XVI Munic. - Le vie delle donne

 

Ludovica Albertoni

ludovica-albertoniQual è il motivo più solido della fama della Beata Ludovica Albertoni? La sua vita di grande mistica e di generosa benefattrice o il fatto che sia stata immortalata in una delle più toccanti sculture del Bernini?

Non è facile rispondere: in un’epoca che misura la riuscita della vita umana prevalentemente sulla dimensione del possesso dei beni e del successo potrebbe risultare incomprensibile il percorso personale di questa nobile e ricca donna che, rimasta vedova a 32 anni, decide di impiegare larghissima parte dei suoi averi per soccorrere la povera gente. Vissuta tra il 1474 e il 1533, Ludovica consacrò la sua propensione alla generosità facendosi terziaria francescana e la sua opera di attiva benefattrice ebbe i momenti più significativi nell’assistere i pellegrini durante i Giubilei (quelli del 1500 e del 1524) e nell’occuparsi dei bisognosi, degli ammalati, delle fanciulle povere.

Infaticabile la sua carità durante il terribile sacco di Roma dei Lanzichenecchi (1527). Le sue spoglie riposano nella Chiesa di S. Francesco a Ripa, rese indimenticabili da una scultura del Bernini maturo (attorno al 1674), dove la morte della Beata è avvolta da un afflato d’estasi di tale potente misticismo che la sua vista non può non turbare chiunque riduca la propria vita a una dimensione di pura materialità.

di Rossana Pace


Alessandrina Massini in Ravizza

alessandra ravizzaE' ricordata come eminente figura del movimento emancipazionista femminile. Carlo Emilio Gadda, nell’opera La Meccanica, la ricorda così: «Diresse la Casa del Lavoro una donna, Alessandrina Ravizza, che alla causa della Disperazione dedicò tutte le sublimi forze dello spirito suo; e ci lasciò due libri di memorie accorate: I miei ladruncoli e Sette anni di vita alla Casa del Lavoro, come il documento d’un’opera, o, meglio, di tutta un’anima.»

Nata in Russia nel 1866 da padre milanese e madre tedesca, si stabilì a Milano nel 1863. Sposò nel 1866 Giuseppe Ravizza, con il cui cognome fu in seguito conosciuta.

Animò un vivace salotto frequentato da politici e letterati: tra le sue conoscenze annoverava Maria Montessori, Mikhail Bakunin, la poetessa Ada Negri, Filippo Turati e Rina Faccio, nota con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo; durante la sua vita arrivò a parlare otto lingue diverse. A fianco di Laura Solera Mantegazza promosse molte iniziative assistenziali, tra cui la Scuola professionale femminile e l’Università Popolare. Aderì alla Lega femminile milanese e alla Società pro suffragio per il voto alle donne, si batté contro la prostituzione minorile, diresse la Casa del Lavoro fondata dalla Società Umanitaria.

Fondò con altre l’Unione femminile nazionale, un’associazione emancipazionista tuttora esistente. Morì a Milano nel 1915.

di Claudia Antolini


Vittoria Nenni

vittoria-nenniVittoria Nenni, figlia minore del socialista Pietro Nenni, nasce ad Ancona nel 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia e morirà ventotto anni dopo durante la seconda guerra mondiale. La sua storia, una storia di coraggio e forza, inizia quando sposa, molto giovane, il francese Henry Daubeuf.

Allo scoppio del secondo grande conflitto, nella Francia invasa dai nazisti e retta dal governo fantoccio di Vichy, Vittoria e il marito entrano a far parte della Resistenza Francese; nel 1942 vengono entrambi arrestati dalla Gestapo con l’accusa di compiere “propaganda gollista antifrancese”, soprattutto negli ambienti universitari. A questo punto la strada della coppia si divide per sempre e Vittoria viene deportata nel 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz. Nonostante la possibilità di aver salva la vita dichiarando le sue origini italiane, la patriota decide di condividere l’amara sorte di molte altre donne e numerosi uomini nel campo di sterminio tristemente famoso. La sua attività antinazista non viene interrotta dalla prigionia, anzi continua strenuamente con la conoscenza del gruppo dei comunisti francesi deportati. Vinta dal freddo, dai patimenti e dalle torture inferte dai nazisti, Vittoria si ammala gravemente e muore. Ad Auschwitz la teca che ricorda il suo nome riporta le sue ultime, toccanti, audaci parole: “dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla”.

Pietro Nenni verrà a sapere della sorte della figlia solo alla fine della guerra.

di Livia Cruciani