Calendaria 2021 - Sophia De Mello B. Andersen

Sophia De Mello

Giovanna Nastasi


Grafica di Giada Ionà

Vi è mai venuta la curiosità di osservare una poeta quando scrive? Di solito i suoi versi li troviamo già stampati sui libri con un carattere ben definito, con una bella copertina e delle note biografiche che riguardano l’autrice. Io, invece, vorrei portarvi nella sorgente dell’anima lì dove le parole si raccolgono intatte e pure come conchiglie sulla spiaggia. Sophia De Mello è stata una delle più importanti autrici portoghesi, vincitrice del premio Camoes, ma questa potrebbe essere una semplice notizia che dice tutto o niente… in apparenza. Scrittori e scrittrici delle terre di confine, delle isole che hanno un contatto diretto con il mare hanno qualcosa che rende unico il loro rapporto con la poesia e con l’ambiente circostante.

Lisbona è la città che ti fa comprendere le ragioni del viaggio, dell’attesa, dell’introspezione e di una quiete intoccabile. Ho provato tutte queste sensazioni ritrovando nella mia memoria un viaggio di tanti anni fa in Portogallo e osservando una foto in bianco e nero di Sophia de Mello. C’è una finestra aperta e sul davanzale delle macchinine da corsa, il cielo è limpido, sul fondo degli alberi sfocati. Lei è lì, seduta davanti a un semplice tavolo, con una tazza di tè, un pacchetto di sigarette, un posacenere, un libro aperto, pochi fogli, una sigaretta accesa tra le dita della mano sinistra, che libera nell’aria riccioli di fumo, nella destra una bic per comporre parole. Un maglioncino con uno scollo a V le lascia scoperto il collo, immortalato nell’attimo in cui il respiro più profondo porta indietro la gola e si fonde con un’espressione dolce, serena e senza tempo. Quando accade questo, nell’anima della poeta è avvenuto il miracolo. È l’attimo del perfetto equilibrio tra sé e il mondo, l’attimo in cui si è testimoni di una rivelazione, l’attimo in cui il tempo smette di essere perché la penna ti ha messo a cospetto dell’eternità. Ecco perché nella poesia La conchiglia di Kos, la valva del mitile assume un valore simbolico, smette di essere il niveo ornamento depositato dal mare per diventare la perfetta sintesi di tutte le atmosfere che hanno nutrito e creato lo spirito poetico:

«Questa conchiglia non l’ho raccolta su nessuna spiaggia
Ma nella mediterranea notte blu e nera
La comprai a Kos in un negozio lungo il molo
Vicino agli alberi oscillanti delle barche

E mi sono portata con me il fragore delle burrasche
Ma non sento in essa né le mareggiate di Kos né quelle di Egina
Solo il canto della vasta e lunga spiaggia
Atlantica e sacra
Dove per sempre la mia anima fu creata»

Quante volte abbiamo fatto quell’istintivo gesto di portare la conchiglia all’orecchio per sentire il suono del mare, un suono che ci ricorda qualcosa di familiare, un suono che conforta, quasi contenesse l’archetipo del battito fetale, capace di ricondurci all’acqua, intesa come liquido amniotico, che ha visto il nostro essere indistinto, inesistente, trasformarsi in persona. Il mare nei versi della poeta diventa un sicuro e accogliente ventre materno; infatti non c’è lo spavento delle mareggiate o delle burrasche ma semplicemente il suono di un canto, simile a una ninna nanna dove l’anima ha preso forma per sempre. L’avverbio, in questo caso, non indica semplicemente la durata nel tempo ma ferma il tempo sigillando un patto, un legame indissolubile. Cosi nella poesia Le Onde, i flutti sembrano giocare nel loro moto e non sono mai fonte di sconvolgimenti ma diventano ballerine:

«Le onde s'infrangevano una a una
Io stavo sola con la sabbia e con la spuma
Del mare che cantava soltanto per me»

Lisbona ha, da questo punto di vista, un doppio legame con l’acqua, essendo attraversata dal Tago e affacciata sull’Atlantico. Quando si visita la Torre bianca di Belem ben si comprende la ragione che spinse il re lusitano Enrico il navigatore a finanziare le spedizioni atlantiche che portano, tra l’altro, Bartolomeo Diaz a circumnavigare l’Africa, doppiando il capo di Buona Speranza e aprire, così, una nuova rotta verso le Indie. Si avverte nella città di mare il desiderio di un altrove, di procedere verso una destinazione, di nascere, in sostanza. Se il mare è il luogo della nascita, la poesia sigilla e rende eterna la vita stessa della poeta:

«La poesia mi condurrà nel tempo
Quando non sarò più l’abitazione del tempo
E passerò solitaria Dentro le mani di chi legge.
La poesia qualcuno la dirà
Alle messi
Il suo passaggio si confonderà
Come il rumore del mare con il passare del vento

