Louise Gluck
Giulia Basile






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la letteratura 2020 «Per la sua inconfondibile voce poetica, che con la sua austera bellezza, rende universale l’esistenza individuale».

Nata a New York il 22 aprile del 1943 da una famiglia di origini ebreo-ungheresi, è cresciuta in un ambiente culturalmente attivo. Lei stessa ricorda che da bambina il suo gioco preferito con la nonna era quello di far gareggiare e confrontare tra loro libri diversi. E fu proprio in famiglia che si innamorò della bellezza delle favole e della mitologia greca, ma è anche la famiglia, il conflitto con sua madre e l’anoressia, a segnare la sua vita, tanto da essere costretta ad abbandonare il liceo e, in seguito, anche gli studi alla Columbia University.

Alternando periodi di fermento a depressione, grazie alla psicoanalisi, superò quei conflitti e quando il suo secondo marito, John Dranow, investì denaro in una scuola di chef, lei disse: «Mia madre era una cuoca spettacolare! Mi mancava il cibo e sono stata felice di riaccoglierlo nella mia vita». Divenne madre single, attenta e generosa col figlio Noha (che le ha dato due nipotine gemelle) rimasto l’unico, anche dopo un ventennio di vita col marito da cui poi ha divorziato. Oggi insegna Poesia all’Università Yale di New Haven, Connecticut.

Autrice da tempo molto apprezzata in patria e all’estero, ha un cursus honorum singolare: Premio Pulitzer per la poesia (1993), Premio Bollingen per la poesia (2001), National Book Award (2014), poeta laureata degli Stati Uniti nel 2003, Nobel nel 2020. Oggi viene collocata in una illustre e nobile stirpe di poeti e poete, tra le donne più grandi, accanto a Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton e Anne Carson. Dal 1968 a oggi ha pubblicato quattordici libri di poesia e alcuni saggi.

Il presidente Barack Obama consegna la National Humanities Medal alla poetessa Louise Gluck durante una cerimonia nella East Room alla Casa Bianca il 22 settembre 2016 a Washington, DC 

L’ultimo, Ottobre, edito durante la pandemia in corso, contiene riferimenti alla tragedia dell’11 settembre a New York perché – lei dice – è normale che la scrittura risenta dei drammi che abbiamo vissuto e ci scaraventano nel buio del dolore, ma è importante il come sappiamo uscirne. Fin dalla prima lettura, la poesia di Louise Glück porta a interrogarsi sul senso dello stare al mondo. In pochi versi raccomanda: «finché non si fa esperienza non si può raccontare nulla, per scrivere devi soffrire». E aggiunge, nel saggio Contro la sincerità, che il lettore è come Psiche: giace ogni notte con l’amato ma non lo conosce e una notte accende una candela per vedere chi c’è. Così chi legge si avvicina alla poesia con la candela in mano per scoprire chi c’è dall’altra parte. La sua scrittura si nutre molto della mitologia classica e dei personaggi biblici, che sono per lei i pilastri a cui afferrarsi nel caos della vita e da cui attingere. Ad esempio, la figura di Achille nella silloge Il trionfo di Achille è un personaggio di grande umanità, che comprende la propria caducità di fronte agli Dei dell’Olimpo, e non si dispera.

I temi di fondo della sua scrittura sono quelli che nascono dalla vita realmente vissuta e, in specie, dal fallimento delle relazioni. Anche la forma presenta ripetizioni quasi ossessive, frasi spezzate, sincopate, segno della ricerca di profondità ed essenzialità espressiva. La silloge Iris selvatico ci trasporta in un giardino dove, mentre l’autrice dialoga coi fiori (l’iris, la rosa, il papavero rosso, il trifoglio, le margherite), ci racconta della sua famiglia e delle sue esperienze. Spesso il suo soliloquio col suo Io poi diventa dialogo con un Dio intimo, astratto, alcune volte severo, altre generoso.

Nel riferirsi a Adamo e Eva, «Quando vi ho fatti, vi amavo. / Ora vi compatisco» dice Dio. Alla fine è Louise che cerca un dialogo con il padre irraggiungibile fino alla sua risposta appena percettibile, in Tramonto. È come se parlando attraverso l’iris mettesse in luce la materia del suo poetare per darsi una nuova possibilità: ciò che torna dalla dimenticanza serve a ritrovare qualcosa. Altra silloge tradotta in italiano è Averno (2006), in cui troviamo molti degli elementi già citati, ma centrale diventa il racconto dell’Ade e di Demetra con la figlia Persefone, e delle tante allegorie. Averno è un viaggio agli inferi, un percorso costellato da ciò che non è, caratterizzato da una costante sottrazione per giungere al nulla: «forse già il non essere basta del tutto, / per quanto sia difficile da immaginare». Qui c’è la vera poeta, nello scrivere ciò che è difficile da immaginare, ciò che è passato, presente e futuro, quel che resterà dopo la morte. Il percorso negli inferi è pieno di blu, di spazi neri, e in esso Louise fissa le tappe della propria esistenza e quella della sua famiglia: invoca il buio, del «non vedere» che è al contempo richiamo alla luce; il “ghiaccio”, emblema del «non sentire» per cercare di difendersi: «Cielo blu, ghiaccio blu, / strada come un fiume ghiacciato / stai parlando / della mia vita / lei mi disse».

Averno è dunque un viaggio nel buio delle dimenticanze e nel blu della cancellazione, descritto con frasi e punteggiatura sincopate, essenziali, cosa che si accorda con il continuo togliere dell’autrice in cerca dell’anima. Offre così un modello di comprensione per gli innumerevoli cambiamenti che costellano l’esistenza di ognuno di noi.

Con molta naturalezza e senza drammatizzare scrive: «la morte non può farmi male / più di quanto mi abbia fatto male tu /amata vita mia». La silloge forse più nota è Ararat (1990). Nella Bibbia, Ararat è il monte della salvezza di Noè. Qui Glück ripercorre con lucidità e durezza le relazioni che secondo Freud sono all’origine di tutti i traumi: quelle familiari. La vicenda che narra è quella di una famiglia, ma i protagonisti in realtà sono i membri della sua famiglia. Si trovano qui tutti i temi essenziali del poetare di Glück: l’esistenza, le ferite prodotte da sentimenti incoerenti, i grandi misteri, la vita, la morte, ma anche le prove da affrontare, il desiderio di amore e attenzioni.

Dallo sguardo d’insieme della sua opera (che include, oltre queste tre sillogi trattate, altre 11 pubblicazioni fino all’ultima Ottobre edita a marzo 2021) è palese che Louise Glück è veramente una grande Maestra nel raccontare l’animo umano e una grande poeta. In una intervista fatta subito dopo aver vinto il Nobel ci regala la sua idea di poesia: «Quello che tento di fare nelle poesie è stupire me stessa e – mi auguro – anche il lettore» e aggiunge che quando si accorge che il lettore potrebbe procedere verso un finale immaginabile, lei cambia rotta, perché vuole che chi legge sia destabilizzato e provi meraviglia». «La scrittura serve per mantenere lo stupore. La prima regola che insegno ai miei studenti di poesia è dividere le parti vive da quelle morte (che sarebbero i versi prevedibili), perché la poesia “viva” è quella che ti porta in un posto che prima non conoscevi».

Tordo

… per me penso che il mio senso di colpa significhi

che non ho vissuto tanto bene.

Qualcuno con me non evade.

Penso che per un po’ dormi.

Poi scendi nel terrore dell’altra vita

solo che

l’anima assume qualche forma diversa,

più o meno cosciente di prima,

più o meno avida.

Dopo molte vite, forse qualcosa cambia.

Penso che alla fine quello che vuoi

sarai in grado di vederlo.

Allora non hai più bisogno

di morire e ritornare ancora.


Traduzione francese

Guenoah Monroe

Prix Nobel de littérature 2020 «Par sa voix poétique incomparable, qui, avec son austère beauté, rend universelle l’existence individuelle».

Née à New York le 22 avril 1943 d’une famille d’origine juive-hongroise, elle a grandi dans un environnement culturellement actif. Elle se souvient elle-même que quand elle était petite, son jeu préféré avec sa grand-mère était de faire une compétition et de comparer entre eux différents livres. Et c’est dans sa famille qu’elle est tombée amoureuse de la beauté des fables et de la mythologie grecque, mais c’est aussi la famille, le conflit avec sa mère et l’anorexie, qui a marqué sa vie, au point d’être forcée d’abandonner le lycée et, ensuite, elle a étudié à l’Université Columbia.

Alternant périodes de troubles et dépression, grâce à la psychanalyse, elle a surmonté ces conflits et quand son second mari, John Dranow, a investi de l’argent dans une école de chef, elle a dit : «Ma mère était une cuisinière spectaculaire! La nourriture me manquait et j’ai été heureuse de la retrouver dans ma vie». Elle est devenue mère célibataire, attentive et généreuse avec son fils Noha (qui lui a donné deux petites-filles jumelles) resté le seul, même après vingt ans de vie avec son mari dont elle a ensuite divorcé. Aujourd’hui, elle enseigne la poésie à l’Université Yale de New Haven, Connecticut.

Auteur depuis longtemps très appréciée dans son pays et à l’étranger, elle a un cursus honorum singulier : Prix Pulitzer pour la poésie (1993), Prix Bollingen pour la poésie (2001), National Book Award (2014), poète diplômée des États-Unis en 2003, Nobel en 2020. Aujourd’hui, elle est placée dans une noble lignée de poètes, parmi les femmes les plus âgées, aux côtés d’Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton et Anne Carson. De 1968 à aujourd’hui, elle a publié quatorze livres de poésie et quelques essais.

Le 22 septembre 2016 à Washington, DC, le président Barack Obama a remis la Médaille nationale des sciences humaines à la poète Louise Gluck lors d'une cérémonie dans la salle Est de la Maison Blanche.

Le dernier, Octobre, publié pendant la pandémie en cours, contient des références à la tragédie du 11 septembre à New York parce que - dit-elle - il est normal que l’écriture souffre des drames que nous avons vécus et nous plonge dans l’obscurité de la douleur, mais il est important de savoir comment nous en sortons. Dès la première lecture, la poésie de Louise Glück amène à s’interroger sur le sens d’être au monde. Dans quelques vers, elle recommande : «tant qu’on ne fait pas l’expérience, on ne peut rien raconter, pour écrire, il faut souffrir». Et elle ajoute, dans l’essai Contre la sincérité, que le lecteur est comme Psyché : il dort chaque nuit avec le bien-aimé mais ne le connaît pas et une nuit il allume une bougie pour voir qui est là. Ainsi, celui qui lit s’approche du poème avec la bougie à la main pour découvrir qui est de l’autre côté. Son écriture se nourrit beaucoup de la mythologie classique et des personnages bibliques, qui sont pour elle les piliers auxquels s’accrocher dans le chaos de la vie et où puiser. Par exemple, la figure d’Achille dans la syllabe Le triomphe d’Achille est un personnage de grande humanité, qui comprend sa propre caducité face aux Dieux de l’Olympe, et ne désespère pas.

Les thèmes de fond de son écriture sont ceux qui naissent de la vie réellement vécue et, en particulier, de l’échec des relations. Même la forme présente des répétitions presque obsessionnelles, des phrases brisées, syncopées, signe de la recherche de profondeur et de l’essentialité expressive. La syllabe sauvage Iris nous transporte dans un jardin où, tandis que l’auteur dialogue avec les fleurs (l’iris, la rose, le coquelicot rouge, le trèfle, et les marguerites), nous parle de sa famille et de ses expériences. Souvent son soliloque avec son Moi devient ensuite dialogue avec un Dieu intime, abstrait, parfois sévère, et d’autres généreux.

En se référant à Adam et Ève, « Quand je vous ai faits, je vous ai aimés. / Maintenant je vous plains » dit Dieu. Finalement, c’est Louise qui cherche un dialogue avec son père inaccessible jusqu’à sa réponse à peine perceptible, dans Sunset. C’est comme si en parlant à travers l’iris elle mettait en lumière la matière de son poète pour se donner une nouvelle possibilité : ce qui revient de l’oubli sert à retrouver quelque chose. Une autre syllabe traduite en italien est Averno (2006), dans laquelle nous trouvons beaucoup d’éléments déjà cités, mais central devient le récit de l’Hadès et de Déméter avec sa fille Perséphone, et des nombreuses allégories. Averno est un voyage aux enfers, un parcours constellé par ce qu’il n’est pas, caractérisé par une soustraction constante pour arriver au néant : « peut-être déjà le fait de ne pas être suffisant du tout, / aussi difficile à imaginer ». Voici le vrai poète, en écrivant ce qui est difficile à imaginer, ce qui est passé, présent et futur, ce qui restera après la mort. Le parcours dans les enfers est plein de bleu, d’espaces noirs, et Louise y fixe les étapes de son existence et celle de sa famille : elle invoque l’obscurité, du « ne pas voir » qui est en même temps un appel à la lumière ; la "glace", emblème du « ne pas sentir » pour chercher à se défendre : « Ciel bleu, glace bleue, / route comme une rivière glacée / tu parles / de ma vie / elle me dit ».

Averno est donc un voyage dans l’obscurité des oublis et dans le bleu de l’effacement, décrit avec des phrases et des ponctuations syncopées, essentielles, ce qui s’accorde avec le fait de retirer continuellement de l’auteur à la recherche de l’âme. Elle offre ainsi un modèle de compréhension pour les innombrables changements qui jalonnent l’existence de chacun de nous.

Avec beaucoup de naturel et sans dramatiser, elle écrit : «la mort ne peut pas me faire mal / plus que ce que tu m’as fait mal / ma vie bien-aimée». La syllabe la plus connue est Ararat (1990). Dans la Bible, Ararat est la montagne du salut de Noé. Ici, Glück retrace avec lucidité et dureté les relations qui, selon Freud, sont à l’origine de tous les traumatismes : les relations familiales. L’histoire qu’elle raconte est celle d’une famille, mais les protagonistes sont en réalité les membres de sa famille. On trouve ici tous les thèmes essentiels du poète de Glück : l’existence, les blessures produites par des sentiments incohérents, les grands mystères, la vie, la mort, mais aussi les épreuves à affronter, le désir d’amour et d’attention.

D’après le regard d’ensemble de son œuvre (qui inclut, outre ces trois syllabes traitées, 11 autres publications jusqu’à la dernière Octobre publiée en mars 2021), il est évident que Louise Glück est vraiment une grande Maîtresse pour raconter l’âme humaine et une grande poète. Dans une interview faite immédiatement après avoir gagné le prix Nobel, elle nous donne son idée de poésie : «Ce que j’essaie de faire dans les poèmes, c’est m’étonner moi-même et - je l’espère - le lecteur aussi» et ajoute que lorsqu’elle s’aperçoit que le lecteur pourrait avancer vers une fin imaginable, Elle change de cap, parce qu’elle veut que celui qui lit soit déstabilisé et éprouve de l’émerveillement». « L’écriture sert à maintenir l’émerveillement. La première règle que j’enseigne à mes étudiants en poésie est de diviser les parties vivantes de ces morts (qui seraient les vers prévisibles), car la poésie "vivante" est celle qui vous emmène dans un endroit que vous ne connaissiez pas auparavant».

Muguet

... Je pense que ma culpabilité signifie

que je n’ai pas si bien vécu.

Quelqu’un ne s’évade pas avec moi.

Je crois que tu dors.

Puis tu descends dans la terreur de l’autre vie

seulement que

l’âme prend une forme différente,

plus ou moins consciente qu’avant,

plus ou moins gourmande.

Après de nombreuses vies, peut-être que quelque chose change.

Je pense qu’à la fin ce que tu veux

Tu pourras le voir.

Alors tu n’as plus besoin

de mourir et de revenir.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

2020 Nobel Prize in Literature Awarded for “… her unmistakable poetic voice, that with austere beauty makes individual existence universal."

Born in New York City on April 22, 1943 to a family of Jewish-Hungarian descent, she grew up in a culturally active environment. She recalls that as a child her favorite game with her grandmother was to contrast and compare different books. And it was in her family that she fell in love with the beauty of fairy tales and Greek mythology, but it was also her family, her conflict with her mother and her anorexia, that marked her life, so much so that she was forced to drop out of high school and, later, even her studies at Columbia University.

Alternating between periods of turmoil and depression, she overcame those conflicts thanks to psychoanalysis. When her second husband, John Dranow, invested money in a cooking school, she said, "My mother was a spectacular cook! I missed food and was happy to welcome it back into my life." She became a single, caring and generous mother to her son Noha (who gave her twin granddaughters) who remained her only child, even after a 20-year stint with her husband from whom she later divorced. Today she teaches poetry at Yale University in New Haven, Connecticut.

A longtime highly regarded author at home and abroad, she has a long and remarkable list of awards, including the Pulitzer Prize for Poetry (1993), Bollingen Prize for Poetry (2001), National Book Award (2014), Poet Laureate of the United States in 2003, and the Nobel Prize in 2020. Today she is placed in a distinguished and noble lineage of poets, among the greatest women, alongside Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton and Anne Carson. From 1968 to the present, she has published fourteen books of poetry and many essays.

On September 22, 2016 in Washington, DC, President Barack Obama presented the National Humanities Medal to poet Louise Gluck during a ceremony in the East Room of the White House.

Winter Recipes from the Collective, published during the current pandemic, contains references to the 9/11 tragedy in New York City because, she says, it is normal for writing to be affected by the dramas we have lived through and that hurl us into the darkness of grief, but knowing how to get out of it is most important. From the first reading, Louise Glück's poetry leads one to question the meaning of being in the world. In just a few lines she sums up, "until you have experience you have nothing to tell, to write you must suffer." She adds, in the essay Against Sincerity, that the reader is like Psyche: she lies every night with her beloved but does not know him, and one night she lights a candle to see who is there. Thus the reader approaches the poem with a candle in hand to find out who is on the other side. Her writing leans heavily on classical mythology and biblical characters, which are for her the pillars to grasp onto in the chaos of life and to draw from. For example, the figure of Achilles in The Triumph of Achilles is a character of great humanity, who understands his own transience in the face of the Olympian gods, and does not despair.

The underlying themes of her writing are those that arise from fully lived life and, especially, from the failure of relationships. Even the form presents almost obsessive repetitions, broken, syncopated sentences, a sign of the search for expressive depth and essentiality. The collection The Wild Iris transports us to a garden where, as the author converses with flowers (the iris, rose, red poppy, clover, daisies), she tells us about her family and her experiences. Often her soliloquy with her ego then becomes a dialogue with an intimate, abstract God, sometimes stern, sometimes generous.

In referring to Adam and Eve, God says, "When I made you, I loved you, / Now I pity you". In the end, it is Louise who seeks a dialogue with her unreachable father until his barely perceptible response in Sunset. It is as if speaking through the iris she sheds light on the material of her poetry to give herself a new possibility: what comes back from forgetfulness serves to find something again. Another collection is Averno (2006), in which we find many of the elements already mentioned, but the tale of Hades and Demeter with her daughter Persephone, and the many allegories, become central. Averno is a journey into the underworld, a path studded with what is not, characterized by a constant subtraction in order to arrive at nothingness: "perhaps already not being is enough of the whole, / however hard it is to imagine." Here is the true poet, in writing what is hard to imagine, what is past, present and future, what will remain after death. The journey into the underworld is full of blue and black spaces, and in them Louise fixes the stages of her own and her family's existence: she invokes the dark, of "not seeing" that is at the same time a call to light; the "ice," emblem of "not feeling" to try to defend herself: "Blue sky, blue ice, / road like a frozen river / you're talking / about my life / she told me."

Averno is thus a journey into the darkness of forgetfulness and the blue of erasure, described with syncopated, essential sentences and punctuation, which is in keeping with the author's continual soul-searching. She thus offers a model of understanding for the innumerable changes that dot the existence of each of us.

Very naturally and without dramatizing, she writes, "death cannot harm me / more than you have harmed me / my beloved life." Perhaps the best known collection is Ararat (1990). In the Bible, Ararat is the mountain of Noah's salvation. Here Glück lucidly and harshly traces the relationships that according to Freud are at the root of all trauma: family relationships. The story she tells is that of an anonymous family, but the protagonists are actually members of her own family. One finds here all the essential themes of Glück's poetry: existence, the wounds produced by inconsistent feelings, the great mysteries, life, death, but also the trials to be faced, the desire for love and attention.

From an overall look at her work (which includes, in addition to these three covered collections, 11 other publications up to the last - Winter Recipes from the Collective published in March 2021) it is obvious that Louise Glück is truly a great master in narrating the human soul, and a great poet. In an interview done immediately after winning the Nobel Prize she gives us her idea of poetry: "What I try to do in the poems is to amaze myself and - I hope - the reader as well," and she adds that when she realizes that the reader might be proceeding toward an imaginable ending, she changes course, because she wants the reader to be destabilized and feel wonder. "Writing is about maintaining wonder. The first rule I teach my poetry students is to divide the living parts from the dead parts (which would be the predictable verses), because the 'living' poem is the one that takes you to a place you didn't know before."

