Calendaria 2023 - May Britt – Moser

May Britt – Moser
Maria Chiara Pulcini





Juliette Bonvallet

 

L’essere coscienti della propria posizione nello spazio, il sapere dove muoversi per andare alla destinazione desiderata, è una funzione fondamentale sia per gli animali che gli esseri umani. Nel 2014 May-Britt Andreassen viene premiata con il Nobel per la medicina insieme al marito Edvard Moser e al loro mentore John O’Keefe per la scoperta delle cellule che consentono la percezione del sistema spaziale nel cervello, una sorta di Gps interno formato da svariati tipi di cellule che interagiscono tra loro a seconda dei nostri movimenti. Questo sistema di interazioni ci consente di capire dove siamo, come orientarci e navigare lo spazio attorno a noi. 

May-Britt Andreassen nasce a Fosnavåg, in Norvegia, il 4 gennaio 1963. Cresce assieme ai quattro fratelli in una fattoria, figlia di un falegname e di una casalinga. Fin dalla più tenera età si dimostra curiosa del mondo e determinata a realizzare i propri obiettivi. A scuola è una alunna con voti nella media, che preferisce passare il tempo con amici e amiche invece che sui libri. Tuttavia, scopre una naturale propensione per le materie scientifiche, che coltiva con passione e incoraggiamento da parte della famiglia e delle/i docenti. Finita la scuola si iscrive all’Università di Oslo, più perché lì ci sono le sue sorelle che per una chiara idea del percorso da intraprendere. In questa fase, il futuro è un’enorme incognita per May-Britt: l’unica sua certezza è che non vuole diventare una semplice casalinga, come previsto dai costumi del suo luogo di nascita, e che vuole fare della scienza la propria carriera. Dopo aver rinunciato ad un posto in odontoiatria, decide di iscriversi alla facoltà di Psicologia, assieme a quello che poi diventerà suo marito, Edvard Moser. A guidarli è il desiderio di studiare il cervello umano e il modo in cui crea il comportamento. La coppia si sposa nel luglio del 1985 e ha in seguito due figlie, Isabel e Ailin. La famiglia non è un ostacolo per i due coniugi: May-Britt e Edvard Moser, dopo una brillante carriera universitaria, conseguono il dottorato in Neuroscienze nel 1995 con una ricerca sul ruolo dell’ippocampo nella percezione spaziale nei topi e nel loro senso dell’orientamento.

Tra il 1995 e il 1996 i Moser continuano le loro ricerche a Londra e Edimburgo sotto la supervisione di John O’Keefe: incidendo piccole lesioni sulla parte dorsale e ventrale dell’ippocampo nei topi, ne analizzano gli effetti sulla capacità di orientarsi e riconoscere lo spazio che li circonda. Nel 1997 May-Britt Moser diventa professoressa associata in Psicologia biologica presso il dipartimento di psicologia dell’Università di scienze e tecnologia di Trondheim (Ntnu) dove, nel 2000, ottiene la cattedra in Neuroscienze. Nel 2002 fonda il Centro per la biologia della memoria e l’Institute for Systems Neuroscience. Dal 2013 è a capo del Centro di calcoli neurali, un centro di eccellenza interamente finanziato dal governo norvegese, dove continua i suoi studi sul cervello. Nello stesso anno le sono conferiti il Louisa Gross Horwitz Prize e il Premio Madame Beyer per le sue eccellenti doti manageriali e spirito di gruppo, i successi scientifici e gli alti standard etici. Assieme al marito, May-Britt Moser è pioniera negli studi dei meccanismi che permettono al cervello di immaginare e percepire lo spazio. La consapevolezza di dove ci si trovi e quale percorso si debba intraprendere per arrivare alla destinazione desiderata è unacaratteristica fondamentale sia per l’essere umano che gli altri animali. Il segnale che si attiva ogni volta che dobbiamo individuarci nello spazio sembra arrivare da un’area molto interna al cervello, dove parrebbe non possano arrivare gli input sensoriali. Ciò implica che il segnale che poi giunge alle cellule di posizione – responsabili della ricostruzione interna al cervello di una mappa dell’ambiente – si generi da solo e non in risposta a stimoli esterni.