La poesia abiterà
Lo spazio più concreto e più attento
Nell’aria chiara nelle sere trasparenti
Le sue sillabe rotonde
(O antiche o lunghe Eterne sere lisce)
Anche se morirò la poesia incontrerà
Una spiaggia dove infrangere le sue onde
E fra quattro pareti dense
Di profonda e divorata solitudine
Qualcuno il suo proprio essere confonderà
Con la poesia nel tempo»

Quando De Mello afferma che la poesia «abiterà/lo spazio più concreto e più attento/nell’aria chiara nelle sere trasparenti», cosa ci vuole comunicare esattamente? È possibile che la poesia abiti luoghi che sono predisposti a essere occupati da mobili, oggetti e persone? Cosa potrebbe significare? Le parole si comportano come ostetriche, segnano momenti di rinascita, di epifania come se ci offrissero l’opportunità di osservare la medesima realtà con occhi nuovi. Potrebbe sembrare un passaggio semplice ma, in realtà, presuppone una disconnessione da sé stessi/e e una successiva riconnessione attraverso la quale si modifica il modo di osservare noi stesse/i e il mondo. In sostanza si tratta di un processo di evoluzione. Non ci può essere una vita ricca senza una ricchezza di parole che spieghino nel dettaglio persino un intarsio. Forse, è possibile possedere poche parole ed essere ugualmente ricchi/e, a condizione che esse abbiano radici profonde e siano complementari agli occhi, alle mani e ai sorrisi che sono la testimonianza della nostra apertura al mondo. A questo proposito la filosofa Luce Irigaray parla proprio del «linguaggio come strumento per costituire il mondo o appropriarsene, o come mezzo per incontrare soggetti.

Il linguaggio dovrebbe aiutarci a portare a termine ciò che un albero fa senza ricorrere alle parole: realizzare ciò che è trasformando le sue radici in fiori e frutti». Il riferimento a un linguaggio generativo lo fa De Mello stessa rivolgendosi, direttamente, a lettori e lettrici: «E passerò solitaria dentro le mani di chi legge». Non è, forse, un invito ad assumere il suo stesso sguardo affinché la poesia sia luogo di incontro e rinascita? Ci si chiede: come si esercita l’attenzione? Ce lo spiega il filosofo francese Frederic Lenoir: «L’attenzione è anzitutto ciò che permette di essere connessi ai nostri sensi. Molto spesso siamo presi da mille problemi e, con la mente, così sovraccarica, non facciamo attenzione a quello che viviamo. Solo quando siamo attenti, ci lasciamo abitare dai nostri sensi: ascoltiamo, sentiamo e contempliamo. Siamo immersi nell’hic et nuc». Dunque, l’aria chiara e le sere trasparenti, di cui si parla nei versi precedenti, non assumono più un valore utilitaristico:

è una bella serata, esco;
è una bella serata faccio qualcosa;
è una bella serata incontro gli amici, ma questa sera limpida è il luogo del qui ed ora e rappresenta l’occasione in cui io mi immergo con tutta me stessa/o assumendone la chiarezza e la trasparenza. Ne divento parte e godo di un’armonia cosmica di cui spesso non abbiamo alcuna percezione. Ecco che la poesia diventa un luogo da abitare poiché si è trasformata in un cantuccio di riposo di riconnessione e di salvezza.
Scrive ancora De Mello:

«Un giorno spezzerò tutti i ponti,
Che legano il mio essere, vivo e totale,
All’agitarsi del mondo dell’irreale,
E calma salirò alle fonti.

Andrò fino alle fonti dove dimora
La pienezza, il limpido splendore
Che mi fu promesso a ogni ora,
E nel volto incompleto dell’amore.

Andrò a bere la luce e del sole il sorgere,
Andrò a bere la voce della promessa
Che a volte come un volo mi attraversa,
E là compirò tutto il mio essere»

Si porta a compimento la dimensione di gioiosa comunione con la poesia che conduce alla sorgente della vita, in cui il cuore della poeta batte allo stesso ritmo del cosmo:

«Le mie mani mantengono stelle,
Afferro la mia anima perché non si spezzi
La melodia che va di fiore in fiore,
Strappo il mare dal mare e lo pongo in me
E il battere del mio cuore sostiene il ritmo delle cose»

Ritorniamo all’inizio del nostro viaggio nell’anima di Sophia De Mello poiché manca un ultimo tassello: Lisbona. Ciascuno/a di noi è senza dubbio figlio/a della terra in cui nasce, ne porta con sé i profumi, i paesaggi, le malinconie, gli improvvisi sprazzi di luce. Il luogo d’origine riguarda, forse, anche il destino di ogni essere umano, se con questa parola non intendiamo un percorso scritto e ineluttabile, ma una vocazione da scoprire e compiere. La città lusitana è così: è il desidero del viaggio e la nostalgia del ritorno che ha un nome ben preciso A Saudade portuguesa, cantata attraverso la musica del fado che ha proprio nel destino il suo significato più profondo. Tutto il percorso iniziato con la descrizione della poeta alla finestra non poteva avere il suo naturale compimento se non nella lirica dedicata proprio a Lisbona:

«Lisbona che oscilla come una grande chiatta
Lisbona crudelmente costruita lungo la sua stessa assenza
Dico il nome della città
- Dico per vedere.»

Dire un nome è creare qualcosa che non c’è, scrivere poesie è fissare nel tempo ogni rinascita.

Targa commemorativa Sophia De Mello a Lisbona.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

Avez-vous déjà été curieux d'observer un poète lorsqu'il écrit? Habituellement, nous trouvons ses vers déjà imprimés sur des livres avec une police bien définie, avec une belle couverture et des notes biographiques concernant l'auteur. Moi, en revanche, je voudrais vous emmener à la source de l'âme où les mots se rassemblent intacts et purs comme des coquillages sur la plage. Sophia De Mello a été l'un des auteurs portugais les plus importants, lauréate du prix Camoes, mais cela pourrait être une simple nouvelle qui dit tout ou rien ... en surface. Les écrivaines et écrivains des terres frontalières, des îles qui ont un contact direct avec la mer, ont quelque chose qui rend leur relation avec la poésie et le milieu environnant unique.

Lisbonne est la ville qui vous fait comprendre les raisons du voyage, de l'attente, de l'introspection et d'un calme intouchable. J'ai ressenti toutes ces sensations en retrouvant dans ma mémoire un voyage au Portugal il y a de nombreuses années et en regardant une photo en noir et blanc de Sophia de Mello. Il y a une fenêtre ouverte et sur le rebord des petites voitures de course, le ciel est dégagé, en arrière-plan des arbres flous. Elle est là, assise devant une simple table, avec une tasse de thé, un paquet de cigarettes, un cendrier, un livre ouvert, quelques feuilles, une cigarette allumée entre les doigts de sa main gauche, libérant des boucles de fumée dans l'air, à droite un stylo Bic pour composer des mots. Un pull à col en V laisse son cou découvert, immortalisé au moment où la respiration la plus profonde porte en arrière la gorge et se fond dans une expression douce, sereine et intemporelle. Lorsque cela se produit, le miracle s'est produit dans l'âme du poète. C'est le moment de l'équilibre parfait entre soi et le monde, le moment où vous êtes témoins d'une révélation, le moment où le temps cesse d'exister parce que la plume vous a mis en présence de l'éternité. C'est pourquoi dans le poème La coquille de Kos, la valve de la moule prend une valeur symbolique, elle cesse d'être l'ornement blanc nacré déposé par la mer pour devenir la synthèse parfaite de toutes les atmosphères qui ont nourri et créé l'esprit poétique:

«Je n'ai ramassé ce coquillage sur aucune plage
Mais dans la nuit bleue et noire de la Méditerranée,
je l'ai acheté à Kos dans un magasin le long de la jetée
Près des arbres des bateaux qui se balancent

Et j'ai apporté avec moi le rugissement des tempêtes
Mais je n’y entends
Ni les tempêtes de Kos ni celles d'Egine
Seulement le chant de la vaste et longue plage
Atlantique et sacrée
Où pour toujours mon âme fut créée»

Combien de fois avons-nous fait ce geste instinctif d'amener la coquille à l'oreille pour entendre le son de la mer, un son qui nous rappelle quelque chose de familier, un son qui réconforte, comme s'il contenait l'archétype du battement fœtal, capable de nous ramener à l'eau, sous-entendu comme liquide amniotique, qui a vu notre être indistinct, inexistant se transformer en une personne. La mer dans les vers du poète devient un sein maternel sûr et accueillant; en fait il n'y a pas la peur des tempêtes ou des bourrasques mais simplement le son d'une chanson, semblable à une berceuse où l'âme a pris forme pour toujours. L'adverbe, dans ce cas, n'indique pas simplement la durée dans le temps mais arrête le temps en scellant un pacte, un lien indissoluble. Ainsi dans le poème Les Ondes les vagues semblent jouer dans leur mouvement et ne sont jamais une source de bouleversement mais deviennent des danseuses:

"Les vagues se brisaient une à une
J'étais seule avec le sable et l'écume
De la mer chantant seulement pour moi”

Lisbonne a, de ce point de vue, un double lien avec l'eau, étant traversée par le Tage et face à l'Atlantique. Lorsque vous visitez la Tour Blanche de Belem, vous comprenez la raison qui a conduit le roi lusitanien Henri le navigateur à financer les expéditions atlantiques qui conduisent, entre autres, Bartolomeo Diaz à faire le tour de l'Afrique, contournant le cap de Bonne-Espérance et ouvrant ainsi un nouvelle route vers les Indes. Dans la ville maritime, on ressent l'envie d'un ailleurs, de se diriger vers une destination, de naître, par essence. Si la mer est le lieu de naissance, le poème scelle et rend éternelle la vie même du poète:

«La poésie me conduira à travers le temps
Quand je ne serai plus le foyer du temps
Et je passerai solitaire Entre les mains du lecteur.
Quelqu'un dira le poème aux récoltes
Son passage se confondra
Comme le bruit de la mer avec le passage du vent


La poésie habitera
L'espace le plus concret et le plus attentif
Dans l'air clair des soirées transparentes
Ses syllabes rondes
(Ô anciennes ou longues douces Éternelles soirées )
Même si je meurs la poésie rencontrera
Une plage où les vagues se brisent
Et entre quatre murs denses
De profonde et dévorée solitude
Quelqu'un confondra son être avec la poésie au fil du temps»

Quand De Mello déclare que la poésie «habitera /l'espace le plus concret et le plus attentif / à l'air pur dans des soirées transparentes», que veut-elle nous communiquer exactement? Est-il possible que la poésie habite des lieux prédisposés à être occupés par des meubles, des objets et des personnes? Qu’est-ce cela peut signifier? Les mots se comportent comme des sages-femmes, ils marquent des moments de renaissance, d'épiphanie comme s'ils nous offraient l'opportunité d'observer la même réalité avec des yeux nouveaux. Cela peut sembler une étape simple mais, en réalité, cela suppose une déconnexion de soi et une reconnexion ultérieure à travers laquelle se modifie la façon de nous observer et d'observer le monde . C'est essentiellement un processus d'évolution. Il ne peut y avoir de vie riche sans une richesse de mots qui expliquent en détail même un intarsia. Peut-être il est possible d'avoir peu de mots et d'être également riche, à condition qu'ils aient des racines profondes et soient complémentaires des yeux, des mains et des sourires qui témoignent de notre ouverture sur le monde. A ce propos, la philosophe Luce Irigaray parle justement de «la langue comme outil de constitution du monde ou de son appropriation, ou comme moyen de rencontre des sujets. Le langage doit nous aider à compléter ce que fait un arbre sans recourir aux mots: réaliser ce qu'il est en transformant ses racines en fleurs et en fruits ».

La référence à un langage génératif est faite par De Mello elle-même, s'adressant directement aux lecteurs: "Et je passerai solitaire entre les mains du lecteur". N'est-ce pas, peut-être, une invitation à prendre son regard à elle pour que la poésie soit un lieu de rencontre et de renaissance? On se demande: comment l'attention s'exerce-t-elle? Le philosophe français Frédéric Lenoir nous l'explique: «L'attention est avant tout ce qui nous permet d'être connecté à nos sens. Très souvent, nous sommes pris par mille problèmes et, l'esprit surchargé, nous ne prêtons pas attention à ce que nous vivons. Ce n'est que lorsque nous sommes attentifs que nous nous laissons habiter par nos sens: nous écoutons, ressentons et contemplons. Nous sommes plongés dans le hic et nuc “. Par conséquent, l'air pur et les soirées transparentes, évoquées dans les versets précédents, ne prennent plus une valeur utilitaire:

La référence à un langage génératif est faite par De Mello elle-même, s'adressant directement aux lecteurs: "Et je passerai solitaire entre les mains du lecteur". N'est-ce pas, peut-être, une invitation à prendre son regard à elle pour que la poésie soit un lieu de rencontre et de renaissance? On se demande: comment l'attention s'exerce-t-elle? Le philosophe français Frédéric Lenoir nous l'explique: «L'attention est avant tout ce qui nous permet d'être connecté à nos sens. Très souvent, nous sommes pris par mille problèmes et, l'esprit surchargé, nous ne prêtons pas attention à ce que nous vivons. Ce n'est que lorsque nous sommes attentifs que nous nous laissons habiter par nos sens: nous écoutons, ressentons et contemplons. Nous sommes plongés dans le hic et nuc “. Par conséquent, l'air pur et les soirées transparentes, évoquées dans les versets précédents, ne prennent plus une valeur utilitaire:

c'est une belle soirée, je sors;
c'est une belle soirée je fais quelque chose;
c'est une belle soirée je retrouve les amis, mais cette soirée claire est le lieu de l'ici et maintenant et représente l'occasion dans laquelle je me plonge complètement en assumant sa clarté et sa transparence. J'en fais partie et j’apprécie une harmonie cosmique dont nous n'avons souvent aucune perception. Ici, la poésie devient un lieu de vie car elle s'est transformée en un coin de repos, de reconnexion et de salut.
De Mello écrit à nouveau:

«Un jour, je briserai tous les ponts, Qui lient mon être, vivant et total, À l'agitation du monde de l'irréel, Et calmement je remonterai aux sources. J'irai jusqu’aux sources où habite La plénitude, la splendeur limpide Qui m'a été promise à chaque instant , Et dans le visage incomplet de l'amour. J’irai boire la lumière et du soleil le lever, J’irai boire la voix de la promesse Qui parfois comme un vol me traverse, Et là j’accomplirai tout mon être»

La dimension de la communion joyeuse s'achève avec une poésie qui mène à la source de la vie, dans laquelle le cœur du poète bat au même rythme que le cosmos:

«Mes mains tiennent des étoiles,
Je saisis mon âme pour qu'elle ne se brise pas
La mélodie qui va de fleur en fleur,
Je déchire la mer de la mer et la place en moi
Et le battement de mon cœur soutient le rythme des choses»

Nous revenons au début de notre voyage dans l'âme de Sophia De Mello car il manque une dernière pièce: Lisbonne. Chacun/e de nous est sans aucun doute le fils / fille du pays dans lequel il est né/e, il apporte avec lui les senteurs, les paysages, la mélancolie, les éclairs soudains de lumière. Peut-être le lieu d'origine concerne aussi le destin de chaque être humain, si par ce mot nous ne voulons pas dire un chemin écrit et inéluctable, mais une vocation à découvrir et à réaliser. La ville lusitanienne est ainsi: c'est le désir de voyager et la nostalgie du retour qui a un nom très spécifique A Saudade portuguesa, chantée à travers la musique du fado qui a son sens le plus profond dans le destin. Tout le chemin qui a commencé avec la description de la poétesse à la fenêtre ne pouvait avoir son accomplissement naturel que dans les paroles consacrées à Lisbonne:

«Lisbonne se balance comme une grosse barge
Lisbonne cruellement bâtie le long de son absence
Je dis le nom de la ville
- Je dis pour voir.»

Dire un nom, c'est créer quelque chose qui n'existe pas, écrire de la poésie, c'est fixer chaque renaissance dans le temps.

Plaque commémorative Sophia de Mello à Lisbonne.

 

Traduzione inglese
Piera Negri

Have you ever been curious to observe a female poet when she writes? Usually, we find her verses already printed on books with a well-defined font, with a beautiful cover and biographical notes concerning the author. I, on the contrary, would like to take you to the source of the soul where the words gather intact and pure like shells on the beach. Sophia De Mello was one of the most important Portuguese authors, winner of the Camoes award, but this could be a simple news that says all or nothing ... on the surface. Male and female writers of border lands, of islands that are in direct contact with the sea have something that makes their relationship with poetry and the surrounding environment unique.

Lisbon is the city that let you understand the reasons for traveling, waiting, of introspection and an untouchable quiet. I felt all these sensations finding in my memory a trip to Portugal many years ago and looking at a black and white photo of Sophia de Mello. There is an open window and racing cars are on the sill, the sky is clear, and blurred trees are on the bottom. She is there, sitting in front of a simple table, with a cup of tea, a pack of cigarettes, an ashtray, an open book, a few sheets, a lit cigarette between the fingers of her left hand, releasing curls of smoke into the air, on the right hand a pen to compose words. A sweater with a V-neck leaves her neck uncovered, immortalized at the moment when the deepest breath brings back the throat and merges with a sweet, serene and timeless expression. When this happens, the miracle happened in the poet’s soul. It is the moment of the perfect balance between herself and the world, the moment you are witness to a revelation, the moment time stops being because the pen has put you in front of eternity. That's why in the poem The shell of Kos, the mussel valve takes a symbolic value, it stops being the niveo ornament settled by the sea to become the perfect synthesis of all the atmospheres that nourished and created the poetic spirit:

«I did not collect this shell on any beach
But in the blue and black Mediterranean night
I bought it in Kos in a shop along the pier
Near the swinging masts of the boats
And I took the roar of the storms with me

But I don't feel in it
Neither the storms of Kos nor those of Aegina
Only the song of the vast and long beach
Atlantic and sacred
Where forever my soul was created»

How many times we made that instinctive gesture of bringing the shell to the ear to hear the sound of the sea, a sound reminding us something familiar, a comforting sound, as if it contains the archetype of the fetal beat, able to bring us back to water, seen as amniotic fluid, which has seen our indistinct, non-existent being transform into a person. The sea in the poet's verses becomes a safe and welcoming maternal womb; in fact there is no fear of sea storm or surges but simply the sound of a song, similar to a lullaby where the soul has taken shape forever. The adverb, in this case, does not simply indicate lasting in time but it stops the time by sealing a pact, an indissoluble bond. So in the poem The Waves, the waves look like playing in their motion and are never a upsets source but become female dancers:

«The waves were breaking one by one
I was alone with the sand and the foam
Of the sea that sang only for me»

Lisbon has, from this point of view, a double bond with water, being crossed by the Tagus and overlooking the Atlantic. When visiting the White Tower of Belem, you easily understand the reason why Lusitanian king Henry the navigator, financed the Atlantic expeditions that lead, among other things, Bartolomeo Diaz to circumnavigate Africa, rounding the Cape of Good Hope and opening, thus, a new route to the Indies. In the seaside city one feels the desire for an elsewhere, to proceed towards a destination, to be born, in essence. If the sea is the place of birth, the poem seals and makes eternal the very life of the poet:

«Poetry will take me through time
When I will no longer be the home of time
And I will pass lonely
Inside the hands of the reader.
Someone will tell the poem to harvest
Its passage will get confused
Like the sound of the sea with the winds passing.

Poetry will inhabit
The most concrete and most attentive space
In the clear air in transparent evenings
Its round syllables
(Or ancient or long Eternal smooth evenings)
Even if I die poetry will meet
A beach to break its waves
And between four dense walls
Of deep and devoured solitude
Someone will confuse his own being
With poetry over time»

When De Mello says that poetry "will inhabit / the most concrete and most attentive space / in clear air in transparent evenings", what exactly does she want to tell us? Is it possible that poetry inhabits places arranged to be occupied by furniture, objects and people? What could it mean? Words behave like midwives, they mark moments of rebirth, of epiphany such as if they offered us the opportunity to observe the same reality with new eyes. It might look like a simple step but, actually, it assumes a disconnection from oneself and a subsequent reconnection through which the way we observe ourselves and the world changes. In essence it is an evolution process. There can be no rich life without a wealth of words that explain in detail even an inlay. Perhaps, it is possible to have a few words and be equally rich, and provided that they have deep roots and are complementary to the eyes, hands and smiles that are the witness of our opening to the world. In this regard, the philosopher Luce Irigaray talks of the language as a tool to constitute the world or to appropriate it, or as a means to meet subjects.

Language should help us to complete what a tree does without using words: to realize what it is by transforming its roots into flowers and fruit». The reference to a generative language is made by De Mello, addressing herself directly to readers: «And I will pass lonely in the hands of the reader». Isn’t it, perhaps, an invitation to assume her own glance so that poetry may be a of meeting and rebirth place? We wonder: how is attention exercised? The French philosopher Frederic Lenoir explains it to us: "Attention is above all what enables us to be connected to our senses. We are often taken by a thousand problems and, with such an overloaded mind, we do not pay attention to what we live. Only when we are attentive, we allow ourselves be inhabited by our senses: we listen, feel and contemplate. We are plunged in the hic et nuc". So, the clear air and the transparent evenings, as mentioned in the previous verses, don’t have any more a utilitarian value:

it's a nice evening, I go out;
it's a nice evening I do something;
it's a nice evening I meet friends, but this clear evening is the place of here and now and represents the moment in which I immerse myself with all of myself/or assuming its clarity and transparency. I become part of it and enjoy a cosmic harmony of which we often have no perception. Here poetry becomes a place to live as it has been transformed into a corner of rest, reconnection and salvation.
Again, De Mello writes:

«One day I'll break all bridges,
That bind my being, alive and total,
at the agitation of the dream world,
And calm, I will go up to the sources.

I will go to the sources where it dwells
The fullness, the limpid splendor
That was promised to me at any time,
And in the incomplete face of love.

I'll go drink the light and the sun rise,
I'll go drink the voice of the promise
That sometimes like a flight passes through me,
And there I will fulfil my whole being»

The dimension of joyful communion with poetry is brought to completion leading to the source of life, in which the poet's heart beats at the same rhythm as the cosmos:

«My hands hold stars,
I grab my soul so it doesn't break
The melody that goes from flower to flower,
I tear the sea from the sea and place it in me
And beating of my heart sustains the rhythm of things»

We return to the beginning of our journey into the soul of Sophia De Mello because one last piece is missing: Lisbon. Each of us is undoubtedly the son/daughter of the land in which he/she is born, brings with him/her the scents, the landscapes, the melancholy, the sudden flashes of light. Perhaps the place of origin also concerns the destiny of every human being, if with this word we do not mean a written and ineluctable path, but a vocation to be discovered and fulfilled. The Lusitanian city is like this: it is the desire for travel and the nostalgia for return that has a very specific name A Saudade portuguesa, sung through the music of fado which has its deepest meaning in destiny. The whole path that began with the description of the poet at the window could not have its natural fulfilment except in the lyric dedicated to Lisbon:

«Lisbon swinging like a big barge
Lisbon cruelly built along its same absence
I say the name of the city
- I say to see.»

To say a name is to create something that does not exist, to write poetry is to fix every rebirth in time.

Commemorative plaque Sophia De Mello in Lisbon.

 

Traduzione portoghese
Filipa Ramalho, Barbora Břenková, Susana Soares, Maria João Ferro, Mariana Lebefer

Alguma vez sentiram curiosidade em observar uma poeta enquanto escreve? Geralmente, encontramos os seus versos já impressos em livros de caráter bem definido, com uma bela capa e notas biográficas referentes à autora. Eu, pelo contrário, desejo levar-vos à fonte da alma, onde se colhem palavras intactas e puras, como conchas na praia. Sophia de Mello Breyner foi, e ainda é, uma das autoras portuguesas mais importantes, vencedora do Prémio Camões, mas esta poderia ser apenas outra notícia, que tudo ou nada diz… aparentemente. Os escritores e as escritoras de terras fronteiriças, de ilhas que os unem diretamente ao mar, têm algo que tornam únicas as suas relações com a poesia e com o ambiente que os rodeia.

Lisboa é a cidade que nos faz compreender as razões da nossa viagem, da antecipação, da introspeção e de uma quietude intocável. Experimentei todas estas sensações, reencontrando nas minhas memórias uma viagem que fiz a Portugal há muitos anos, quando vi uma fotografia a preto e branco de Sophia de Mello Breyner. Há uma janela aberta em cujo parapeito se encontram carrinhos de brincar, o céu está límpido e, ao fundo, vêem-se árvores desfocadas. Ali está ela, sentada em frente a uma simples mesa, com uma chávena de chá, um maço de cigarros, um cinzeiro, um livro aberto, algumas folhas, um cigarro aceso entre os dedos da mão esquerda, que deixa no ar argolas de fumo, e, na mão direita, uma caneta para compor palavras. Uma camisola com decote em V deixa-lhe o peito descoberto, imortalizado no instante em que a respiração profunda retrai o pescoço e se funde com uma expressão doce, serena e intemporal. Quando isto acontece, dá-se o milagre na alma da poeta. É o instante do perfeito equilíbrio entre si e o mundo, o instante em que se é testemunha de uma revelação, o instante em que o tempo deixa de o ser porque a caneta nos colocou diante da eternidade. É por isso que, no poema «O Búzio de Cós», a concha do búzio assume um valor simbólico, deixando de ser o ornamento níveo depositado pelo mar, e se transforma numa perfeita síntese de todas as atmosferas que nutriram e criaram o espírito poético:

«Este búzio não o encontrei eu própria numa praia
Mas na mediterrânica noite azul e preta
Comprei-o em Cós numa venda junto ao cais
Rente aos mastros baloiçantes dos navios
E comigo trouxe ressoar dos temporais

Porém nele não oiço
Nem o marulho de Cós nem o de Egina
Mas sim o cântico da longa vasta praia
Atlântica e sagrada
Onde para sempre a minha alma foi criada»

Quantas vezes repetimos o gesto instintivo de levar a concha ao ouvido para escutar o som do mar, um som que nos recorda algo familiar, um som que reconforta, como se contivesse o arquétipo do batimento fetal, capaz de reconduzir-nos à água, entendida como líquido amniótico, que viu o nosso ser indistinto, inexistente, transformar-se em pessoa. O mar, nos versos da poeta, torna-se um seguro e acolhedor ventre materno; na verdade, não existe o medo do marulho ou dos temporais, mas simplesmente o som de um canto, semelhante a uma canção de embalar, na qual a alma encontrou a sua forma para sempre. Neste caso, o advérbio não indica simplesmente a duração no tempo, mas para o tempo, selando um pacto, um vínculo indissolúvel. Também no poema «As Ondas», estas parecem brincar no seu movimento e nunca representam uma fonte de agitação, transformando-se em bailarinas:

«As ondas quebravam uma a uma Eu estava só com a areia e com a espuma Do mar que cantava só para mim»

Lisboa tem, deste ponto de vista, uma dupla ligação à água, sendo atravessada pelo Tejo e debruçando-se sobre o Atlântico. Quando se visita a Torre de Belém, compreende-se bem o motivo que levou o Infante D. Henrique, o Navegador, a financiar as expedições atlânticas que conduziram, entre outros, Bartolomeu Dias a circum-navegar África, passando pelo cabo da Boa Esperança e criando, assim, uma nova Rota das Índias. Sente-se na cidade do mar o desejo de outro lugar, de avançar para qualquer destino, de nascer. Se o mar é o lugar do nascimento, a poesia sela e eterniza a vida da poeta:

«O poema me levará no tempo Quando eu já não for a habitação do tempo E passarei sozinha Entre as mãos de quem lê O poema alguém o dirá Às searas Sua passagem se confundirá Como o rumor do mar com o passar do vento

O poema habitará O espaço mais concreto e mais atento No ar claro nas tardes transparentes Suas sílabas redondas (Ó antigas ó longas Eternas tardes lisas) Mesmo que eu morra o poema encontrará Uma praia onde quebrar as suas ondas E entre quatro paredes densas De funda e devorada solidão Alguém seu próprio ser confundirá Com o poema no tempo»

Quando Sophia de Mello Breyner afirma que o poema «habitará / o espaço mais concreto e mais atento / no ar claro nas tardes transparentes», o que quer exatamente transmitir? É possível que a poesia habite lugares predispostos a serem ocupados por móveis, objetos e pessoas? O que poderá significar? As palavras comportam-se como parteiras, assinalam momentos de renascimento, de epifania, como se oferecessem a oportunidade de observar a mesma realidade por outros olhos. Poderia parecer uma passagem simples, mas, na realidade, pressupõe uma desconexão de si mesma e uma consequente reconexão através da qual se altera o modo de se observar a si e ao mundo. Trata-se, essencialmente, de um processo de evolução. Não se pode ter uma vida rica sem uma abundância de palavras que expliquem pormenorizadamente até mesmo um desenho embutido. Talvez seja possível possuir poucas palavras e ser-se igualmente rico, desde que essas palavras tenham raízes profundas e sejam complementares aos olhos, às mãos e aos sorrisos, que são o testemunho da nossa abertura ao mundo. Neste sentido, a filósofa Luce Irigaray fala mesmo da «linguagem como instrumento para construir o mundo ou apropriar-se dele, ou como meio para encontrar sujeitos.

A linguagem deveria ajudar-nos a levar a cabo aquilo que uma árvore faz sem recorrer às palavras: realizar aquilo que é, transformando as suas raízes em flores e frutos.» A referência a uma linguagem generativa é feita pela própria Sophia de Mello Breyner, que se dirige diretamente aos leitores e às leitoras: «E passarei sozinha dentro das mãos de quem lê». Não será, talvez, um convite para assumir o seu próprio olhar até a poesia se tornar um local de encontro e renascimento? Pergunta-se: como se treina a atenção? Isso explica-nos o filósofo francês Frederic Lenoir: «A atenção é, antes de mais, aquilo que nos permite estar ligados aos nossos sentidos. Muitas vezes, deparamo-nos com mil problemas e, com a mente tão sobrecarregada, não prestamos atenção àquilo que vivemos. Só quando estamos atentos é que nos permitimos ser habitados pelos nossos sentidos: ouvimos, sentimos e contemplamos. Ficamos imersos no aqui e agora.» Por isso, o ar claro e as tardes transparentes, dos quais se fala nos versos precedentes, não assumem um valor utilitarista:

Está uma tarde bonita, saio; Está uma tarde bonita, faço alguma coisa; Está uma tarde bonita, encontro-me com amigos, mas esta tarde límpida é o lugar do aqui e do agora e representa a ocasião em que mergulho nela com todo o meu ser, assumindo a minha clareza e transparência. Torno-me parte dela e desfruto de uma harmonia cósmica da qual, muitas vezes, não nos apercebemos. Eis que a poesia se torna um lugar para habitar já que se transformou num cantinho de repouso, de reconexão e salvação. ​Escreve ainda Sophia de Mello Breyner:

«Um dia quebrarei todas as pontes
Que ligam o meu ser, vivo e total,
À agitação do mundo do irreal,
E calma subirei até às fontes.

Irei até às fontes onde mora
A plenitude, o límpido esplendor
Que me foi prometido em cada hora,
E na face incompleta do amor.

Irei beber a luz e o amanhecer,
Irei beber a voz dessa promessa
Que às vezes como um voo me atravessa,
E nela cumprirei todo o meu ser»

É concretizada a dimensão de alegre comunhão com a poesia que conduz à nascente da vida, na qual o coração da poeta bate em uníssono com o do cosmos:

«As minhas mãos mantêm as estrelas,
Seguro a minha alma para que se não quebre
A melodia que vai de flor em flor,
Arranco o mar do mar e ponho-o em mim
E o bater do meu coração sustenta o ritmo das coisas»

Regressamos ao início da nossa viagem à alma de Sophia de Mello Breyner porque nos falta a última peça: Lisboa. Cada um(a) de nós é, sem dúvida, filho(a) da terra em que nasceu, carregando consigo os cheiros, as paisagens, a melancolia, os súbitos flashes de luz. O local de origem talvez esteja também relacionado com o destino de cada ser humano, se, com esta palavra, não entendermos um caminho escrito e inelutável, mas, sim, uma vocação que deve ser descoberta e concretizada. A cidade lusitana é isso mesmo: é o desejo da viagem e a nostalgia do regresso que tem um nome bem preciso A Saudade Portuguesa, cantada nas melodias do fado, que tem precisamente no destino o seu significado mais profundo. Todo o percurso iniciado com a descrição da poeta à janela não poderia ter a sua conclusão natural se não na lírica dedicada exatamente a Lisboa:

«Lisboa oscilando como uma grande barca
Lisboa cruelmente construída ao longo da sua própria ausência
Digo o nome da cidade
- Digo para ver.»

Dizer um nome é criar algo que não existia, escrever poesia é fixar no tempo cada renascimento.

Placa comemorativa Sophia De Mello em Lisboa.