Thrush

But for me — I think the guilt I feel must mean
I haven’t lived well.

Someone like me doesn’t escape. I think you sleep awhile,
then you descend into the terror of the next life
except

the soul is in some different form,
more or less conscious than it was before,
more or less covetous.

After many lives, maybe something changes.
I think in the end what you want
you’ll be able to see–


Then you don’t need anymore
to die and come back again.


Traduzione spagnola

Maria Carreras Goicoechea

Premio Nobel de Literatura 2020 “Por su inconfundible voz poética que, con su austera belleza, hace universal la existencia individual”.

Esther Duflo
Sara Marsico






Giada Ionà

 

 Motivazione del Premio Nobel per l'Economia:«Perché i suoi studi hanno sensibilmente migliorato la nostra capacità di combattere la povertà nella pratica e per il suo approccio sperimentale a ridurre la povertà globale».

Esther Duflo, economista franco-americana, nasce a Parigi il 25 ottobre del 1972 da madre pediatra, impegnata nel volontariato per l’aiuto all'infanzia vittima di guerra, e padre professore di matematica. Attratta fin da piccola dalle figure di madre Teresa di Calcutta e Albert Schweitzer, si interroga assai presto sulle ragioni della sua fortuna di ragazza che può dedicarsi a sviluppare i propri talenti, mentre a molte altre persone nel mondo, comprese alcune a lei vicine, il sistema economico non dà le stesse opportunità. Studia storia ed economia alla École Normale Superieure di Parigi, completando il dottorato in Economia al Mit nel 1999, dopo averne conseguito uno a Parigi e avere insegnato all’Università di Princeton. Il suo curriculum è ricchissimo di pubblicazioni, relazioni e dottorati honoris causa presso le più prestigiose università, tra cui Oxford, Yale, Harvard e London School of Economics. È la più giovane vincitrice, a 46 anni, nel 2019, del Premio Nobel per l'Economia e la seconda donna, dopo Elinor Ostrom, a riceverlo, anche se condiviso con il marito e collega universitario Abhijit Banerjee e con Michael Kremer. Dopo il Master al Mit decide di rimanere nel tempio dell’economia statunitense, dove oggi ricopre l’incarico di professoressa di Economia dello sviluppo e per la riduzione della povertà nella facoltà intitolata a Abdul Latif Jameel, a coronamento di una carriera iniziata come associata a soli 29 anni.

Il merito più grande di Esther Duflo e del suo gruppo di ricerca è di avere fatto apprezzare al Mit l’importanza di un tema, considerato per molto tempo marginale: la riduzione della povertà in una facoltà di Economia. Questo è potuto avvenire, oltre che per la grande determinazione e autorevolezza di Duflo, definita da Forbes nel 2007 una delle dieci persone in grado di cambiare il mondo e dall’Economist una delle più influenti, per l’approccio nuovo della studiosa e del suo movimento diretto a ottenere risposte affidabili, perché riferite a temi e casi specifici, sulle vie migliori per combattere la povertà globale. L’economista che parla l’americano con un gradevolissimo accento francese e che da piccola era considerata un maschiaccio ha lanciato un nuovo modello per la ricerca economica, applicando un rigoroso metodo scientifico ai progetti di sviluppo nei Paesi poveri, metodo fondato sulle indagini del Pal, Poverty Action Lab, di cui è stata cofondatrice ed è tuttora Presidente, una rete internazionale di ricerca per combattere la povertà. Come lei stessa ha affermato: «La povertà si può combattere, ma i modelli teorici non bastano. Non abbiamo bisogno di previsioni oracolari. Lavoriamo sul campo». E Duflo sul campo c’è stata davvero, soprattutto in Africa e in India. «Cerchiamo di creare un legame tra scienza e azione – continua – e abbiamo preso in prestito dalla medicina il metodo di valutazione random, confrontando gli effetti di iniziative contro la povertà su un gruppo sperimentale e su un gruppo di controllo». Si tratta di un «laboratorio di esperimenti empirici», che adotta un approccio pragmatico volto a testare su basi concrete l'impatto delle strategie elaborate attraverso l’analisi controfattuale (randomized controlled trial), per andare a fondo ed individuare i meccanismi che generano la povertà, il sottosviluppo e le disuguaglianze economiche.

Donna di grande semplicità, dotata di un notevole senso dell’umorismo e di umiltà, emersa anche nel suo discorso in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel, in cui ha riconosciuto che i suoi studi sono il frutto di uno sforzo collettivo a cui hanno preso parte moltissime persone, dice di sé di essere stata una studente “tuttofare” e senza inclinazioni particolari. Quando ha scoperto l’economia ha compreso che poteva rappresentare la chance di fare qualcosa per i temi che le stavano a cuore. Una volta approdata al Mit ha seguito i seminari di quello che sarebbe diventato suo marito e in due decenni ha trasformato insieme a lui e ad altri/e l’Economia dello sviluppo, che oggi è un fiorente campo di ricerca. Secondo Duflo gli studi di Economia dello sviluppo si sono fatti sfuggire negli anni passati alcuni dettagli e gli interventi proposti non sono stati sempre in grado di raggiungere i risultati sperati, con grande dispendio di risorse e investimenti e politiche economiche sbagliate. Il metodo di Duflo si differenzia sia da quello di chi propone imponenti trasferimenti alle Nazioni povere, sia da quello di chi rifiuta tale aiuto ritenendolo una forma di paternalismo del mondo ricco e si applica a molte tematiche all’interno della povertà globale, come la sanità, l’istruzione, l’agricoltura e le questioni di genere. Il metodo si basa su una sperimentazione molto simile a quella clinica usata per testare un nuovo farmaco. Quando si sperimenta un nuovo farmaco, il campione è scelto a caso, somministrando a un certo numero di persone dei placebo e ad altre il farmaco sperimentale con i suoi principi attivi. La valutazione aleatoria utilizzata da Duflo funziona esattamente nello stesso modo.

Tra i tanti esempi di nuove politiche per la mitigazione della povertà è da ricordare quello adottato per superare le difficoltà di vaccinazione di bambini e bambine nel Rajasthan secondo il programma governativo. «I genitori avevano l’impressione che non si trattasse di qualcosa di urgente. Il vaccino era una prevenzione, non una risposta ad una crisi immediata. Questione di mentalità». Di qui la proposta, estremamente semplice: regalare un chilogrammo di lenticchie a chi si presentava per effettuare i vaccini. Dai risultati è emerso che il gruppo a cui era stato assegnato un chilo di lenticchie aveva triplicato il tasso di vaccinazione. Nel gruppo a cui l’incentivo non era stato dato il tasso di vaccinazione era rimasto invariato. L’approccio innovativo di Duflo e di colleghi e colleghe consiste nel suddividere la povertà globale in questioni più piccole, affrontabili più facilmente, come ad esempio escogitare interventi più efficaci per migliorare i risultati dell’istruzione della gioventù o la sua igiene, come combattere la malaria o come ridurre la dispersione scolastica in alcuni Paesi.

Debellare i vermi e quindi migliorare la salute dei bambini e delle bambine può essere un approccio vincente per aumentare la partecipazione alla didattica, come acquistare un’uniforme scolastica per le e gli studenti che non frequentano perché non se la possono permettere. Essere sul campo, raccogliere dati, cercare di capire direttamente per essere utili nell’immediato, questo lo spirito del nuovo modo di affrontare le «trappole di povertà», toccando i tasti giusti, smontando il luogo comune, sperimentato sul campo, che le persone povere sarebbero indolenti. Duflo si rammarica della scarsa presenza delle donne in tutte le professioni, ma soprattutto in campo economico e ne ravvisa la causa nei temi troppo aridi e tecnici affrontati da economisti maschi e bianchi, che rendono l’economia poco interessante. L’economia deve essere umana e mettersi al servizio della collettività, individuando strumenti in grado di affrontare le sfide di oggi: riscaldamento globale, lavoro e giustizia sociale. E le donne devono essere incoraggiate a effettuare questi studi, anche seguendo il suo esempio.

Tra i libri scritti da Duflo, oltre alle numerose pubblicazioni, ricordiamo Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, con Abhijit V. Banerjee e nel 2019, sempre con il marito, Una buona economia per tempi difficili, edito in Italia da Laterza. Tra i tanti riconoscimenti vanno citati quello di Commendatrice dell'ordine della Legion d'onore (2020-Francia) e Ufficiale dell’Ordine nazionale al Merito (2013- Francia). Come Marie Curie anche Esther Duflo ha destinato la somma ricevuta per il Premio Nobel alla ricerca.


Traduzione francese

Guenoah Monroe

Motivation du Prix Nobel d’économie : «Parce que ses études ont sensiblement amélioré notre capacité à combattre la pauvreté dans la pratique et son approche expérimentale pour réduire la pauvreté globale».

Esther Duflo, économiste franco-américaine, est née à Paris le 25 octobre 1972 en tant que mère pédiatre, bénévole dans l’aide aux enfants victimes de la guerre, et père professeur de mathématiques. Attirée dès son plus jeune âge par les figures de Mère Teresa de Calcutta et Albert Schweitzer, elle s’interroge très tôt sur les raisons de sa fortune de jeune fille qui peut se consacrer à développer ses talents, tandis que de nombreuses autres personnes dans le monde, y compris certaines proches d’elle, le système économique ne donne pas les mêmes chances. Elle étudie l’histoire et l’économie à l’École supérieure de Paris, obtenant son doctorat en économie au MIT en 1999, après en avoir obtenu un à Paris et avoir enseigné à l’université de Princeton. Son parcours est riche en publications, rapports et doctorats honoris dans les universités les plus prestigieuses, y compris Oxford, Yale, Harvard et London School of Economics. Elle est la plus jeune lauréate, à 46 ans, du Prix Nobel d’économie et la deuxième femme, après Elinor Ostrom, à le recevoir, bien qu’elle ait été partagée avec son mari et collègue universitaire Abhijit Banerjee et avec Michael Kremer. Après sa maîtrise au MIT, elle décide de rester dans le temple de l’économie américaine, où elle occupe aujourd’hui le poste de professeur d’économie du développement et de réduction de la pauvreté dans la faculté intitulée à Abdul Latif Jameel, elle a terminé sa carrière comme associée à seulement 29 ans.

Le plus grand mérite d’Esther Duflo et de son groupe de recherche est d’avoir fait apprécier au MIT l’importance d’un thème longtemps considéré comme marginal : la réduction de la pauvreté dans une faculté d’économie. Ceci a pu se produire, en plus de la grande détermination et autorité de Duflo, définie par Forbes en 2007 comme l’une des dix personnes capables de changer le monde et par The Economist l’une des plus influentes, pour la nouvelle approche de la chercheuse et de son mouvement visant à obtenir des réponses fiables, parce qu’elles se réfèrent à des thèmes et des cas spécifiques, sur les meilleures voies pour combattre la pauvreté mondiale. L’économiste qui parle l’américain avec un accent français très agréable et qui était considéré comme un garçon manqué a lancé un nouveau modèle pour la recherche économique, en appliquant une méthode scientifique rigoureuse aux projets de développement dans les pays pauvres, La méthode fondée sur les enquêtes du Pal, Poverty Action Lab, dont elle a été cofondatrice et est toujours présidente, un réseau international de recherche pour combattre la pauvreté. Comme elle l’a dit elle-même : «La pauvreté peut être combattue, mais les modèles théoriques ne suffisent pas. Nous n’avons pas besoin de prévisions oraculaires. Nous travaillons sur le terrain ». Et Duflo sur le terrain a vraiment existé, surtout en Afrique et en Inde. «Nous essayons de créer un lien entre science et action - poursuit-elle - et nous avons emprunté à la médecine la méthode d’évaluation aléatoire, en comparant les effets d’initiatives contre la pauvreté sur un groupe expérimental et sur un groupe témoin». Il s’agit d’un «laboratoire d’expériences empiriques» qui adopte une approche pragmatique visant à tester sur des bases concrètes l’impact des stratégies élaborées à travers l’analyse contre-factuelle (randomisé controlled trial) pour aller au fond et identifier les mécanismes qui engendrent la pauvreté, le sous-développement et les inégalités économiques.

Femme d’une grande simplicité, dotée d’un remarquable sens de l’humour et d’humilité, qui a également émergé dans son discours lors de l’attribution du Prix Nobel, dans lequel elle a reconnu que ses études sont le fruit d’un effort collectif auquel ont participé de très nombreuses personnes, elle dit qu’elle a été une élève "polyvalente" et sans inclination particulière. Quand elle a découvert l’économie, elle a compris qu’elle pouvait être l’occasion de faire quelque chose pour les sujets qui lui tenaient à cœur. Une fois arrivée au MIT, elle a suivi les séminaires de ce qui allait devenir son mari et en deux décennies, elle a transformé avec lui et d’autres l’économie du développement, qui est aujourd’hui un domaine de recherche florissant. Selon Duflo, les études d’économie du développement ont échappé dans les années passées à quelques détails et les interventions proposées n’ont pas toujours été en mesure d’atteindre les résultats escomptés, avec une grande dépense de ressources et d’investissements et de politiques économiques erronées. La méthode de Duflo diffère à la fois de celle de ceux qui proposent d’importants transferts aux nations pauvres et de ceux qui refusent cette aide en la considérant comme une forme de paternalisme du monde riche et s’applique à de nombreux thèmes au sein de la pauvreté mondiale, comme la santé, l’éducation, l’agriculture et les questions de genre. La méthode est basée sur un essai très similaire à celui clinique utilisé pour tester un nouveau médicament. Lors de l’essai d’un nouveau médicament, l’échantillon est choisi au hasard, en administrant à un certain nombre de personnes un placebo et à d’autres le médicament expérimental avec ses principes actifs. L’évaluation aléatoire utilisée par Duflo fonctionne exactement de la même manière.

Parmi les nombreux exemples de nouvelles politiques d’atténuation de la pauvreté figure celui adopté pour surmonter les difficultés de vaccination des enfants au Rajasthan selon le programme gouvernemental. «Les parents avaient l’impression que ce n’était pas urgent. Le vaccin était une prévention, pas une réponse à une crise immédiate. Question de mentalité». D’où la proposition, extrêmement simple : donner un kilogramme de lentilles à ceux qui se présentaient pour effectuer les vaccins. Les résultats ont montré que le groupe ayant reçu un kilo de lentilles avait triplé le taux de vaccination. Le taux de vaccination est resté inchangé dans le groupe auquel l’incitation n’a pas été accordée. L’approche novatrice de Duflo et de ses collègues consiste à diviser la pauvreté mondiale en des questions plus petites et plus faciles à traiter, comme par exemple concevoir des interventions plus efficaces pour améliorer les résultats de l’éducation de la jeunesse ou son hygiène, comment lutter contre le paludisme ou comment réduire le décrochage scolaire dans certains pays.

Éradiquer les vers et améliorer ainsi la santé des garçons et des filles peut être une approche gagnante pour augmenter la participation à l’enseignement, comme acheter un uniforme scolaire pour les étudiants qui ne fréquentent pas parce qu’ils ne peuvent pas se le permettre. Être sur le terrain, recueillir des données, essayer de comprendre directement pour être utile dans l’immédiat, c’est l’esprit de la nouvelle façon d’affronter les « pièges de pauvreté », en touchant les bons boutons, en démontant le cliché, expérimenté sur le terrain, les pauvres seraient paresseux. Duflo regrette la faible présence des femmes dans toutes les professions, mais surtout dans le domaine économique et en voit la cause dans les thèmes trop arides et techniques affrontés par des économistes masculins et blancs, qui rendent l’économie peu intéressante. L’économie doit être humaine et se mettre au service de la collectivité, en identifiant des instruments capables de relever les défis d’aujourd’hui: réchauffement climatique, travail et justice sociale. Et les femmes doivent être encouragées à mener ces études, même en suivant son exemple.

Parmi les livres écrits par Duflo, en plus des nombreuses publications, citons Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, avec Abhijit V. Banerjee et en 2019, toujours avec son mari, Une bonne économie pour les temps difficiles, édité en Italie par Laterza. Parmi les nombreuses distinctions, il faut citer celle de Commandeuse de l’ordre de la Légion d’honneur (2020-France) et Officier de l’Ordre national du Mérite (2013-France). Comme Marie Curie, Esther Duflo a consacré la somme reçue pour le prix Nobel à la recherche.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Awarded the Nobel Prize in Economics, «Because her studies have significantly improved our ability to fight poverty in practice and for her experimental approach to reducing global poverty».

Esther Duflo, a French-American economist, was born in Paris on Oct. 25, 1972, to a pediatrician mother, involved in volunteer work to help war-affected children, and a mathematics professor father. Drawn as a child to the figures of Mother Teresa of Calcutta and Albert Schweitzer, at a very early age she questioned the reasons for her good fortune as a girl who could devote herself to developing her talents, while many other people in the world, including some close to her, were not given the same opportunities by the economic system. She studied history and economics at the École Normale Superieure in Paris, completing her Ph.D. in economics at MIT in 1999, and has been a professor at MIT ever since, aside from one year at Princeton University, and time at the Paris School of Economics. Her resume is replete with publications, reports and honorary doctorates from the most prestigious universities, including Oxford, Yale, Harvard and the London School of Economics. She is the youngest winner, at age 46, in 2019, of the Nobel Prize in Economics and the second woman, after Elinor Ostrom, to receive it, although she shared it with her husband (and thesis advisor) Abhijit Banerjee and with Michael Kremer. After her Ph.D. degree at MIT, she decided to remain there, where she now holds the position of professor of Development and Poverty Reduction Economics, crowning a career that began as a tenured associate professor at only 29 years old.

One of the greatest accomplishments of Esther Duflo and her research team is that they have made MIT appreciate the importance to an economics faculty of a topic long considered marginal, namely poverty reduction. This was been able to happen not only because of the great determination and authority of Duflo, named by Forbes in 2007 as one of the ten people who can change the world and by the Economist as one of the most influential, but also because of her fresh approach as a scholar. Her work has been directed at obtaining reliable answers, relating to specific issues and cases, on the best ways to combat global poverty. The economist, who speaks American English with a pleasant French accent, she was considered a tomboy as a child. She has launched a new model for economic research, applying a rigorous scientific method to development projects in poor countries, a method based on the investigations of PAL (Poverty Action Lab), of which she was co-founder and is still president, an international research network to combat poverty. As she put it, «Poverty can be fought, but theoretical models are not enough. We don't need oracular predictions. We need work in the field». And Duflo has indeed been in the field, especially in Africa and India. "We try to create a link between science and action," she continued, «and we borrowed the random evaluation method from medicine, comparing the effects of anti-poverty initiatives on an experimental group and a control group.» It has been a «laboratory of empirical experiments», adopting a pragmatic approach aimed at testing the impact of strategies developed through randomized controlled trials on a practical basis, to get to the bottom of and identify the mechanisms that generate poverty, underdevelopment and economic inequality.

A woman of great simplicity, endowed with a remarkable sense of humor and humility, which emerged in her speech at the awarding of the Nobel Prize, when she acknowledged that her studies were the result of a collective effort in which many people took part. She says of herself that she was an "all-hands-on-deck" student with no particular inclinations. When she discovered economics, she realized that it could represent a chance to do something about the issues she cared about. Once she landed at MIT, she attended the seminars of Banerjee, would become her husband, and in two decades she and he and others transformed Development Economics, which is now a thriving field of research. According to Duflo, Development Economics studies missed some critical details in past years, and its proposed interventions have not always been able to achieve the desired results, resulting in a waste of resources and investment and misguided economic policies. Duflo's method differs both from those who propose massive transfers to poor nations and from those who reject such aid, deeming it a form of paternalism by the rich world, and applies to many issues within global poverty, such as health, education, agriculture and gender issues. The method is based on a trial very similar to the clinical trial used to test a new drug. When testing a new drug, the sample is evaluated by randomly giving some people placebos and others the experimental drug with its active ingredients. The random evaluations used by Duflo work in exactly the same way.

Among the many examples of new policies for poverty mitigation is the one adopted to overcome difficulties in vaccinating boys and girls in Rajasthan under a government program. «Parents were under the impression that this was not something urgent. The vaccine was a prevention, not a response to an immediate crisis. It was a matter of mindset». Hence an extremely simple proposal was made - to give a kilogram of lentils to those who showed up for vaccines. The results showed that the group given a kilogram of lentils had tripled the vaccination rate. In the group that was not given the incentive, the vaccination rate had remained unchanged. Duflo and her colleagues' innovative approach is to break down global poverty into smaller, more easily addressed issues, such as devising more effective interventions to improve youth education outcomes or hygiene, or ways to combat malaria or to reduce school dropout rates.