Nei loro studi a Edimburgo, tramite esperimenti sui topi e confronti con ricerche di altri scienziati, l’attenzione dei due coniugi viene attirata da una parte della formazione dell’ippocampo, la corteccia entorinale, una delle prime aree del cervello a subire deterioramento cognitivo dovuto a malattie come l’Alzheimer. Nonostante ciò, tali studi sulla corteccia sono ancora pochi quando i Moser teorizzano che, forse, è da quest’area che partono i segnali che permettono poi l’orientamento. Un’intuizione che sembra trovare conferma in ulteriori esperimenti compiuti sui topi. Dentro una gabbia viene creato un labirinto d’acqua con alcuni ostacoli; gli animali devono trovare il percorso giusto per uscire e ottenere il loro premio in biscotti. I topi, con addosso degli elettrodi, vengono reintrodotti nel labirinto finché non imparano a riconoscere il percorso giusto. Vengono poi create delle minuscole lesioni nel cervello, in diversi punti, per vedere quale di esse influenza l’abilità dei topi a riconoscere l’ambiente in cui sono e il percorso giusto per uscire. Nel 2005 la ricerca dà i suoi frutti. L’anno prima, l’attenzione dei Moser era stata attirata nella parte dorso-mediale della corteccia entorinale, poco sopra la parte dell’ippocampo che si occupa della memoria. Esperimenti precedenti avevano dimostrato che topi con lesioni in quella zona non erano più in grado di imparare ad orientarsi nel labirinto, mentre non avevano quel tipo di problema se le lesioni erano fatte in altre parti dell’ippocampo. I picchi di attività celebrale ogni volta che il singolo topo tornava in uno stesso punto ad ogni tentativo di percorrere il labirinto si mostravano con una sorprendente regolarità. Ad una ulteriore analisi, i Moser notano che, mentre i ratti correvano liberamente nei loro recinti e tornavano su uno stesso punto, i picchi di attività ad ogni elettrodo non erano solo uniformemente spaziati, ma anche simili in direzione e dimensione. L'attività formava una griglia di esagoni regolari, da cui il nome della cellula appena scoperta: cellula grid. Il cervello immagina dunque il mondo come una griglia: quando recepisce le informazioni dall’esterno, queste vengono codificate in una sorta di segnale Gps, che ci aiuta poi ad orientarci nello spazio circostante.

Nel 2006 vengono scoperte le head direction cells (letteralmente: cellule di direzione della testa) che si attivano per indicare la direzione verso cui l’animale ha mosso la testa. Nel 2008 è il turno delle border cells (cellule di confine) che rispondono alla presenza di un confine ambientale ad una particolare direzione e distanza. È l’attività di questi diversi tipi di neuroni e l’interazione fra loro che ci consente di identificarci nello spazio e di orientarci. Inoltre, essendo questa la prima area del cervello ad essere danneggiata da malattie degenerative come l’Alzheimer, spiegherebbe perché tra i primi sintomi ci sia la perdita dell’orientamento. La scoperta di queste cellule e il modo in cui interagiscono fra di loro è stata premiata con il Nobel nel 2014, che May-Britt Moser ha condiviso con l’ora ex marito Edvard e il loro mentore John O’Keefe.

Oggi, May-Britt Moser è ancora direttrice del Centro di calcolo neurale e professoressa in Neuroscienze presso la Nust di Trondheim, continuando i suoi studi sul cervello. Ha ricevuto svariate onorificenze per le sue ricerche, fra cui il Karl Spencer Lashley Award e il Körber European Science Prize nel 2014, l'Erna Hamburger Prize nel 2016 e la Gran Croce dell’Ordine reale norvegese di Sant’Olav nel 2018, assegnata a chi si è distinto per il servizio reso al Re, alla patria, o all’umanità.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Être conscient de sa position dans l’espace, savoir où aller pour aller à la destination souhaitée, est une fonction fondamentale pour les animaux et les humains. En 2014, May-Britt Andreassen reçoit le prix Nobel de médecine avec son mari Edvard Moser et leur mentor John O’Keefe pour la découverte des cellules qui permettent la perception du système spatial dans le cerveau, une sorte de GPS interne composé de différents types de cellules qui interagissent les uns avec les autres en fonction de nos mouvements. Ce système d’interactions nous permet de comprendre où nous sommes, comment nous orienter et naviguer dans l’espace autour de nous.

May-Britt Andreassen est née à Fosnavåg, en Norvège, le 4 janvier 1963. Elle grandit avec ses quatre frères dans une ferme, fille d’un menuisier et d’une femme au foyer. Dès son plus jeune âge, elle se montre curieuse du monde et déterminée à réaliser ses objectifs. À l’école, elle est une élève avec des notes moyennes, qui préfère passer du temps avec des amis plutôt que la tête dans ses livres. Cependant, elle découvre une propension naturelle pour les matières scientifiques, qu’elle cultive avec passion et encouragement de la part de la famille et des professeurs. Après l’école, elle s’inscrit à l’Université d’Oslo, plus parce que ses sœurs y sont là que pour une idée claire du chemin à parcourir. À ce stade, l’avenir est une énorme inconnue pour May-Britt: sa seule certitude est qu’elle ne veut pas devenir une simple femme au foyer, comme le prévoient les coutumes de son lieu de naissance, et qu’elle veut faire de la science sa carrière. Après avoir renoncé à un poste en dentisterie, elle décide de s’inscrire à la faculté de psychologie, avec celui qui deviendra plus tard son mari, Edvard Moser. Ils sont guidés par le désir d’étudier le cerveau humain et la façon dont il crée le comportement. Le couple se marie en juillet 1985 et ils ont plus tard deux filles, Isabel et Ailin. La famille n’est pas un obstacle pour les deux époux : May-Britt et Edvard Moser, après une brillante carrière universitaire, obtiennent leur doctorat en neurosciences en 1995 avec une recherche sur le rôle de l’hippocampe dans la perception spatiale chez les souris et dans leur sens de l’orientation.

Entre 1995 et 1996, les Moser poursuivent leurs recherches à Londres et à Édimbourg sous la supervision de John O’Keefe : en gravant de petites lésions sur la partie dorsale et ventrale de l’hippocampe chez les souris, et ils analysent leurs effets sur la capacité de s’orienter et de reconnaître l’espace qui les entoure. En 1997, May-Britt Moser devient professeur associée en psychologie biologique au département de psychologie de l’Université des sciences et technologie de Trondheim (Ntnu) où elle obtient en 2000 le poste de professeur en neurosciences. En 2002, elle fonde le Centre pour la biologie de la mémoire et l’Institute for Systems Neuroscience. Depuis 2013, elle dirige le Centre de calculs neuraux, un centre d’excellence entièrement financé par le gouvernement norvégien, où elle poursuit ses études sur le cerveau. La même année, elle reçoit le prix Louisa Gross Horwitz Prize et le prix Madame Beyer pour ses excellentes qualités managériales et son esprit d’équipe, ses réalisations scientifiques et ses normes éthiques élevées. Avec son mari, May-Britt Moser est pionnière dans l’étude des mécanismes qui permettent au cerveau d’imaginer et de percevoir l’espace. La prise de conscience de l’endroit où vous vous trouvez et du chemin à suivre pour arriver à la destination souhaitée est une caractéristique fondamentale pour l’être humain et les autres animaux. Le signal qui s’active chaque fois que nous devons nous repérer dans l’espace semble provenir d’une zone très interne au cerveau, où les entrées sensorielles ne semblent pas pouvoir arriver. Cela implique que le signal qui parvient ensuite aux cellules de position - responsables de la reconstruction interne au cerveau d’une carte de l’environnement - se génère seul et non en réponse à des stimuli externes.

Dans leurs études à Edimbourg, par des expériences sur des souris et des comparaisons avec des recherches d’autres scientifiques, l’attention des deux conjoints est attirée par une partie de la formation de l’hippocampe, l’écorce entorinale, l’une des premières zones du cerveau à subir une détérioration cognitive due à des maladies telles que la maladie d’Alzheimer. Malgré cela, ces études sur le cortex sont encore peu nombreuses lorsque les Moser théorisent que, peut-être, c’est de cette zone que partent les signaux qui permettent ensuite l’orientation. Une intuition qui semble trouver confirmation dans d’autres expériences réalisées sur des souris. À l’intérieur d’une cage est créé un labyrinthe d’eau avec quelques obstacles; les animaux doivent trouver le bon chemin pour sortir et obtenir leur prix en biscuits. Les souris, portant des électrodes, sont réintroduites dans le labyrinthe jusqu’à ce qu’elles apprennent à reconnaître le bon chemin. De minuscules lésions sont ensuite créées dans le cerveau, à différents endroits, pour voir lequel d’entre eux affecte la capacité des souris à reconnaître l’environnement dans lequel elles sont et le bon chemin pour sortir. En 2005, la recherche porte ses fruits. L’année précédente, l’attention des Moser avait été attirée dans la partie dorso-médiale du cortex entorinal, juste au-dessus de la partie de l’hippocampe qui s’occupe de la mémoire. Des expériences antérieures ont montré que les souris avec des blessures dans cette zone ne pouvaient plus apprendre à s’orienter dans le labyrinthe, alors qu’elles n’avaient pas ce genre de problème si les blessures étaient faites dans d’autres parties de l’hippocampe. Les pics d’activité cérébrale se sont révélés avec une régularité surprenante à chaque fois que la souris revenait au même endroit à chaque tentative de parcourir le labyrinthe. Après une analyse plus approfondie, les Moser notent que, tandis que les rats couraient librement dans leurs enclos et revenaient sur un même point, les pics d’activité à chaque électrode étaient non seulement espacés uniformément, mais aussi similaires dans la direction et la taille. L’activité formait une grille d’hexagones réguliers, d’où le nom de la cellule nouvellement découverte : cellule de grille. Le cerveau imagine donc le monde comme une grille : quand il reçoit les informations de l’extérieur, elles sont codées dans une sorte de signal GPS, qui nous aide ensuite à nous orienter dans l’espace environnant.

En 2006, on découvre les têtes pointues (littéralement : cellules de direction de la tête) qui s’activent pour indiquer la direction vers laquelle l’animal a déplacé sa tête. En 2008, c’est le tour des cellules frontalières (border cells) qui répondent à la présence d’une frontière environnementale à une direction et à une distance particulières. C’est l’activité de ces différents types de neurones et l’interaction entre eux qui nous permet de nous identifier dans l’espace et de nous orienter. En outre, étant la première zone du cerveau à être endommagée par des maladies dégénératives comme Alzheimer, cela expliquerait pourquoi l’un des premiers symptômes est la perte de l’orientation. La découverte de ces cellules et la façon dont elles interagissent les unes avec les autres a été récompensée par le prix Nobel en 2014, que May-Britt Moser a partagé avec l’ex-mari Edvard et leur mentor John O’Keefe.

Aujourd’hui, May-Britt Moser est toujours directrice du Centre de calcul neuronal et professeur en neurosciences à Nust à Trondheim, tout en poursuivant ses études sur le cerveau. Elle a reçu plusieurs distinctions honorifiques pour ses recherches, dont le Karl Spencer Lashley Award et le Prix Européen de la Science de Körber en 2014, le Prix Erna Hamburger en 2016 et le Grand Croix de l’Ordre royal norvégien de Saint-Olav en 2018, qui a servi le roi, la patrie ou l’humanité.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Being aware of one's position in space, knowing where to move to go to a desired destination, is a fundamental function for both animals and humans. In 2014, May-Britt Andreassen was awarded the Nobel Prize in Medicine, along with her husband Edvard Moser and their mentor John O'Keefe, for their discovery of the cells that enable perception by the spatial system in the brain, a kind of internal GPS made up of a variety of cell types that interact with each other depending on our movements. This system of interactions allows us to understand where we are, how to orient ourselves and navigate the space around us.

May-Britt Andreassen was born in Fosnavåg, Norway, on January 4, 1963. She grew up with her four siblings on a farm, the daughter of a carpenter and a housewife. From an early age she was curious about the world and determined to achieve her goals. She was an average student in school, and preferred to spend her time with friends rather than with books. However, she discovered a natural inclination for science subjects, which she cultivated with passion and encouragement from her family and teachers. After finishing school, she enrolled in the University of Oslo, more because her sisters were there than because of a clear idea of a path to take. At that stage, the future was a huge unknown for May-Britt. Her only certainties were that she did not want to become a simply a housewife, as expected by the customs of her birthplace, and that she wanted to make science her career. After being offered and refusing a position in dentistry school, she decided to enroll in the Faculty of Psychology, along with the man who would later become her husband, Edvard Moser. Guiding them was a desire to study the human brain and how it creates behavior. The couple married in July 1985 and later had two daughters, Isabel and Ailin. Family was no obstacle for the couple - May-Britt and Edvard Moser, after brilliant university careers, earned their doctorates in neuroscience in 1995 with research on the role of the hippocampus in the spatial perception and sense of orientation of mice.

Between 1995 and 1996, the Mosers continued their research in London and Edinburgh under the supervision of John O'Keefe. By incising small lesions on the dorsal and ventral part of the hippocampus in mice, they analyzed their effects on their ability to orient themselves and recognize the space around them. In 1997, May-Britt Moser became an associate professor in biological psychology at the Department of Psychology at the Norwegian University of Science and Technology in Trondheim (NTNU) where, in 2000, she was awarded the chair in neuroscience. In 2002, she founded the Center for Memory Biology and the Institute for Systems Neuroscience. Since 2013 she has headed the Center for Neural Computation, a center of excellence funded entirely by the Norwegian government, where she continued her studies of the brain. In the same year she was awarded the Louisa Gross Horwitz Prize and the Madame Beyer Prize for her outstanding management skills and team spirit, scientific achievements, and high ethical standards. Together with her husband, May-Britt Moser is a pioneer in studies of the mechanisms that enable the brain to imagine and perceive space. Awareness of where one is and what path one must take to get to a desired destination is a fundamental characteristic of both humans and other animals. The signal that is activated whenever we need to locate ourselves in space seems to come from a very internal area of the brain, where it would seem sensory input cannot reach. This implies that the signal that then reaches the position cells - responsible for the brain's internal reconstruction of a map of the environment - is generated on its own and not in response to external stimuli.

In their studies in Edinburgh, through experiments on mice and comparisons with research by other scientists, the couple's attention was drawn to a part of the hippocampus formation, the entorhinal cortex, one of the first areas of the brain to undergo cognitive impairment due to diseases such as Alzheimer's. Despite this, such studies on the cortex were still few when the Mosers theorized that, perhaps, it is from this area that the signals that then enable orientation originate. An insight that seemed to be confirmed in further experiments performed on mice. Inside a cage, a water maze with some obstacles was created. The animals had to find the right path to get out and got their prize in cookies. The mice, wearing electrodes, were reintroduced into the maze until they learned to recognize the right path. Tiny lesions were then created in the brain at different locations to see which one affected the ability of the mice to recognize their environment and the right path to exit. In 2005, the research bore fruit. The year before, the Mosers' attention had been drawn to the dorso-medial part of the entorhinal cortex, just above the part of the hippocampus that deals with memory. Previous experiments had shown that mice with lesions in that area were no longer able to learn to orient themselves in the maze, while they did not have that kind of problem if lesions were made in other parts of the hippocampus. The spikes in brain activity each time the individual mouse returned to the same spot on each attempt to navigate the maze showed up with surprising regularity. On further analysis, the Mosers noted that as the rats ran freely in their pens and returned to the same spot, the activity spikes at each electrode were not only evenly spaced but also similar in direction and size. The activity formed a grid of regular hexagons, hence the name of the newly discovered cell: grid cell. The brain imagines the world as a grid. When it takes in information from outside, it is encoded into a kind of GPS signal, which then helps us orient ourselves in the space around us.

In 2006, head direction cells were discovered, which are activated to indicate the direction in which the animal has moved its head. In 2008 it was the turn of border cells that respond to the presence of an environmental boundary at a particular direction and distance. It is the activity of these different types of neurons and the interaction between them that allows us to identify ourselves in space and orient ourselves. Moreover, since this is one of the first areas of the brain to be damaged by degenerative diseases such as Alzheimer's, it would explain why loss of orientation is among the first symptoms. The discovery of these cells and how they interact with each other was rewarded with a Nobel Prize in 2014, which May-Britt Moser shared with her husband Edvard and their mentor John O'Keefe. The Mosers announced their divorce in 2016, but have continued their scientific work together.

Today, May-Britt Moser is still director of the Center for Neural Computing and a professor in Neuroscience at the NTNU in Trondheim, continuing her studies on the brain. She has received a variety of honors for her research, including the Karl Spencer Lashley Award and the Körber European Science Prize in 2014, the Erna Hamburger Prize in 2016, and the Grand Cross of the Royal Norwegian Order of St. Olav in 2018, awarded to those who have distinguished themselves for their service to the King, the country, or humanity.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Tener conciencia de donde uno/a se encuentra en el espacio y de que ruta debe seguir para llegar al destino deseado es una función fundamental tanto para los animales como para los seres humanos. En 2014 May-Britt Andreassen recibe el Premio Nobel de Medicina compartido con su marido Edvard Moser y su mentor John O’Keefe por sus descubrimientos de células que constituyen un sistema de posicionamiento en el cerebro, una especie de GPS interno formado por varios tipos de células que trabajan conjuntamente en función de nuestros movimientos. Este sistema de interacciones nos permite comprender dónde estamos, cómo orientarnos y navegar por el espacio que nos rodea.

May-Britt Andreassen nace en Fosnavåg, en Noruega, el 4 de enero de 1963. Crece con sus cuatros hermanos en una granja, hija de un carpintero y de un ama de casa. Desde muy pequeña siente curiosidad por el mundo y está decidida a alcanzar sus objetivos. En la escuela es una estudiante normal que prefiere pasar el rato con sus amigos y sus amigas que con los libros. Sin embargo, descubre una inclinación natural por los temas científicos que cultiva con pasión y gracias al estímulo de su familiasy su profesorado. Al terminar la escuela se matricula en la Universidad de Oslo, más porque sus hermanas estaban allí que por una idea clara del camino a seguir. En aquel momento, el futuro es una gran incógnita para May-Britt: su única certeza era que no quería convertirse en una simple ama de casa, según las costumbres de su lugar de nacimiento, y que quería hacer de la ciencia su carrera. Tras renunciar a un puesto de odontóloga, decide matricularse en la Facultad de Psicología, junto con quien más tarde seríia su esposo, Edvard Moser. Lo que los mueve es el deseo de estudiar el cerebro humano y el modo en que genera el comportamiento. La pareja se casa en julio de 1985 y sucesivamente tienen dos hijas, Isabel y Ailin. La familia no es un obstáculo para la pareja: May-Britt y Edvard Moser, tras una carrera universitaria brillante, obtienen el doctorado en Neurociencias en 1995 con una investigación del papel del hipocampo en la percepción espacial de los ratones y su sentido de orientación.

Entre el 1995 y el 1996, los Moser continúan sus investigaciones en Londres y Edimburgo bajo la supervisión de John O’Keefe: realizando pequeñas lesiones en la parte dorsal y ventral del hipocampo de unos ratones, analizan los efectos con respecto a su capacidad de orientarse y reconocer el espacio que los rodea. En 1997, May-Britt Moser se convierte en profesora adjunta en Psicología Biológica en la facultad de Ciencias y Tecnologías deTrondheim (UNCT), donde, en 2000, consigue una cátedra de Neurociencias. En 2002 funda el Centro de Biología de la memoria y el Instituto de los sistemas de Neurociencias. Desde 2013 es directora del Centro de Computación Neural, un centro de excelencia íntegramente financiado por el gobierno Noruego, donde continúa sus estudios del cerebro. Ese mismo año le confieren el Premio Louise Gross Horwitz y el Premio Madame Beyer por su excelente capacidad de gestión y espíritu de equipo, sus logros científicos y sus elevadas normas éticas. Junto con su esposo, May-Britt Moser es pionera en los estudios de mecanismos que le permiten al cerebro imaginar y percibir el espacio. Tener conciencia de dónde uno/a se encuentra y que ruta debe seguir para llegar al destino deseado es una característica fundamental tanto para los seres humanos como para otros animales. La señal que se activa cada vez que necesitamos ubicarnos en el espacio parece proceder de una parte muy interna del cerebro, donde parece que no llegan los inputs sensoriales. Esto implica que la señal que luego llega a las ‘células de lugar’ – responsables de la reconstrucción de un mapa del entorno en el cerebro – se genera por sí sola y no en respuesta a estímulos externos.

En sus estudios en Edimburgo, a través de experimentos con ratones y comparaciones con investigaciones de otros científicos, la atención de la pareja se centra en una parte de la formación del hipocampo, la corteza entorrinal, una de las primeras partes del cerebro que sufre el deterioro cognitivo debido a enfermedades como el morbo de Alzheimer. A pesar de esto, dichos estudios de la corteza siguen siendo escasos cuando los Moser teorizan que probablemente las señales que permiten la orientación procedan de esta zona. Una intuición que parece confirmarse en otros experimentos realizados con ratones. En una jaula se crea un laberinto de agua con algunos obstáculos; los animales tienen que encontrar el camino correcto para salir y conseguir su premio en galletas. Los ratones, que llevan electrodos, son reintroducidos en el laberinto hasta que aprenden a reconocer el camino correcto. Luego, les crean minúsculas lesiones en distintas partes del cerebro para ver cuáles de ellas influyen en la habilidad de los ratones de reconocer el entorno que los rodea y el camino correcto para salir. En 2005, la investigación dio sus frutos. El año anterior. la atención de los Moser se había centrado en la parte dorso-medial de la corteza entorrinal, justo encima la parte del hipocampo que se ocupa de la memoria. Experimentos anteriores habían demostrado que los ratones con lesiones en esta parte del hipocampo ya no podían aprender cómo orientarse en el laberinto, mientras no tenían ese tipo de problema si las lesiones se hacían en otras partes. Cada vez que el ratón volvía al mismo punto en cada intento de recorrer el laberinto, con sorprendente regularidad, mostraba picos de actividad cerebral. Con un análisis más detallado, los Moser observan que, cuando los ratas corrían libremente por sus recintos y volvían al mismo lugar, los picos de actividad en cada electrodo no solo estaban espaciados uniformemente, sino que también eran similares en dirección y tamaño. La actividad formaba una cuadricula de hexágonos regulares, de ahí el nombre de la célula recién descubierta: ‘célula rejilla’. Por lo tanto, el cerebro imagina el mundo como una rejilla: cuando percibe la información del exterior, la misma es codificada en un tipo de señal GPS que luego nos ayuda a orientarnos en el espacio que nos rodea.

En 2006 se descubren las Head direction cells (literalmente: las células de dirección de la cabeza) que se activan para indicar la dirección en la que el animal ha movido la cabeza. En 2008 les toca a las border cells (células de frontera) que responden a la presencia de un límite ambiental a una dirección y a una distancia determinada. La actividad de estas distintas neuronas y la interacción entre sí nos permiten ubicarnos en el espacio y orientarnos. Además, al ser la primera parte del cerebro la dañada por enfermedades degenerativas como el Alzheimer, esto explica la pérdida del sentido de orientación como primer síntoma. Por el descubrimiento de estas células y la manera en que trabajan conjuntamente se le concedió el Nobel en 2014, que May-Britt comparte con su actual exmarido Edvard y su mentor John O’Keefe.

Hoy en día, May-Britt Moser es aún directora del Centro de Computación Neural y profesora en Neurociencias en la UNCT de Trondheim, donde sigue con sus estudios sobre el cerebro. Entre los varios premios que ha recibido por sus investigaciones, se encuentran el Premio Karl Spencer Lashley y el Premio Körber European Science en 2014, el Premio Erna Hamburger en 2016 y la Gran Cruz de San Olaf de la Real Orden Noruega en 2018, otorgada a quienes se han distinguido por sus servicios al Rey, al país o a la humanidad.