Giulia, Bia e Porzia dè Medici


(Firenze, 1534 – 1588), (Firenze, 1536 – 1542) (Firenze, 1538-1575)

Sono tutte e tre figlie illegittime: la prima e la terza di Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, la seconda erede naturale di Cosimo I che la ebbe a soli 16 anni. Conosciamo il nome della madre di Giulia, Taddea Malaspina, sorella del marchese di Massa e a lungo amante di Alessandro; le altre due bambine non conobbero le madri e, soprattutto nel caso di Bia, il padre e la nonna materna Maria Salviati custodirono gelosamente questo segreto.
giuliaCome spesso succedeva nella casata Medici, Giulia e Bia, figlie naturali, furono accolte nella famiglia e crebbero insieme alla prole legittima di Cosimo I, ricevendo cure, attenzioni ed educazione simili alle figlie e ai figli nati dal matrimonio con Eleonora di Toledo. Vissero entrambe nella villa di Castello accudite dalle balie ma attentamente seguite da Maria Salviati.
Bia, diminutivo di Bianca, era la luce degli occhi di Cosimo, legato alla piccola da un amore profondo e sincero; la bambina era benvoluta e la nonna Maria arrivò a definirla “il sollazzo della corte […] sendo tanto amorevole”. Giocavano insieme Giulia e Bia e insieme si ammalarono improvvisamente nel febbraio del 1542. Cosimo si informava tutti i giorni, preoccupato, dello stato di salute della sua bimba e ogni giorno riceveva notizie poco rassicuranti. La piccola si spense il 1 marzo e venne sepolta nella cripta della chiesa medicea di San Lorenzo. Il dolore di Cosimo fu intenso: dopo la morte della figlioletta commissionò a Bronzino un ritrattoche potesse eternarne le fattezze. Il quadro riproduce una bambina paffuta, con i capelli biondo rossastri e gli occhi castani, seduta diligentemente con un fiore stretto in una mano. Non tutta la critica lo considera il ritratto di Bia, ma la storica dell’arte Gabrielle Langdon sostiene l’ipotesi adducendo che l’abito chiaro e il girocollo di perle rimanderebbero, in senso metaforico, al nome Bianca.
Anche Giulia, che sopravvisse alla malattia, è protagonista di un ritratto. Il dipinto, conservato nel Walters Art Museum di Baltimora, fu realizzato verso la fine degli anni ’30 del XVI secolo da Pontormo, pittore protetto da Cosimo e autore di alcuni affreschi per la Villa di Castello. Raffigura Maria Salviati e una bambina che sempre Gabrielle Langdon ritiene sia proprio Giulia. Il committente, probabilmente Cosimo I, voleva esaltare la figura e il ruolo di sua madre che aveva accolto con generosità la piccola orfana di Alessandro de’ Medici. Il gesto di Giulia che afferra con la manina le dita affusolate di Maria non racconta solo l’attaccamento fra la donna e la bambina, ma va oltre la sfera privata dei sentimenti e si fa atto politico, espressione visibile dei saldi legami presenti all’interno della famiglia medicea e dichiarazione iconografica della continuità temporale della difiglia-picnastia.
Dopo i primi anni di vita, durante i quali visse in convento insieme alla sorella Porzia, Giulia crebbe nella corte di Cosimo e imparò come gli altri a sentirsi una vera Medici, a portare con orgoglio e senso di appartenenza quell’illustre cognome. Come per le altre figlie, anche per lei fu combinato, nel 1550, un matrimonio di prestigio con Francesco Cantelmo, conte di Popoli e di Alvito. Rimasta vedova presto, Giulia tornò per diversi periodi a soggiornare nel convento di San Clemente a Firenze, dove la sorella Porzia aveva preso il velo. Insieme le figlie naturali di Alessandro de’ Medici promossero una sorta di matronage artistico in favore del monastero permettendo l’abbellimento del convento. Spesso gli interventi architettonici e artistici per gli spazi religiosi e sacri, insieme alle azioni caritatevoli, costituivano per le nobildonne del passato le uniche forme di autonomia possibile, accettata e apprezzata.
Il convento di San Clemente in via San Gallo era sotto il controllo della famiglia medicea, qui Giulia e Porzia erano state accolte dopo l’omicidio del padre; Giulia era poi entrata nella corte di Cosimo I, Porzia, nata dopo la morte del padre, era stata accettata nel monastero grazie anche alla dote di 200 scudi d’oro pagata da Maria Salviati, diventando prima suora dalla “vita esemplarissima” e poi abbadessa del complesso per ben due volte. Ricorda Giuseppe Richa (1757) che “quello che è più notabile in lei fu l’essersi meritata con le umili sue maniere la benevolenza non solamente di Cosimo, ma della Granduchessa Leonora di Toledo, e dei suoi figli tutti portati a lasciar pegni della loro grande estimazione al monastero di San Clemente”.

 Negli archivi medicei il nome di Porzia appare in un elenco di persone ricompensate economicamente; secondo la storica Maria Pia De Paoli, la giovane “è menzionata nei primi ruoli della corte medicea come damigella della duchessa Eleonora insieme a Clarice Malaspina e a Maria de’ Nerli, con provvisione di scudi 853”; successivamente, in un elenco stilato nel febbraio 1564, il suo nome e quello del convento di San Clemente appaiono fra i contributi e gli appannaggi pagati da Cosimo I. Con Porzia, secondo Maria 

porziaPia De Paoli, “si inaugura una nutrita schiera di personaggi, uomini e donne, col cognome Medici, appartenenti a rami collaterali, che beneficiano di cariche o protezioni a corte, risultando sovente impiegati con funzioni di pedagoghi. Dal monastero Porzia intrattiene legami assidui con l’entourage di Cosimo, tanto che nel 1549 scrive a Pier Francesco Riccio per raccomandargli Camillo da San Gimignano come maestro di scuola a Prato”.
Nelle antiche guide di Firenze viene ricordato un oratorio annesso al monastero di San Clemente i cui affreschi, opera del pittore fiammingo Giovanni Stradano, presentavano i ritratti, in forma ovale, di Cosimo I, della moglie Eleonora e dei figli Francesco, Ferdinando, Garzia e Giovanni; accanto a questi un altro ovale racchiudeva il volto di “una donna velata, con queste lettere attorno Soror Portia Medices Florentiae Ducis humilis serva et ejus progenies”.

Se Porzia fu umile e amabile, la stessa cosa non viene riferita per Giulia della quale si sottolinea l’orgoglio di appartenere alla famiglia Medici e la richiesta di onori e considerazione che, secondo alcune testimonianze, la fecero entrare in conflitto con Eleonora di Toledo. Giulia si sposò in seconde nozze conBernardetto de’ Medici, membro di un ramo collaterale della famiglia, con il quale condivise la vita di corte e anche alcune missioni diplomatiche. Nel 1567 la coppia, insieme al figlio Alessandro, si trasferì a Napoli ottenendo i territori e il titolo del principato di Ottaviano.

Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata su “Memorie” nel sitowww.toponomasticafemminile.com

(Firenze, 1534 – 1588), (Firenze, 1536 – 1542) (Firenze, 1538-1575)

Sono tutte e tre figlie illegittime: la prima e la terza di Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, la seconda erede naturale di Cosimo I che la ebbe a soli 16 anni. Conosciamo il nome della madre di Giulia, Taddea Malaspina, sorella del marchese di Massa e a lungo amante di Alessandro; le altre due bambine non conobbero le madri e, soprattutto nel caso di Bia, il padre e la nonna materna Maria Salviati custodirono gelosamente questo segreto.
giuliaCome spesso succedeva nella casata Medici, Giulia e Bia, figlie naturali, furono accolte nella famiglia e crebbero insieme alla prole legittima di Cosimo I, ricevendo cure, attenzioni ed educazione simili alle figlie e ai figli nati dal matrimonio con Eleonora di Toledo. Vissero entrambe nella villa di Castello accudite dalle balie ma attentamente seguite da Maria Salviati.
Bia, diminutivo di Bianca, era la luce degli occhi di Cosimo, legato alla piccola da un amore profondo e sincero; la bambina era benvoluta e la nonna Maria arrivò a definirla “il sollazzo della corte […] sendo tanto amorevole”. Giocavano insieme Giulia e Bia e insieme si ammalarono improvvisamente nel febbraio del 1542. Cosimo si informava tutti i giorni, preoccupato, dello stato di salute della sua bimba e ogni giorno riceveva notizie poco rassicuranti. La piccola si spense il 1 marzo e venne sepolta nella cripta della chiesa medicea di San Lorenzo. Il dolore di Cosimo fu intenso: dopo la morte della figlioletta commissionò a Bronzino un ritrattoche potesse eternarne le fattezze. Il quadro riproduce una bambina paffuta, con i capelli biondo rossastri e gli occhi castani, seduta diligentemente con un fiore stretto in una mano. Non tutta la critica lo considera il ritratto di Bia, ma la storica dell’arte Gabrielle Langdon sostiene l’ipotesi adducendo che l’abito chiaro e il girocollo di perle rimanderebbero, in senso metaforico, al nome Bianca.
Anche Giulia, che sopravvisse alla malattia, è protagonista di un ritratto. Il dipinto, conservato nel Walters Art Museum di Baltimora, fu realizzato verso la fine degli anni ’30 del XVI secolo da Pontormo, pittore protetto da Cosimo e autore di alcuni affreschi per la Villa di Castello. Raffigura Maria Salviati e una bambina che sempre Gabrielle Langdon ritiene sia proprio Giulia. Il committente, probabilmente Cosimo I, voleva esaltare la figura e il ruolo di sua madre che aveva accolto con generosità la piccola orfana di Alessandro de’ Medici. Il gesto di Giulia che afferra con la manina le dita affusolate di Maria non racconta solo l’attaccamento fra la donna e la bambina, ma va oltre la sfera privata dei sentimenti e si fa atto politico, espressione visibile dei saldi legami presenti all’interno della famiglia medicea e dichiarazione iconografica della continuità temporale della difiglia-picnastia.
Dopo i primi anni di vita, durante i quali visse in convento insieme alla sorella Porzia, Giulia crebbe nella corte di Cosimo e imparò come gli altri a sentirsi una vera Medici, a portare con orgoglio e senso di appartenenza quell’illustre cognome. Come per le altre figlie, anche per lei fu combinato, nel 1550, un matrimonio di prestigio con Francesco Cantelmo, conte di Popoli e di Alvito. Rimasta vedova presto, Giulia tornò per diversi periodi a soggiornare nel convento di San Clemente a Firenze, dove la sorella Porzia aveva preso il velo. Insieme le figlie naturali di Alessandro de’ Medici promossero una sorta di matronage artistico in favore del monastero permettendo l’abbellimento del convento. Spesso gli interventi architettonici e artistici per gli spazi religiosi e sacri, insieme alle azioni caritatevoli, costituivano per le nobildonne del passato le uniche forme di autonomia possibile, accettata e apprezzata.
Il convento di San Clemente in via San Gallo era sotto il controllo della famiglia medicea, qui Giulia e Porzia erano state accolte dopo l’omicidio del padre; Giulia era poi entrata nella corte di Cosimo I, Porzia, nata dopo la morte del padre, era stata accettata nel monastero grazie anche alla dote di 200 scudi d’oro pagata da Maria Salviati, diventando prima suora dalla “vita esemplarissima” e poi abbadessa del complesso per ben due volte. Ricorda Giuseppe Richa (1757) che “quello che è più notabile in lei fu l’essersi meritata con le umili sue maniere la benevolenza non solamente di Cosimo, ma della Granduchessa Leonora di Toledo, e dei suoi figli tutti portati a lasciar pegni della loro grande estimazione al monastero di San Clemente”.
Negli archivi medicei il nome di Porzia appare in un elenco di persone ricompensate economicamente; secondo la storica Maria Pia De Paoli, la giovane “è menzionata nei primi ruoli della corte medicea come damigella della duchessa Eleonora insieme a Clarice Malaspina e a Maria de’ Nerli, con provvisione di scudi 853”; successivamente, in un elenco stilato nel febbraio 1564, il suo nome e quello del convento di San Clemente appaiono fra i contributi e gli appannaggi pagati da Cosimo I. Con Porzia, secondo Maria porziaPia De Paoli, “si inaugura una nutrita schiera di personaggi, uomini e donne, col cognome Medici, appartenenti a rami collaterali, che beneficiano di cariche o protezioni a corte, risultando sovente impiegati con funzioni di pedagoghi. Dal monastero Porzia intrattiene legami assidui con l’entourage di Cosimo, tanto che nel 1549 scrive a Pier Francesco Riccio per raccomandargli Camillo da San Gimignano come maestro di scuola a Prato”.
Nelle antiche guide di Firenze viene ricordato un oratorio annesso al monastero di San Clemente i cui affreschi, opera del pittore fiammingo Giovanni Stradano, presentavano i ritratti, in forma ovale, di Cosimo I, della moglie Eleonora e dei figli Francesco, Ferdinando, Garzia e Giovanni; accanto a questi un altro ovale racchiudeva il volto di “una donna velata, con queste lettere attorno Soror Portia Medices Florentiae Ducis humilis serva et ejus progenies”.

Se Porzia fu umile e amabile, la stessa cosa non viene riferita per Giulia della quale si sottolinea l’orgoglio di appartenere alla famiglia Medici e la richiesta di onori e considerazione che, secondo alcune testimonianze, la fecero entrare in conflitto con Eleonora di Toledo. Giulia si sposò in seconde nozze conBernardetto de’ Medici, membro di un ramo collaterale della famiglia, con il quale condivise la vita di corte e anche alcune missioni diplomatiche. Nel 1567 la coppia, insieme al figlio Alessandro, si trasferì a Napoli ottenendo i territori e il titolo del principato di Ottaviano.

Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata su “Memorie” nel sitowww.toponomasticafemminile.com