Eradicating worms and thus improving the health of boys and girls can be a winning approach to increasing participation in education, as can buying a school uniform for the students who do not attend because they cannot afford one. Being in the field, collecting data, trying to understand directly in order to be useful in the immediate, that is the spirit of the new way of addressing "poverty traps," touching the right buttons, dismantling the cliché that poor people are indolent. Duflo regrets the underrepresentation of women in all professions, but especially in the field of economics, and sees the cause in the too dry and technical topics addressed by male and white economists, which make economics uninteresting. Economics must be humane and put itself at the service of the community, identifying tools that can address today's challenges: global warming, jobs and social justice. And women must be encouraged to carry out these studies, including following her example.

Books written by Duflo, in addition to numerous publications, include Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, with Abhijit V. Banerjee, and in 2019, again with her husband, Good Economics for Hard Times: Better Answers to Our Biggest Problems. Among her many awards are those of Commander of the French Legion of Honor (2020) and Officer of the French National Order of Merit (2013). Like Marie Curie, Esther Duflo earmarked the sum she received for the Nobel Prize for research.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Motivación del Premio Nobel de Economía: «Porque sus estudios han mejorado considerablemente nuestra capacidad para combatir la pobreza en la práctica y por su enfoque experimental para aliviar la pobreza global».

Esther Duflo, economista franco-estadounidense, nació en París el 25 de octubre de 1972 de madre pediatra, dedicada al voluntariado para la ayuda a la infancia víctima de guerra, y de padre profesor de matemáticas. Atraída desde pequeña por las figuras de madre Teresa de Calcuta y Albert Schweitzer, se cuestiona muy pronto por qué tiene la suerte de poder desarrollar sus talentos, cuando, a muchas otras personas en el mundo –incluidas algunas cercanas a ella–, el sistema económico no les ofrece las mismas oportunidades. Estudia historia y economía en la École Normale Superieure de París, completando su doctorado en Economía en el MIT en 1999, después de obtener uno en París y haber enseñado en la Universidad de Princeton. Su currículum es rico en publicaciones, informes y doctorados honoris causa en las universidades más prestigiosas, como Oxford, Yale, Harvard y la London School of Economics. Es la ganadora más joven, a los 46 años, en 2019, del Premio Nobel de Economía y la segunda mujer, después de Elinor Ostrom, en recibirlo, aunque compartido con su esposo y colega universitario Abhijit Banerjee y con Michael Kremer. Después de su máster en el MIT, decide permanecer en el templo de la economía estadounidense, donde hoy ocupa el cargo de profesora de Economía del Desarrollo y Reducción de la Pobreza en la facultad que lleva el nombre de Abdul Latif Jameel, coronando una carrera que comenzó como profesora con solo 29 años.

El mayor mérito de Esther Duflo y su grupo de investigación es haber hecho apreciar al MIT la importancia de un tema que durante mucho tiempo se había considerado marginal: la reducción de la pobreza en una facultad de Economía. Esto pudo ocurrir, más allá de su gran determinación y la estimación del entorno –definida por Forbes en 2007 como una de las diez personas capaces de cambiar el mundo y por el Economist como una de las más influyentes–, gracias al nuevo enfoque de la estudiosa y su movimiento dirigido a obtener respuestas confiables, porque se refieren a temas y casos específicos, sobre las mejores vías para combatir la pobreza global. La economista lanzó un nuevo modelo para la investigación económica, aplicando un riguroso método científico a los proyectos de desarrollo en los países pobres, método basado en las investigaciones del PAL, Poverty Action Lab, que cofundó y cuya presidenta sigue siendo, una red internacional de investigación para combatir la pobreza. Como ella misma dijo: «La pobreza se puede encarar, pero los modelos teóricos no son suficientes. No necesitamos predicciones oraculares. Trabajamos sobre el terreno». Y Duflo realmente conoce el terreno, especialmente el de África e India. «Intentamos crear un vínculo entre la ciencia y la acción –continúa– y hemos tomado prestado de la medicina el método de evaluación aleatoria, comparando los efectos de las iniciativas contra la pobreza en un grupo experimental y en un grupo de control». Se trata de un “laboratorio de experimentos empíricos”, que adopta un enfoque pragmático destinado a probar sobre una base concreta el impacto de las estrategias elaboradas a través del análisis contrafáctico (randomized controlled trial), para profundizar e identificar los mecanismos que generan la pobreza, el subdesarrollo y las desigualdades económicas.

Mujer de gran sencillez, dotada de un notable sentido del humor, su gran humildad se pudo apreciar durante su discurso al recibir el Premio Nobel, donde reconoció que sus estudios son el fruto de un esfuerzo colectivo en el que participaron muchas personas; dice de sí misma que fue una estudiante “todoterreno” y sin inclinaciones particulares. Cuando descubrió la economía, se dio cuenta de que podía representar la oportunidad de hacer algo por los temas que la preocupaban. Una vez que llegó al MIT, siguió los seminarios de quien se convertiría en su marido y en dos décadas transformó, junto con él y su equipo, la Economía del Desarrollo, que hoy es un próspero campo de investigación. Según Duflo, los estudios de Economía del Desarrollo se han dejado escapar en los últimos años algunos detalles y las intervenciones propuestas no siempre han sido capaces de lograr los resultados esperados, con un gran dispendio de recursos e inversiones y con políticas económicas equivocadas. El método de Duflo se diferencia tanto del de quienes proponen imponentes transferencias a las naciones pobres, como del de quienes rechazan dicha ayuda considerándola una forma de paternalismo del mundo rico y se aplica a muchos temas dentro de la pobreza global, como la salud, la educación, la agricultura y las cuestiones de género. El método se basa en una experimentación muy similar a la clínica utilizada para probar un nuevo fármaco. Cuando se experimenta un nuevo fármaco, la muestra se elige al azar, administrando a varias personas placebos y a otras el fármaco experimental con sus principios activos. La evaluación aleatoria utilizada por Duflo funciona exactamente de la misma forma.

Entre los muchos ejemplos de nuevas políticas de mitigación de la pobreza, cabe recordar la adoptada para superar las dificultades de vacunación de niños y niñas según el programa gubernamental de Rajastán. «Los padres tenían la impresión de que no era algo urgente. La vacuna era una prevención, no una respuesta a una crisis inmediata. Cuestión de mentalidad». De ahí la propuesta, extremadamente sencilla: regalar un kilo de lentejas a los que se presentaban para vacunarse. Los resultados mostraron que el grupo al que se le había asignado un kilo de lentejas había triplicado la tasa de vacunación. En el grupo al que no se le había dado el incentivo, la tasa de vacunación se había mantenido inalterada. El enfoque innovador de Duflo y sus colegas consiste en dividir la pobreza global en cuestiones más pequeñas, más fáciles de abordar, como idear intervenciones más efectivas para mejorar los resultados de la educación de la juventud o su higiene, como combatir la malaria o como reducir el abandono escolar en algunos países.

Erradicar los gusanos y así mejorar la salud de niños y niñas puede ser una estrategia fructuosa para aumentar la participación en la enseñanza, como comprar un uniforme escolar para aquellos/as estudiantes que no asisten porque no se lo pueden permitir. Conocer el contexto, recoger datos, tratar de entender directamente para ser útil en lo inmediato, este es el espíritu de la nueva forma de lidiar con las “trampas de la pobreza”, tocando las teclas correctas, desmontando el tópico, experimentado realmente, de que los pobres son indolentes. Duflo lamenta la escasa presencia de mujeres en todas las profesiones, pero sobre todo en el ámbito económico, y reconoce la causa en los temas demasiado áridos y técnicos abordados por economistas varones y blancos, que hacen que la economía sea poco interesante. La economía debe ser humana y ponerse al servicio de la colectividad, identificando herramientas capaces de afrontar los retos de hoy: calentamiento global, trabajo y justicia social. Y hay que animar a las mujeres a realizar dichos estudios, incluso siguiendo su ejemplo.

Entre los libros escritos por Duflo, además de las numerosas publicaciones, recordamos Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, con Abhijit V. Banerjee (2011) y en 2019, otra vez con su esposo, La buena economía para tiempos difíciles, publicado en España por Taurus (2020). Entre los muchos reconocimientos recibidos cabe mencionar el de Comendadora de la Orden de la Legión de Honor (2020- Francia) y el de Oficial de la Orden Nacional al Mérito (2013- Francia). Al igual que Marie Curie, Esther Duflo también destinó la suma recibida por el Premio Nobel a la investigación.

 

Olga Tokarczuck
Sara Marsico






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la letteratura 2019 «Per la sua immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita ma anche per aver costruito i suoi romanzi con una tensione tra aspetti culturali opposti: natura versus cultura, ragione versus follia, uomini versus donne»

Olga Tokarczuk nasce a Sulechów, in Polonia, nel 1962 da genitori abituati a viaggiare d’estate col carrello tenda. Cresce in modo libero, con la voglia di viaggiare molto di più. Studia psicologia a Varsavia e per un po’ di tempo pratica, come psicologa junghiana, la professione di psicoterapeuta; poi l’abbandona perché si accorge, come dichiarerà in un’intervista, di avere molti più problemi dei suoi e delle sue pazienti. Fino al 1989 non ha un passaporto e dopo il crollo del Muro di Berlino si trasferisce a Londra, dove si forma su testi femministi. Fa del viaggio uno strumento di conoscenza non tanto dei luoghi quanto delle persone che viaggiano. Dal 1998 vive in un piccolo villaggio nei Sudeti, vicino al confine polacco-ceco, dove fonda Ruta, la sua piccola casa editrice e organizza festival letterari. Aderisce al partito dei Verdi polacchi, ed è vicina alla sinistra. Affascinata fin da piccola dalla figura di Maria Słodowska, sviluppa una coscienza femminista e contrasta il patriarcato sia con la sua scrittura, sia con la scelta di un marito che si prende cura di lei, seguendola devotamente nella sua carriera.

Tokarczuk esordisce come poeta ma presto passa alla narrativa, inventando un nuovo genere di romanzo, a lei più congeniale, definito “romanzo costellazione”, senza una trama chiara e definita, a metà tra mémoire, autobiografia, saggio, estremamente frammentato, con un insieme di voci, punti di vista e linguaggi, un po’ come il mondo contemporaneo con le sue sollecitazioni. Attratta dai confini, ritiene che attraversarli sia la condizione fondamentale dell’essere umano e mette in pratica questa sua idea anche nella scelta delle sue case, l’ultima delle quali si trova tra Polonia e Repubblica ceca. Un’esperienza fatta da bambina, la scoperta del fiume Oder, la convince che «è sempre meglio ciò che è in movimento rispetto a ciò che sta fermo; che il cambiamento è sempre più nobile della stabilità. Ciò che non si muove è soggetto alla disintegrazione e a ridursi in cenere, mentre ciò che si muove potrebbe durare per sempre…» Scrittrice polacca tra le più amate e popolari della sua generazione dal pubblico e dalla critica è stata insignita di numerosi premi letterari, tradotta in diciannove lingue e vincitrice per tre volte del Premio letterario Nike.

Nel 1993 scrive Il viaggio del libro-popolo, che ha per tema la ricerca di due amanti per il “segreto del libro” (metafora del senso della vita) ambientato nella Francia del XVII secolo. Con questo libro vince il premio dell’Associazione degli editori polacchi come migliore opera prima di narrativa.

Continua con E. E., nel 1996, che nel titolo fa riferimento alle iniziali della protagonista, Erna Eltzner, che sviluppa capacità psichiche. Più volte Tokarczuk cita la psicologia junghiana come un’ispirazione per il suo lavoro letterario e racconta come le origini della sua passione per la scrittura siano da ritrovare negli stimoli suscitati in lei da una fotografia che ritraeva sua madre poco prima del parto. Osservando da piccola il profilo in bianco e nero di quella donna un po’ malinconica, immaginava che stesse cercando di mettersi in contatto con lei non ancora nata, girando le manopole di un ingombrante apparecchio radiofonico che occupava il resto dell’inquadratura. La sua scrittura ha un timbro mistico.

Nel 2003 pubblica Casa di giorno, casa di notte, un mosaico di racconti, saggi e personaggi legati alla storia di Nova Ruta in cui attualmente vive. Particolarmente originale e interessante è Bieguni, romanzo-costellazione pluripremiato, pubblicato nel 2007, edito da Bompiani con il titolo I vagabondi, (in inglese Flight) romanzo scritto come un patchwork, dedicato al viaggio ma che non ha nulla in comune con il genere della letteratura di viaggio, piuttosto una serie di ritratti di nomadi di ogni tipo, scritto prevalentemente in quei non luoghi che sono gli aeroporti e le stazioni della metropolitana, in cui si alternano riflessioni dell’autrice, mosaici di storie, vicende strane, punti di vista diversi, pubblicità, considerazioni filosofiche, parti autobiografiche, racconti storici e inserti di biologia, scienza e medicina, con un’attenzione particolare alla sorte dei corpi dopo la morte, alla plastinazione, alle sale delle meraviglie. La scrittura è lieve e briosa, fa spesso ricorso all’umorismo, non vi si intravede un Io ma un Noi, una coralità di voci tutte ugualmente importanti. «Io credo in una letteratura che unisce la gente e ci dimostra quanto siamo simili, che ci rende consapevoli del fatto che siamo tutti uniti da fili invisibili. Che racconta la storia del mondo come se fosse un tutt’uno vivo e unificato, che si sviluppa di continuo davanti al nostro sguardo: noi ne siamo solo una piccola parte, eppure al tempo stesso siamo una parte potente», dirà in una intervista.

Oltre a testi e saggi brevi di prosa nel 2009 pubblica un giallo, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (edito in italiano da Nottetempo), in cui il personaggio principale, un’anziana astrologa eccentrica, attribuisce una serie di morti in una zona rurale della Polonia alla vendetta degli animali selvatici contro i cacciatori, affrontando in tal modo il tema della responsabilità degli esseri umani verso la natura.«Noi abbiamo una concezione del mondo ma gli Animali hanno una percezione del mondo, lo sai?»

Secondo la scrittrice Nobel per la Letteratura l’essere umano si è dimenticato di fare parte della natura: «Riconoscerlo implicherebbe un radicale processo di cambiamento, mentre i più hanno paura di dovere cambiare». Tokarczuk è impegnata per i diritti delle persone lgbtq+ in un Paese omofobo e antiabortista, androcentrico anche nel linguaggio, come l’italiano. Sul punto la scrittrice afferma: «L’esperienza dice che ogni rivoluzione passa attraverso la lingua, che è lo strumento con cui creiamo la realtà. Perciò sono molto favorevole alla femminilizzazione delle lingue, perché proprio lì è annidata la violenza patriarcale di genere». Nel 2014 esce I libri di Jacob, con cui Tokarczuk vince un premio Nike ma che viene osteggiato da alcuni circoli nazionalisti e diventa l’oggetto di una campagna di insulti da parte di haters. Riceve il premio internazionale del ponte tedesco-polacco, assegnato ad attivisti e attiviste per la promozione della pace, per lo sviluppo democratico e per la reciproca comprensione tra i popoli e le nazioni dell’Europa. In quasi tutti i suoi libri apprendiamo che la storia di ogni luogo è potenzialmente infinita, che se si scava alle radici di una vita, di una casa, di un quartiere o anche solo di un oggetto, si possono trovare tutte le connessioni che fanno la storia. La scrittrice polacca, da quando ha capito che dopo i cinquanta una donna diventa invisibile, ha scelto un’antica acconciatura polacca, la plica polonica, d’epoca cinquecentesca.

L’ultimo libro, scritto nel 2014, è L’anima perduta, pubblicato da poco negli Stati Uniti. Un uomo, a furia di correre troppo, si perde l’anima. Per recuperarla, deve stare fermo per due, tre anni. A chi le chiede se la trama del libro sia una metafora del lockdown risponde di averlo scritto prima ma che oggi tutti sentiamo che «la produzione di oggetti monouso, il consumo di carne, viaggiare in aereo ovunque, non è normale; è una realtà mostruosa, iperstimolata, eccessiva. Forse questa pandemia è il Cigno Nero che ci aiuterà a cambiare». «Lo scopo di ogni mio pellegrinaggio è un altro pellegrino» scrive nel suo libro I vagabondi, una miniera di storie e riflessioni da assaporare a poco a poco, in ciò denunciando la sua grande curiosità per le persone e per le storie che portano con sé e la sua natura di cittadina di un mondo in continua evoluzione. «Vai. Muoviti. Beato è colui che si muove».


Traduzione francese

Guenoah Monroe

Prix Nobel de littérature 2019 «Par son imagination narrative qui, avec passion encyclopédique, représente la traversée des frontières comme forme de vie mais aussi pour avoir écrit ses romans avec une tension entre aspects culturels opposés : nature contre culture, raison contre folie, hommes contre femmes »

Olga Tokarczuk est née à Sulechów, en Pologne, en 1962 de parents habitués à voyager en été avec le chariot de tente. Elle grandit librement, avec l’envie de voyager encore plus. Elle étudie la psychologie à Varsovie et pendant un certain temps elle pratique, en tant que psychologue jungienne, la profession de psychothérapeute; puis elle abandonne parce qu’elle se rend compte, comme elle le déclarera dans une interview, qu’elle a beaucoup plus de problèmes que ses parents et ses patients. Jusqu’en 1989, elle n’a pas de passeport et après la chute du mur de Berlin, elle s’installe à Londres, où elle se forme sur des textes féministes. Elle fait du voyage un instrument de connaissance, pas autant sur lieux que sur les personnes qui voyagent. Depuis 1998, elle vit dans un petit village dans les Sudètes, près de la frontière entre la Pologne et la République tchèque, où elle fonde Ruta, sa petite maison d’édition et organise des festivals littéraires. Elle adhère au parti des Verts polonais, et elle est proche de la gauche. Fascinée dès son plus jeune âge par la figure de Marie Słodowska, elle développe une conscience féministe et contraste le patriarcat à la fois avec son écriture et avec le choix d’un mari qui prend soin d’elle, la suivant avec dévouement dans sa carrière.

Tokarczuk commence en tant que poète mais passe rapidement à la fiction, inventant un nouveau genre de roman, plus sympathique, appelé "roman constellation", sans une intrigue claire et définie, à mi-chemin entre mémoire, autobiographie et essai, extrêmement fragmenté, avec un ensemble de voix, points de vue et langages, un peu comme le monde contemporain avec ses sollicitations. Attirée par les frontières, elle considère que les traverser est la condition fondamentale de l’être humain et met en pratique cette idée même dans le choix de ses maisons, dont la dernière se trouve entre la Pologne et la République tchèque. Une expérience réalisée en étant enfant, la découverte de l’Oder, la convainc que « ce qui est en mouvement est toujours mieux que ce qui est immobile ; que le changement est toujours plus noble que la stabilité. Ce qui ne bouge pas est sujet à la désintégration et à la cendre, tandis que ce qui bouge pourrait durer pour toujours…» Elle est l’écrivain polonaise parmi les plus aimées et les plus populaires de sa génération par le public et la critique, elle a reçu de nombreux prix littéraires, traduits en dix-neuf langues et lauréats à trois reprises du Prix littéraire Nike.

En 1993, elle écrit Il viaggio del libro-popolo, qui a pour thème la recherche de deux amants pour le "secret du livre" (métaphore du sens de la vie) situé dans la France du XVIIe siècle. Avec ce livre, elle remporte le prix de l’Association des éditeurs polonais comme meilleur premier long-métrage de fiction.

Elle continue avec E. E., en 1996, qui dans le titre fait référence aux initiales de la protagoniste, Erna Eltzner, qui développe des capacités psychiques. Tokarczuk cite plusieurs fois la psychologie jungienne comme une inspiration pour son travail littéraire et raconte comment les origines de sa passion pour l’écriture se retrouvent dans les encouragements suscités en elle par une photographie qui dépeint sa mère peu avant l’accouchement. En observant le profil noir et blanc de cette femme un peu mélancolique, elle imaginait qu’elle essayait d’entrer en contact avec elle à sa naissance, en tournant les boutons d’un appareil radio encombrant qui occupait le reste du cadre. Son écriture a une intonation mystique.

En 2003, elle publie Casa di giorno, casa di notte, une mosaïque de récits, d’essais et de personnages liés à l’histoire de Nova Ruta dans laquelle elle vit actuellement. Bieguni est particulièrement original et intéressant, un roman-constellation primé, publié en 2007, édité par Bompiani avec le titre I vagabondi, (en anglais Flight) un roman écrit comme un patchwork, dédié au voyage mais qui n’a rien en commun avec le genre de la littérature de voyage, plutôt une série de portraits de nomades de toutes sortes, écrit principalement dans ces lieux qui ne sont ni aéroports ni stations de métro, où s’alternent des réflexions de l’auteur, des mosaïques d’histoires, des événements étranges, des points de vue divers, de la publicité, des considérations philosophiques, des parties autobiographiques, des récits historiques et des insertions de biologie, de la science et de la médecine, avec une attention particulière au sort des corps après la mort, à la plastination, et aux salles des merveilles. L’écriture est légère et vive, elle a souvent recours à l’humour, on n’y entrevoit pas un Moi mais un Nous, une choralité de voix toutes aussi importantes. «Je crois en une littérature qui unit les gens et nous montre combien nous sommes semblables, qui nous rend conscients du fait que nous sommes tous unis par des fils invisibles. Qui raconte l’histoire du monde comme s’il était un tout vivant et unifié, qui se développe continuellement devant notre regard : nous n’en sommes qu’une petite partie, et pourtant en même temps nous sommes une partie puissante», dira-t-elle dans une interview.

En plus de ses textes et ses essais courts de prose en 2009, elle publie un roman policier, Guidez votre char sur les os des morts (publié en italien par Nottetempo), dans lequel le personnage principal, une astrologue excentrique âgée, attribue une série de morts dans une zone rurale de la Pologne à la vengeance des animaux sauvages contre les chasseurs, abordant ainsi la question de la responsabilité des êtres humains envers la nature. «Nous avons une conception du monde mais les Animaux ont une perception du monde, vous le saviez?»

Selon l’écrivain Nobel de littérature, l’être humain a oublié de faire partie de la nature : «Le reconnaître impliquerait un processus radical de changement, alors que la plupart ont peur de devoir changer». Tokarczuk s’engage pour les droits des personnes LGBTQ+ dans un pays homophobe et anti-avortement, androcentrique aussi dans le langage, comme l’italien. Sur ce point, l’écrivain affirme : «L’expérience dit que chaque révolution passe par la langue, qui est l’instrument avec lequel nous créons la réalité. C’est pourquoi je suis très favorable à la féminisation des langues, parce que c’est précisément là que se niche la violence patriarcale de genre». En 2014 sort Les Livres de Jacob, avec lequel Tokarczuk remporte un prix Nike mais qui est combattu par certains cercles nationalistes et devient l’objet d’une campagne d’insultes de la part de haters. Elle reçoit le prix international du pont germano-polonais, décerné aux activistes et militants pour la promotion de la paix, pour le développement démocratique et pour la compréhension mutuelle entre les peuples et les nations d’Europe. Dans presque tous ses livres, nous apprenons que l’histoire de chaque lieu est potentiellement infinie, que si vous creusez les racines d’une vie, d’une maison, d’un quartier ou même d’un objet, vous pouvez trouver toutes les liens qui font l’histoire. L’écrivain polonais, depuis qu’elle a compris qu’après cinquante ans une femme devient invisible, a choisi une ancienne voie polonaise, la plique polonica, d’époque du XVIe siècle.

Le dernier livre, écrit en 2014, est The Lost Soul, publié récemment aux États-Unis. Un homme, à force de trop courir, perd son âme. Pour la récupérer, il doit rester immobile pendant deux, trois ans. Elle répond à celui qui lui demande si l’intrigue du livre est une métaphore du confinement, qu’elle l’a écrit avant mais qu’aujourd’hui nous entendons tous que «la production d’objets jetables, la consommation de viande, voyager en avion partout, n’est pas normale ; c’est une réalité monstrueuse, hyperstimulée, excessive. Peut-être que cette pandémie est le Cygne Noir qui nous aidera à changer ». «Le but de chacun de mes pèlerinages est un autre pèlerin» elle écrit dans son livre Les vagabonds, une mine d’histoires et de réflexions à savourer petit à petit, en dénonçant sa grande curiosité pour les gens et les histoires qu’ils apportent avec eux et sa nature de petite ville d’un monde en constante évolution. «Vas-y. Bouge. Bienheureux est celui qui se meut».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Awarded "For her narrative imagination that, with encyclopedic passion, depicts the crossing of borders as a form of life but also for constructing her novels with a tension between opposing cultural aspects: nature versus culture, reason versus madness, men versus women."

Olga Tokarczuk was born in Sulechów, Poland, in 1962 to parents accustomed to traveling in the summer with a camper trailer. She grew up free-wheeling, wanting to travel much more. She studied psychology in Warsaw and for a while practiced, as a Jungian psychologist, as a psychotherapist. She then abandoned it because she realized, as she would state in an interview, that she had many more problems than her patients. She did not have a passport until 1989. After the collapse of the Berlin Wall she moved to London, where she became familiar with feminist writings. She made travel a tool for getting to know not so much the places but the people she encountered. Since 1998 she has lived in a small village in the Sudetenland, near the Polish-Czech border, where she founded Ruta, her small publishing house, and organizes literary festivals. She adheres to the Polish Green Party, and is close to the left. Fascinated from an early age by the figure of Maria Słodowska, she developed a feminist consciousness and countered patriarchy both through her writing and by choosing a husband who cared for her and devotedly followed her in her career.

Tokarczuk began as a poet but soon switched to fiction, inventing a new genre of novel, more congenial to her, called the "constellation novel," without a clear and defined plot, somewhere between mémoire, autobiography, and essay, extremely fragmented, with a mix of voices, points of view, and languages, somewhat like the contemporary world with its stresses. Attracted by borders, she believes that crossing them is the fundamental condition of being human, and puts this idea into practice even in the choice of her homes, the last of which is located near the border between Poland and the Czech Republic. An experience she had as a child, the discovery of the Oder River, convinced her that "what is moving is always better than what is standing still; that change is always more noble than stability. That which does not move is subject to disintegration and being reduced to ashes, while that which moves may last forever..." One of the best-loved and most popular Polish writers of her generation, by audiences and critics alike, she has been the recipient of numerous literary awards, is translated into nineteen languages, and is a three-time winner of the Nike Literary Prize.

In 1993 she wrote Podróż ludzi księgi (The Journey of the People of the Book), her first novel, which has as its theme two lovers' search for the "secret of the book" (a metaphor for the meaning of life) set in 17th-century France. With this book she won the Polish Publishers' Association award for best first work of fiction.

She continued with E. E., in 1996, which refers in the title to the initials of the main character, Erna Eltzner, who develops psychic abilities. On several occasions, Tokarczuk has cited Jungian psychology as an inspiration for her literary work, and relates how the origins of her passion for writing can be found in the stimuli aroused in her by a photograph depicting her mother shortly before giving birth. As a child, observing the black-and-white portrait of that somewhat melancholy woman, she imagined that her mother was trying to get in touch with her unborn child by turning the knobs of a bulky radio set that occupied the rest of the frame. Her writing has a mystical stamp.

In 2003 she published House of Day, House of Night, a mosaic of short stories, essays and characters related to the history of Nova Ruta where she currently lives. Particularly original and interesting is Bieguni (translated into English as Flights), an award-winning novel-constellation, published in 2007, is a novel written as a patchwork, dedicated to travel but having nothing in common with the genre of travel literature, rather a series of portraits of nomads of all kinds, written mostly in the non-places that are airports and subway stations, in which the author's reflections, mosaics of stories, strange happenings, different points of view, advertisements, philosophical considerations, autobiographical parts, historical accounts, and inserts of biology, science, and medicine, with a focus on the fate of bodies after death, plastination, and halls of wonder, alternate. The writing is light and brisk, it often resorts to humor, there is no glimpse of an I but a We, a chorus of voices all equally important. "I believe in a literature that unites people and shows us how similar we are, that makes us aware that we are all united by invisible threads. That tells the story of the world as if it were a living, unified whole, constantly unfolding before our eyes: we are only a small part of it, yet at the same time we are a powerful part of it," she said in an interview.

In addition to short prose texts and essays, in 2009 she published a detective story, Drive Your Plow Over the Bones of the Dead (published in English in 2019) in which the main character, an eccentric elderly astrologer, attributes a series of deaths in a rural area of Poland to the vengeance of wild animals against hunters, thus addressing the theme of the responsibility of human beings toward nature. "We have a conception of the world but animals have a perception of the world, you know?"

According to the Nobel Prize-winning writer for, human beings have forgotten that they are part of nature: "Recognizing this would imply a radical process of change, while most are afraid that they would have to change." Tokarczuk is committed to the rights of LGBTQ+ people in a country as homophobic and anti-abortion and male-centered, even in language, as Italy. On that point, the writer says, "Experience says that every revolution passes through language, which is the tool with which we create reality. So I am very much in favor of the feminization of languages, because that is precisely where patriarchal gender violence is nested." In 2014, The Books of Jacob was released, with which Tokarczuk won a Nike Prize, but was opposed by some nationalist circles and became the subject of a campaign of name-calling by haters. She received the International German-Polish Bridge Award, given to activists for promoting peace, democratic development and mutual understanding among the peoples and nations of Europe. In almost all of her books we learn that the history of any place is potentially infinite, that if you dig down to the roots of a life, a house, a neighborhood or even just an object, you can find all the connections that make history. The Polish writer, since realizing that after fifty a woman becomes invisible, has chosen an ancient Polish hairstyle, the plica polonica, from the sixteenth-century era.

Her most recently translated book, written in 2014, is The Lost Soul, was published in the United States in 2021. A man, moving too fast, loses his soul. To recover it, he has to sit still for two to three years. To those who ask her if the plot of the book is a metaphor for the lockdown, she replies that she had written it before Covid, but that today we all feel that "the production of disposable items, the consumption of meat, traveling by plane everywhere, is not normal; it is a monstrous, overstimulated, excessive reality. Perhaps this pandemic is the Black Swan that will help us change." "The purpose of each of my pilgrimages is another pilgrim," she writes in her book Flights, a goldmine of stories and reflections to be savored bit by bit, in which she declares her great curiosity about people and the stories they bring with them, and her nature as a citizen of an ever-changing world. "Go. Move. Blessed are they who move."


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Premio Nobel de literatura en 2019 “Por su imaginación narradora que, con pasión enciclopédica, representa el cruce de fronteras como formas de vida, y por haber escrito sus novelas con una tensión entre los aspectos culturales opuestos: la naturaleza frente a la cultura, la razón frente a la locura, los hombres frente a las mujeres”.

Olga Tokarczuk nació en Sulechów, Polonia, en 1962 de padres acostumbrados a viajar en verano con un remolque tienda. Creció libremente, con ganas de viajar mucho más. Estudió psicología en Varsovia y durante algunos años ejerció la profesión de psicoterapeuta como psicóloga junguiana, que luego abandonó porque se dio cuenta, como declaró en una entrevista, de que tenía muchos más problemas que sus padres y sus pacientes. Hasta 1989 no tuvo pasaporte y tras la caída del Muro de Berlín se trasladó a Londres, donde se formó leyendo textos feministas. Ve el viaje como una herramienta para conocer los lugares e incluso a los viajeros. Desde 1998 vive en un pueblecito en los Sudètes, cerca de la frontera polaco-checa, donde ha fundado Ruta, su pequeña editorial, y donde organiza festivales literarios. Se une al partido polaco de los Verdes y se considera cercana a la izquierda. Fascinada por la figura de Maria Slodowska, desde muy joven, desarrolló una conciencia feminista y se opuso al patriarcado, tanto a través de sus escritos, como eligiendo un marido que la cuida y la sigue con devoción en su carrera.

Tokarczuk debutó como poetisa, pero pronto pasó a la ficción, inventando un nuevo género de novelas, más afín a ella, llamado “novela constelación”, sin una trama clara y definida, a medio camino entre las memorias, la autobiografía y el ensayo, extremadamente fragmentado, con una mezcla de voces, puntos de vista y lenguajes, tanto como el mundo contemporáneo con sus tensiones. Atraída por las fronteras, cree que cruzarlas es la condición fundamental del ser humano y también pone en práctica esta idea en la elección de sus casas, la última de las cuales se encuentra entre Polonia y la República Checa. Una experiencia que vivió de niña, el descubrimiento del río Óder, la convenció de que “es mejor lo que está en movimiento que lo que está inmóvil; el cambio siempre es más noble que la estabilidad. Lo que no se mueve se puede desintegrar y arder hasta convertirse en cenizas, mientras que lo que se mueve puede durar para siempre…”. Es una de las escritoras polacas de su generación más amadas y populares por el público y la crítica; Tokarczuk ha sido galardonada con numerosos premios literarios, traducida a diecinueve idiomas y tres veces ganadora del Premio literario Nike.

En el 1993 escribió El viaje de los hombres del Libro –ambientado en la Francia del siglo XVII–cuyo tema es la búsqueda del “secreto del libro” por dos amantes (metáfora del sentido de la vida). El libro recibe el Premio de la Asociación Polaca de Editores de Libros como Mejor primera obra de ficción.

Continúa con E.E. (1995), cuyo título hace referencia a las iniciales de la protagonista, Erna Eltzner, que desarrolla habilidades psíquicas. En varias ocasiones, Tokarczuk cita la psicología junguiana como inspiración para su obra literaria y cuenta como el origen de su pasión por la escritura se halla en los estímulos que despertó en ella una fotografía de su madre poco antes de dar a la luz. Observando el perfil en blanco y negro de aquella mujer, algo melancólica, de niña, imaginó que intentaba ponerse en contacto con su hija nonata, girando los mandos de un voluminoso aparato de radio que ocupaba el resto del encuadre. Su escritura tiene un sello místico.

En el 1998 publica Casa diurna, casa nocturna, una mezcla de relatos, ensayos y personajes relacionados con la historia de Nowa Ruda, donde vive actualmente. Especialmente original e interesante Bieguni (Los errantes), premiada novela-constelación que se publica en 2007, aún sin traducción al español; es una novela escrita como un retazo, dedicada a los viajes pero que no tiene nada en común con el género de literatura de viajes, más bien hay una serie de retratos de nómadas de toda clase; escrita principalmente en esos no-lugares que son los aeropuertos y las estaciones de metro, donde se alternan las reflexiones de la autora, la mezcla de historias, los sucesos extraños, los diferentes puntos de vista, los anuncios, las consideraciones filosóficas, las partes autobiográficas, los relatos históricos y los insertos sobre biología, ciencia y medicina, poniendo especial atención al destino de los cuerpos después de la muerte, a la plastificación y a los salones del asombro. Su escritura es ligera y vivaz, a menudo recorre al humor, no hay un Yo sino un Nosotros, un coro de voces todas ellas de igual importancia. “Yo creo en una literatura que une a las personas y nos muestra lo parecidos que somos, que nos hace conscientes de que estamos unidos por hilos invisibles. Una literatura que cuenta la historia del mundo como si fuera un todo vivo y unificado, que se desarrolla constantemente ante nuestros ojos: solo somos una pequeña parte de él, pero al mismo tiempo, somos una parte poderosa”, ha declarado en una entrevista.

Además de textos y ensayos breves en prosa, en 2009 sacó una novela policiaca: Sobre los huesos de los muertos (publicada en español por océano y Siruela) cuya protagonista, una astróloga excéntrica mayor, atribuye una serie de muertos en una zona rural de Polonia a la venganza de los animales salvajes contra a los cazadores, abordando así el tema de la responsabilidad de los seres humanos frente a la naturaleza. “Nosotros tenemos una concepción del mundo, pero los Animales tienen una percepción del mundo ¿sabes?”

Según la Nobel de Literatura, los seres humanos se olvidaron de que forman parte del mundo de la naturaleza. “Reconocerlo implicaría un proceso radical de cambio, y la mayoría de ellos tiene medio a cambiar”. Tokarczuk está comprometida con los derechos de las personas Lgbtiq+ en un país homófobo y contrario al aborto, androcéntrico incluso en el idioma, como el italiano y el español. Respecto al idioma, la autora afirma que: “Cada revolución, por experiencia, pasa por el lenguaje con el que creamos la realidad. Por lo tanto, estoy muy a favor de la feminización de las lenguas, ya que es ahí donde se esconde la violencia de género patriarcal”. En 2014 publica Los libros de Jacob, obra con la que Tokarczuk gana el Premio Nike, a pesar de la oposición de algunos círculos nacionalistas y de una campaña de insultos iniciada por algunos odiadores. Recibe el Premio internacional del Puente (The Bridge International Prize) alemán-polaco, concedido a activistas que fomentan la paz, el desarrollo democrático y la comprensión mutua entre las poblaciones y las naciones de Europa. En casi todos sus libros aprendemos que la historia de cualquier lugar es potencialmente infinita, que si escarbas hasta las raíces de una vida, de una casa, de un barrio o incluso de un solo objeto, puedes reconstruir las conexiones en la historia. Como la escritora polaca se dio cuenta de que a partir de los cincuenta años la mujer se vuelve invisible, eligió un antiguo peinado polaco, la plica polaca del siglo XVI.

Sus tres últimos libros son El alma perdida (de 2017, publicado en español en 2019), Opowiadania bizarne (2018, Relatos bizarros) y Czuły narrator (2020, Tierno narrador), aún sin traducir al español. Un hombre, corriendo demasiado rápido, pierde el alma. Para recuperarla, tiene que estar parado durante dos o tres años. A quienes le preguntan si el argumento del libro es una metáfora del confinamiento causado por la pandemia de Covid, ella responde que lo escribió antes, pero que hoy en día todos sentimos que “la producción de objetos desechables, el consumo de carne, viajar en avión a todas partes, no es normal; es una realidad monstruosa, sobreestimulada y excesiva. Quizá esta pandemia es el Cisne Negro que nos ayude a cambiar” “El propósito de cada una de mi peregrinaciones es otro peregrino” escribió en Los Errantes, un sin fin de historias y reflexiones que hay que saborear poco a poco, en las que denuncia su gran curiosidad por las personas y las historias que llevan consigo yasí como su naturaleza de ciudadana de un mundo en constante evolución. “Ve. Muévete. Feliz es aquel que se mueve”


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з літератури 2019 року. «За її оповідальну уяву, яка з енциклопедичною пристрастю представляє перетин кордонів як форму життя, а також за те, що вона будувала свої романи з напруженням між протилежними культурними аспектами: природа проти культури, розум проти божевілля, чоловіки проти жінок».

Ольга Токарчук народилася в Сулехуві, Польща, у 1962 році в сім’ї батьків, які звикли подорожувати влітку з тентовими причепами. Вона росте вільно, з бажанням подорожувати все більше і більше. Вона вивчала психологію у Варшаві і деякий час практикувала професію психотерапевта як юнгіанський психолог; потім вона залишає професію, тому що усвідомлює, як вона заявить в інтерв'ю, що у неї набагато більше проблем, ніж у її пацієнток та пацієнтів. До 1989 року вона не мала паспорта, а після падіння Берлінської стіни переїхала до Лондона, де вивчала феміністичні тексти. Вона робить подорож інструментом пізнання не стільки місць, скільки людей, які подорожують. З 1998 року вона живе в маленькому селі в Судетах, поблизу польсько-чеського кордону, де заснувала своє невелике видавництво Рута та організовувала літературні фестивалі. Входить до Польської партії зелених, близька до лівих. Захоплюючись постаттю Марії Слодовської з раннього дитинства, вона розвиває феміністичне сумління та протиставляє патріархат як своїми творами, так і вибором чоловіка, який піклується про неї, віддано слідуючи їй у її кар’єрі.

Токарчук дебютувала як поетеса, але незабаром перейшла до художньої літератури, винайшовши новий жанр роману, більш близький для неї, визначений як «роман-сузір’я», без чіткого й визначеного сюжету, на півдорозі між мемуарами, автобіографією, есе, надзвичайно фрагментований, із цілим набором голосів, точок зору та мов, трохи схожий на сучасний світ із його клопотаннями. Приваблена кордонами, вона вірить, що їх перетин є фундаментальним станом людини, і реалізує цю ідею на практиці також у виборі своїх будинків, останній з яких розташований між Польщею та Чехією. Досвід дитинства, відкриття річки Одер, переконує її, що «завжди краще те, що в русі, ніж те, що нерухомо; що зміни завжди благородніші за стабільність.Те, що не рухається, підлягає розпаду і перетворюється на попіл, а те, що рухається, може тривати вічно...» Одна з найулюбленіших і популярних польських письменниць свого покоління, вона була нагороджена численними літературними преміями, перекладена дев’ятнадцятьма мовами та тричі лауреатом літературної премії Ніке.

У 1993 році вона написала книгу Мандрівка людей Книги (Podróż ludzi Księgi), тема якої пошуки двох закоханих «таємниці книги» (метафора сенсу життя), дія книги відбувається у Франції XVII століття.

З цією книгою вона отримує премію Польського товариства книговидавців як найкращий художній перший твір. Потім у 1996 році вона написала книгу E. E., у назві якої вказано ініціали головної героїні Ерни Ельцнер, яка розвиває психічні здібності. Токарчук неодноразово цитує юнгіанську психологію як джерело натхнення для своєї літературної творчості та розповідає, як витоки її пристрасті до письма слід шукати в стимулах, викликаних у ній фотографією, на якій зображена її мати незадовго до пологів.

У 2003 році вона опублікувала Дім денний, дім нічний (Dom dzienny, dom nocny), мозаїку оповідань, есе та персонажів, пов’язаних з історією Нової Руди, в якій вона зараз живе. Особливо оригінальним і цікавим є роман-сузір’я Бігуни (Biegun), перекладена Дженніфер Крофт англійською під назвою Flights (Польоти), відзначений нагородами, написаний як клаптик, присвячений подорожам, але який не має нічого спільного з жанром літератури подорожей, скоріше це серія портретів кочівників усіх видів, і це роман написаний переважно в тих не-місцях, якими є аеропорти та станції метро, ​​у яких роздуми автора, мозаїка історій, дивні події, вислови різних поглядів, реклама , філософські міркування, автобіографічні частини, історичні історії та вставки з біології, науки та медицини, з особливою увагою до долі тіл після смерті, до пластинації, до залів чудес. Текст легкий і жвавий, у ньому часто використовується гумор, немає Я, а Ми, хор голосів однаково важливий. «Я вірю в літературу, яка об’єднує людей і показує, наскільки ми схожі, яка дає нам зрозуміти, що ми всі об’єднані невидимими нитками. Яка розповідає історію світу, ніби він є живим і єдиним цілим, яке безперервно розвивається перед нашим поглядом: ми є лише маленькою частиною цього, але водночас ми є могутньою частиною», - скаже вона в інтерв'ю.

Крім текстів і коротких прозових нарисів, у 2009 році вона публікує детектив Веди свій плуг понад кістками мертвих (Prowadź swój pług przez kości umarłych), в якому головний герой, літній ексцентричний астролог, який приписує низку смертей у сільській місцевості Польщі до помсти диких тварин мисливцям, таким чином торкаючись питання відповідальності людини перед природою. « У нас є концепція світу, але Тварини мають сприйняття світу, розумієте?»

На думку письменниці, люди забули, що вони є частиною природи: «Визнання цього означало б радикальний процес змін, у той час як більшість боїться змін». Токарчук, вона віддана правам ЛГБТК+ людей у ​​гомофобній та антиабортній країні, андроцентричній навіть у мові, як італійська. З цього приводу письменниця зазначає: «Досвід говорить, що кожна революція відбувається через мову, яка є інструментом, за допомогою якого ми створюємо реальність. Тому я дуже підтримую фемінізацію мов, оскільки там закладено патріархальне гендерне насильство». У 2014 році вона випустила Книги Якова (Księgi Jakubowe), з якою Токарчук отримала нагороду Ніке, але зустріла опір деяких націоналістичних кіл і стала об'єктом образи з боку ненависників. Отримує міжнародну німецько-польську нагороду, яка присуджується активістам за сприяння миру, за демократичний розвиток і взаєморозуміння між народами та націями Європи. Майже з усіх її книжок ми дізнаємося, що історія кожного місця потенційно нескінченна, що якщо ви докопаєтеся до коренів життя, будинку, району чи навіть однієї речі, ви можете знайти всі зв’язки, які творять історію. З тих пір, як польська письменниця зрозуміла, що після п’ятдесяти жінка стає непомітною, вона обрала старовинну польську зачіску, ковтун з XVI століття.

Остання книга, написана в 2014 році, Загублена душа, нещодавно видана в США. Чоловік, який надто багато бігає, втрачає свою душу. Щоб її відновити, йому доводиться два-три роки сидіти нерухомо. На тих, хто запитує її, чи сюжет книжки є метафорою карантину, вона відповідає, що писала її раніше, але сьогодні ми всі відчуваємо, що «виробництво одноразових речей, споживання м’яса, подорожі літаком куди завгодно – це не нормально; це жахлива реальність. Можливо, ця пандемія є тим Чорним лебедем, який допоможе нам змінитися». «Мета кожного з моїх паломництв — інший паломник», — пише вона у своїй книзі Бігуни (Biegun), копальня історій і роздумів, якими слід насолоджуватися потроху. Вона засуджує свою велику цікавість до людей та історій, які вони приносять із собою, а також її характер громадянина світу, що постійно розвивається. «Іди. рухатися. Блаженний той, хто рухається».

 

Nadia Murad
Laura Candiani






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la Pace nel 2018, insieme al ginecologo congolese Denis Mukwege «per i loro sforzi per mettere fine all'uso della violenza sessuale come arma in guerre e conflitti armati». Dopo Malala Yousafzai, è la seconda più giovane vincitrice, a 25 anni.

Nadia è una giovane appartenente alla minoranza religiosa yazida, facente parte del popolo curdo, sopravvissuta alla persecuzione e alle torture dello Stato islamico e al genocidio della sua comunità, vicende narrate nel libro autobiografico L'ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l'Isis, con prefazione dell'avvocata Amal Clooney (Mondadori), da cui è stato tratto il film Sulle sue spalle, per la regia di Alexandria Bombach.«Essere sopravvissuta a un genocidio porta con sé grandi responsabilità [...]. Aver perso i miei fratelli, mia madre e molti membri della mia famiglia è una responsabilità che io prendo molto sul serio. Il mio ruolo di attivista non riguarda solo la mia sofferenza ma la sofferenza di tutti. Raccontare la mia storia con tutti i suoi orrori non è un compito facile ma il mondo deve sapere. Il mondo deve sentirsi moralmente responsabile ad agire e se la mia storia può spingere i leader mondiali a fare qualcosa allora devo raccontarla».

Tutto ebbe inizio nell'agosto 2014 quando la ventunenne Nadia (nata il 10 marzo 1993) viveva serenamente nell'Iraq settentrionale in una fattoria con la madre Shami, una donna forte e coraggiosa, impegnata nel rendere i 13 fra figlie e figli «sazi e ottimisti»; la ragazza studiava e faceva progetti per il proprio futuro, quando le truppe dell'Isis entrarono nel villaggio di Kocho e fecero 600 vittime, soprattutto fra gli uomini, uccisi a colpi di kalashnikov. Fra questi, sei fratelli di Nadia. Le donne furono radunate e caricate su camion dai vetri oscurati; stava per iniziare il loro martirio. Divennero infatti vere e proprie schiave, oltre 6700, per lo più di etnia yazida; furono poi condotte a Mosul per essere violentate, picchiate, torturate con sigarette accese. Nell’autobiografia, in cui ha deciso di non omettere nessun dettaglio, si possono leggere righe che sono un vero colpo al cuore, ma fotografano con la massima efficacia la disperazione di una giovane che, in quei mesi di prigionia, è stata separata dalle due sorelle più grandi e sposate; venduta e comprata più volte, sottoposta a angherie psicologiche e fisiche, si è augurata la morte, considerata l’unica possibilità di salvezza. «A un certo punto – scrive nel libro – non resta altro che gli stupri. Diventano la tua normalità. Non sai chi sarà il prossimo ad aprire la porta per abusare di te, sai solo che succederà e che domani potrebbe essere peggio».

Nadia riuscì a fuggire in novembre per la distrazione di un carceriere che non chiuse bene la porta dell'alloggio; fu accolta e nascosta da una famiglia musulmana particolarmente generosa che mise a rischio la propria stessa vita. Omar Abdel Jabar fu l'artefice di questo atto di coraggio, eppure avrebbe avuto una bella ricompensa in denaro se l'avesse riportata agli aguzzini. Nonostante fosse un modesto lavoratore e un capofamiglia, decise di andare avanti e riuscì a contattare un fratello superstite della ragazza, chiuso in un campo profughi; insieme progettarono la sua via di salvezza. Da quel momento Nadia divenne "la moglie di Jabar" che doveva spostarsi a Kirkuk, per rivedere la città natale, in mano alle forze curde. Nadia deve imparare a memoria nomi, luoghi, strade, fingersi quella che non è perché durante il viaggio saranno molte le soste, i controlli pressanti, le domande che le verranno poste; per fortuna non le può essere chiesto di mostrare il viso, mentre i muri dei checkpoint sono tappezzati di sue foto segnaletiche. Arrivano finalmente a Erbil e il compito dell'uomo si conclude, ma in breve viene scoperto e costretto anche lui a una drammatica fuga, in cui deve lasciare in patria la vera moglie incinta e il figlioletto .Dopo un periodo in Turchia e poi in Bulgaria, si trova in un paesino della Germania, ma la sua situazione di richiedente asilo non è ancora definita. Eppure continua ad affermare che chiunque avrebbe agito come lui. Nadia era arrivata al campo profughi di Duhok, dove venne raggiunta in seguito da due sorelle. Ma nel Medio Oriente non si sentiva al sicuro, così riuscì a congiungersi con una sorella già residente in Germania, a Stoccarda. L'anno successivo si presentò davanti al Consiglio dell'Onu per spiegare la condizione di chi viene rapito, sequestrato, scambiato come merce, in particolare le donne, trasformate in schiave sessuali, coinvolte del tutto inermi e innocenti all'interno di sanguinosi conflitti.

Dal settembre 2016 è prima ambasciatrice dell'Onu per la dignità di sopravvissute/i alla tratta di esseri umani. Intanto l'avvocata Amal Ramzi Alamuddin Clooney ha esposto pubblicamente all'ufficio dell'Onu per la prevenzione del crimine le motivazioni per cui ha deciso di rappresentare Nadia nell'accusa contro le truppe dell'Isis, sottolineando quanto sia comune la pratica dell'odiosa tratta, da lei definita «burocrazia del diavolo su scala industriale». Nello stesso anno Nadia riceve dal Parlamento europeo il Premio Vaclav Havel per i diritti umani e fa un toccante discorso all'assemblea; ottiene poi il riconoscimento Donna dell'anno e il Premio Sacharov per la libertà di pensiero, insieme all'altra attivista yazira Lamiya Aji Bashar.

Il 10 dicembre 2018 a Oslo ha ritirato il Nobel per la Pace (l'unico che si assegna in Norvegia) e il 21 è stata ricevuta da papa Francesco in udienza privata, insieme al marito Abid Shamdeem. Non era la prima volta che Murad e il papa si incontravano: già il 3 maggio 2017 la ragazza si era presentata con il velo in testa in Piazza San Pietro, al termine di una udienza generale del mercoledì, e aveva stretto la mano al Pontefice accennandogli alla sua storia e a quella del suo popolo. Un desiderio, questo, espresso un anno prima quando – già candidata al Nobel per la Pace – aveva chiesto tramite le telecamere di Tv2000 un incontro con il papa «per raccontargli la tragedia del popolo yazida, la mia storia personale da vittima della barbarie dell’Isis e quella di migliaia di altri giovani yazidi».

Mentre svolge la sua missione in tutto il mondo, ha fondato la Nadia's Initiative, un'organizzazione che opera a livello internazionale per la tutela delle donne vittime di violenza. Solo di recente, nel 2021, Nadia Murad è riuscita a trovare i resti di due suoi fratelli e a dar loro sepoltura, nel villaggio natale.


Traduzione francese

Guenoah Monroe

Prix Nobel de la Paix en 2018, avec le gynécologue congolais Denis Mukwege «pour leurs efforts visant à mettre fin à l’utilisation de la violence sexuelle comme arme dans les guerres et les conflits armés». Après Malala Yousafzai, elle est la deuxième plus jeune gagnante, à 25 ans.

Nadia est une jeune fille appartenant à la minorité religieuse yézida, appartenant au peuple kurde, qui a survécu à la persécution et aux tortures de l’État islamique et au génocide de sa communauté, racontés dans le livre autobiographique L’ultima ragazza. Histoire de ma captivité et de ma bataille contre l’Etat islamique, avec préface de l’avocate Amal Clooney (Mondadori), d’où a été tiré le film Sulle sue spalle, réalisé par Alexandria Bombach. «Survivre à un génocide implique de grandes responsabilités [...]. Avoir perdu mes frères, ma mère et de nombreux membres de ma famille est une responsabilité que je prends très au sérieux. Mon rôle en tant qu’activiste ne concerne pas seulement ma souffrance, mais la souffrance de tous. Raconter mon histoire avec toutes ses horreurs n’est pas une tâche facile, mais le monde doit savoir. Le monde doit se sentir moralement responsable d’agir et si mon histoire peut pousser les leaders mondiaux à faire quelque chose alors je dois la raconter».

Tout a commencé en août 2014 quand Nadia, 21 ans, (née le 10 mars 1993) vivait paisiblement dans le nord de l’Irak dans une ferme avec sa mère Shami, une femme forte et courageuse, engagée à rendre les 13 filles et fils « rassasiés et optimistes »; elle étudiait et projetait son avenir quand les troupes de l’Etat islamique entrèrent dans le village de Kocho et firent 600 victimes, surtout des hommes parmis eux, tués à coups de kalachnikovs. Parmi ceux-ci, six frères de Nadia. Les femmes furent rassemblées et chargées dans des camions par des vitres teintées ; elles étaient sur le point de commencer leur martyre. Elles devinrent en effet de véritables esclaves, plus de 6700, pour la plupart d’origine yazida; elles furent ensuite conduites à Mossoul pour y être violées, battues, torturées avec des cigarettes allumées. Dans l’autobiographie, dans laquelle elle a décidé de ne négliger aucun détail, on peut lire des lignes qui sont un véritable coup au cœur, mais qui photographient avec la plus grande efficacité le désespoir d’une jeune femme qui, en ces mois de captivité, a été séparée des deux sœurs les plus âgées et mariées; vendue et achetée plusieurs fois, soumise à des brimades psychologiques et physiques, elle a souhaité la mort, considérée comme la seule possibilité d’être sauve. «À un moment donné - écrit-elle dans le livre - il ne reste plus que les viols. Cela devient normal. Tu ne sais pas qui sera le prochain à ouvrir la porte pour abuser de toi, tu sais seulement qu’il arrivera et que demain il pourrait être pire».

Nadia réussit à s’échapper en novembre pour la distraction d’un geôlier qui ne ferma pas bien la porte du logement; elle fut accueillie et cachée par une famille musulmane particulièrement généreuse qui mit sa vie en danger. Omar Abdel Jabar fut l’auteur de cet acte de courage, mais il aurait eu une belle récompense en argent s’il l’avait ramenée aux bourreaux. Bien qu’il fût un modeste travailleur et un chef de famille, il décida d’aller de l’avant et réussit à contacter un frère survivant de la jeune fille, enfermé dans un camp de réfugiés; ensemble, ils planifièrent son chemin de libération. À partir de ce moment, Nadia devint "l’épouse de Jabar" qui devait se déplacer à Kirkuk, pour revoir sa ville natale, aux mains des forces kurdes. Nadia doit apprendre par cœur les noms, les lieux, les rues, se faire passer pour ce qu’elle n’est pas parce que pendant le voyage, il y aura beaucoup d’arrêts, de contrôles pressants, de questions qui lui seront posées; heureusement, on ne peut pas lui demander de montrer son visage, Les murs des points de contrôle sont recouverts de photos d’elle. Ils arrivent finalement à Erbil et la tâche de l’homme se termine, mais en peu de temps il est découvert et contraint lui aussi à une dramatique fuite, durant laquelle il doit laisser dans sa patrie la véritable épouse enceinte et le petit fils. Après une période en Turquie puis en Bulgarie, il se trouve dans un petit village d’Allemagne, mais sa situation de demandeur d’asile n’est pas encore définie. Pourtant, il continue de dire que quiconque aurait agi comme lui. Nadia était arrivée au camp de réfugiés de Duhok, où elle a ensuite été rejointe par ses deux sœurs. Mais au Moyen- Orient, elle ne se sentait pas en sécurité, alors elle a réussi à se joindre à une de ses sœur qui résidait déjà en Allemagne, à Stuttgart. L’année suivante, elle se présenta devant le Conseil de l’ONU pour expliquer la condition de ceux qui sont enlevés, séquestrés, échangés comme marchandise, en particulier les femmes, transformées en esclaves sexuelles, impliquées totalement impuissantes et innocentes dans des conflits sanglants.

Depuis septembre 2016, elle est la première ambassadrice de l’ONU pour la dignité de survivants de la traite des êtres humains. Pendant ce temps, l’avocate Amal Ramzi Alamuddin Clooney a exposé publiquement au bureau de l’ONU pour la prévention du crime les raisons pour lesquelles elle a décidé de représenter Nadia dans l’accusation contre les troupes de l’Etat islamique, soulignant combien la pratique de l’odieuse traite, définie selon elle de «bureaucratie du diable à l’échelle industrielle». La même année, Nadia reçoit du Parlement européen le prix Vaclav Havel pour les droits de l’homme et fait un discours émouvant à l’assemblée; elle obtient ensuite la reconnaissance Femme de l’année et le prix Sakharov pour la liberté de pensée, avec l’autre activiste Yazira Lamiya Aji Bashar.

Le 10 décembre 2018 à Oslo, elle a reçu le Prix Nobel de la Paix (le seul en Norvège) et le 21 décembre, et elle a été reçue par le pape François en audience privée avec son mari Abid Shamdeem. Ce n’était pas la première fois que Murad et le pape se rencontraient : déjà le 3 mai 2017, la jeune fille s’était présentée en portant le voile sur la place Saint-Pierre, au terme d’une audience générale du mercredi, et elle avait serré la main du Souverain Pontife en lui faisant allusion à son histoire et à celle de son peuple. Ce souhait avait été exprimé un an plus tôt lorsque - déjà candidate au Prix Nobel de la Paix - elle avait demandé, à travers les caméras de Tv2000, une rencontre avec le pape «pour lui raconter la tragédie du peuple yézida, mon histoire personnelle en tant que victime de la barbarie de l’Etat islamique et celle de milliers d’autres jeunes yézidis».

Tout en accomplissant sa mission dans le monde entier, elle a fondé l’Initiative Nadia, une organisation qui œuvre au niveau international pour la protection des femmes victimes de violence. Ce n’est que récemment, en 2021, que Nadia Murad a pu trouver les restes de deux de ses frères et les enterrer dans leur village natal.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Nadia Murad was awarded a Nobel Peace Prize in 2018, along with Congolese gynecologist Denis Mukwege, «for their efforts to end the use of sexual violence as a weapon in wars and armed conflicts». After Malala Yousafzai, she is the second youngest winner, at age 25.

Nadia is a young member of the Yazidi religious minority, part of the Kurdish people, who survived persecution and torture by the Islamic State and the genocide waged against her community. These events are recounted in the autobiographical book L'ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l'Isis [The Last Girl. A Story of My Captivity and My Battle Against Isis], with a foreword by lawyer Amal Clooney (Mondadori). The film On Her Back, directed by Alexandria Bombach, was based on the book. «Being a genocide survivor carries with it great responsibility [...]. Having lost my siblings, my mother and many members of my family is a responsibility that I take very seriously. My role as an activist is not just about my suffering but about the suffering of everyone. Telling my story with all its horrors is not an easy task but the world needs to know. The world must feel morally responsible to act and if my story can push world leaders to do something then I must tell it.»

It all began in August of 2014, when 21-year-old Nadia (born March 10, 1993) was living serenely in northern Iraq on a farm with her mother Shami, a strong and courageous woman committed to making her 13 daughters and sons "content and optimistic". The girl was studying and making plans for her own future, when ISIS troops entered the village of Kocho and claimed 600 lives, mostly among the men, who were killed by Kalashnikov fire. Among them were six of Nadia's brothers. The women were rounded up and loaded onto trucks with tinted windows, and their martyrdom was about to begin. They became real slaves - over 6,700, mostly ethnic Yazidis, who were then taken to Mosul to be raped, beaten, and tortured with lit cigarettes. In her autobiography, from which she decided to not omit any details, one can read lines that are a real blow to the heart, but which portray with the utmost effectiveness the despair of a young woman who, in those months of captivity, was separated from her two older and married sisters. She was sold and bought several times, subjected to psychological and physical anguish, wished herself dead, considered the only possibility of salvation. «At a certain point," she writes in the book, "all that is left is rapes. They become your normality. You don't know who will open the door next to abuse you, you just know it will happen and that tomorrow it could be worse.»

Nadia managed to escape in November, due to the distraction of a jailer who didn’t lock the door of her lodging properly. She was taken in and hidden by a particularly generous Muslim family, who put their own lives at risk. Omar Abdel Jabar was the architect of this act of bravery, yet he would have had a handsome cash reward if he had returned her to her tormentors. Despite the fact that he was a humble worker and a breadwinner, he decided to go ahead and managed to contact a surviving brother of the girl, who was a prisoner in a refugee camp. Together they planned her way to safety. From that moment Nadia became Jabar's “wife" who had to move to Kirkuk to see her hometown again, in the hands of Kurdish forces. Nadia had to memorize names, places, and streets, pretending to be what she was not, because during the journey there would be many stops, identity checks, and questions asked of her. Fortunately, she could not be asked to show her face - and the walls of the checkpoints were plastered mug shots of her. They finally arrived in Erbil and the man's task came to an end. But before long he was discovered and forced to make a dramatic escape as well, in which he had to leave his real pregnant wife and small child behind in his homeland. After a stint in Turkey and then Bulgaria, he found himself in a small town in Germany, but his situation as an asylum seeker is not yet settled. Yet he has continued to claim that anyone would have acted as he did. Nadia had arrived at the Duhok refugee camp, where she was later joined by two sisters. But she didn’t feel safe in the Middle East, so she managed to join a sister already living in Germany, in Stuttgart. The following year she appeared before the U.N. Council to explain the plight of those who were kidnapped, abducted, traded as commodities, particularly women, turned into sex slaves, and drawn, completely helpless and innocent, into bloody conflicts.

Since September 2016, she has been the UN's first ambassador for the dignity of survivors of human trafficking. Meanwhile, lawyer Amal Ramzi Alamuddin Clooney has publicly laid out at the UN Office for the Prevention of Crime the reasons why she has decided to represent Nadia in the prosecution of Isis troops, emphasizing how common the practice of heinous trafficking is, which she called "the devil's bureaucracy on an industrial scale." In the same year Nadia received the Vaclav Havel Human Rights Prize from the European Parliament and made a moving speech to the assembly. She was then awarded Woman of the Year and the Sakharov Prize for Freedom of Thought, along with another Yazira activist, Lamiya Aji Bashar.

On December 10, 2018 in Oslo, she received the Nobel Peace Prize (the only one that is awarded in Norway), and on the 21st she was received by Pope Francis in a private audience, together with her husband Abid Shamdeem. This was not the first time that Murad and the pope had met - already on May 3, 2017, the girl had appeared in her headscarf in St. Peter's Square at the end of a Wednesday general audience and had shaken the Pontiff's hand, mentioning her story and that of her people. A desire she had already expressed a year earlier when - a Nobel Peace Prize nominee - she had asked through the cameras of TV2000 for a meeting with the Pope «to tell him about the tragedy of the Yazidi people, my personal story as a victim of the barbarity of ISIS, and that of thousands of other young Yazidis.»

As part of carrying out her mission around the world, she founded Nadia's Initiative, an organization that works internationally to protect women victims of violence.


Traduzione spagnola

Arianna Calabretta

Premio Nobel de la Paz en 2018, junto con el ginecólogo congoleño Denis Mukwege «por sus esfuerzos para poner fin al uso de la violencia sexual como arma en las guerras y los conflictos armados». Después de Malala Yousafzai, es la segunda ganadora, con 25 años de edad.

Nadia es una joven que pertenece a la minoría religiosa yazidí, parte del pueblo kurdo, y sobrevivió a la persecución y a las torturas del Estado Islámico y al genocidio de su comunidad, hechos narrados en la obra autobiográfica Yo seré la última: historia de mi cautiverio y mi lucha contra el Estado Islámico, con un prólogo de la abogada Amal Clooney (Plaza&Janés 2017), en la que se ha basado la película On her shoulders, dirigida por Alexandria Bombach. «Ser una superviviente de un genocidio conlleva grandes responsabilidades [...]. Haber perdido a mis hermanos, a mi madre y a muchos familiares es una responsabilidad que me tomo muy en serio. Mi papel como activista no se refiere solo a mi sufrimiento sino al de todo el mundo. Contar mi historia con todos sus horrores no es una tarea fácil, pero el mundo debe saber, tiene que sentirse moralmente responsable de sus actuaciones y si mi historia puede empujar a los líderes mundiales a hacer algo, entonces debo contarla».

Todo comenzó en agosto de 2014 cuando Nadia (nacida el 10 marzo de 1993) vivía tranquilamente en el norte de Irak en una granja con su madre Shami, una mujer fuerte y valiente, comprometida en hacer que sus 13 hijas e hijos fueran «completos y optimistas»; la joven estudiaba y hacía planes para su futuro, cuando las tropas del ISIS entraron en la aldea de Kocho y causaron 600 víctimas, sobre todo entre los hombres, asesinados a tiros de Kalashnikov. Entre ellos había seis hermanos de Nadia. Las mujeres fueron reunidas y cargadas en camiones con vidrios polarizados: su martirio todavía no había empezado. Se convirtieron en verdaderas esclavas, más de 6.700, en su mayoría de etnia yazidí; luego las llevaron a Mosul para violarlas, golpearlas y torturaras con cigarrillos encendidos. En su autobiografía, en la que ha decidido no omitir ningún detalle, se pueden leer líneas que son un verdadero golpe al corazón, pero que fotografían con gran eficacia la desesperación de una joven que, en esos meses de cautiverio, fue separada de sus dos hermanas mayores ya casadas; vendida y comprada varias veces, sometida a vejaciones psicológicas y físicas, deseaba la muerte, considerada como la única posibilidad de salvación. «En cierto momento –escribe en su libro– no queda más que la violación. Se convierte en normalidad. No sabes quién será el próximo que abrirá la puerta para abusar de ti, solo sabes que pasará y que mañana podrá ser peor».

Nadia pudo escapar en noviembre por la distracción de un carcelero que no cerró bien la puerta de sus aposentos; fue acogida y escondida por una familia musulmana especialmente generosa que puso en riesgo su propia vida. Omar Abdel Jabar fue el artífice de este acto de valentía, aunque hubiera recibido una buena recompensa en dinero si la hubiera devuelto a sus verdugos. A pesar de ser un modesto trabajador y cabeza de familia, decidió seguir adelante y pudo contactar con un hermano supérstite de la chica que estaba encerrado en un campo de refugiados; juntos planearon su camino hacia la salvación. A partir de ese momento, Nadia se convirtió en “la esposa de Jabar” que tenía que desplazarse a Kirkuk para volver a ver su ciudad natal en manos de las fuerzas kurdas. Nadia tuvo que aprender de memoria nombres, lugares, calles y fingir ser lo que no era porque durante el viaje habría muchas paradas, controles presionantes y preguntas; afortunadamente no le podían pedir que mostrase la cara, mientras que las paredes de los controles estaban llenas de sus fichas policiales. Por fin, al llegar a Erbil, el encargo del hombre se cumple, pero muy pronto lo descubren y se ve obligado a una dramática huida en la que debe dejar atrás a su verdadera esposa embarazada y a su pequeño hijo.Tras una estancia en Turquía y luego en Bulgaria, se encuentra en un pequeño pueblecito de Alemania, pero su situación de solicitante de asilo aún no está resuelta. No obstante, sigue afirmando que cualquiera habría hecho lo mismo que él. Nadia había llegado al campo de refugiados de Duhok, donde más tarde se juntaron con ella dos hermanas suyas. Pero en Oriente Medio no se sentía segura, así que consiguió reunirse con una hermana que ya vivía en Alemania, en Stuttgart. Al año siguiente compareció ante al Consejo de la ONU para explicar la situación de quien acaba secuestrado, raptado, comercializado como mercancía, especialmente las mujeres, convertidas en esclavas sexuales, envueltas –totalmente indefensas e inocentes– en sangrientos conflictos.

Desde septiembre de 2016, es la primera embajadora de la ONU para la dignidad de los supervivientes de la trata de seres humanos. Entretanto, la abogada Amal Ramzi Alamuddin Clooney explicó públicamente a la Oficina de la ONU para la Prevención del Delito las razones por las que decidió representar a Nadia en la acusación contra las tropas del ISIS, destacando lo común que es la práctica del odioso tráfico que ella llamó «burocracia del diablo a escala industrial». Ese mismo año Nadia recibió el Premio Vaclav Havel de Derechos Humanos del Parlamento Europeo e hizo un conmovedor discurso durante la asamblea; luego obtuvo el premio Mujer del Año y el premio Sacharov por la Libertad de Conciencia, junto con la otra activista yazira, Lamiya Aji Bashar.

El 10 de diciembre de 2018, en Oslo, recogió el Premio Nobel de la Paz (el único que se entrega en Noruega) y el 21 fue recibida por el Papa Francisco en una audiencia privada, junto a su esposo Abid Shamdeem. No era la primera vez que Murad y el Papa se encontraban: ya el 3 de mayo de 2017, la joven se había presentado cubierta con su pañuelo en la Plaza de San Pedro al final de una audiencia general del miércoles y estrechó la mano del Pontífice, mencionándole su historia y la de su pueblo. Un deseo que expresó un año antes cuando –ya candidata al Premio Nobel de la Paz– pidió por las cámaras de Tv2000 un encuentro con el Papa «para contarle la tragedia del pueblo yazidí, mi historia personal como víctima de la barbarie del ISIS y las de otros miles de jóvenes yazidíes».

Mientras lleva a cabo su misión en todo el mundo, ha fundado la Nadia’s Initiative, una organización que trabaja a nivel internacional para la protección de las mujeres víctimas de violencia. Solo recientemente, en 2021, Nadia Murad pudo encontrar los restos de dos de sus hermanos y darles sepultura en su pueblo natal.

 

Frances Hamilton – Arnold
Virginia Mariani






Giada Ionà

 

Biochimica e ingegnera statunitense, nel 2018 ha ottenuto il Premio Nobel per la Chimica «per l’evoluzione diretta di enzimi, peptidi e anticorpi».

Frances Hamilton Arnold, nata a Pittsburgh(Pennsylvania) il 25 luglio 1956, figlia di Josephine Inman e del fisico nucleare William Howard Arnold, cresce nel sobborgo di Edgewood, diplomandosi nel 1974 all'Allderdice High School. Nel frattempo viaggia facendo l’autostop fino a Washington per protestare contro la guerra del Vietnam e si mantiene da sola, lavorando come tassista e cameriera in un jazz-club. Si laurea in Ingegneria meccanica e aerospaziale alla Princeton University nel 1979, concentrando la sua ricerca sull’energia solare; il suo lavoro di redazione della tesi, svolto nel laboratorio di Harvey Warren Blanch, riguarda le tecniche di cromatografia di affinità, tecnica di laboratorio divisa in tre fasi di utile uso pratico nella separazione delle biomolecole. Nel 1985 consegue un dottorato di ricerca in Ingegneria chimica all'Università della California, Berkeley. Nel 1986 entra nel California Institute of Technology come ricercatrice: viene presto promossa assistente alla cattedra e, successivamente, nel 1992 professoressa associata e nel 1996 professoressa ordinaria. Nel 2013 viene nominata direttrice del Centro di Bioingegneria Donna e Benjamin M. Rosen di Caltech. Lavora inoltre con la National Academy of Science's e la Science & Entertainment Exchange, aiutando gli sceneggiatori di Hollywood a trattare accuratamente gli argomenti scientifici; addirittura interpreta sé stessa nell'episodio 18° della stagione numero 12 della serie televisiva The Big Bang Theory, dal titolo The Laureate Accumulation e cioè “La mobilitazione dei luminari”https://youtu.be/fK2QULttcmQ al minuto 3:09

È davvero una scienziata eccezionale e fervida inventrice: deposita, infatti, oltre quaranta brevetti negli Stati Uniti e nel 2005 co-fonda Gevo Inc., una società per la produzione di carburanti e prodotti chimici da fonti rinnovabili; nel 2013, con due dei suoi ex studenti, Peter Meinhold e Pedro Coelho, fonda la società chiamata Provivi che si occupa della ricerca alternativa ai pesticidi per la protezione delle colture. Non finisce qui: il 24 ottobre 2019 il Papa la nomina Membro Ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze; il 13 dicembre dello stesso anno riceve dall'Università degli Studi di Padova il dottorato ad honorem in Scienze molecolari, su proposta del Dipartimento di Scienze chimiche e sulla base dei suoi meriti scientifici, «per il metodo rivoluzionario dell’evoluzione guidata di proteine che si ispira alla selezione naturale per accelerare in laboratorio lo sviluppo di nuovi biocatalizzatori rivolti all’industria chimica e farmaceutica e alla produzione di biocarburanti in processi ecosostenibili».

Nel corso della brillante carriera ha focalizzato, dunque, le sue ricerche sull’impiego degli enzimi nei più diversi campi, dalla farmaceutica alle terapie antitumorali, dalla produzione di carburanti organici (biocarburanti) ai pesticidi non chimici. Inizia, così, a collezionare meritatissimi premi: nel 2016 le è stato conferito il prestigioso Millennium Technology Prize, e prima ancora nel 2001 il Charles Stark Draper Prize; nel 2005 il Food, Pharmaceuticals and Bioengineering Division Award, AIChE e il Francis P. Garvan-John M. Olin Medal, ACS; nel 2007, l’Enzyme Engineering Award e il FASEB Excellence in Science Award. Fino ad arrivare al 2018 quando ottiene il Premio Nobel per la Chimica «per l’evoluzione diretta degli enzimi», dividendolo con George P. Smith e Gregory P. Winter per la loro tecnica chiamata Phage display, in cui un batteriofago o fago, cioè un virus che infetta i batteri, può essere usato per evolvere nuove proteine. La sua idea è da sempre quella di sfruttare l’evoluzione per produrre proteine in modo sostenibile, così come quella di avere a disposizione carburanti che non richiedano l’estrazione dal sottosuolo, bensì il lavoro silenzioso di lieviti che trasformano gli scarti agricoli, così come sistemi di protezione delle colture dagli insetti parassiti senza spruzzare una goccia di pesticida. Il Nobel del 2018 non sarebbe potuto andare a scoperta migliore dato che era dedicato alle ricerche che migliorano la vita degli esseri umani sul pianeta Terra nella riduzione della loro impronta ecologica.

Le parole per introdurre il conferimento del premio sono state:

«Da quando i primi semi della vita sono spuntati circa 3,7 miliardi di anni fa, quasi tutti gli angoli della Terra si sono riempiti di organismi diversi. La vita si è estesa a sorgenti calde, oceani profondi e deserti aridi, tutto perché l'evoluzione ha risolto una serie di problemi chimici», frasi che sottolineano l'importanza della chimica oggi per lo sviluppo di soluzioni utili alla stessa sopravvivenza del genere umano. E continuando: «Gli strumenti chimici della vita, le proteine, sono stati ottimizzati, modificati e rinnovati, creando un'incredibile diversità. I Nobel per la Chimica di quest'anno sono stati ispirati dal potere dell'evoluzione e hanno usato gli stessi principi, il cambiamento genetico e la selezione, per sviluppare proteine che risolvono i problemi chimici dell'umanità».

Frances Hamilton Arnold, che conduce nel 1993 il primo studio sull'evoluzione degli enzimi, proteine che catalizzano le reazioni chimiche, alla fine della sua ricerca è riuscita ad affinare metodi per sviluppare nuovi catalizzatori: i ‘suoi’ enzimi sono utilizzati per produrre sostanze più rispettose dell'ambiente! «Penso a quello che faccio come copiare il processo di progettazione della natura», ha detto in un'intervista con NobelPrize.org. «Tutta questa straordinaria bellezza e complessità del mondo biologico deriva da questo semplice e bellissimo algoritmo di progettazione». Già nel 1980 aveva cercato di ricostruire gli enzimi, ma poiché sono molecole molto complesse costruite da diversi amminoacidi che possono essere combinati all'infinito, aveva trovato difficile rimodellare i geni degli enzimi per dare loro nuove proprietà. Perciò nel 1990 abbandona quello che chiama il suo «approccio un po’ arrogante» di cercare di creare enzimi modificati attraverso la sua logica e conoscenza ed esamina il modo in cui la natura fa le cose. Parte dunque dall'evoluzione. Ha aperto, così, la strada al metodo di bioingegneria; da allora questo metodo è stato ulteriormente raffinato ed è oggi usato dalle aziende e dai laboratori di tutto il mondo per rendere più efficiente la produzione di nuovi medicinali, ma anche di biocarburanti e di detergenti e detersivi per il bucato più "verdi", solo per citare alcuni esempi, con numerose ricadute via via sempre più positive per tecnologie e processi di trasformazione amici dell'ambiente.

Frances Hamilton Arnold è membro dell'Advisory Board del Joint BioEnergy Institute e del Packard Fellowships in Science and Engineering, e fa parte del President's Advisory Council della King Abdullah University of Science and Technology (Kaust). Attualmente, inoltre, è nella giuria del Queen Elizabeth Prize for Engineering. Nel 2018 ha trionfato la chimica “green” e Arnold è la quinta donna nella storia dei Nobel a vincere il premio per la Chimica, lei mai al verde quanto a premi!


Traduzione francese

Guenoah Monroe

Biochimique et ingénieur américaine, en 2018 elle a obtenu le Prix Nobel pour la Chimie « pour l’évolution directe des enzymes, peptides et anticorps ».

Frances Hamilton Arnold, née à Pittsburgh (Pennsylvanie) le 25 juillet 1956, fille de Josephine Inman et du physicien nucléaire William Howard Arnold, grandit dans la banlieue d’Edgewood et obtient son diplôme en 1974 à l’Allderdice High School. Pendant ce temps, elle fait de l’auto-stop jusqu’à Washington pour protester contre la guerre du Vietnam et se maintient seule, travaillant comme chauffeur de taxi et serveuse dans un club de jazz. Elle est diplômé en génie mécanique et aérospatial de l’Université de Princeton en 1979, concentrant ses recherches sur l’énergie solaire; son travail de rédaction de thèse, effectué dans le laboratoire de Harvey Warren Blanch, concerne les techniques de chromatographie d’affinité, Technique de laboratoire divisée en trois étapes d’utilisation pratique utile dans la séparation des biomolécules. En 1985, elle obtient un doctorat en génie chimique à l’Université de Californie, Berkeley. En 1986, elle entre au California Institute of Technology en tant que chercheuse ; elle est rapidement promue assistante à la chaire puis, en 1992, professeur associée et en 1996 professeur ordinaire. En 2013, elle est nommée directrice du Centre de bio-ingénierie Donna et Benjamin M. Rosen de Caltech. Elle travaille également avec l’Académie nationale des sciences et la Bourse des sciences et du divertissement, aidant les scénaristes hollywoodiens à traiter avec précision les sujets scientifiques; elle s’interprète même dans l’épisode 18 de la saison 12 de la série télévisée The Big Bang Theory, intitulée "The Laureate Accumulation". https://youtu.be/fK2QULttcmQ par minute 3:09

En effet, elle dépose plus de quarante brevets aux États-Unis et, en 2005, co-fonde Gevo Inc., une société de production de carburants et de produits chimiques à partir de sources renouvelables; en 2013, avec deux de ses anciens étudiants, Peter Meinhold et Pedro Coelho, fondateur de la société Provivi qui s’occupe de la recherche alternative aux pesticides pour la protection des cultures. Le 24 octobre 2019, le Pape est nommé membre ordinaire de l’Académie pontificale des sciences; le 13 décembre de la même année, elle reçoit de l’Université de Padoue le doctorat honorifique en sciences moléculaires, sur proposition du département des sciences chimiques et sur la base de ses mérites scientifiques, «pour la méthode révolutionnaire de l’évolution guidée des protéines qui s’inspire de la sélection naturelle pour accélérer en laboratoire le développement de nouveaux biocatalyseurs destinés à l’industrie chimique et pharmaceutique et à la production de biocarburants dans des processus éco-durables».

Au cours de sa brillante carrière, elle a donc concentré ses recherches sur l’utilisation des enzymes dans les domaines les plus divers, de la pharmaceutique aux thérapies anticancéreuses, de la production de carburants organiques (biocarburants) aux pesticides non chimiques. En 2016, elle a reçu le prestigieux Millennium Technology Prize et en 2001 le Charles Stark Draper Prize, en 2005 le Food, Maceuticals and Bioengineering Division Award, AIChE et le Francis P. Garvan-DivisionJohn M. Olin Medal, ACS; en 2007, l’Enzyme Engineering Award et le FASEB Excellence in Science Award. Jusqu’en 2018, quand elle a reçu le prix Nobel de chimie « pour l’évolution directe des enzymes », en le partageant avec George P. Smith et Gregory P. Winter pour leur technique appelée Phage display, où un bactériophage ou phage, c’est-à-dire un virus qui infecte les bactéries, peut être utilisé pour faire évoluer de nouvelles protéines. Son idée a toujours été d’exploiter l’évolution pour produire des protéines de manière durable, ainsi que d’avoir à disposition des carburants qui ne nécessitent pas l’extraction du sous-sol, mais le travail silencieux des levures qui transforment les déchets agricoles, ainsi que des systèmes de protection des cultures contre les insectes nuisibles sans pulvériser une goutte de pesticide. Le prix Nobel de 2018 n’aurait pas pu être mieux découvert puisqu’elle s’était consacrée aux recherches qui améliorent la vie des êtres humains sur la planète Terre dans la réduction de leur empreinte écologique.

Les mots pour introduire l’attribution du prix ont été:

«Depuis que les premières graines de la vie ont surgi il y a environ 3,7 milliards d’années, presque tous les coins de la Terre se sont remplis d’organismes différents. La vie s’est étendue aux sources chaudes, aux océans profonds et aux déserts arides, tout cela parce que l’évolution a résolu une série de problèmes chimiques», des phrases qui soulignent l’importance de la chimie aujourd’hui pour le développement de solutions utiles à la survie même de l’humanité. Et en continuant : «Les outils chimiques de la vie, les protéines, ont été optimisés, modifiés et renouvelés, créant une incroyable diversité. Les Nobel de chimie de cette année ont été inspirés par le pouvoir de l’évolution et ont utilisé les mêmes principes, le changement génétique et la sélection, pour développer des protéines qui résolvent les problèmes chimiques de l’humanité ».

Frances Hamilton Arnold, qui mène en 1993 la première étude sur l’évolution des enzymes, protéines qui catalysent les réactions chimiques, à la fin de ses recherches, a réussi à affiner les méthodes pour développer de nouveaux catalyseurs : Ses enzymes sont utilisées pour produire des substances plus respectueuses de l’environnement! «Je pense à ce que je fais comme copier le processus de conception de la nature», a-t-elle déclaré dans une interview avec NobelPrize.org. «Toute cette extraordinaire beauté et complexité du monde biologique découle de cet algorithme de conception simple et beau». Déjà en 1980, elle avait essayé de reconstruire les enzymes, mais comme ce sont des molécules très complexes construites à partir de différents acides aminés qui peuvent être combinés à l’infini, elle avait trouvé difficile de remodeler les gènes des enzymes pour leur donner de nouvelles propriétés. En 1990, elle abandonne ce qu’elle appelle son «approche un peu arrogante» d’essayer de créer des enzymes modifiées par sa logique et sa connaissance et examine la façon dont la nature fait les choses. Elle part donc de l’évolution. Cela a ouvert la voie à la méthode de bio-ingénierie; depuis lors, cette méthode a été affinée et elle est aujourd’hui utilisée par les entreprises et les laboratoires du monde entier pour rendre la production de nouveaux médicaments plus efficace, mais aussi des biocarburants, des détergents et même ceux les plus "verts", pour ne citer que quelques exemples, avec de nombreuses retombées de plus en plus positives pour des technologies et des processus de transformation respectueux de l’environnement.

Frances Hamilton Arnold est membre du Conseil consultatif du Joint Bioenergy Institute et des Packard Fellowships in Science and Engineering, et fait partie du President’s Advisory Council de la King Abdullah University of Science and Technology (Kaust). Elle est actuellement membre du jury du prix Queen Elizabeth pour l’ingénierie. En 2018, elle a triomphé de la chimie "verte" et Arnold est la cinquième femme de l’histoire des Nobel à remporter le prix de la chimie, elle n’a jamais été fauchée par rapport aux prix!


Traduzione inglese

Syd Stapleton

An American biochemist and engineer, Frances Arnold was awarded the 2018 Nobel Prize in Chemistry "for the directed evolution of enzymes, peptides and antibodies."

Frances Hamilton Arnold was born in Pittsburgh, Pennsylvania on July 25, 1956, the daughter of Josephine Inman and nuclear physicist William Howard Arnold, and grew up in the suburb of Edgewood, graduating from Allderdice High School in 1974. During that time, she traveled by hitchhiking to Washington to protest the Vietnam War and later supported herself, working as a taxi driver and waitress at a jazz-club. She received her B.S. in mechanical and aerospace engineering from Princeton University in 1979, focusing her research on solar energy. Her thesis writing, done in Harvey Warren Blanch's laboratory, concerned affinity chromatography techniques, a laboratory technique divided into three steps of practical use in the separation of biomolecules. In 1985 she received a Ph.D. in chemical engineering from the University of California, Berkeley. In 1986 she joined the California Institute of Technology as a research scientist. She was soon promoted to assistant professor and then to associate professor in 1992 and full professor in 1996. In 2013, she was appointed director of Caltech's Donna and Benjamin M. Rosen Center for Bioengineering. She also works with the National Academy of Science and the Science & Entertainment Exchange, helping Hollywood screenwriters accurately cover science topics. She even played herself in episode 18 of season 12 of the TV series The Big Bang Theory, titled The Laureate Accumulation (https://youtu.be/fK2QULttcmQ) at minute 3:09.

She is an outstanding scientist and fervent inventor. She has filed more than forty patents in the United States and in 2005 co-founded Gevo Inc., a company to produce fuels and chemicals from renewable sources. In 2013, with two of her former students, Peter Meinhold and Pedro Coelho, she founded the company called Provivi that focuses on research in alternatives to pesticides for crop protection. It doesn't end there - on October 24, 2019, the Pope appointed her an Ordinary Member of the Pontifical Academy of Sciences, and on December 13 of the same year, she received, from the University of Padua, an honorary doctorate in Molecular Sciences, proposed by the Department of Chemical Sciences and on the basis of her scientific merits, "for the revolutionary method of guided evolution of proteins inspired by natural selection to accelerate in the laboratory the development of new biocatalysts aimed at the chemical and pharmaceutical industry and the production of biofuels in environmentally sustainable processes."

In the course of her brilliant career she has focused her research on the use of enzymes in a wide variety of fields, from pharmaceuticals to cancer therapies, from the production of organic fuels (biofuels) to non-chemical pesticides. She began, thus, to collect well-deserved awards. In 2016 she was awarded the prestigious Millennium Technology Prize, and before that in 2001 the Charles Stark Draper Prize; in 2005 the Food, Pharmaceuticals and Bioengineering Division Award and the Francis P. Garvan-John M. Olin Medal, ACS; in 2007, the Enzyme Engineering Award and the FASEB Excellence in Science Award. Then, in 2018, she was awarded the Nobel Prize in Chemistry "for the directed evolution of enzymes," sharing it with George P. Smith and Gregory P. Winter for their technique called Phage display, in which a bacteriophage or phage, that is, a virus that infects bacteria, can be used to evolve new proteins. Her idea has always been to harness evolution to produce proteins in a sustainable way, as well as to make fuels available that do not require extraction from underground, but rather the silent work of yeasts that transform agricultural waste, as well as systems to protect crops from insect pests without spraying a drop of pesticide. The 2018 Nobel Prize could not have gone to a better discovery since it was dedicated to research that improves the lives of humans on planet Earth and reduces their ecological footprint.

The words to introduce the awarding of the prize were:

"Since the first seeds of life sprang up some 3.7 billion years ago, almost every corner of Earth has been filled with diverse organisms. Life has spread to hot springs, deep oceans and arid deserts, all because evolution has solved a number of chemical problems," phrases that underscore the importance of chemistry today for the development of solutions useful for the very survival of humankind. And continuing, "The chemical tools of life, proteins, have been optimized, modified and renewed, creating incredible diversity. This year's Nobel Laureates in Chemistry were inspired by the power of evolution and used the same principles, genetic change and selection, to develop proteins that solve humanity's chemical problems."

In 1993 Frances Hamilton Arnold, who led the first study of the evolution of enzymes, proteins that catalyze chemical reactions, was able to refine methods to develop new catalysts. By the end of her research 'her' enzymes were being used to produce more environmentally friendly substances! "I think of what I do as copying nature's design process," she said in an interview with NobelPrize.org. "All this extraordinary beauty and complexity of the biological world comes from this simple and beautiful design algorithm." As early as 1980 she had tried to reconstruct enzymes, but because they are very complex molecules built from different amino acids that can be combined in infinite variations, she had found it difficult to reshape enzyme genes to give them new properties. So, in 1990 she abandoned what she called her "somewhat arrogant approach" of trying to create modified enzymes through her own logic and knowledge and examined the way nature does things. She therefore started from evolution. She thus paved the way for the bioengineering method. Since then, this method has been further refined and is now used by companies and laboratories around the world to make new medicines more efficient, but also to create biofuels and "greener" laundry and other detergents, just to name a few examples, with many increasingly positive spin-offs for environmentally friendly technologies and processes.

Frances Hamilton Arnold is a member of the Advisory Board of the Joint BioEnergy Institute and the Packard Fellowships in Science and Engineering, and serves on the President's Advisory Council of King Abdullah University of Science and Technology (KAUST). She is also currently on the jury of the Queen Elizabeth Prize for Engineering, and U.S. President Biden’s Council of Advisors on Science and Technology. In 2018, "green" chemistry triumphed and Arnold became the fifth woman in Nobel history to win the Chemistry Prize. She has never been lacking as far as prizes go!


Traduzione spagnola

Anastasia Grasso

Bioquímica e ingeniera estadounidense, fue galardonada con el Premio Nobel de Química en 2018 "por la evolución dirigida de enzimas, péptidos y anticuerpos".

Frances Hamilton Arnold nace en Pittsburgh (Pensilvania) el 25 de julio de 1956, hija de Josephine Inman y del físico nuclear William Howard Arnold, crece en el suburbio de Edgewood y se diploma en el instituto Allderdice en 1974. Mientras tanto, viaja haciendo autostop a Washington para protestar contra la guerra de Vietnam y se mantiene a sí misma trabajando como taxista y como camarera en un club de jazz. Se licencia en Ingeniería Mecánica y Aeroespacial en la Universidad de Princeton en 1979, centrando su investigación en la energía solar; el trabajo de su tesis, realizado en el laboratorio de Harvey Warren Blanch, versa sobre técnicas de cromatografía de afinidad, una técnica de laboratorio de tres fases útil en la práctica de la separación de biomoléculas. En 1985 se doctora en Ingeniería Química por la Universidad de California, Berkeley. En 1986 se incorpora al Instituto de Tecnología de California como investigadora (Caltech): pronto se convierte en profesora ayudante, luego en profesora titular (1992) y en catedrática (1996). En 2013 recibe el nombramiento a directora del Centro Donna y Benjamin M. Rosen de Bioingeniería del Caltech. También colabora con la National Academy of Science's y el Science & Entertainment Exchange, ayudando a los guionistas de Hollywood a tratar con precisión los temas científicos; incluso se interpreta a sí misma en el episodio 18 de la temporada 12 de la serie de televisión The Big Bang Theory, titulado The Laureate Accumulation, es decir, "La movilización de los Licenciados" (<https://youtu.be/fK2QULttcmQ> en el minuto 3:09).

Es realmente una científica excepcional y una ferviente inventora: de hecho, registra más de cuarenta patentes en Estados Unidos y en 2005 cofunda Gevo Inc, una empresa para la producción de combustibles y productos químicos a partir de fuentes renovables; en 2013, con dos de sus antiguos alumnos, Peter Meinhold y Pedro Coelho, funda la empresa Provivi, dedicada a la investigación alternativa a los pesticidas para la protección de los cultivos. La cosa no acaba ahí: el 24 de octubre de 2019, el Papa la nombra Académica Ordinaria de la Pontificia Academia de las Ciencias; el 13 de diciembre del mismo año, recibe el Doctorado Honoris causa en Ciencias Moleculares por la Universidad de Padua, bajo la propuesta del Departamento de Ciencias Químicas y en base a sus méritos científicos, "por el revolucionario método de evolución guiada de proteínas inspirado en la selección natural para acelerar en el laboratorio el desarrollo de nuevos biocatalizadores destinados a la industria química y farmacéutica y a la producción de biocombustibles en procesos ecosostenibles".

Así pues, a lo largo de su brillante carrera ha centrado sus investigaciones en el uso de enzimas en los campos más diversos, desde los productos farmacéuticos a las terapias contra el cáncer, desde la producción de combustibles orgánicos (biocombustibles) a los pesticidas no químicos. De modo que empieza a coleccionar merecidos galardones: Charles Stark Draper Prize (2001); el Food, Pharmaceuticals and Bioengineering Division Award, AIChE y la Francis P. Garvan-John M. Olin Medal, ACS (2005); el Enzyme Engineering Award y el FASEB Excellence in Science Award (2007) y el prestigioso Millennium Technology Prize (2016). Hasta que en 2018 se le otorga el Premio Nobel de Química "por la evolución dirigida de enzimas", que comparte con George P. Smith y Gregory P. Winter por su técnica llamada Phage display, en la que se puede utilizar un bacteriófago o fago, es decir, un virus que infecta bacterias, para evolucionar nuevas proteínas. Su idea siempre ha sido utilizar la evolución para producir proteínas de forma sostenible, así como disponer de combustibles que no requieran ser extraídos de la tierra, sino el trabajo silencioso de levaduras que transforman residuos agrícolas, así como sistemas para proteger los cultivos de plagas de insectos sin rociar una gota de pesticida. El Premio Nobel 2018 no podía haber recaído en un descubrimiento mejor, ya que estaba dedicado a investigaciones que mejoran la vida de los seres humanos en el planeta Tierra al reducir su huella ecológica.

Las palabras que introdujero el premio fueron:

"Desde que brotaron las primeras semillas de vida hace unos 3.700 millones de años, casi todos los rincones de la Tierra se han llenado de organismos diferentes. La vida se ha extendido por fuentes termales, océanos profundos y desiertos áridos, todo ello gracias a que la evolución ha resuelto una serie de problemas químicos", frases que subrayan la importancia de la química hoy en día para el desarrollo de soluciones útiles para la supervivencia de la humanidad. Y luego: "Las herramientas químicas de la vida, las proteínas, se han optimizado, modificado y renovado, creando una diversidad increíble (…) . Los ganadores del Premio Nobel de Química de este año se han inspirado en el poder de la evolución y han utilizado los mismos principios, el cambio genético y la selección, para desarrollar proteínas que resuelven los problemas químicos de la humanidad".

Frances Hamilton Arnold, que dirigió en 1993 el primer estudio sobre la evolución de las enzimas, proteínas que catalizan reacciones químicas, ha logrado perfeccionar los métodos para desarrollar nuevos catalizadores al final de su investigación: ¡"sus" enzimas se utilizan para producir sustancias más respetuosas con el medio ambiente! "Pienso en lo que hago como una copia del proceso de diseño de la naturaleza", dijo en una entrevista con NobelPrize.org. "Toda esta extraordinaria belleza y complejidad del mundo biológico procede de este sencillo y hermoso algoritmo de diseño". Ya en 1980 había intentado reconstruir enzimas, pero como son moléculas muy complejas construidas a partir de distintos aminoácidos que pueden combinarse indefinidamente, le había resultado difícil remodelar los genes de las enzimas para darles nuevas propiedades. Así que en 1990 abandonó lo que ella llamaba su "enfoque un tanto arrogante" de intentar crear enzimas modificadas mediante su propia lógica y conocimientos y examinó la forma en que la naturaleza hace las cosas. Así que, partió de la evolución. De este modo allanó el camino para el método de la bioingeniería. Desde entonces, este método se ha ido perfeccionando y ahora lo utilizan empresas y laboratorios de todo el mundo para que los nuevos medicamentos sean más eficientes, pero también los biocombustibles y los detergentes y jabones "más ecológicos", por citar sólo algunos ejemplos, con numerosas repercusiones cada vez más positivas para las tecnologías y los procesos de transformación respetuosos con el medio ambiente.

Frances Hamilton Arnold es componente del Consejo Asesor del Instituto Conjunto de Bioenergía y de las Becas Packard de Ciencia e Ingeniería, y forma parte del Consejo Asesor del Presidente de la Universidad Rey Abdullah de Ciencia y Tecnología (Kaust). Actualmente también forma parte del jurado del Premio Reina Isabel de Ingeniería. En 2018 triunfa la química "verde" y Arnold es la quinta mujer en la historia de los Nobel en ganar el Premio de Química, ¡en cuanto a premios tiene un buen abanico!

Donna Strickland
Alessia Carofiglio






Juliette Bonvallet

 

Donna Theo Strickland, scienziata canadese, 62 anni, riceve il premio Nobel per la Fisica nel 2018 per aver inventato, con il professor Mourou, l’amplificazione a impulsi chirp per laser. È la terza donna ad aver ricevuto il massimo riconoscimento per la Fisica.

È nata il 27 maggio 1959 a Guelph in Canada. Conosciuta come una donna piena di energia, ha dichiarato di essere stata in dubbio, in passato, se dedicarsi all'ingegneria o alla fisica. Consegue un master in fisica ingegneristica presso la McMaster University nel 1981 e completa un dottorato di ricerca in ottica presso l'Università di Rochester nel 1989, per cui elabora una tesi sullo Sviluppo di un laser ultra luminoso e un'applicazione alla ionizzazione multifotone. Relatore sarà il fisico francese Gérard Mourou. Durante gli anni alla Mc Master University nell’Ontario è attratta da un corso sui laser, ma in particolar modo dal fatto che «fossero molto divertenti». Approfondisce l’argomento fino al dottorato. Le fu affidato di sviluppare l’idea del collega Gerard Mourou: espandere l’impulso di luce laser, amplificarlo e infine comprimerlo. Un processo che permette di produrre un impulso di potenza più elevata. Dopo i primi insuccessi, raggiunge l’obiettivo: tramite l’utilizzo di un cavo in fibra ottica lungo 1.4 chilometri riesce a espandere gli impulsi laser. Dal 1988 al 1991, Donna Theo Strickland è stata assistente di ricerca presso il National Research Council Canada, dove ha lavorato con Paul Corkum nella sezione Ultrafast Phenomena, che all’epoca deteneva il primato di aver prodotto il laser a impulso corto più potente. Successivamente ha fatto parte del dipartimento laser del Lawrence Livermore National Laboratory, dal 1991 al 1992, e poi è diventata tecnica di laboratorio presso l'Advanced Technology Center for Photonics and materials opto electronic dell'Università di Princeton.

Attualmente è professoressa di Fisica Ottica presso il Department of Physics and Astronomy dell’University of Waterloo in Canada, dove continua a studiare le tecniche laser ultraveloci, corte e ad alta intensità. Era una professoressa associata quando le è stato assegnato il Premio. Nell’Ottobre 2018 ha detto alla BBC di aver presentato domanda ed essere stata promossa come professoressa ordinaria presso l’Università di Waterloo. È membro del The Optical Society, dove ha ricoperto la carica di vicepresidente dal 2011 al 2013, anno in cui è diventata presidente. È membro pure della National Academy of Sciences degli Stati Uniti d’America. Nel 2021 viene nominata membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze da Papa Francesco.

Donna Theo Strickland è sposata con Douglas Dykaar, che ha conseguito un dottorato in ingegneria elettrica presso l’Università di Rochester. Hanno due figli: Hannan, laureata in astrofisica presso l’Università di Toronto e Adam, studente di commedia presso l’Humber College. È un membro attivo della Chiesa unita del Canada. Inoltre, nel 2019 è stata nominata Companion of the Order of Canada, una delle più prestigiose onorificenze civili del Canada. Nel 2018, riceve il Premio Nobel per la Fisica per «il suo metodo per generare gli impulsi laser più brevi e intensi creati dall'umanità», come recitava la motivazione del premio, insieme a Gérard Mourou a Arthur Ashkin. Il lavoro sulla tecnica di amplificazione alla deriva di frequenza inizia come parte del suo dottorato. Processo attraverso cui un impulso di radiazione elettromagnetica viene amplificato in tre fasi: nella prima fase la durata dell’impulso viene dilatata utilizzando un sistema ottico dispersivo (reticoli e fibre ottiche) in cui le diverse componenti cromatiche che compongono l’impulso percorrono cammini ottici di diversa lunghezza. Questo processo separa i diversi colori all’interno dell’impulso, risultando chirped, ossia con una frequenza che varia tra il fronte e la coda. Nella seconda fase l’energia dell’impulso viene amplificata in un opportuno mezzo materiale. Per esempio, nel caso di impulsi laser in un cristallo cui viene congruamente somministrata energia dall’esterno. Nella terza fase, l’impulso così amplificato ripercorre al contrario il percorso compiuto nella prima fase. Ciò porta a una riduzione dell’impulso amplificato e, di nuovo a parità di energia, a un corrispondente aumento dell’intensità dei campi. Cioè, il processo di decompressione e di compressione permette di variare la potenza a energia costante. La tecnica nell’ultimo decennio ha trovato applicazioni nel campo dei laser di potenza, permettendo di amplificare impulsi ultrabrevi, fino a durate dell’ordine delle decine di femtosecondi (10−15 s) e con lunghezze d’onda dell’ordine dei micrometri, fino a potenze dell’ordine dei petawatt (1015 W). L'impulso viene quindi ricompresso per raggiungere intensità che l'amplificazione convenzionale non consentirebbe.

I risultati delle ricerche di Strickland hanno permesso di studiare in modo innovativo e preciso oggetti di dimensioni minuscole. Le applicazioni riguardano numerosi campi, dall’industria alla biomedicina. Nel campo medico, questa tecnica contribuisce a nuovi progressi nella chirurgia refrattiva dell'occhio e nel trattamento della cataratta e della miopia. L’amplificazione a impulsi chirp per laser, impulsi ottici ultracorti e ad alta intensità con i laser che vengono utilizzati in interventi di chirurgia oculistica correttiva eseguiti ogni anno in tutto il mondo.

