the aforementioned Golden Harvest and Painted Desert. "Initially named Old Man after the common name for the giant cactus, this jaw-dropping fabric epitomizes Althea's approach, with its loosely drawn graphic design in black on bright colors. And it also symbolizes her total mastery of screen printing processes and technology." (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/) She worked for leading U.K. companies such as Cavendish Textiles, Danasco, Heals, and Wallpaper Manufactures Ltd. and for British Rail and Orient Steam Navigation, designing textiles for fashion and furniture, laminated panels, murals and wallpaper.

McNish always perceived herself as an artist, as an established painter in Trinidad in contact with London's cultural avant-garde she crossed the rigid boundaries between fine and applied art to arrive at new forms of expression and creating a language all her own: "My design is functional, but free, you can wear it, sit on it, lie on it and stand on it." She experimented with pioneering techniques, such as printing her designs directly on decorative Warerite and multilayer laminated boards with complex and extremely specialized workmanship, designing new materials and a new polyester fabric such as Terilene. And for design she drew inspiration from everywhere: "I don't have to look very far, it's usually the objects at hand that come to my aid. I see an idea in an onion, a cabbage or any other object around the studio." She traveled regularly in Europe, selling her designs directly to prestigious firms in Switzerland, Italy France and Scandinavia and receiving foreign buyers and manufacturers in her London studio. In 1966 she designed fabrics for Queen Elizabeth II's official wardrobe for the Royal Tour to the Caribbean. At the 1966 Ideal Home Show in London, she designed and set up the Bachelor Girls Room, a room for a city girl like herself, economically independent, self-confident, and creatively employed, freed from social and familial expectations that limit within the confines of the home the ambitions and desires of girls. A nimble, free space in which to express her personality, furnished with modular furniture and vibrant floral prints, consistent with the idea that "women should always have the opportunity to showcase themselves, their talents, and their achievements...."

As a civil rights activist in the Caribbean community she helped found the CAM (Caribbean Artistic Movement) engaged from 1966 to 1972 in promoting Caribbean art, music and traditions. And while Enoch Powell's racist speeches fomented discrimination and violence against the nonwhite immigrant population, despite the fact that laws against racial segregation had been passed, Althea decorated British spaces with the flora of her Trinidad, expressing her free creativity, feeling legitimately part of an artistic discourse that crossed national boundaries and became a symbol of a true "fusion of creolized cultures." In 1969 she married jewelry designer and silversmith John Weiss with whom she shared a rich and deep love life, a love of art and a passion for studying migration cultures and teaching. In 1973 she acted in and designed the set for Full House, a BBC program on the Caribbean arts by John La Rose, writer and civil rights activist for the Caribbean community and founder of CAM. In 1958 she organized the Notting Hill Caribbean Carnival, collaborating with Claudette Jones, a family friend and civil rights activist, serving as a judge in later years. In 1963 British Vogue called her "the new face of British design." In 1969 she mounted the central exhibition at the Ideal Home Show entitled Fiesta bringing back from Trinidad a selection of award-winning costumes at Carnival including one designed by her. She exhibited in group and solo shows around the world while continuing to live in her home studio on West Green Road in Tottenham where she died at the age of 95 after 60 years of activity in England.

Beginning in the 1980s until 2022, the year of the first retrospective exhibition dedicated to her, Althea McNish fell into oblivion along with a host of female artists of the Afro-Caribbean diaspora in Britain. On May 15, 2023, to mark the ninety-ninth anniversary of her birth, a plaque was affixed in West Green Road, the Nubian Jak Community Trust recognizing the historic contribution of ethnic minorities and Afro-descendant migration to Britain: "Her impact on the capital has resonated for over half a century and we trust that the plaque will continue to make her legacy better known and no longer invisible to future generations." In the fall of 2024, on the centennial of her birth, the first monograph on Althea McNish written by Rose Sinclair for Yale Publishers is scheduled to be released.

 

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia