I Castelli Romani: Montecompatri, Colonna, Monteporzio, Rocca Priora - Le vie delle donne

Terminiamo il nostro viaggio tra i Castelli Romani con ben quattro paesi in cui possiamo ritrovare il senso e la sintesi del nostro percorso alla ricerca delle presenze femminili nel territorio. Tutti e quattro i Comuni rientrano nell’XI Comunità Montana del Lazio e anche qui, come altrove, vigneti, campagne, boschi disegnano il paesaggio. Tracce delle popolazioni arcaiche che hanno vissuto la lotta con lo strapotere di Roma antica; castelli feudali, ville rinascimentali e ottocentesche: uno splendido connubio d’arte e natura alle porte della capitale in cui le donne lasciano solo qualche lieve traccia. Nessuna scuola statale porta il nome di una donna, né a Colonna, né a Montecompatri, né a Monte Porzio, né a Rocca Priora. Colonna è il più piccolo comune della provincia in terraferma: appena 3,5 kmq, quattromila abitanti e 87 aree di circolazione, di cui 24 intitolate a uomini (27%) e 8 a donne (9%): una Madonnella e quattro sante (Chiara – ben due volte - Barbara, Lucia, Agnese), Vittoria Colonna e la Principessa Pallavicini danno il loro nome ad altrettante strade del paese, le cui sorti si intrecciano con la famiglia Colonna a partire dall’XI secolo.

montecompatri SMontecompatri di residenti e di vie ne ha più del doppio, ma le intitolazioni femminili si limitano a tre (1,5%): santa Maria, santa Maria le Quinte e Francesca Saverio Cabrini, patrona degli emigranti. Il rapporto fra strade e intitolazioni maschili, invece resta invariato (27%) e 55 uomini si ritrovano sulle targhe cittadine. L’attenzione alla memoria delle donne è ancor più disattesa a Rocca Priora, dove la regina Margherita e Olimpia sono le sole presenze muliebri a caratterizzare la rete stradale del più elevato e più freddo comune dei Castelli Romani. Con 52 intitolazioni maschili l’indice di femminilizzazione scende ulteriormente (dal 5,45 al 3,8%), ma è a Monte Porzio Catone, il cui nome ricorda l’antico generale, pretore, console, questore e scrittore romano, che l’invisibilità toponomastica femminile raggiunge il suo apice: 133 strade, 47 uomini (35%), 1 sola donna (0,75%).

di Maria Pia Ercolini

 

 

Aspettando un'altra strada

Da Rocca Priora a Colonna, passando per Monteporzio e Montecompatri, le vie dei santi patroni locali invitano a riflettere: le epidemie, le carestie, le guerre toccano la quotidianità dei popoli che si affidano all'elemento divino per ritrovare un senso all'esistente; le vie di Cavour, Mazzini e Garibaldi ci preparano all'incontro con la storia recente del nostro Stato e delle sue origini monarchiche, rappresentate nelle piazze e nei corsi centrali dedicati a re e regine. Sindaci importanti, eroi della resistenza sia locali che nazionali; scienziati, storici, scrittori, papi, ricordano ai meno distratti, che tipo di popolo siamo. E siamo anche, almeno nelle intitolazioni stradali, un popolo senza donne protagoniste della storia. Sappiamo che non è vero, ma facciamo fatica a dircelo, pubblicamente. Così in questi quattro paesi troviamo veramente poche strade intitolate a donne. E, sebbene dispiaccia non poter parlare di tutte, ne scegliamo due che meglio rappresentano la condizione di dimenticanza a cui facciamo riferimento.

monteporzioCatone Matidia-Augusta A Monteporzio Catone esiste una via intitolata ad una grande donna del mondo romano, talmente grande da non trovare posto nei testi di storia: Matidia Augusta. Un personaggio femminile interessante che tramite il legame con altre donne costruisce una fitta rete di relazioni che generano potere nell'unico modo in cui alle donne era permesso. Nipote dell'imperatore Traiano e suocera di Adriano, Matidia contribuisce a costruire il successo di questi due imperatori che non appartengono alle file dell'aristocrazia imperiale ma provengono da quella che oggi chiameremmo “la borghesia provinciale”. Plotina, la moglie di Traiano, un'altra importantissima signora della corte imperiale, viene definita “un'integerrima intrigante”. E Matidia non è da meno. Ma per capire il suo ruolo, dobbiamo togliere da questo aggettivo “intrigante” lo spessore negativo dettato dalla valutazione misogina e leggerci invece l'intraprendenza di chi è consapevole delle proprie capacità e la competenza nel costruire relazioni, come faremmo per un uomo altrettanto ambizioso. Matidia accompagna lo zio Traiano nelle sue campagne militari e svolge il ruolo di assistente. Per far mantenere alla famiglia il potere acquisito, decide il matrimonio della sua giovane figlia, Vibia Sabina, con Adriano quando questi apparteneva ancora al rango questorio. Inserito dunque nella famiglia imperiale, Adriano, grazie a Matidia, vede agevolato il suo percorso per la successione al ruolo di imperatore. Quando Traiano muore, forse sono proprio Plotina e Matidia a creare una falsa lettera di successione a favore di Adriano, che indosserà la toga nera del lutto alla morte della prima e pronuncerà l'orazione funebre. Matidia riceverà l’onore di giochi gladiatorii organizzati a suo nome e verrà divinizzata, mentre a Plotina sarà dedicato un tempio a Roma. In tutto l'impero le si attribuiscono onori; è colta, la sua casa è piena di libri; viaggia per conoscere la realtà e per far conoscere una nuova idea di impero. È ricca e usa il suo denaro per la costruzione di opere pubbliche. Eppure non c'è sui libri di storia, a meno che questi non contengano la classica scheda di approfondimento che vuole alleggerire lo studio della “grande storia”, incuriosendo con abbellimenti tratti dalla vita “a latere”. Solo il ritrovamento dei resti della sua villa a Monteporzio Catone ha permesso il persistere di Matidia nella toponomastica. Ci spostiamo a Monte Compatri per provare a guardare al futuro seguendo la storia di una donna che non è ricordata nelle vie della cittadina, probabilmente solo per questioni burocratiche, ma per la quale ci auguriamo presto un segno visibile nella toponomastica. I cittadini non l'hanno scordata ed il ricordo passa alle nuove generazioni con una punta maggiore di curiosità, visto il soprannome che le viene attribuito: “la tedesca”. È Annele Janitza, nata a Ratibor nel 1910. Dal 1943 al 1944 risiede a Monte Compatri e, sfruttando la sua conoscenza della lingua tedesca, impedisce i rastrellamenti, fa sparire le carte con i nomi dei sovversivi da arrestare, prepara documenti di identità nuovi e lasciapassare per gli abitanti della zona e per altri che provengono da Roma. In quel soprannome, “la tedesca” c'è il senso di un rovesciamento del mondo che le donne hanno saputo spesso operare: a Monte Compatri è un rovesciamento che si oppone alla violenza delle divise indossate dagli uomini e all'assurdità della morte che queste generano. Ora Annele riposa nel cimitero di questa cittadina. Le poche intitolazioni femminili di queste zone ed il sereno e consapevole coraggio della “tedesca” aspettano un altro necessario riconoscimento.

di Mary Nocentini