Strickland ha condiviso il Nobel con i colleghi Ashkin e Mourou per aver dato origine a una rivoluzione della fisica del laser. Ai tre ricercatori è stato consegnato un premio di nove milioni di corone (più di un milione di dollari circa) di cui la metà viene consegnata a Ashkin. Arthur Ashkin ha il merito di aver perfezionato le “pinzette ottiche’’, trappole per la luce che consentono di manipolare oggetti di dimensioni minuscole, avvalendosi solo della luce come unico strumento, come atomi, molecole e cellule biologiche. A Donna Theo Strickland e Gèrard Mourou è stata riconosciuta l’invenzione del metodo «per generare gli impulsi laser più brevi e intensi creati dall'umanità». Hanno reso il laser più eclettico, con la produzione di impulsi ultra-brevi.

In tutta la storia dei Nobel, Donna Theo Strickland è la terza ad aver ricevuto la prestigiosa onorificenza in Fisica dopo Marie Skłodowska Curie, nel 1903, per le ricerche sulla radioattività e dopo la scienziata americana Maria Goeppert Mayer, 1963, premiata per le sue scoperte sul nucleo degli atomi. Dopo la dichiarazione, commenta: «Dobbiamo ovviamente celebrare le donne fisiche, perché sono là fuori. Speriamo che nel tempo inizieranno a crescere a un ritmo più veloce». La sua stessa carriera costituisce un esempio per altre donne impegnate nel campo della fisica e ha lavorato per portare sempre più scienziate nel suo dipartimento a Warerloo. Si tratta di un riconoscimento significativo se pensiamo al fatto che si creda che le donne siano meno inclini alla scienza rispetto agli uomini. Donna Theo Strickland, insieme a due uomini, ha dimostrato l’esatto contrario, dicendo al Guardian: «Non mi vedo come una donna nella scienza. Mi vedo come una scienziata!»


Traduzione francese

Guenoah Monroe

Donna Theo Strickland, scientifique canadienne de 62 ans, elle reçoit le prix Nobel de physique en 2018 pour avoir inventé, avec le professeur Mourou, l’amplification par impulsions chirp pour laser. Elle est la troisième femme à avoir reçu la plus grande reconnaissance pour la Physique.

Elle est née le 27 mai 1959 à Guelph au Canada. Connue comme une femme pleine d’énergie, elle a déclaré qu’elle avait des doutes dans le passé sur le fait de se consacrer à l’ingénierie ou à la physique. Elle obtient une maîtrise en physique de l’ingénierie à l’Université McMaster en 1981 et termine un doctorat en optique à l’Université de Rochester en 1989, C’est pourquoi elle rédige une thèse sur le Développement d’un laser ultra lumineux et une application à l’ionisation multiphoton. Le physicien français Gérard Mourou sera le rapporteur. Pendant ses années à la Mc Master University en Ontario, elle est attirée par un cours sur les lasers, mais surtout par le fait qu’ils « étaient très amusants ». Elle approfondit le sujet jusqu’au doctorat. Il lui a été confié de développer l’idée de son collègue Gerard Mourou : étendre l’impulsion de lumière laser, l’amplifier et enfin la compresser. Un processus qui permet de produire une impulsion de puissance plus élevée. Après les premiers échecs, elle atteint l’objectif : grâce à l’utilisation d’un câble à fibre optique de 1,4 kilomètre de long, elle parvient à étendre les impulsions laser. De 1988 à 1991, Donna Theo Strickland a été assistante de recherche au National Research Council Canada, où elle a travaillé avec Paul Corkum dans la section Ultrafast Phenomena, qui à l’époque détenait le record d’avoir produit le laser à impulsion courte le plus puissant. Par la suite, elle a fait partie du département laser du Lawrence Livermore National Laboratory de 1991 à 1992, puis elle est devenue technique de laboratoire au Advanced Technology Center for Photonics and Materials opto electronic de l’Université de Princeton.

Elle est actuellement professeur de Physique Optique au Département de Physique et d’Astronomy de l’Université de Waterloo au Canada, où elle continue d’étudier les techniques laser ultra-rapides, courtes et de haute intensité. Elle était professeur associée lors de la remise du prix. En octobre 2018, elle a déclaré à la BBC qu’elle avait postulé et qu’elle avait été promue professeur ordinaire à l’Université de Waterloo. Elle est membre de la Optical Society, où elle a été vice-présidente de 2011 à 2013, année où elle est devenue présidente. Elle est également membre de l’Académie nationale des sciences des États-Unis. En 2021, elle est nommée membre ordinaire de l’Académie pontificale des sciences par le Pape François.

Donna Theo Strickland est mariée à Douglas Dykaar, qui est titulaire d’un doctorat en génie électrique de l’Université de Rochester. Ils ont deux enfants : Hannan, diplômée en astrophysique de l’Université de Toronto et Adam, étudiante en comédie au Humber College. Elle est un membre actif de l’Église unie du Canada. En outre, en 2019, elle a été nommée Companion of the Order of Canada, l’une des plus prestigieuses distinctions civiles du Canada. En 2018, elle reçoit le Prix Nobel de Physique pour « sa méthode pour générer les impulsions laser les plus courtes et intenses créées par l’humanité », comme l’indiquait la motivation du prix, avec Gérard Mourou et Arthur Ashkin. Le travail sur la technique d’amplification à la dérive de fréquence commence dans le cadre de son doctorat. Processus par lequel une impulsion de rayonnement électromagnétique est amplifiée en trois étapes : dans la première étape, la durée de l’impulsion est dilatée à l’aide d’un système optique dispersif (réticules et fibres optiques)où les différentes composantes chromatiques qui composent l’impulsion parcourent des chemins optiques de longueur différente. Ce processus sépare les différentes couleurs à l’intérieur de l’impulsion, résultant chirped, c’est-à-dire avec une fréquence qui varie entre le front et la queue. Dans la deuxième phase, l’énergie de l’impulsion est amplifiée dans un milieu matériel approprié. Par exemple, dans le cas d’impulsions laser dans un cristal où l’énergie est convenablement fournie de l’extérieur. Dans la troisième phase, l’impulsion ainsi amplifiée retrace au contraire le parcours accompli dans la première phase. Cela conduit à une réduction de l’impulsion amplifiée et, à nouveau à parité d’énergie, à une augmentation correspondante de l’intensité des champs. C’est-à-dire que le processus de décompression et de compression permet de faire varier la puissance à énergie constante. La technique au cours de la dernière décennie a trouvé des applications dans le domaine des lasers de puissance, permettant d’amplifier des impulsions ultra-courtes, jusqu’à des durées de l’ordre de dizaines de femtosecondes (10 15 s) et avec des longueurs d’onde de l’ordre des micromètres, jusqu’à des puissances de l’ordre des pétawatts (1015 W). L’impulsion est alors réapparue pour atteindre des intensités que l’amplification conventionnelle ne permettrait pas.

Les résultats des recherches de Strickland ont permis d’étudier de manière innovante et précise des objets de dimensions minuscules. Les applications couvrent de nombreux domaines, de l’industrie à la biomédecine. Dans le domaine médical, cette technique contribue à de nouveaux progrès dans la chirurgie réfractive de l’œil et dans le traitement de la cataracte et de la myopie. L’amplification d’impulsions chirp pour les lasers, les impulsions optiques ultra-courtes et de haute intensité avec des lasers qui sont utilisés dans la chirurgie oculaire corrective effectuée chaque année dans le monde entier.

Strickland a partagé le prix Nobel avec ses collègues Ashkin et Mourou pour avoir déclenché une révolution de la physique laser. Les trois chercheurs ont reçu un prix de neuf millions de couronnes (plus d’un million de dollars environ), dont la moitié est remise à Ashkin. On a identifié à Donna Theo Strickland et Gèrard Mourou l’invention de la méthode « pour produire les impulsions laser les plus courtes et intenses créées par l’humanité ». Ils ont rendu le laser plus éclectique, avec la production d’impulsions ultra-courtes.

Dans toute l’histoire des Nobel, Donna Theo Strickland est la troisième à avoir reçu la prestigieuse distinction en physique après Marie Skłodowska Curie, en 1903, pour les recherches sur la radioactivité et après la scientifique américaine Maria Goeppert Mayer, 1963, récompensée pour ses découvertes sur le noyau des atomes. Après la déclaration, elle commente : «Nous devons évidemment célébrer les femmes physiques, parce qu’elles y sont. Nous espérons qu’au fil du temps elles commenceront à croître à un rythme plus rapide ». Sa propre carrière est un exemple pour d’autres femmes dans le domaine de la physique et elle a travaillé pour amener de plus en plus de scientifiques dans son département à Warerloo. Il s’agit d’une reconnaissance significative si l’on pense que les femmes sont moins sujettes à la science que les hommes. Donna Theo Strickland, à l’aide de deux hommes, a pu prouvé le contraire, en disant au Guardian : «Je ne me vois pas comme une femme dans la science. Je me vois comme une scientifique.»


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Donna Theo Strickland, a 62-year-old Canadian scientist, received the 2018 Nobel Prize in Physics for inventing, with Professor Gérard Mourou, chirped pulse amplification for lasers. She is the third woman to receive the Nobel award for Physics.

She was born on May 27, 1959, in Guelph, Canada. Known as an energetic woman, she has said she was in doubt in the past whether to pursue engineering or physics. She earned a master's degree in engineering physics from McMaster University in 1981 and completed a PhD in optics at the University of Rochester in 1989, for which she developed a thesis titled Development of an Ultra-Bright Laser and an Application to Multiphoton Ionization. Her thesis supervisor was the French physicist Gérard Mourou. During her years at McMaster University in Ontario she was attracted to a course on lasers, especially by the fact that "they were a lot of fun." She delved deeper into the subject until she earned her doctorate. She was assigned to develop colleague Gerard Mourou's idea - to expand the laser light pulse, amplify it and finally compress it. A process that allows a higher power pulse to be produced. After initial setbacks, she achieved her goal. Through the use of a 1.4-kilometer-long fiber optic cable, she succeeded in expanding laser pulses. From 1988 to 1991, Donna Theo Strickland was a research assistant at the National Research Council Canada, where she worked with Paul Corkum in the Ultrafast Phenomena section, which at the time held the record for producing the most powerful short-pulse laser. She then was part of the laser department at Lawrence Livermore National Laboratory, from 1991 to 1992, and then joined the technical staff at the Advanced Technology Center for Photonics and Opto-electronic Materials at Princeton University.

She is currently a professor of Optical Physics in the Department of Physics and Astronomy at the University of Waterloo in Canada, where she continues to study ultrafast, short and high-intensity laser techniques. She was an associate professor when she was awarded the Nobel Prize. In October 2018, she told the BBC that she had applied for and been promoted to full professor at the University of Waterloo. She is a member of The Optical Society, where she served as vice president from 2011 to 2013, when she became president. She is also a member of the National Academy of Sciences of the United States of America. In 2021, she was appointed a member of the Pontifical Academy of Sciences by Pope Francis.

Donna Theo Strickland is married to Douglas Dykaar, who holds a doctorate in electrical engineering from the University of Rochester. They have two children, Hannah, an astrophysics major at the University of Toronto, and Adam, who is studying comedy at Humber College. She is an active member of the United Church of Canada. In addition, in 2019 she was named Companion of the Order of Canada, one of Canada's most prestigious civilian honors. In 2018, she received the Nobel Prize in Physics together with Gérard Mourou, for "her method for generating the shortest and most intense laser pulses created by mankind," as the motivation for the prize read. They made the laser more versatile by producing ultra-short pulses. Arthur Ashkin received the other half of the one million dollar prize for unrelated work on perfecting optical tweezers - light traps that make it possible to manipulate tiny objects such as atoms, molecules and biological cells using only light as the tool. Work on the frequency drift amplification technique began as part of her PhD. It is a process by which a pulse of electromagnetic radiation is amplified in three stages. In the first stage, the duration of the pulse is dilated using a dispersive optical system (gratings and optical fibers) in which the different color components that make up the pulse travel optical paths of different lengths. This process separates the different colors within the pulse, resulting in a “chirped” pulse, that is, with a frequency that varies between the front and the tail. In the second stage, the pulse energy is amplified in an appropriate material medium. For example, in the case of laser pulses in a crystal to which energy is congruently delivered from outside. In the third phase, the pulse thus amplified and retraces in reverse to the path taken in the first phase. This leads to a reduction in the amplified pulse and, again at the same energy, a corresponding increase in the intensity of the fields. That is, the process of decompression and compression allows the power to vary at constant energy. The technique in the last decade has found applications in the field of power lasers, allowing ultrashort pulses to be amplified, up to durations on the order of tens of femtoseconds (10-15 seconds) and with wavelengths on the order of micrometers, to powers on the order of petawatts (1015 watts). The pulse is then recompressed to reach intensities that conventional amplification would not allow.

Strickland's research results have made it possible to study tiny objects in innovative and precise ways. Applications cover numerous fields, from industry to biomedicine. In the medical field, this technique has contributed to new advances in refractive eye surgery and the treatment of cataracts and myopia. Pulse chirp amplification for lasers creates ultrashort, high-intensity optical pulses that are used in corrective eye surgeries performed worldwide each year.

In the entire history of Nobel Prizes, Donna Theo Strickland is only the third woman to receive the prestigious honor in Physics, after Marie Skłodowska Curie in 1903, for her research on radioactivity, and after American scientist Maria Goeppert Mayer in 1963, awarded the prize for her discoveries on the nucleus of atoms.

After the announcement of the prize, she commented, "We obviously need to celebrate women physicists, because they are out there. Hopefully over time their numbers will start to grow at a faster rate." Her own career sets an example for other women involved in physics, and she has worked to bring more and more female scientists into her department at Waterloo. This is a significant recognition when we think about the belief that women are less capable at science than men. Donna Theo Strickland, along with two men, proved the exact opposite, telling the Guardian, "I don't see myself as a woman in science. I see myself as a scientist!"


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

Donna Theo Strickland, científica canadiense de 62 años, recibió el Premio Nobel de Física en 2018 por inventar, junto con el profesor Mourou, la amplificación de impulsos chirp para láseres. Es la tercera mujer que recibe el máximo galardón de Física.

Nació el 27 de Mayo de 1959 en Gueph, Canadá. Conocida como una mujer enérgica, dijo que en el pasado había dudado si estudiar ingeniería o física. Consiguió un máster en ingeniería física en la Universidad McMaster en 1981 y se doctoró en óptica en la Universidad de Rochester en 1989 con una tesis sobre El desarrollo de un láser ultrabrillante y su aplicación a la ionización multifotónica, cuyo director fue el físico francés Gérard Mourou. Durante los años en la Universidad Mc Master de Ontario la atrajo un curso sobre láser, pero sobre todo la atrajo el hecho de que «fuesen muy divertidos». Profundizó en el tema hasta su doctorado. Recibió el encargo de desarrollar la idea de su colega Gérard Mourou: expandir el pulso de luz láser, amplificarlo y, por último, comprimirlo. Un proceso que permite producir un pulso de mayor potencia. Tras los fracasos iniciales, logró su objetivo utilizando un cable de fibra óptica de 1,4 kilómetros de longitud con el que pudo ampliar los pulsos láser. De 1988 a 1991, Donna Theo Strickland fue ayudante de investigación en el Consejo Nacional de Investigación de Canadá, donde trabajó con Paul Corkum en la sección de Fenómenos Ultrarrápidos, que en aquel momento ostentaba el récord de producción del láser de pulso corto más potente. Más tarde se incorporó al departamento de láseres del Laboratorio Nacional Lawrence Livermore, de 1991 a 1992, y después pasó a ser técnica de laboratorio en el Centro de Tecnología Avanzada de Fotónica y materiales optoelectrónicos de la Universidad de Princeton.

Actualmente es catedrática de Física Óptica en el Departamento de Física y Astronomía de la Universidad de Waterloo (Canadá), donde sigue estudiando técnicas láser ultrarrápidas, cortas y de alta intensidad. Era profesora titular cuando recibió el Premio. En octubre de 2018 declaró a la BBC que había presentado su candidatura y había sido nombrada profesora titular de la Universidad de Waterloo. Es componente de The Optical Society, donde ocupó el cargo de Vicepresidenta de 2011 a 2013, cuando pasó a ser Presidenta. También es componente de la Academia Nacional de Ciencias de los Estados Unidos de América. En 2021 fue nombrada socia ordinaria de la Academia Pontificia de las Ciencias por el Papa Francisco.

Donna Theo Strickland está casada con Douglas Dykaar que se doctoró en ingeniería eléctrica en la Universidad de Rochester. Tienen dos hijos: Hannan, licenciado en astrofísica por la Universidad de Toronto, y Adam, estudiante de comedia en el Humber College. Es una componente activa de la Iglesia Unida de Canadá. Además, en 2019 fue nombrada Compañera de la Orden de Canadá, uno de los honores civiles más prestigiosos de Canadá. En 2018 recibió el Nobel de Física junto a Gérard Mourou y Arthur Ashkin por «su método de generación de los pulsos láser más cortos e intensos creados por la humanidad», así como rezaba la motivación del premio. Los trabajos sobre la técnica de amplificación a la deriva de frecuencia comenzaron como parte de su doctorado. Proceso por el que un impulso de radiación electromagnética se amplifica en tres etapas: en la primera fase la duración del pulso se dilata utilizando un sistema óptico dispersivo (rejillas y fibras ópticas) en el que los distintos componentes de color que forman el pulso recorren trayectos ópticos de longitudes diferentes. Este proceso separa los distintos colores dentro del pulso, resultando chirped, es decir, con una frecuencia que varía entre la parte frontal y la cola. En la segunda fase la energía del pulso se amplifica en un medio material adecuado. Por ejemplo, en el caso de pulsos láser en un cristal al que se suministra energía de forma congruente desde el exterior. Esto conlleva una reducción del pulso amplificado y, de nuevo con la misma energía, a un aumento correspondiente de la intensidad de campo. Todo esto significa que el proceso de descompresión y compresión permite variar la potencia a energía constante. En la última década la técnica ha encontrado aplicaciones en el campo de los láseres de potencia, permitiendo amplificar pulsos ultracortos, hasta duraciones del orden de decenas de femtosegundos (10-15 s) y con longitudes de onda del orden de micrómetros, hasta potencias del orden de petawatt (1015 W). El pulso se vuelve a comprimir para alcanzar intensidades que la amplificación convencional no permitiría.

Los resultados de las investigaciones de Strickland han permitido estudiar objetos diminutos de forma innovadora y precisa. Las aplicaciones abarcan numerosos campos, desde la industria a la biomedicina. En el ámbito médico esta técnica contribuye a nuevos avances en la cirugía refractiva ocular y el tratamiento de las cataratas y la miopía. La amplificación de pulsos chirp para láseres, pulsos ópticos ultracortos y de alta intensidad con láseres que se utilizan en cirugías correctivas oculares realizadas cada año en todo el mundo.

Strickland compartió el Premio Nobel con sus colegas Ashkin y Mourou por originar una revolución en la física del láser. Los tres investigadores recibieron un premio de nueve millones de coronas (más de un millón de dólares aproximadamente), la mitad del cual se entregó a Ashkin. A este último se le atribuye el perfeccionamiento de las “pinzas ópticas”, trampas de luz que permiten manipular objetos de tamaño diminuto utilizando sólo la luz como herramienta, como átomos, moléculas y células biológicas. A Donna Theo Strickland y a Gérard Mourou se les atribuye la invención del método “para generar los pulsos láser más cortos e intensos creados por la humanidad”. Han creado el láser más ecléctico que nunca al producir pulsos ultracortos. En toda la historia de los Premios Nobel, Donna Theo Strickland es la tercera en recibir el prestigioso honor en Física después de Marie Skłodowska Curi en 1903, por sus investigaciones sobre la radiactividad, y después de la científica estadounidense Maria Goeppert Mayer en 1963, galardonada por sus descubrimientos sobre el núcleo de los átomos.

Tras su declaración, comentó: «Obviamente tenemos que celebrar a las mujeres físicas, porque están ahí fuera. Esperemos que, con el tiempo, empiecen a crecer a un ritmo más rápido». Su propia carrera sirvió de ejemplo para otras mujeres en el campo de la física y trabajó para que cada vez hubiera más científicas en su departamento de Waterloo. Se trata de un reconocimiento significativo si pensamos es opinión común que las mujeres son menos propensas a la ciencia que los hombres. Donna Theo Strickland, junto con dos hombres, demostró exactamente lo contrario, declarando a The Guardian: «No me veo como una mujer en la ciencia. Me veo como una científica».

 

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia