Louise Dumont Farrenc
Maria Chiara Pulcini


Daniela Godel

 

La Francia della Restaurazione è un ambiente edonistico dove l’opera lirica e le storie romantiche fanno da padrone: gli spettacoli nei teatri sono regolari ma qualitativamente ripetitivi, segno di una certa arretratezza a livello di gusto musicale; in molti lo notano ma pochi cercano di porvi rimedio, specie quando si prende ispirazione dalla sempre più odiata area tedesca, che stava vivendo un vero e proprio rinascimento grazie a musicisti come Beethoven e Schumann. È in questo clima che Jeanne-Louise Dumont nasce il 31 maggio del 1804. È figlia d’arte: suo padre, Jacques-Edme, è discendente di una dinastia di scultori di successo, mestiere che passerà al figlio Augustine-Alexandre, meglio conosciuto col nome Auguste; da parte della madre Marie-Elisabeth-Louise Curton proviene dai Coypel, ritrattisti e ritrattiste di corte. La famiglia Dumont è ben nota negli ambienti culturali parigini e non passa molto tempo prima che Louise abbia il suo battesimo artistico: a sei anni inizia a prendere lezioni di pianoforte da Cecile Soria, allievo del maestro Muzio Clementi, mostrando ben presto un incredibile talento.

Louise Farrenc ritratta da un artista anonimo. © Bibliothèque Nationale de France Louise Farrenc ritratta da Luigi Rubio (1835)

Continua i suoi studi col virtuoso pianista Ignaz Moscheles, futuro direttore del Conservatorio di Lipsia, e col compositore Johann Nepomuk Hummel, compagno di Beethoven e allievo anch’egli di Clementi; con loro Dumont si mostra versata anche nella composizione, fatto che porta i genitori a cercare di iscriverla al Conservatorio di Parigi all’età di soli 15 anni. Qui la ragazzina affronta purtroppo la prima vera discriminazione causata dal proprio sesso: il Conservatorio ammette solo uomini e nonostante le sue innegabili abilità non fa eccezione per lei, costretta quindi a prendere lezioni private per poter proseguire il suo percorso. Il suo insegnante è Anton Reicha, uno dei professori di musica più quotati dell’epoca. Fa amicizia con un flautista, Aristide Farrenc, di lei dieci anni più grande e che si esibisce regolarmente alla Sorbona poco distante da casa sua; non passa molto prima che tra i due scocchi la scintilla. Louise ha 17 anni quando si sposano nel 1821, sigillando un’unione che sarà felice e all’insegna del mutuo rispetto; prende il cognome del marito, per il quale interrompe gli studi per poterlo accompagnare nei tour in giro per l’Europa dove si esibisce anche lei. Aristide, però, sentendo che quello stile di vita errabonda non fa per lui, torna con la moglie a Parigi e fonda la casa editrice Éditions Farrenc, diventando presto uno dei punti di riferimento per la pubblicazione di musica in Francia.

Louise Dumont, ora Farrenc, riprende e completa i suoi studi con Reicha; nel 1826 dà alla luce Victorine, l’unica figlia, anche lei un precoce prodigio del pianoforte, che di frequente si esibirà con la madre pure durante cerimonie importanti. Ricomincia ad andare in tournée in giro per l’Europa, suonando e componendo e ottenendo fama di abile musicista in poco tempo. Aristide è completamente coinvolto nella sua carriera, convinto sostenitore del suo talento: non solo la finanzia ma organizza gli eventi in cui si esibisce, pubblica e diffonde per tutto il continente le sue produzioni. Un’unione, la loro, felice e feconda, una rarità per numerose musiciste contemporanee di Farrenc. Ella compone solo per pianoforte fino agli anni Trenta dell’Ottocento, guadagnandosi le lodi di importanti figure del panorama musicale di allora come Robert Schumann. Inizia poi a scrivere brani di musica per orchestra – due overture che non verranno mai pubblicate – e da camera; quest’ultima tipologia è quella che le fa guadagnare più successo e la critica non esita a compararla – pur con molte reticenze e spesso in modo paternalistico – ad altri celebri compositori dell'epoca.

Diventa talmente conosciuta da venire chiamata a insegnare pianoforte al Conservatorio di Parigi nel 1842, incarico che accetta volentieri. Non solo è l’unica donna nel corpo docente – e lo sarà per tutto il XIX secolo – ma è anche la più famosa e una delle più capaci, descritta dai suoi studenti come una docente brillante che ha portato molti di loro a vincere premi prestigiosi e ad avviare la relativa carriera. Nonostante questo, è la meno pagata in virtù del suo sesso. Farrenc terrà la cattedra per trent’anni, fino al 1873. Solo dopo i primi dieci anni prenderà lo stesso stipendio dei suoi colleghi, dopo lo straordinario successo di Nonetto in mi bemolle maggiore, op. 38: alla premiere dell'opera, a cui partecipa anche il famoso violinista Joseph Joachim, Farrenc pretende che la sua paga sia alzata, una richiesta che il direttore del Conservatorio Daniel Auber accontenta. Nel 1859 l'amata Victorine viene a mancare dopo una lunga malattia e con lei muore anche la vena creativa di Farrenc, che non comporrà più; si getta anima e corpo nell’insegnamento e nell’attività di ricerca, aiutando il marito e la sua casa editrice.

Grazie alla sua musica da camera viene premiata ben due volte dall’Accademia delle Belle Arti con il prestigioso “Prix Chartier”, nel 1861 e nel 1869. Oltre all’insegnamento e alle tournée Farrenc e il marito si dedicano alla musica antica, ritrovando vecchi spartiti per clavicembalo e ripubblicandoli; curano e pubblicano Le Trésor des Pianistes, una raccolta di oltre due secoli di spartiti per clavicembalo e piano di ben 23 volumi. Quando Aristide muore nel 1865 Louise continua a pubblicare da sola i restanti 11 volumi, reggendo l’attività fino alla morte avvenuta nel 1875. Nonostante l’enorme successo in vita, la Francia la dimentica molto presto: il suo Nonetto le sopravvisse per qualche anno, permettendole di apparire in libri di musica come Pianistes célebrès di Antoine Françoise Marmontel. Tuttavia, il suo stile assai vicino a quello di Beethoven e al romanticismo tedesco, in un’epoca in cui la sconfitta per mano prussiana nel 1870 brucerà per decenni, contribuirà a farla cadere nell’oblio. Questo fino al XX secolo, quando un rinnovato interesse per le compositrici riporta alla luce il suo lavoro e la sua influenza sulla musica francese.

Come già detto per molto tempo Farrenc ha composto solo per pianoforte e solo dagli anni Trenta inizia a sperimentare con la musica da camera e da orchestra, mostrando sempre un alto livello di indipendenza e versatilità. Discostandosi dai suoi contemporanei preferisce comporre sonate e sinfonie, generi non più coltivati in Francia dalla Rivoluzione; il suo stile è fortemente influenzato dalla musica di Vienna, dove hanno studiato i suoi maestri: ciò l’ha allontanata dal gusto musicale francese dell’epoca, portandola a un genere più astratto, privo di un peso narrativo. Si rifà spesso a lavori del XVII e XVIII secolo, non mera imitazione ma invito a chi ascolta a ricordare la musica del passato, di norma snobbata dai contemporanei. Scrive per strumenti a fiato, archi e ovviamente per pianoforte; tra i suoi pezzi più famosi Quintetto per pianoforte op. 30 e 31, Sestetto per pianoforte e fiati op. 40, Trio per pianoforte op. 33 e 34, Nonetto per fiati e archi op.38, Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte op. 44. Il Concerto per pianoforte in B minore è forse la sua opera più audace e lontana sia dal suo stile che da quello francese, di cui tuttavia rimane solo un manoscritto incompleto. La sua Terza sinfonia op. 36 è stata eseguita alla Société des concerts du Conservatoire nel 1849 riscuotendo enorme successo. In tutto la musicista ha scritto 49 composizioni. Stranamente non ci sono opere liriche nonostante il genere fosse molto in voga in Francia. Dalle fonti sappiamo che non è stato per volontà di Farrenc, che anzi ha provato a sperimentare anche in questo campo: tuttavia, essendo donna, non le è stato mai concesso un libretto su cui lavorare.

Copertina di un manoscritto autografato dei 30 Études(Op. 26) di Louise Farrenc. © Bibliothèque Nationale de France
La prima registrazione completa al mondo della musica sinfonica di Louise Farrenc, pubblicata su cd nel 2021

L’insegnamento è stato la sua più grande passione, il suo metodo sobrio e diretto è stato tramandato a lungo. Il suo Trenta studi in tutte le chiavi maggiori e minori, una raccolta per pianoforte sia musicale che pedagogica, continuerà ad essere stampata decenni dopo la morte dell'autrice. Oltre al perfezionamento della tecnica, Farrenc fornisce una lezione di storia introducendo lo/la studente a una pletora di diversi stili di scrittura musicale, da Bach fino all’epoca a lei contemporanea. Un’opera preziosa che mostra sia l’abilità di docente sia la sua indipendenza, il suo rifiuto di ancorarsi alle mode e la sua passione di ricercatrice.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

La France de la Restauration était un environnement hédoniste où l’opéra et les récits romantiques dominaient : les spectacles dans les théâtres étaient réguliers mais qualitativement répétitifs, signe d’un certain retard au niveau du goût musical. Beaucoup le remarquaient, mais peu cherchaient à y remédier, notamment lorsque l’inspiration venait de la zone germanique de plus en plus détestée, qui vivait une véritable renaissance grâce à des musiciens comme Beethoven et Schumann. C’est dans ce climat que Jeanne-Louise Dumont est née le 31 mai 1804. Elle était fille d’artistes : son père, Jacques-Edme, descendait d’une dynastie de sculpteurs renommés, métier qu’il transmit à son fils Augustine-Alexandre, mieux connu sous le nom d’Auguste. Du côté de sa mère, Marie-Élisabeth-Louise Curton, elle descendait des Coypel, portraitistes de cour. La famille Dumont était bien connue dans les cercles culturels parisiens, et il ne fallut pas longtemps avant que Louise ait son baptême artistique : à six ans, elle commence à prendre des cours de piano auprès de Cécile Soria, élève du maître Muzio Clementi, et montre rapidement un talent extraordinaire.

Louise Farrenc interprétée par un artiste anonyme. © Bibliothèque Nationale de France interprétée par Luigi Rubio (1835)

Elle poursuit ses études avec le pianiste virtuose Ignaz Moscheles, futur directeur du Conservatoire de Leipzig, et avec le compositeur Johann Nepomuk Hummel, compagnon de Beethoven et également élève de Clementi. Avec eux, Dumont démontre une aptitude remarquable pour la composition, ce qui pousse ses parents à tenter de l’inscrire au Conservatoire de Paris à l’âge de seulement 15 ans. Là, la fille fait face à sa première véritable discrimination due à son sexe : le Conservatoire n’admettait que des hommes, et malgré ses compétences indéniables, il ne fait pas d’exception pour elle. Elle doit donc prendre des leçons privées pour continuer son parcours. Son professeur était Anton Reicha, l’un des enseignants les plus respectés de l’époque. Elle se lie d’amitié avec un flûtiste, Aristide Farrenc, de dix ans son aîné, qui se produisait régulièrement à la Sorbonne, non loin de chez elle. Très vite, une étincelle naquit entre eux. Louise avait 17 ans lorsqu’ils se marièrent en 1821, scellent une union heureuse et fondée sur le respect mutuel. Elle prit le nom de son mari et interrompit ses études pour l’accompagner dans ses tournées à travers l’Europe, où elle jouait également. Cependant, Aristide, sentant que ce mode de vie nomade ne lui convenait pas, retourna avec son épouse à Paris et fonda la maison d’édition Éditions Farrenc, qui devint rapidement une référence en matière de publication musicale en France.

Louise Dumont, désormais Farrenc, reprend et achève ses études avec Reicha. En 1826, elle donne naissance à Victorine, leur fille unique, également prodige précoce du piano, qui se produisait souvent avec sa mère lors d’événements importants. Louise recommence à tourner à travers l’Europe, jouant et composant, et acquiert rapidement une renommée en tant que musicienne talentueuse. Aristide s’investit pleinement dans sa carrière, convaincu de son génie : il finançait ses projets, organisait ses événements, publiait et diffusait ses œuvres dans tout le continent. Une union qui a été heureuse et fructueuse, une rareté parmi les nombreuses musiciennes contemporaines de Farrenc. Elle compose uniquement pour piano jusqu’aux années 1830, recevant les éloges de grandes figures musicales de l’époque, comme Robert Schumann. Elle commence ensuite à écrire des pièces pour orchestre – deux ouvertures qui n’ont jamais été publiées – et de la musique de chambre, genre qui lui apporte le plus de succès. La critique n'hésite pas à la comparer, bien que souvent de manière réticente et paternaliste, à d’autres compositeurs célèbres de son époque.

Elle devient si connue qu’elle est appelée à enseigner le piano au Conservatoire de Paris en 1842, poste qu’elle accepte avec plaisir. Non seulement elle était la seule femme dans le corps professoral – et le resterait tout au long du XIXe siècle – mais elle était aussi la plus célèbre et l’une des plus compétentes. Ses élèves la décrivaient comme une enseignante brillante qui les menait à remporter des prix prestigieux et à lancer leur carrière. Malgré cela, elle était la moins payée en raison de son sexe. Farrenc conserve son poste pendant trente ans, jusqu’en 1873. Ce n’est qu’après dix ans qu’elle obtient le même salaire que ses collègues, grâce au succès extraordinaire de son Nonetto en mi bémol majeur, op. 38. Lors de la première de cette œuvre, où participait également le célèbre violoniste Joseph Joachim, Farrenc exige une augmentation de salaire, demande à laquelle le directeur du Conservatoire, Daniel Auber, accède. En 1859, sa chère Victorine meurt après une longue maladie, emportant avec elle la créativité de Farrenc, qui ne compose plus jamais. Elle se consacre entièrement à l’enseignement et à la recherche, aidant son mari dans sa maison d’édition.

Grâce à sa musique de chambre, elle a été récompensée deux fois par l’Académie des Beaux-Arts avec le prestigieux “Prix Chartier” en 1861 et 1869. Outre l’enseignement et les tournées, Farrenc et son mari s’intéressèrent à la musique ancienne, retrouvent d’anciens manuscrits pour clavecin et les rééditent. Ils publièrent Le Trésor des Pianistes, une collection de plus de deux siècles de partitions pour clavecin et piano en 23 volumes. Lorsque Aristide mourut en 1865, Louise continua seule à publier les 11 volumes restants, maintenant l’activité jusqu’à sa mort en 1875. Malgré le succès énorme qu’elle avait connu de son vivant, la France l’oublia rapidement : son Nonetto survit quelques années, ce qui lui permit d’apparaître dans des ouvrages musicaux comme Pianistes célèbres d’Antoine François Marmontel. Cependant, son style, très proche de celui de Beethoven et du romantisme allemand, dans une époque marquée par la défaite contre les Prussiens en 1870, contribue à la faire tomber dans l’oubli. Ce n’est qu’au XXe siècle, grâce au renouveau de l’intérêt pour les compositrices, que son travail et son influence sur la musique française sont redécouverts.

Comme mentionné précédemment, Farrenc compose pendant longtemps uniquement pour le piano, et ce n’est qu’à partir des années Treintes qu’elle commence à expérimenter avec la musique de chambre et orchestrale, faisant toujours preuve d’un haut niveau d’indépendance et de polyvalence. En se démarquant de ses contemporains, elle préfère composer des sonates et des symphonies, des genres qui n’étaient plus cultivés en France depuis la Révolution. Son style est fortement influencé par la musique de Vienne, où ses maîtres ont étudié : cela l’a éloignée du goût musical français de l’époque, l’amenant à un genre plus abstrait, dépourvu de charge narrative. Elle s’inspire souvent de travaux des XVIIe et XVIIIe siècles, non pas pour les imiter, mais pour inviter l’auditeur à se souvenir de la musique du passé, habituellement dédaignée par ses contemporains. Elle écrit pour des instruments à vent, des cordes, et bien sûr pour le piano. Parmi ses œuvres les plus célèbres figurent le Quintette pour piano op. 30 et 31, le Sextuor pour piano et vents op. 40, le Trio pour piano op. 33 et 34, le Nonette pour vents et cordes op. 38, et le Trio pour clarinette, violoncelle et piano op. 44. Son Concerto pour piano en si mineur est peut-être son œuvre la plus audacieuse et la plus éloignée de son style habituel ainsi que du style français. Malheureusement, il ne reste qu’un manuscrit incomplet de cette pièce. Sa Troisième Symphonie op. 36 a été exécutée à la Société des concerts du Conservatoire en 1849, rencontrant un énorme succès. Au total, la musicienne a écrit 49 compositions. Étonnamment, il n’y a aucune œuvre lyrique, bien que ce genre fût très en vogue en France à l’époque. D’après les sources, ce n’est pas par manque de volonté de Farrenc, qui a effectivement essayé de s’aventurer dans ce domaine. Cependant, en tant que femme, il ne lui a jamais été permis de recevoir un livret sur lequel travailler.

Couverture d'un manuscrit dédicacé des 30 Études (Op. 26) de Louise Farrenc. © Bibliothèque Nationale de France
Le premier enregistrement complet au monde de la musique symphonique de Louise Farrenc, sorti sur CD en 2021

L’enseignement a été sa plus grande passion, et sa méthode sobre et directe a été transmise pendant longtemps. Son Trente études dans toutes les tonalités majeures et mineures, une collection pour piano à la fois musicale et pédagogique, a continué d’être publiée des décennies après sa mort. En plus de perfectionner la technique, Farrenc offre une leçon d’histoire en introduisant l’élève à une multitude de styles d’écriture musicale différents, de Bach jusqu’à son époque contemporaine. Une œuvre précieuse qui reflète à la fois ses talents de pédagogue, son indépendance, son refus de se conformer aux modes, et sa passion pour la recherche.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Restoration France was a hedonistic environment where opera and romantic stories ruled the day. Performances in theaters were regular but qualitatively repetitive, a sign of a certain backwardness in musical taste. Many noticed this but few sought to remedy it, especially when inspiration was taken from the increasingly hated Germany, which was experiencing a true renaissance thanks to musicians such as Beethoven and Schumann. It was in this climate that Jeanne-Louise Dumont was born on May 31, 1804. She was a daughter of art - her father, Jacques-Edme, was a descendant of a dynasty of successful sculptors, a trade that she would pass on to her son Augustine-Alexandre, better known by the name Auguste. Her mother, Marie-Elisabeth-Louise Curton came from the Coypels, who were court portrait painters. The Dumont family was well known in Parisian cultural circles, and it was not long before Louise had her artistic baptism. At the age of six she began taking piano lessons from Cecile Soria, a pupil of the master Muzio Clementi, and soon showed incredible talent.

Louise Farrenc portrayed by an anonymous artist. ©Bibliothèque Nationale de France Louise Farrenc portrayed by Luigi Rubio (1835)

She continued her studies with the virtuoso pianist Ignaz Moscheles, future director of the Leipzig Conservatory, and with the composer Johann Nepomuk Hummel, Beethoven's companion and also a pupil of Clementi. With them Dumont also showed herself versed in composition, a fact that led her parents to try to enroll her at the Paris Conservatory when she was only 15. Here the young girl unfortunately faced her first real discrimination caused by her gender - the Conservatoire admited only men, and despite her undeniable abilities, there was no exception for her, thus forcing her to take private lessons in order to pursue her passion. Her teacher was Anton Reicha, one of the most highly regarded music professors of the time. She befriended a flutist, Aristide Farrenc, who was ten years her senior and performed regularly at the Sorbonne not far from her home. It was not long before sparks fly between the two. Louise was 17 when they married in 1821, sealing a union that would be happy and marked by mutual respect. She took her husband's surname, and she interrupted her studies so she could accompany him on tours around Europe where she also performed. Aristide, however, feeling that a wandering lifestyle is not for him, returned with his wife to Paris and founded the publishing house Éditions Farrenc, soon becoming one of the benchmarks for music publishing in France.

Louise Dumont, now Farrenc, resumed and completed her studies with Reicha. In 1826 she gave birth to Victorine, her only daughter, also a precocious piano prodigy, who would frequently perform with her mother at important ceremonies. She began touring again around Europe, playing and composing, and gaining fame as a skilled musician in a short time. Aristide was completely involved in her career, a convinced supporter of her talent. He not only financed her but also organized the events at which she performed, and published and disseminated her productions throughout the continent. Their union, happy and fruitful, was a rarity among many of Farrenc's contemporary musicians. She composed only for piano until the 1830s, earning the praise of important figures on the musical scene at the time such as Robert Schumann. She then began to write pieces of music for orchestra - two overtures that would never be published - and chamber music. The latter type earned her the most acclaim, and critics did not hesitate to compare her - though with much reticence and often patronizingly - to other celebrated composers of the time.

She became so well known that she was called to teach piano at the Paris Conservatory in 1842, a position she gladly accepted. Not only was she the only woman on the teaching staff - and she would be throughout the 19th century - but she was also the most famous and one of the most capable, described by her students as a brilliant teacher who led many of them to win prestigious prizes and launch related careers. Despite this, she was the lowest-paid, by virtue of her gender. Farrenc would hold the professorship for thirty years, until 1873. It was only after the first ten years that she was able to obtain the same salary as her colleagues, after the extraordinary success of Nonetto in E-flat Major, Op. 38. At the premiere of the work, which was also attended by the famous violinist Joseph Joachim, Farrenc demanded that her pay be raised, a request that Conservatory director Daniel Auber acceded to. In 1859 her beloved Victorine passed away after a long illness, and with her died Farrenc's creative vein Composing no longer, she threw herself heart and soul into teaching and research, helping her husband and his publishing house.

Thanks to her chamber music she was twice awarded the prestigious "Prix Chartier" by the Academy of Fine Arts, in 1861 and 1869. In addition to teaching and touring, Farrenc and her husband devoted themselves to early music, finding old harpsichord scores and republishing them. They edited and published Le Trésor des Pianistes, a 23-volume collection of more than two centuries of harpsichord and piano scores. When Aristide died in 1865 Louise continued to publish the remaining 11 volumes on her own, holding up the business until her death in 1875. Despite her enormous success in her lifetime, France soon forgot her. Her Nonetto survived her for a few years, allowing her to appear in music books such as Pianistes célebrès by Antoine Françoise Marmontel. However, her style - very close to that of Beethoven and German Romanticism, at a time when defeat at the hands of Prussia in 1871 would burn for decades - contributing to her falling into oblivion. That was until the 20th century, when a renewed interest in women composers brought her work and her influence on French music back to light.

As mentioned above, for a long time Farrenc composed only for piano and only from the 1930s did she begin to experiment with chamber and orchestral music, always displaying a high level of independence and versatility. Departing from her contemporaries, she prefered to compose sonatas and symphonies, genres no longer cultivated in France since the Revolution. Her style was strongly influenced by the music of Vienna, where her masters studied. This distanced her from the French musical taste of the time, leading her to a more abstract genre, lacking narrative weight. She often drew on works from the 17th and 18th centuries, not mere imitation but an invitation to listeners to remember the music of the past, usually snubbed by contemporaries. She wrote for wind instruments, strings and of course for piano. Among her most famous pieces are Quintet for piano op. 30 and 31, Sextet for piano and winds op. 40, Trio for piano op. 33 and 34, Nonetto for winds and strings op.38, Trio for clarinet, cello and piano op. 44. The Piano Concerto in B minor is perhaps her most daring work and far removed from both her own and the French style, of which, however, only an incomplete manuscript remains. Her Third Symphony Op. 36 was performed at the Société des concerts du Conservatoire in 1849 to enormous acclaim. In all, the musician wrote 49 compositions. Strangely, there are no operas despite the fact that the genre was very much in vogue in France. We know from sources that this was not at the behest of Farrenc, who rather tried to experiment in this field as well. However, being a woman, she was never given a libretto to work on.

Teaching was her greatest passion. Her sober and direct method has long been handed down. Her Thirty Etudes in All Major and Minor Keys, a collection for piano both musical and pedagogical, would continue to be printed decades after the author's death. In addition to perfecting technique, Farrenc provides a history lesson by introducing the student to a plethora of different styles of music writing, from Bach to her contemporary era. A valuable work that shows both her skill as a teacher and her independence, her refusal to anchor herself in fashions and her passion as a researcher.

Cover of an autographed manuscript of the 30 Études (Op. 26) by Louise Farrenc. © Bibliothèque Nationale de France
The world's first complete recording of Louise Farrenc's symphonic music, released on CD in 2021

Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

 

La Francia de la Restauración es un entorno hedonista donde la ópera lírica y las historias románticas dominan: los espectáculos en los teatros son regulares, pero cualitativamente repetitivos, señal de un cierto retraso en el gusto musical; muchos lo notan, pero pocos intentan remediarlo, especialmente cuando se toma inspiración de la cada vez más odiada área alemana, que estaba viviendo un verdadero renacimiento gracias a músicos como Beethoven y Schumann. En este clima nace Jeanne-Louise Dumont el 31 de mayo de 1804. Es hija del arte: su padre, Jacques-Edme, es descendiente de una dinastía de escultores de éxito, oficio que pasará a su hijo Augustine-Alexandre, más conocido con el nombre de Auguste; por parte de su madre, Marie-Elisabeth-Louise Curton, desciende de los Coypel, retratistas de corte. La familia Dumont es bien conocida en los círculos culturales parisinos y no pasa mucho tiempo antes de que Louise tenga su bautismo artístico: a los seis años comienza a tomar clases de piano con Cecile Soria, alumno del maestro Muzio Clementi, mostrando muy pronto un talento increíble.

Louise Farrenc retratada por un artista anónimo. ©Biblioteca Nacional de Francia Louise Farrenc interpretada por Luigi Rubio (1835)

Continúa sus estudios con el virtuoso pianista Ignaz Moscheles, futuro director del Conservatorio de Leipzig, y con el compositor Johann Nepomuk Hummel, compañero de Beethoven y alumno de Clementi; con ellos Dumont se muestra también versada en la composición, hecho que lleva a sus padres a tratar de inscribirla en el Conservatorio de París con sólo 15 años de edad. Desgraciadamente aquí la niña se enfrenta a la primera discriminación causada por su sexo: el Conservatorio sólo admite hombres y a pesar de sus innegables habilidades no hace una excepción para ella, por lo tanto se ve obligada a tomar clases particulares para poder continuar su camino. Su profesor es Anton Reicha, uno de los profesores de música más cotizados de la época. Entabla amistad con un flautista, Aristide Farrenc, diez años mayor que ella y que actúa con regularidad en la Sorbona, a poca distancia de su casa; no pasa mucho antes de que los dos sientan la chispa. Louise tiene 17 años cuando se casan en 1821, sellando una unión que será feliz y estará basada en el respeto mutuo; toma el apellido de su marido, por lo que interrumpe los estudios para poder acompañarlo en las giras por Europa donde ella también actúa. Sin embargo, Aristide, sintiendo que ese estilo de vida errático no es para él, regresa con su esposa a París y funda la editorial Éditions Farrenc, convirtiéndose pronto en uno de los puntos de referencia para la publicación de música en Francia.

Louise Dumont, ahora Farrenc, reanuda y completa sus estudios con Reicha. En 1826 da a luz a Victorine, su única hija, también ella un prodigio precoz del piano, que a menudo actuará con su madre, incluso durante ceremonias importantes. Vuelve a hacer giras por Europa, tocando y componiendo, y en poco tiempo adquiere fama de ser una música hábil. Aristide está completamente involucrado en su carrera, es partidario convencido de su talento: no sólo financia, sino que también organiza los eventos en los que ella se exhibe, publica y difunde sus producciones por todo el continente. Una unión, la suya, feliz y fecunda, una rareza para muchas músicas contemporáneas de Farrenc. Ella compone sólo para piano hasta los años treinta del siglo XIX, ganándose los elogios de importantes figuras del panorama musical de entonces como Robert Schumann. Luego comienza a escribir música para orquesta –dos oberturas que nunca se publicarán– y para cámara; este último género es el que le proporciona más éxito y la crítica no duda en compararla –aunque con muchas reticencias y a menudo de manera paternalista– con otros compositores famosos de su época.

Se hizo tan famosa que la llamaron para enseñar piano en el Conservatorio de París en 1842, cargo que aceptó gustosamente. No sólo fue la única mujer en el cuerpo docente –y lo fue durante todo el siglo XIX– sino también la más famosa y una de las más capaces, descrita por sus estudiantes como una brillante profesora que llevó a muchos y muchas a ganar prestigiosos premios y a iniciar su propia carrera. A pesar de eso, era la menos pagada a causa de su sexo. Farrenc ocupará la cátedra durante treinta años, hasta 1873. Sólo después de los primeros diez años percibirá el mismo salario que sus colegas, después del extraordinario éxito de Nonette en mi bemol mayor, op. 38: en el estreno de la ópera, en la que participa también el famoso violinista Joseph Joachim, Farrenc exige que se le suba el sueldo, petición que el director del Conservatorio Daniel Auber acepta. En 1859 la amada Victorine fallece después de una larga enfermedad y con ella muere también la vena creativa de Farrenc, que ya no volverá a componer; se dedicará a la enseñanza y a la investigación, ayudando a su marido y a su editorial.

Gracias a su música de cámara es galardonada dos veces por la Academia de Bellas Artes con el prestigioso Prix Chartier, en 1861 y en 1869. Además de la enseñanza y de las giras, Farrenc y su esposo se dedican a la música antigua, recuperando viejas partituras para clavicémbalo y publicándolas; editan y publican Le Trésor des Pianistes, una colección de más de dos siglos de partituras para clavicémbalo y piano de 23 volúmenes. Cuando Aristide muere en 1865, Louise sigue publicando sola los 11 volúmenes restantes, manteniendo la actividad hasta su muerte en 1875. A pesar de su enorme éxito en vida, Francia la olvida muy pronto: su Nonette le sobrevive durante algunos años, permitiéndole aparecer en libros de música, como en Pianistes célebrès de Antoine Françoise Marmontel. Sin embargo, su estilo muy cercano al de Beethoven y al romanticismo alemán, en una época en la que la derrota prusiana de 1870 dolerá durante décadas, contribuirá a hacerla caer en el olvido. Esto hasta el siglo XX, cuando un renovado interés por las compositoras saca a la luz su trabajo y su influencia en la música francesa.

Como ya se ha dicho, durante mucho tiempo Farrenc sólo compuso para piano y sólo a partir de los años treinta comenzó a experimentar con la música de cámara y orquesta, mostrando siempre un alto nivel de independencia y versatilidad. Distanciándose de sus contemporáneos, prefiere componer sonatas y sinfonías, géneros que en Francia ya no se cultivaban desde la Revolución; su estilo resulta fuertemente influenciado por la música de Viena, donde estudiaron sus maestros: esto la alejó del gusto musical francés de su época, llevándola a un género más abstracto, carente de un peso narrativo. Ella se remite a menudo a obras de los siglos XVII y XVIII pero no se trata de mera imitación, sino que invita a quien escucha a recordar la música del pasado, por lo general despreciada por sus contemporáneos. Escribe para instrumentos de viento, arcos y, por supuesto, para piano; entre sus piezas más famosas, Quinteto para piano op. 30 y 31, Sexteto para piano y viento op. 40, Trío para piano op. 33 y 34, Nonette para cuerdas y arcos op. 38, Trío para clarinete, violonchelo y piano op. 44. El Concierto para piano en B menor del que sólo queda un manuscrito incompleto, es quizás su obra más atrevida y alejada tanto de su estilo como del francés. Su Tercera Sinfonía op. 36 fue dirigida en la Société des concerts du Conservatoire en 1849 con gran éxito. En total, esta música escribió 49 composiciones. Por extraño que parezca, no hay óperas líricas a pesar de que el género estaba muy de moda en Francia. Por las fuentes sabemos que no fue por voluntad de Farrenc, quien intentó experimentar también en este campo. Sin embargo, como mujer, nunca se le concedió un libreto para trabajar.

La enseñanza fue su mayor pasión, su método sobrio y directo se transmitió durante mucho tiempo. Sus Treinta estudios en todas las claves mayores y menores, una colección para piano tanto musical como pedagógica, se seguirá imprimiendo décadas después de la muerte de la autora. Además de perfeccionar la técnica, Farrenc ofrece una lección de historia presentando a su estudiante una plétora de diferentes estilos de escritura musical, desde Bach hasta su época contemporánea. Una obra valiosa que muestra tanto la capacidad de docente como su independencia, su rechazo de las modas y su pasión por la investigación.

Portada de un manuscrito autografiado de los 30 Estudios (Op. 26) de Louise Farrenc. © Biblioteca Nacional de Francia
La primera grabación completa del mundo de la música sinfónica de Louise Farrenc, lanzada en CD en 2021

 

Pauline García – Viardot
Barbara Belotti


Daniela Godel

 

È stata nutrita di musica e note fin dalla nascita. Con il padre Manuel García famoso tenore, la madre Joaquína Sitchez soprano, la sorella maggiore Maria Malibran, vera celebrità del bel canto e acclamata ovunque per le eccelse doti canore, era praticamente impossibile non avere un destino già stabilito. Così fin da piccola Pauline García, nata a Parigi nel 1821, studiò musica. E anche con immensa passione, sognando di diventare da grande una celebre pianista e compositrice. Ma alla morte prematura del padre, la madre le impose la carriera di cantante lirica e Pauline ubbidì abbandonando i suoi sogni e cominciando a studiare solo canto. Si preparò così a una carriera di palcoscenico che fu comunque piena di soddisfazioni e successi.

Carl Timoleon von Neff, Ritratto di Pauline García- Viardot, 1842

A sedici anni il debutto a Bruxelles in un recital canoro e nel 1839 l’esordio nel teatro londinese del Covent Garden, nel ruolo di Desdemona nell’Otello di Gioacchino Rossini. Un vero trionfo e un tale successo che fu scritturata subito dal Théâtre des Italiens di Parigi nello stesso ruolo. Il direttore del teatro, il giornalista e scrittore Louis Viardot, presto diventò suo marito, sembra su consiglio di George Sand molto amica di Pauline, e lasciò la direzione teatrale per diventare manager e impresario della moglie. La voce da contralto di Pauline non poteva competere con quella fantasmagorica della sorella Maria ‒ nel frattempo prematuramente scomparsa ‒ ma la giovane cantante seppe trovare comunque la sua strada e il suo pubblico adorante grazie a doti interpretative straordinariamente drammatiche. Il compositore Camille Saint Saëns affermò che la sua voce evocava il gusto delle arance amare, non poteva essere definita delicata, argentina o vellutata, ma aveva i toni forti del dramma e delle forme epiche. Pauline sapeva incantare l’uditorio anche nelle parti non cantate, la sua presenza scenica, l’espressione del volto, l’enfasi dei gesti erano di tale livello che lo stesso Charles Dickens, dopo aver assistito a una sua interpretazione, scrisse che Pauline era dotata di una recitazione sublime. Una presenza scenica così non poteva non ispirare la sua amica George Sand che infatti, nel romanzo Consuelo, costruì il ruolo della protagonista ‒ una cantante lirica del Settecento ‒ proprio su di lei.

Pauline García- Viardot in abiti da scena

Pauline García- Viardot

La carriera di contralto si svolse soprattutto all’estero: all’inizio degli anni ’40 entrò a far parte della compagnia del Teatro Imperiale di San Pietroburgo, poi tra il 1848 e il 1855 fu scritturata dal Covent Garden di Londra, sempre con grande successo di pubblico e di critica; dal 1863 fino al 1870 si trasferì a Baden Baden con la famiglia, preferendola alla Francia dove non si esibì molto anche a causa della situazione politica che mal si conciliava con lo spirito liberale di Pauline. Durante il soggiorno in Russia strinse un legame fortissimo con lo scrittore Ivan Turgenev, che nelle biografie viene indicato come il suo secondo marito, accanto a Louis Viardot. Nessuno studio ha mai dimostrato la natura di questo rapporto, talmente profondo e sentito da durare una vita intera: Turgenev fu sempre accanto alla famiglia García Viardot, li seguì negli spostamenti dovuti alla carriera di Pauline, ne condivise le vicende esistenziali e, quando Louis e Ivan si ammalarono, Pauline fu vicina a entrambi con le stesse cure e la stessa dedizione fino alla morte. Il grande sogno di diventare una compositrice non si spense mai e, pur costretta a intraprendere un’altra strada, si circondò di musica e musicisti. Fu amica di Clara Schumann, di Chopin e, dopo l’abbandono della scena teatrale nel 1863, si dedicò, oltre che all’insegnamento, al suo amatissimo pianoforte e alla composizione, scrivendo musiche liriche per voce e pianoforte e opere da camera. L’amore per la musica fu talmente intenso che alla fine del suo percorso musicale londinese non ebbe indugi nell’impegnare una parte cospicua dei guadagni nell’acquisto della partitura originale del Don Giovanni di Mozart, ora conservata nella Bibliothèque Nationale di Parigi.

Il salotto musicale di casa García- Viardot

Celebre fu il suo salotto intellettuale e musicale, dove le maggiori personalità dell’Europa della seconda metà dell’Ottocento si riunivano per omaggiarla e ascoltare musica di altissimo livello, compresi brani di Bach eseguiti grazie a un organo da camera costruito da Aristide Cavaillé-Coll. Nonostante il precoce allontanamento dai palcoscenici lirici, Pauline non abbandonò del tutto le esibizioni: le ultime apparizioni furono nel 1870 per la Rapsodia per contralto, che Brahms compose ispirandosi proprio alla voce di Pauline, e nel 1873 per l’oratorio Marie – Magdeleine di Jules Massenet. La lunga e intensa vita di Pauline García- Viardot si concluse nel 1910, quasi novantenne, assistita dall’ex allieva Mathilde de Nogueiras.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Elle a été nourrie de musique et de notes dès sa naissance. Avec son père Manuel García, célèbre ténor, sa mère Joaquína Sitchez, soprano, et sa sœur aînée Maria Malibran, véritable célébrité du bel canto et acclamée partout pour ses dons vocaux exceptionnels, il était pratiquement impossible pour elle d’avoir un destin autre que celui qu’on lui avait tracé. Ainsi, dès son jeune âge, Pauline García, née à Paris en 1821, étudie la musique, et ce, avec une immense passion, rêvant de devenir une célèbre pianiste et compositrice. Mais après la mort prématurée de son père, sa mère lui impose la carrière de chanteuse lyrique, et Pauline obéit, abandonnant ses rêves pour se consacrer exclusivement au chant. Elle se prépare ainsi à une carrière sur scène, qui, malgré tout, sera remplie de satisfactions et de succès.

Carl Timoleon von Neff, Portrait de Pauline García- Viardot, 1842

À seize ans, elle fait ses débuts à Bruxelles dans un récital vocal, puis en 1839, elle débute au théâtre du Covent Garden à Londres, dans le rôle de Desdémone dans l'Otello de Gioacchino Rossini. Un véritable triomphe, un tel succès qu'elle est immédiatement engagée par le Théâtre des Italiens à Paris pour le même rôle. Le directeur du théâtre, le journaliste et écrivain Louis Viardot, devient rapidement son mari, semble-t-il sur les conseils de George Sand, très amie de Pauline, et il abandonne la direction théâtrale pour devenir manager et impresario de sa femme. La voix de contralto de Pauline ne pouvait rivaliser avec celle de sa sœur Maria ‒ qui est morte prématurément ‒ mais la jeune chanteuse trouve néanmoins sa voie et son public adoré grâce à des talents d'interprétation extraordinairement dramatiques. Le compositeur Camille Saint-Saëns affirme que sa voix évoquait le goût des oranges amères, elle ne pouvait être qualifiée de délicate, argentée ou veloutée, mais elle possédait les tonalités fortes du drame et des formes épiques. Pauline savait envoûter son public même dans les parties non chantées ; sa présence scénique, l'expression de son visage, l'intensité de ses gestes étaient d'un tel niveau que Charles Dickens, après avoir assisté à une de ses performances, écrivit que Pauline avait une interprétation sublime. Une telle présence scénique ne pouvait que inspirer son amie George Sand, qui, dans son roman Consuelo, créa le personnage de la protagoniste ‒ une chanteuse lyrique du XVIIIe siècle ‒ basé sur elle.

Pauline García-Viardot en costumes de scène

Pauline García- Viardot

La carrière de contralto se déroule principalement à l'étranger : au début des années 1840, elle rejoint la compagnie du Théâtre impérial de Saint-Pétersbourg, puis entre 1848 et 1855, elle est engagée par le Covent Garden de Londres, avec un grand succès tant auprès du public que de la critique. De 1863 à 1870, elle s'installe à Baden-Baden avec sa famille, qu’elle préfère à la France où elle ne se produit pas beaucoup, en raison de la situation politique qui ne s’accordait pas avec l’esprit libéral de Pauline. Pendant son séjour en Russie, elle tisse un lien très fort avec l’écrivain Ivan Turgenev, qui dans les biographies est souvent désigné comme son second mari, aux côtés de Louis Viardot. Aucune étude n’a jamais prouvé la nature de cette relation, mais elle était si profonde et sincère qu’elle dura toute une vie. Turgenev resta toujours proche de la famille García-Viardot, la suivit dans ses déplacements dus à la carrière de Pauline, partagea leurs événements existentiels et, lorsque Louis et Ivan tombèrent malades, Pauline fut présente pour les soigner avec une même attention et dévouement jusqu'à leur décès. Le grand rêve de devenir compositrice ne s’éteint jamais, et bien que forcée de suivre une autre voie, elle s’entoure de musique et de musiciens. Elle fut amie avec Clara Schumann, Chopin et, après l’abandon de la scène théâtrale en 1863, elle se consacre, outre l'enseignement, à son pianoforte adoré et à la composition, écrivant des musiques lyriques pour voix et piano ainsi que des œuvres de chambre. L’amour de la musique était si intense qu’à la fin de son parcours musical à Londres, elle n’hésite pas à consacrer une partie importante de ses gains à l'achat de la partition originale du Don Giovanni de Mozart, aujourd’hui conservée à la Bibliothèque nationale de Paris.

Le salon musical de la maison García-Viardot

Célèbre fut aussi son salon intellectuel et musical, où les plus grandes personnalités de l’Europe de la seconde moitié du XIXe siècle se retrouvaient pour l’honorer et écouter de la musique d’un niveau exceptionnel, y compris des morceaux de Bach joués grâce à un orgue de chambre construit par Aristide Cavaillé-Coll. Malgré son départ précoce des scènes lyriques, Pauline ne renonce pas complètement aux performances : ses dernières apparitions ont lieu en 1870 pour la Rhapsodie pour contralto, composée par Brahms en s’inspirant justement de la voix de Pauline, et en 1873 pour l'oratorio Marie-Magdeleine de Jules Massenet. La longue et intense vie de Pauline García-Viardot se termine en 1910, presque nonagénaire, entourée de l'ex élève Mathilde de Nogueiras.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

 

Fue alimentada con música y notas desde que nació. Con el padre Manuel García famoso tenor, la madre Joaquína Sitchez soprano, la hermana mayor María Malibran verdadera celebridad del bel canto y aclamada en todas partes por sus excelentes dotes de canto, era prácticamente imposible no tener un destino ya establecido. Así, desde pequeña Pauline García, nacida en París en 1821, estudió música. Y también con inmensa pasión, soñando con ser, una vez mayor, una famosa pianista y compositora. Pero a la muerte prematura de su padre, su madre le impuso la carrera de cantante lírica y Pauline obedeció abandonando sus sueños y comenzando a estudiar sólo canto. Así se preparó para una carrera de escenario que, sin embargo, estuvo llena de satisfacciones y éxitos.

Carl Timoleon von Neff, Retrato de Pauline García-Viardot, 1842

A los dieciséis años debutó en Bruselas en un recital de canto y en 1839 en el teatro londinense del Covent Garden, en el papel de Desdémona en el Otello de Gioacchino Rossini. Un verdadero triunfo, y con tal éxito que la contrataron inmediatamente en el Théâtre des Italiens de París en el mismo papel. El director del teatro, el periodista y escritor Louis Viardot, pronto se convirtió en su esposo, según parece por consejo de George Sand muy amiga de Pauline, y dejó la dirección teatral para convertirse en manager y empresario de su esposa. La voz de contralto de Pauline no podía competir con la fantasmagórica voz de su hermana María ‒mientras tanto prematuramente desaparecida‒ pero la joven cantante supo encontrar su camino y un público que la adoraba gracias a sus dotes interpretativas extraordinariamente dramáticas. El compositor Camille Saint Saëns afirmó que su voz evocaba el sabor de las naranjas amargas, no podía definirse delicada, argentina o aterciopelada, pero tenía los tonos fuertes del drama y de las formas épicas. Pauline sabía encantar al auditorio incluso en las partes no cantadas, su presencia escénica, la expresión del rostro, el énfasis de los gestos eran de tal nivel que el mismo Charles Dickens, después de asistir a una interpretación suya, escribió que Pauline estaba dotada de una capacidad de interpretación sublime. Una presencia escénica así no podía no inspirar a su amiga George Sand, quien, en la novela Consuelo (1842-43), construyó el papel de la protagonista, una cantante lírica del siglo XVII, precisamente sobre ella.

Pauline García-Viardot con vestuario escénico

Pauline García- Viardot

Su carrera de contralto se desarrolló sobre todo en el extranjero: a principios de los años cuarenta entró a formar parte de la compañía del Teatro Imperial de San Petersburgo, luego entre 1848 y 1855 fue contratada en el Covent Garden de Londres, siempre con gran éxito tanto de público come de crítica; de 1863 a 1870 se trasladó a Baden con su familia, prefiriéndola a Francia, donde no actuó mucho debido a la situación política, que difícilmente se conciliaba con el espíritu liberal de Pauline. Durante su estancia en Rusia, estableció un vínculo muy fuerte con el escritor Ivan Turgueniev, a quien se refiere en sus biografías como su segundo esposo, junto a Louis Viardot. Ningún estudio ha demostrado nunca la esencia de esta relación, tan profunda y sentida como para durar toda una vida: Turgueniev estuvo siempre al lado de la familia García-Viardot, los siguió en los viajes debidos a la carrera de Pauline, compartió sus asuntos existenciales y, cuando Louis e Ivan se enfermaron, Pauline estuvo cerca de ambos con el mismo cuidado y la misma dedicación hasta la muerte. El gran sueño de ser compositora nunca se extinguió y, aunque obligada a tomar otro camino, se rodeó de música y de músicos y músicas. Fue amiga de Clara Schumann, de Chopin y, tras abandonar la escena teatral en 1863, se dedicó, además de a la enseñanza, a su amado piano y a la composición, escribiendo música lírica para voz y piano y obras de teatro y de cámara. El amor por la música fue tan intenso que al final de su trayectoria musical londinense no dudó en invertir una parte importante de sus ganancias en la compra de la partitura original de Don Giovanni de Mozart, actualmente conservada en la Biblioteca Nacional de París.

El salón musical de la casa García-Viardot

Fue célebre su salón intelectual y musical, donde las principales personalidades de la Europa de la segunda mitad del siglo XIX se reunían para rendirle homenaje y escuchar música de altísimo nivel, incluyendo piezas de Bach interpretadas gracias a un órgano de cámara construido por Aristide Cavaillé-Coll. A pesar de su temprana retirada de los escenarios líricos, Pauline no abandonó por completo las actuaciones: las últimas apariciones fueron en 1870 para la Rapsodia para contralto, que Brahms compuso inspirándose precisamente en la voz de Pauline, y en 1873 para el oratorio Marie-Magdeleine de Jules Massenet. La larga e intensa vida de Pauline García-Viardot se concluyó en 1910, con casi noventa años, asistida por la ex alumna Mathilde de Nogueiras.

 

Augusta Holmès
Danila Baldo


Danila Baldo

 

«La gloria è immortale e la tomba effimera. Le anime non dicono addio».

Questi sono i versi scritti sulla tomba di Augusta Holmés, che non si possono leggere senza imbarazzo, perché in realtà la gloria di questa musicista, così famosa durante la sua vita, fu davvero molto effimera. Dopo la sua morte nel 1903, le sue opere uscirono rapidamente dai programmi di concerto. Ciò che è sopravvissuto per alcuni decenni è la composizione Noël: Trois anges sont venus ce soir, del 1884, cantata da Tino Rossi: una posterità molto magra... E ai nostri giorni, il nome Holmès non significa più nulla per la maggior parte delle/dei musicisti professionisti. Hermann Zenta è lo pseudonimo maschile sotto il quale Augusta Mary Anne Holmès compone i suoi primi brani lirici, per poter essere ascoltata e pubblicata in una società che non prendeva in considerazione seriamente il talento femminile nelle arti; in questo sorella di altre compositrici del diciannovesimo secolo, quali Fanny Mendelssohn e Clara Schumann. È solo nel 1864 che il nome di Augusta Holmés compare per la prima volta sulla stampa, in occasione di un concerto che la giovane pianista sedicenne tiene a Ginevra. Suona in particolare due valzer di sua composizione, di cui si sono perse le tracce.

Augusta Holmès, fotografia pubblicata sulla rivista Musica nel gennaio 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève

Augusta Holmès ritratta da Mademoiselle Marie Huet

Nata a Parigi il 16 dicembre 1847, è unica figlia di una madre di sangue scozzese, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, e dell’ufficiale irlandese Charles William Scott Dalkeith Holmes, trasferito in Francia dove il cognome fu modificato aggiungendo un accento grave sull’ultima sillaba. I suoi genitori conoscevano quasi tutte le più importanti e interessanti personalità nel mondo della musica e Augusta passò la sua fanciullezza vicino a Versailles. Da adulta, parlando dei suoi anni a Versailles, ricorderà con emozione «le sue passeggiate nel parco del castello, tra i boschetti dove stanno gruppi o statue di dei e dee dell'antichità». Dimostrò fin da piccola un interesse per la poesia, il disegno e la musica, ma sua madre cercò di scoraggiare i suoi talenti musicali. Gli Holmès trascorrevano gli inverni a Parigi in rue des Écuries d'Artois, dove avevano come vicino Alfred de Vigny, che divenne padrino di Augusta, ma che, seguendo i desideri della madre, non incoraggiò la sua vocazione musicale, pur avendo avuto un ruolo significativo nella sua educazione e crescita spirituale. Dopo la morte della madre, Augusta all’età di 11 anni prese le prime lezioni con Henri Lambert, un organista alla cattedrale di Versailles e in questa giovanissima età diresse un brano scritto per la banda dell’artiglieria di Versailles. In seguito seguì lezioni di strumentazione e orchestrazione e nel 1875, all’età di ventotto anni, divenne anche allieva di César Franck.

Augusta Holmès all’età di 18 anni

Era molto bella e fu amata anche dal compositore Saint Saëns, ma rifiutò di sposarlo. Altri ammiratori furono Franck stesso, Wagner, D’Indy, De l’Isle-Adam e Mallarmé. Divenne l’amante di Catulle Mendés, e madre delle sue tre figlie e due figli, ma non lo sposò. Gli invitati nella casa del padre lasceranno numerose testimonianze sul potere di incanto di Augusta. La giovane donna mantiene il suo mistero e infiamma i cuori, suo padre le permette di disporre di una libertà rara per l’epoca. Tra i frequentatori del salotto di Versailles, il comico Auguste de Villiers de l'Isle-Adam ha lasciato una testimonianza preziosa, spesso citata da giornali e riviste. La narrazione della sua prima visita, intorno al 1869, mostra che la seduzione della padrona di casa si basava in gran parte sui suoi talenti di musicista:

«In un soggiorno dal gusto molto severo, decorato di dipinti, alberi, armi, arbusti, statue e di antichi libri, seduta, davanti a un grande pianoforte, una svelta giovane ragazza. Sembra una figura ossiana. Dubitavo anche, a questa vista, che la deplorevole influenza di una qualsiasi Madame de Staël non avesse già pervertito con un sentimentalismo Rococò l'artista bambina. Dopo la sua accoglienza schietta e cordiale, ho riconosciuto che non ero in presenza di una persona enfatica, e che Augusta Holmès era davvero un essere vivente. I musicisti ancora una volta non si erano sbagliati»

Durante la Guerra franco-prussiana, la compositrice si impegna nel servizio di ambulanza. «L’abbiamo vista sui nostri campi di battaglia soccorrere i nostri feriti, porta il cibo ad alcuni, ad altri cure e consolazioni», ricorderà Gabrielle d'Eze.

Holmès sentiva una grande affinità per la musica di Wagner e in conseguenza i suoi lavori vennero scritti per grandi forze orchestrali e corali. Compose tre opere liriche: Héro et Leandre nel 1875; Astartéx: Lancelot du lac – queste mai eseguite – mentre La montagne noire, dramma lirico in quattro atti e cinque scene, fu rappresentata per la prima volta all’Opera di Parigi nel 1895, ma senza successo. Lei stessa scriveva i testi delle sue canzoni e oratori, così come il libretto per La Montagne Noire e le poesie inserite nei suoi poemi sinfonici, tra cui Irlande e Andromède, che la fecero conoscere come compositrice di programmi musicali con significato politico. Altri grandi lavori includevano sinfonie drammatiche e poemi sinfonici come l’Ode Trionphale per il centenario della Rivoluzione nel 1889 e L’Hymne à la Paix eseguito nel 1890 a Firenze per una serie di manifestazioni in onore di Dante. In un secolo in cui la “donna-compositrice” è raramente considerata una vera professionista, queste due opere raggiungono un successo difficile da immaginare. Degli applausi così frenetici, i nostri contemporanei li riserverebbero a delle rock star dello spettacolo o dello sport.

Augusta Holmès nel suo studio, fotografia pubblicata sulla rivista Musicanel febbraio 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève
Augusta Holmès studio in via Juliette-Lamber, Parigi, fotografata da Henri Mairet

Le sue circa 130 melodie portano gioia nei saloni, mentre i concerti programmano regolarmente le sue partiture orchestrali. Nessun’altra compositrice francese ha prodotto così tanto per orchestra prima della I guerra mondiale. A Parigi come in provincia, Holmès è protagonista di festival e concerti monografici interamente dedicati alla sua musica. Inoltre, è la prima compositrice francese che possa considerarsi orgogliosa di aver avuto una carriera ufficiale. Ricevette una educazione accademica, che a volte si scontrava con le sue doti naturali, da lei stessa riconosciute e apprezzate, come disse nelle sue memorie:

«Quando un motivo mi entra nel cervello, vi si fissa in maniera indelebile, e una volta definito, non mi serve rivederlo né correggerlo. È così che sono arrivata a poter scrivere degli atti interi completamente a memoria»


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

«La gloire est immortelle et le tombeau éphémère. Les âmes ne disent pas adieu.»

Ce sont les vers inscrits sur la tombe d'Augusta Holmès, qui ne peuvent être lus sans embarras, car en réalité, la gloire de cette musicienne, si célèbre de son vivant, a été très éphémère. Après sa mort en 1903, ses œuvres ont disparu rapidement des programmes de concert. Ce qui est resté pendant quelques décennies est la composition Noël : Trois anges sont venus ce soir, de 1884, chantée par Tino Rossi : une postérité bien maigre... Et aujourd'hui, le nom Holmès ne signifie plus rien pour la plupart des musiciennes et musiciens professionnels. Hermann Zenta est le pseudonyme masculin sous lequel Augusta Mary Anne Holmès a composé ses premières œuvres lyriques, afin de pouvoir être écoutée et publiée dans une société qui ne prenait pas au sérieux le talent féminin dans les arts ; elle fait ainsi partie des sœurs d'autres compositrices du XIXe siècle, telles que Fanny Mendelssohn et Clara Schumann. Ce n’est qu’en 1864 que le nom d’Augusta Holmès apparaît pour la première fois dans la presse, lors d’un concert que la jeune pianiste de seize ans donne à Genève. Elle y joue en particulier deux valses de sa composition, dont les traces se sont perdues.

Augusta Holmès, photographie publiée dans la revue Musica en janvier 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès interprétée par Mademoiselle Marie Huet

Née à Paris le 16 décembre 1847, elle est fille unique d’une mère écossaise, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, et d’un officier irlandais, Charles William Scott Dalkeith Holmes, transféré en France où le nom a été modifié en ajoutant un accent grave sur la dernière syllabe. Ses parents connaissaient presque toutes les personnalités les plus importantes et intéressantes du monde de la musique, et Augusta a passé son enfance près de Versailles. Adulte, en parlant de ses années à Versailles, elle se souviendra avec émotion « de ses promenades dans le parc du château, entre les bosquets où se trouvent des groupes ou des statues des dieux et déesses de l'antiquité ». Dès son plus jeune âge, elle a manifesté un intérêt pour la poésie, le dessin et la musique, mais sa mère a tenté de décourager ses talents musicaux. Les Holmès passaient leurs hivers à Paris, rue des Écuries d’Artois, où leur voisin était Alfred de Vigny, qui est devenu le parrain d’Augusta, mais, suivant les désirs de sa mère, il ne soutenait pas sa vocation musicale, bien qu’il ait joué un rôle important dans son éducation et son développement spirituel. Après la mort de sa mère, Augusta, à l’âge de 11 ans, a pris ses premières leçons avec Henri Lambert, un organiste à la cathédrale de Versailles, et à cet âge très jeune, elle a dirigé une œuvre écrite pour la fanfare de l'artillerie de Versailles. Elle a ensuite suivi des cours d’instrumentation et d’orchestration et, en 1875, à l’âge de vingt-huit ans, elle est devenue également élève de César Franck.

Augusta Holmès à 18 ans

Elle était très belle et a été aimée aussi par le compositeur Saint-Saëns, mais elle a refusé de l’épouser. D’autres admirateurs ont été Franck lui-même, Wagner, D’Indy, De l’Isle-Adam et Mallarmé. Elle est devenue l’amante de Catulle Mendès, et mère de ses trois filles et de ses deux fils, mais ne l’a pas épousé. Les invités chez son père ont laissé de nombreux témoignages sur le pouvoir d’envoûtement d’Augusta. La jeune femme gardait son mystère et enflammait les cœurs, son père lui permettait de jouir d’une liberté rare pour l’époque. Parmi les habitués du salon de Versailles, le comique Auguste de Villiers de l’Isle-Adam a laissé un témoignage précieux, souvent cité dans les journaux et revues. Le récit de sa première visite, vers 1869, montre que la séduction de la maîtresse des lieux reposait en grande partie sur ses talents de musicienne:

«Dans un salon au goût très sévère, décoré de peintures, d’arbres, d’armes, de buissons, de statues et de vieux livres, assise, devant un grand piano, une jeune fille agile. Elle semble une figure ossianique. Je doutais aussi, à cette vue, que la déplorable influence de quelque Madame de Staël n’ait déjà perverti par un sentimentaliste Rococo l’artiste enfant. Après son accueil franc et cordial, j’ai reconnu que je n’étais pas en présence d’une personne emphatique, et qu’Augusta Holmès était vraiment un être vivant. Encore une fois, les musiciens ne s’étaient pas trompés».

Pendant la guerre franco-prussienne, la compositrice s'engage dans les services d'ambulance. «Nous l’avons vue sur nos champs de bataille secourir nos blessés, apporter de la nourriture à certains, des soins et des consolations à d’autres», se souviendra Gabrielle d’Eze.

Holmès ressentait une grande affinité pour la musique de Wagner et, par conséquent, ses œuvres ont été écrites pour de grandes forces orchestrales et chorales. Elle a composé trois opéras lyriques : Héro et Léandre en 1875 ; Astartex : Lancelot du lac – ces deux derniers jamais joués – tandis que La montagne noire, drame lyrique en quatre actes et cinq scènes, a été représenté pour la première fois à l’Opéra de Paris en 1895, mais sans succès. Elle écrivait elle-même les textes de ses chansons et oratorios, ainsi que le livret pour La Montagne Noire et les poèmes insérés dans ses poèmes symphoniques, parmi lesquels Irlande et Andromède, qui l’ont fait connaître comme compositrice de programmes musicaux à signification politique. D’autres grandes œuvres incluent des symphonies dramatiques et des poèmes symphoniques comme l’Ode Triomphale pour le centenaire de la Révolution en 1889 et L’Hymne à la Paix joué en 1890 à Florence lors d’une série de manifestations en l’honneur de Dante. Dans un siècle où la « femme-compositrice » est rarement considérée comme une vraie professionnelle, ces deux œuvres ont atteint un succès difficile à imaginer. Des applaudissements aussi frénétiques, nos contemporains les réserveraient à des rock stars du spectacle ou du sport.

Augusta Holmès dans son atelier, photographie publiée dans la revue Musica en février 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Atelier Augusta Holmès rue Juliette-Lamber, Paris, photographié par Henri Mairet

Ses quelque 130 mélodies apportent de la joie dans les salons, tandis que les concerts programment régulièrement ses partitions orchestrales. Aucune autre compositrice française n’a produit autant pour orchestre avant la Première Guerre mondiale. À Paris comme en province, Holmès est l’une des figures principales des festivals et concerts monographiques entièrement dédiés à sa musique. De plus, elle est la première compositrice française à pouvoir être fière d’avoir eu une carrière officielle. Elle a reçu une éducation académique, qui se heurtait parfois à ses talents naturels, reconnus et appréciés par elle-même, comme elle le dit dans ses mémoires:

«Quand un motif entre dans ma tête, il s’y fixe de manière indélébile, et une fois défini, il ne me sert à rien de le revoir ni de le corriger. C’est ainsi que j’ai pu écrire des actes entiers complètement de mémoire».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

«Glory is immortal and the grave ephemeral. Souls do not say goodbye».

These are the verses written on the tomb of Augusta Holmés, which cannot be read without embarrassment, because the glory of this musician, so famous during her lifetime, was indeed very ephemeral. After her death in 1903, her works were quickly dropped out of concert programs. What survived for a few decades was the composition Noël: Trois anges sont venus ce soir, from 1884, sung by Tino Rossi - a very meager posterity. And in our days, the name Holmès no longer means anything to most professional musicians. Hermann Zenta is the male pseudonym under which Augusta Mary Anne Holmès composed her first operatic pieces, in order to be heard and published in a society that did not take female talent in the arts seriously. In this she was a sister to other nineteenth-century female composers, such as Fanny Mendelssohn and Clara Schumann. It was not until 1864 that Augusta Holmés's name first appeared in the press, on the occasion of a concert the young 16-year-old pianist gave in Geneva. She notably played two waltzes of her own composition, the traces of which have been lost.

Augusta Holmès, photograph published in the magazine Musica in January 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès portrayed by Mademoiselle Marie Huet

Born in Paris on Dec. 16, 1847, she was the only child of a Scottish mother, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, and an Irish officer - Charles William Scott Dalkeith Holmes. Her parents had moved to France where their surname was changed by adding an accent on the last syllable. Her parents knew almost all the most important and interesting personalities in the world of music, and Augusta spent her childhood near Versailles. As an adult, speaking of her years at Versailles, she would recall with emotion "walks in the castle park, among the groves where groups of statues of gods and goddesses of antiquity stand." From an early age she showed an interest in poetry, drawing and music, but her mother tried to discourage her musical talents. The Holmès family spent their winters in Paris on the rue des Écuries d'Artois, where they had as a neighbor, Alfred de Vigny, who became Augusta's godfather, but who, following her mother's wishes, did not encourage her musical vocation despite playing a significant role in her education and spiritual growth. At the age of 11, after her mother's death, Augusta took her first lessons with Henri Lambert, an organist at Versailles Cathedral, and at this very early age conducted a piece written for the Versailles artillery band. Later she took lessons in instruments and orchestration, and in 1875, at the age of twenty-eight, she also became a student of César Franck.

Augusta Holmès at the age of 18

She was very beautiful and was loved by the composer Saint Saëns, but she refused to marry him. Other admirers included Franck himself, Wagner, D'Indy, De l'Isle-Adam and Mallarmé. She became the mistress of Catulle Mendés, and mother of three daughters and two sons with him, but did not marry him. Guests in her father's house left numerous testimonies to Augusta's powers of enchantment. The young woman maintained her mystery and set hearts aflame, and her father allowed her a freedom rare for the time. Among the frequenters of the Versailles salon, the comedian Auguste de Villiers de l'Isle-Adam left a valuable commentary, often quoted in newspapers and magazines. The narrative of his first visit, around 1869, shows that the Augusta’s charms were largely based on her talents as a musician. He wrote:

«In a living room of very severe taste, decorated with paintings, trees, weapons, shrubs, statues and ancient books, sitting, in front of a large piano, a svelte young girl. She looks like an Ossian figure. I also doubted, at this sight, that the deplorable influence of any Madame de Staël had not already perverted the child artist with a Rococo sentimentality. After her frank and cordial reception, I recognized that I was not in the presence of a created person, and that Augusta Holmès was indeed a living being. The musicians once again had not been mistaken».

During the Franco-Prussian War, the composer engaged in ambulance service. "We saw her on our battlefields succoring our wounded, bringing food to some, care and consolation to others," Gabrielle d'Eze recalled.

Holmès felt a great affinity for Wagner's music and as a result her works were written for large orchestral and choral assemblies. She composed three operas - Héro et Leandre in 1875, Astartéx: Lancelot du lac (these never performed), while La montagne noire, an operatic drama in four acts and five scenes, was first performed at the Paris Opera in 1895, but without success. She wrote the lyrics for her songs and oratorios herself, as well as the libretto for La Montagne Noire and the texts included in her symphonic poems, including Irlande and Andromède, which made her known as a composer of musical programs with political significance. Other major works included dramatic symphonies and symphonic poems such as the Ode Trionphale for the centenary of the French Revolution in 1889 and L'Hymne à la Paix performed in 1890 in Florence for a series of events in honor of Dante. In a century when the "woman composer" was rarely considered a true professional, these two works achieved a success hard to imagine. Such frenzied applause our contemporaries would reserve for rock stars of show business or sports.

Augusta Holmès in her studio, photograph published in the magazine Musica in February 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès studio in Juliette-Lamber street, Paris, photographed by Henri Mairet

Her approximately 130 melodies brought joy to salons, while concerts regularly programmed her orchestral scores. No other female French composer produced so much for orchestras before World War I. In Paris as in the provinces, Holmès starred in festivals and concerts devoted entirely to her music. Moreover, she was the first female French composer who could take pride in having had an official career. She received an academic education, which at times clashed with her natural gifts, which she herself recognized and understood. In her memoirs she said:

«When a motif enters my brain, it becomes indelibly fixed there, and once defined, I do not need to revise or correct it. That is how I came to be able to write whole acts completely from memory».


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

 

«La gloria es inmortal y la tumba efímera. Las almas no se despiden».

Estos son los versos escritos en la tumba de Augusta Holmès, que no pueden leerse sin vergüenza, porque la gloria de esta música, tan famosa en vida, fue efectivamente muy efímera. Tras su muerte en 1903, sus obras desaparecieron rápidamente de los programas de conciertos. Lo que sobrevivió durante algunas décadas fue la composición Noël: Trois anges sont venus ce soir de 1884, cantada por Tino Rossi – una posteridad muy exigua. Y en nuestros días, el nombre de Holmès ya no significa nada para la mayoría de los músicos profesionales. Hermann Zenta es el seudónimo masculino con el que Augusta Mary Anne Holmès compuso sus primeras piezas operísticas, con el fin de ser escuchada y publicada en una sociedad que no tomaba en serio el talento femenino en las artes. En esto fue hermana de otras compositoras del siglo XIX, como Fanny Mendelssohn y Clara Schumann. En 1864 el nombre de Augusta Holmès apareció por primera vez en la prensa, con motivo de un concierto que la joven pianista de 16 años realizó en Ginebra. En particular, interpretó dos valses compuestos por ella, de los que no queda rastro.

Augusta Holmès, fotografía publicada en la revista Musica en enero de 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Augusta Holmès interpretada por Mademoiselle Marie Huet

Nacida en París el 16 de diciembre de 1847, era hija única, de madre escocesa, Tryphina Anna Constance Augusta Shearer, y de padre irlandés, el oficial Charles William Scott Dalkeith Holmes. Sus padres se habían trasladado a Francia, donde les cambiaron el apellido añadiendo un acento en la última sílaba. Sus padres conocían a casi todas las personalidades más importantes e interesantes del mundo de la música y Augusta pasó su infancia cerca de Versalles. De adulta, al hablar de sus años en Versalles, recordaba con emoción "los paseos por el parque del castillo, entre las arboledas donde se alzan grupos de estatuas de dioses y diosas de la antigüedad". Desde muy pequeña mostró interés por la poesía, el dibujo y la música, pero su madre intentó desalentar su talento musical. La familia Holmès pasaba los inviernos en París, en la rue des Écuries d’Artois, donde tenían como vecino a Alfred de Vigny, que se convirtió en el padrino de Augusta, pero que, siguiendo los deseos de su madre, no fomentó su vocación musical a pesar de desempeñar un papel importante en su educación y crecimiento espiritual. A los once años, tras la muerte de su madre, Augusta recibió sus primeras lecciones de Henri Lambert, organista de la catedral de Versalles, y a esa edad tan temprana dirigió una pieza escrita para la banda de artillería de Versalles. Más tarde recibió clases de instrumento y orquestación y en 1875, a la edad de veintiocho años, se convirtió también en alumna de César Franck.

Augusta Holmès a los 18 años

Era muy bella y fue amada por el compositor Saint Saëns, pero se negó a casarse con él. Otros admiradores suyos fueron el propio Franck, Wagner, D'Indy, De l’Isle-Adam y Mallarmé. Fue amante de Catulle Mendés, con quien tuvo tres hijas y dos hijos, pero no se casó. Los huéspedes de la casa paterna dejaron numerosos testimonios del poder de encantamiento de Augusta. La joven mantuvo su misterio y encendió los corazones, y su padre le permitió una libertad poco común para la época. Entre los frecuentadores del salón de Versalles, el cómico Auguste de Villiers de l’Isle-Adam dejó un valioso comentario, citado a menudo en periódicos y revistas. La narración de su primera visita, hacia 1869, muestra que los encantos de Augusta se basaban en gran medida en sus dotes como música. Escribió:

«En un salón de gusto muy severo, decorado con cuadros, árboles, armas, arbustos, estatuas y libros antiguos, sentada, frente a un gran piano, una joven esbelta. Parece una figura de Ossian. También dudé, a su vista, de que la deplorable influencia de cualquier Madame de Staël no hubiera pervertido ya a la niña artista con un sentimentalismo rococó. Después de su franca y cordial acogida, reconocí que no estaba en presencia de una persona creada, y que Augusta Holmès era, en efecto, un ser vivo. Una vez más, los músicos no se habían equivocado».

Durante la guerra franco-prusiana, la compositora se dedicó al servicio de ambulancias. "La vimos en nuestros campos de batalla socorrer a nuestros heridos, llevando comida a unos, cuidados y consuelo a otros", recuerda Gabrielle d’Eze.

Holmès sentía una gran afinidad por la música de Wagner y, en consecuencia, sus obras fueron escritas para grandes conjuntos orquestales y corales. Compuso tres óperas: Héro et Leandre en 1875, Astartéx: Lancelot du lac (que nunca se representó), mientras que La montagne noire, drama operístico en cuatro actos y cinco escenas, se estrenó en la Ópera de París en 1895, pero sin éxito. Ella misma escribió las letras de sus canciones y oratorios, así como el libreto de La Montagne Noire y los textos incluidos en sus poemas sinfónicos, entre ellos Irlande y Andromède, que la dieron a conocer como compositora de programas musicales con significado político. Otras obras importantes fueron sinfonías dramáticas y poemas sinfónicos, como la Ode Trionphale para el centenario de la Revolución, en 1889, y L'Hymne à la Paix, interpretado en 1890 en Florencia para una serie de actos en honor de Dante. En un siglo en el que la «mujer compositora» rara vez era considerada una verdadera profesional, estas dos obras alcanzaron un éxito difícil de imaginar. Nuestros contemporáneos reservarían aplausos tan frenéticos a las estrellas del espectáculo o del deporte.

Augusta Holmès en su estudio, fotografía publicada en la revista Musica en febrero de 1903. © Bibliothèque du Conservatoire de Genève Estudio de Augusta Holmès en la calle Juliette-Lamber, París, fotografiado por Henri Mairet

Sus aproximadamente 130 melodías alegran los salones, mientras que los en conciertos se programan regularmente sus partituras orquestales. Ninguna otra compositora francesa produjo tanto para orquesta antes de la Primera Guerra Mundial. Tanto en París como en provincias, Holmès es la protagonista de festivales y conciertos monográficos enteramente dedicados a su música. Además, es la primera compositora francesa que puede enorgullecerse de haber tenido una carrera oficial. Recibió una educación académica, que a veces chocaba con sus talentos naturales, que ella reconocía y apreciaba, tal y como afirma en sus memorias:

«Cuando un motivo entra en mi cerebro, se fija allí de forma indeleble y, una vez definido, no necesito revisarlo ni corregirlo. Así es como llegué a ser capaz de escribir actos enteros completamente de memoria».

 

Cécile Chaminade
Costanza Pelosio

Daniela Godel

 

La storia delle musiciste e compositrici nel corso dei secoli è spesso fatta di oblii e omissioni: nel passato infatti la musica è stata una prerogativa prettamente maschile; certo, le donne potevano studiarla, comporla, cantare e suonare, ma in generale l’educazione musicale, riservata più che altro alle ragazze di buona famiglia, era finalizzata ad accrescere il ventaglio di doti di futura moglie e madre. Tra il Cinquecento e il Settecento alcune donne però cominciano a farsi notare come compositrici e virtuose del canto, dapprima nelle corti rinascimentali, poi perché mogli, figlie o sorelle di musicisti famosi (rappresentativi i casi di Anna Maria Mozart o Clara Wieck, moglie di Schumann, o Fanny Mendelssohn, sorella del più noto Felix), e in molti casi cominciano a ottenere i primi successi e riconoscimenti, non senza invidie e antipatie dei colleghi. Solo a partire dall’Ottocento però vengono finalmente istituiti dei conservatori aperti alle donne, consentendo finalmente loro la possibilità di costruirsi una carriera professionale. Oggigiorno, tuttavia, vuoi per le condizioni sociali e culturali retaggio del passato, vuoi per gli stereotipi di genere che persistono, le donne sono ancora considerate delle figure minori nel panorama musicale, figure spesso sconosciute, ridimensionate o addirittura dimenticate. Ma la storia è anche piena di artiste che, nonostante tutte le avversità, sono riuscite a scardinare le convenzioni sociali e a distinguersi come musiciste e compositrici di talento, e per questo oggi è più che mai necessario ricordarle e dar loro lo spazio che meritano nella memoria collettiva.

Caso emblematico in tal senso è quello di Cécile Chaminade, pianista e compositrice francese che nel corso della sua vita, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dovette affrontare numerose discriminazioni legate al suo sesso, riuscì nonostante tutto a ottenere grande successo a livello internazionale, per poi finire l'esistenza nel dimenticatoio. Cécile Louise Stéphanie Chaminade nacque l’8 agosto 1857 a Batignolles, all’epoca un villaggio appena fuori Parigi, in una famiglia di origine borghese. Suo padre era direttore di una compagnia di assicurazioni inglese, mentre la madre, pianista a sua volta, si rese conto molto presto dell’eccezionale sensibilità musicale della figlia; proprio grazie alla figura materna Cécile ha le sue prime frequentazioni musicali e, soprattutto, conosce Georges Bizet, di vent’anni più grande, che la soprannominò «il mio piccolo Mozart». Fu Bizet a suggerire ai genitori della bambina di iscriverla al conservatorio nella classe di Félix le Couppey, insegnante di pianoforte; Cécile però, a dispetto del talento, dovrà da subito scontrarsi con la sua condizione di figlia della borghesia parigina: il padre considera sconveniente per il suo ceto sociale che riceva una formazione musicale professionale, giacché il destino delle ragazze è diventare buone mogli e madri. Sebbene in seguito molti critici bocceranno le sue composizioni a causa di uno stile non sofisticato dovuto alla mancata educazione musicale accademica, in realtà Chaminade riceverà in forma privata gli stessi insegnamenti che avrebbe ricevuto al conservatorio: studia pianoforte con Le Couppey, armonia con Augustin Savard e composizione con Benjamin Godard.

I genitori organizzano spesso serate nella loro casa, e Cécile approfitta di questi eventi mondani e della loro rete di relazioni per esibirsi in pubblico. Appena diciottenne debutta come pianista e nel 1875 porta le sue opere in tournée in Francia e Inghilterra. Nel 1877 accompagna il violinista belga Martin-Pierre Marsick, fondatore di un quartetto d’archi, in un concerto di musica da camera nella Salle Pleyel di Parigi. Dal 1878 comincia a diffondere le sue prime composizioni nella Societé Nationale de musique, raccogliendo consenso intorno a lei. Viene lodata da Camille Saint-Saëns ed Emmanuel Chabrier. Nel 1882 presenta in un’audizione privata a casa dei genitori l’opéra-comique La Sevillane; il 1888 la vede impegnata nelle esibizioni pubbliche delle proprie composizioni: il balletto Callirhoé, la sinfonia drammatica Les Amazones e il Concertstück per pianoforte, consolidando la notorietà e facendo circolare la sua arte nei salotti della Belle Époque delle più importanti capitali europee. A proposito del balletto citato: fu rappresentato in più di duecento spettacoli, ma nemmeno uno a Parigi, l’epicentro della musica classica, a riprova del fatto che Chaminade, non avendo frequentato il conservatorio, non venne mai realmente accettata dalle élite musicali della capitale.

L'artista non si lascia scoraggiare, inoltre, a partire dagli anni Novanta, a seguito della morte del padre, deve provvedere al proprio sostentamento: comincia a impegnarsi sempre di più in tournée all’estero e a sottoscrivere contratti editoriali per le sue opere. Dimostra fin da subito una discreta scaltrezza negli affari: capisce che la produzione di un intero balletto è onerosa, arrangia quindi le partiture per pianoforte suddividendo il suo lavoro in pezzi più brevi e vendendoli singolarmente. Nel 1901, a 44 anni, sposa con un matrimonio di convenienza l’editore musicale di Marsiglia Louis Mathieu Carbonel, un conoscente della madre, che aveva vent’anni più di lei. Vivevano separatamente e Carbonel la accompagnava in tournée, preservando la sua indipendenza come compositrice. Solo sei anni dopo il matrimonio morì di una malattia polmonare e lei in seguito non si risposò più. Nel primo decennio del XX secolo si reca spesso in Inghilterra, dove le sue opere sono molto popolari e può contare tra le sue ammiratrici anche la regina Vittoria. Proprio a Londra nel 1901 registra su grammofono sette composizioni per la Gramophone and Typewriter Company, registrazioni oggi di alto valore collezionistico. Seguono tournée anche a Vienna, in Belgio, in Grecia e in Turchia. Tra il 1907 e il 1908 si reca negli Usa e in Canada. Il 7 novembre 1908 debutta negli Stati Uniti con la parte solista del suo Concertstück insieme alla Philadelphia Orchestra. Tiene concerti in 12 città, esibizioni alla Carnegie Hall e alla Symphony Hall riscuotendo molto successo presso il pubblico statunitense, specialmente con brani come Scarf Dance, Pas des echarpes e Ballet No.1, assai apprezzati dagli appassionati di musica per pianoforte. Il suo lavoro ha ispirato tantissime altre donne a studiare musica e a fondare società musicali, chiamate Chaminade Clubs. Oggi alcuni di questi sono ancora in attività e promuovono l’inserimento di musiciste e compositrici in numerosi eventi artistici.

Un traguardo importante è del 1913, quando viene premiata con la Legione d’Onore, diventando la prima compositrice a ottenere questo riconoscimento. Tuttavia, nonostante il grande successo internazionale, Cécile si trova sempre più emarginata dal mondo musicale parigino. Sebbene la sua musica e le sue canzoni da salotto fossero popolarmente conosciute e le sue composizioni vendessero bene, i suoi lavori più seri ebbero scarsa rilevanza per la critica; le si rimproverava la mancata frequentazione del conservatorio e quindi uno stile compositivo poco raffinato. Peccato che poi, più o meno nello stesso periodo, veniva lodato invece un suo buon amico, il compositore Emmanuel Chabrier, la cui formazione irregolare rendeva la sua musica libera dai rigidi vincoli dell’educazione musicale formale. L'arte di Chaminade è ugualmente elegante, melodica e originale, e le valutazioni del suo lavoro per gran parte del XX secolo si sono basate più sugli stereotipi di genere che sulla qualità intrinseca. Nella seconda metà della vita di Chaminade la critica mondiale si è rivoltata contro di lei: inizialmente lodata per aver scritto musica femminile, questa caratteristica verrà poi vista come superficiale. Poi verrà criticata per pezzi come il Concertstück, che si discostava dal suo stile tipico e dunque venne considerato eccessivamente mascolino, così come troppo virili venivano ritenute le sue performance. A seguito di questi giudizi Chaminade si sentì sempre più insicura riguardo le sue abilità compositive e incontrò maggiori difficoltà nel trovare un editore disposto a pubblicarla. Le sue partiture, un tempo definite “charmant”, vennero banalizzata come lavori da salotto, eccessivamente sentimentali. Con lo scoppio della Grande Guerra, a cinquantasette anni, cominciò a lavorare nella direzione di un ospedale londinese. Finita la guerra non si esibì più in pubblico, anche se di tanto in tanto continuava a comporre.

Nel corso della sua vita, Chaminade fu incredibilmente prolifica: scrisse più di duecento pezzi per pianoforte, un’opera, suite per orchestra, lieder e composizioni corali e la musica del balletto Callirhoé. Diede origine alla tradizione francese della chanson e le sue melodie accattivanti venivano chiamate “canzoni senza parole”. In seguito la sua produzione fu dimenticata e il suo stile criticato, ma i suoi lavori sono senza dubbio testimoni di una grande ricchezza compositiva. Alla morte, avvenuta a Montecarlo il 13 aprile 1954, non era più stimata come da giovane. La nipote Antoinette Lorel cercò di continuare a promuovere la sua musica. In tempi più recenti la musicologa statunitense Marcia Citron ha pubblicato una biografia completa di Chaminade, commentando ampiamente questioni storiche ed estetiche inerenti la vita e la carriera, aggiungendo molte osservazioni sullo stile musicale e una discografia aggiornata. Ci piace ricordare Chaminade non solo ascoltando e suonando di nuovo la sua musica, ma anche citando una sua risposta all’ennesima critica legata a stereotipi di genere:

«Non c’è sesso nell’arte. Il genio è una qualità indipendente».


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

L’histoire des musiciennes et compositrices à travers les siècles est souvent marquée par l’oubli et les omissions : dans le passé, en effet, la musique était une prérogative essentiellement masculine. Bien sûr, les femmes pouvaient l’étudier, la composer, chanter et jouer, mais en général, l’éducation musicale, réservée principalement aux jeunes filles de bonne famille, avait pour but d’enrichir l’éventail des qualités d’une future épouse et mère. Entre le XVIᵉ et le XVIIIᵉ siècle, cependant, certaines femmes commencent à se faire remarquer comme compositrices et virtuoses du chant, d’abord dans les cours de la Renaissance, puis en tant qu’épouses, filles ou sœurs de musiciens célèbres (on pense notamment aux cas d’Anna Maria Mozart, Clara Wieck – épouse de Schumann – ou Fanny Mendelssohn, sœur du plus célèbre Félix). Dans bien des cas, elles obtiennent leurs premiers succès et reconnaissances, non sans susciter jalousies et antipathies de la part de leurs collègues. Ce n’est toutefois qu’à partir du XIXᵉ siècle que des conservatoires ouverts aux femmes sont enfin institués, leur offrant la possibilité de bâtir une carrière professionnelle. De nos jours, cependant, que ce soit à cause des conditions sociales et culturelles héritées du passé ou des stéréotypes de genre qui persistent, les femmes sont encore considérées comme des figures secondaires dans le panorama musical, souvent inconnues, minimisées ou même oubliées. Pourtant, l’histoire regorge d’artistes qui, malgré toutes les adversités, ont réussi à briser les conventions sociales et à se distinguer comme musiciennes et compositrices de talent. C’est pourquoi il est aujourd’hui plus que jamais nécessaire de se souvenir d’elles et de leur accorder la place qu’elles méritent dans la mémoire collective.

Un cas emblématique à cet égard est celui de Cécile Chaminade, pianiste et compositrice française qui, au cours de sa vie, entre la fin du XIXᵉ et le début du XXᵉ siècle, a dû faire face à de nombreuses discriminations liées à son sexe, mais qui a néanmoins réussi à obtenir un grand succès international, avant de finir ses jours dans l’oubli. Cécile Louise Stéphanie Chaminade est née le 8 août 1857 à Batignolles, alors un village juste en dehors de Paris, dans une famille d’origine bourgeoise. Son père dirigeait une compagnie d’assurances anglaise, tandis que sa mère, elle-même pianiste, a très tôt remarqué l’exceptionnelle sensibilité musicale de sa fille. C’est justement grâce à cette figure maternelle que Cécile fait ses premières rencontres musicales et, surtout, qu’elle connaît Georges Bizet, de vingt ans son aîné, qui la surnomme « mon petit Mozart ». C’est Bizet qui suggère aux parents de l’inscrire au conservatoire dans la classe de Félix Le Couppey, professeur de piano. Cependant, malgré son talent, Cécile doit dès le début se heurter à sa condition de fille issue de la bourgeoisie parisienne : son père considère qu’il est inconvenant pour son milieu social qu’elle reçoive une formation musicale professionnelle, car le destin des jeunes filles est de devenir de bonnes épouses et mères. Bien que par la suite de nombreux critiques rejettent ses compositions en raison d’un style jugé peu sophistiqué et attribué à son absence de formation académique, Chaminade reçoit en réalité en privé les mêmes enseignements qu’elle aurait reçus au conservatoire. Elle étudie le piano avec Le Couppey, l’harmonie avec Augustin Savard et la composition avec Benjamin Godard.

Les parents organisent souvent des soirées dans leur maison, et Cécile profite de ces événements mondains et du réseau de relations de ses parents pour se produire en public. À peine âgée de dix-huit ans, elle débute comme pianiste, et en 1875, elle présente ses œuvres en tournée en France et en Angleterre. En 1877, elle accompagne le violoniste belge Martin-Pierre Marsick, fondateur d’un quatuor à cordes, lors d’un concert de musique de chambre à la Salle Pleyel de Paris. Dès 1878, elle commence à diffuser ses premières compositions à la Société Nationale de Musique, recueillant autour d’elle un consensus croissant. Elle est louée par Camille Saint-Saëns et Emmanuel Chabrier. En 1882, elle présente lors d’une audition privée chez ses parents l’opéra-comique La Sévillane. En 1888, elle se consacre à des représentations publiques de ses compositions : le ballet Callirhoé, la symphonie dramatique Les Amazones et le Concertstück pour piano, consolidant ainsi sa notoriété et faisant circuler son art dans les salons de la Belle Époque des principales capitales européennes. Concernant le ballet mentionné : il a été présenté dans plus de deux cents spectacles, mais aucun à Paris, l'épicentre de la musique classique, ce qui montre que Chaminade, n'ayant pas fréquenté le conservatoire, n'a jamais été réellement acceptée par les élites musicales de la capitale.

L'artiste ne se laisse pas décourager et, à partir des années 90, après la mort de son père, elle doit subvenir à ses besoins : elle commence à se consacrer de plus en plus à des tournées à l'étranger et à signer des contrats d'édition pour ses œuvres. Elle fait preuve dès le départ d'une certaine astuce dans les affaires : elle comprend que la production d'un ballet complet est coûteuse, elle arrange donc les partitions pour piano, divisant son travail en morceaux plus courts et les vendant séparément. En 1901, à 44 ans, elle se marie par convenance avec l'éditeur musical de Marseille Louis Mathieu Carbonel, un ami de sa mère, qui avait vingt ans de plus qu'elle. Ils vivaient séparément, et Carbonel l'accompagnait en tournée, préservant ainsi son indépendance en tant que compositrice. Six ans après le mariage, il meurt d'une maladie pulmonaire et elle ne se remarie plus jamais. Dans la première décennie du XXe siècle, elle se rend souvent en Angleterre, où ses œuvres sont très populaires, et elle peut compter parmi ses admiratrices la reine Victoria. C'est à Londres, en 1901, qu'elle enregistre sur gramophone sept compositions pour la Gramophone and Typewriter Company, des enregistrements aujourd'hui d'une grande valeur pour les collectionneurs. Suivent des tournées à Vienne, en Belgique, en Grèce et en Turquie. Entre 1907 et 1908, elle se rend aux États-Unis et au Canada. Le 7 novembre 1908, elle fait ses débuts aux États-Unis en interprétant la partie solo de son Concertstück avec l'Orchestre de Philadelphie. Elle donne des concerts dans 12 villes, des performances à la Carnegie Hall et à la Symphony Hall, recevant un grand succès auprès du public américain, en particulier avec des pièces telles que Scarf Dance, Pas des écharpes et Ballet No.1, très appréciées des amateurs de musique pour piano. Son travail a inspiré de nombreuses autres femmes à étudier la musique et à fonder des sociétés musicales appelées Chaminade Clubs. Aujourd'hui, certains de ces clubs sont encore actifs et favorisent l'inclusion de musiciennes et de compositrices dans de nombreux événements artistiques.

Un accomplissement important a lieu en 1913, lorsqu'elle est décorée de la Légion d'Honneur, devenant ainsi la première compositrice à recevoir cette distinction. Cependant, malgré son grand succès international, Cécile se trouve de plus en plus marginalisée dans le monde musical parisien. Bien que sa musique et ses chansons de salon soient largement connues et que ses compositions se vendent bien, ses œuvres plus sérieuses ont peu d'importance aux yeux de la critique ; on lui reprochait de ne pas avoir fréquenté le conservatoire et donc de produire un style de composition peu raffiné. Il est intéressant de noter que, plus ou moins à la même époque, son bon ami, le compositeur Emmanuel Chabrier, qui avait une formation irrégulière, était loué pour la liberté de sa musique, affranchie des contraintes rigides de l'éducation musicale formelle. L'art de Chaminade est tout aussi élégant, mélodique et original, et les jugements sur son travail, tout au long du XXe siècle, se sont souvent basés davantage sur des stéréotypes de genre que sur la qualité intrinsèque de ses œuvres. Dans la seconde moitié de sa vie, la critique mondiale s'est retournée contre elle : initialement saluée pour avoir écrit de la musique "féminine", cette caractéristique a ensuite été perçue comme superficielle. Elle a également été critiquée pour des pièces comme le Concertstück, qui s'écarte de son style habituel et a donc été considéré comme excessivement masculin, tout comme ses performances, jugées trop viriles. Suite à ces critiques, Chaminade s'est sentie de plus en plus incertaine quant à ses capacités de compositrice et a rencontré des difficultés croissantes pour trouver un éditeur prêt à publier ses œuvres. Ses partitions, autrefois qualifiées de "charmantes", ont été banalisées comme des œuvres de salon, trop sentimentales. Avec le déclenchement de la Grande Guerre, à l'âge de 57 ans, elle a commencé à travailler à la direction d'un hôpital à Londres. Après la guerre, elle ne se produisit plus en public, bien qu'elle continuait de composer de temps en temps.

Tout au long de sa vie, Chaminade a été incroyablement prolifique : elle a écrit plus de deux cents pièces pour piano, une œuvre, des suites pour orchestre, des lieder, des compositions chorales et la musique du ballet Callirhoé. Elle a donné naissance à la tradition française de la chanson et ses mélodies accrocheuses étaient appelées "chansons sans paroles". Par la suite, sa production a été oubliée et son style critiqué, mais ses œuvres sont sans aucun doute témoins d'une grande richesse compositionnelle. À sa mort, survenue à Monte-Carlo le 13 avril 1954, elle n'était plus estimée comme elle l'avait été dans sa jeunesse. Sa nièce, Antoinette Lorel, tente de continuer à promouvoir sa musique. Plus récemment, la musicologue américaine Marcia Citron a publié une biographie complète de Chaminade, commentant largement les questions historiques et esthétiques liées à sa vie et à sa carrière, ajoutant de nombreuses observations sur son style musical et une discographie mise à jour. Nous aimons nous rappeler Chaminade non seulement en écoutant et en rejouant sa musique, mais aussi en citant une de ses réponses à une énième critique liée aux stéréotypes de genre:

«Il n'y a pas de sexe dans l'art. Le génie est une qualité indépendante»..


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

The history of women musicians and composers over the centuries is often one of oblivion and omission. In the past, music was a purely male prerogative - sure, women could study it, compose it, sing and play it, but in general, musical education, reserved more for girls from good families, was aimed at increasing the range of talents of future wives and mothers. Between the sixteenth and eighteenth centuries, however, some women began to make their mark as composers and singing virtuosos, first in Renaissance courts, then because they were wives, daughters or sisters of famous musicians (representative cases include Anna Maria Mozart or Clara Wieck, Schumann's wife, or Fanny Mendelssohn, sister of the better-known Felix), and in many cases they began to achieve their first successes and recognition, not without envy and dislike from colleagues. It was not until the nineteenth century, however, that conservatories open to women were finally established, at last allowing them the opportunity to build a professional career for themselves. Nowadays, however, whether because of the social and cultural conditions inherited from the past or because of persistent gender stereotypes, women are still considered minor figures in the music scene, figures who are often unknown, downplayed or even forgotten. But history is also full of female artists who, despite all adversity, managed to break through social conventions and distinguish themselves as talented musicians and composers, which is why today it is more necessary than ever to remember them and give them the space they deserve in collective memory.

An emblematic case in this regard is that of Cécile Chaminade, a French pianist and composer who throughout her life, between the late 19th and early 20th centuries, had to face numerous discriminations related to her gender. Despite everything she managed to achieve great success internationally, only to end her existence in oblivion. Cécile Louise Stéphanie Chaminade was born on August 8, 1857, in Batignolles, at the time a village just outside Paris, into a middle-class family. Her father was a director of an English insurance company, while her mother, a pianist herself, realized at a very early age her daughter's exceptional musical sensitivity. It was thanks to her mother that Cécile had her first musical acquaintances and, above all, met Georges Bizet, twenty years her senior, who nicknamed her "my little Mozart." It was Bizet who suggested to the child's parents that she be enrolled at the conservatory in the class of Félix le Couppey, a piano teacher. Cécile, however, in spite of her talent, immediately clashed with her status as a daughter of the Parisian bourgeoisie. Her father considers it unbecoming for her social class for her to receive professional musical training, since the destiny of girls is to become good wives and mothers. Although many critics would later dismiss her compositions allegedly because of an unsophisticated style due to a lack of academic musical education, in reality Chaminade received privately the same instruction she would have received at the conservatory. She studied piano with Le Couppey, harmony with Augustin Savard, and composition with Benjamin Godard.

Her parents often organized evenings at their home, and Cécile took advantage of these social events and their network of relationships to perform in public. As soon as she was 18, she made her debut as a pianist and in 1875 took her works on tour of France and England. In 1877 she accompanied Belgian violinist Martin-Pierre Marsick, founder of a string quartet, in a chamber music concert in the Salle Pleyel in Paris. From 1878 she began to distribute her early compositions through the Societé Nationale de musique, gathering acclaim around her. She was praised by Camille Saint-Saëns and Emmanuel Chabrier. In 1882 she presented, in a private audition at her parents' home, the opéra-comique La Sevillane. 1888 saw her engaged in public performances of her own compositions: the ballet Callirhoé, the dramatic symphony Les Amazones and the Concertstück for piano, consolidating her reputation and circulating her art in the salons of the Belle Époque in the most important European capitals. About the ballet mentioned - it was performed more than two hundred times, but not a single one in Paris, the epicenter of classical music, proving that Chaminade, having not attended the conservatory, was never really accepted by the capital's musical elites.

The artist was not deterred, moreover, beginning in the 1890s, following the death of her father, she had to provide for her own livelihood. She began to engage more and more in touring abroad and signing publishing contracts for her works. She showed a fair amount of business shrewdness early on - she realized that producing an entire ballet would be onerous, so she arranged piano scores by dividing her work into shorter pieces and selling them individually. In 1901, at the age of 44 she married, in a marriage of convenience, Marseille music publisher Louis Mathieu Carbonel, an acquaintance of her mother's, who was 20 years her senior. They lived separately, and Carbonel accompanied her on tours, preserving her independence as a composer. Only six years after their marriage he died of a lung disease, and she later never remarried. In the first decade of the 20th century she often traveled to England, where her works were very popular and she could count among her admirers even Queen Victoria. It was in London in 1901 that she recorded seven compositions on gramophone for the Gramophone and Typewriter Company, recordings today of high value to collectors. Tours also followed in Vienna, Belgium, Greece and Turkey. Between 1907 and 1908 she traveled to the U.S. and Canada. On November 7, 1908, she made her U.S. debut with the solo part of her Concertstück together with the Philadelphia Orchestra. She gave concerts in 12 cities, performances at Carnegie Hall and Symphony Hall, enjoying much success with U.S. audiences, especially with pieces such as Scarf Dance, Pas des echarpes and Ballet No.1, which were highly appreciated by piano music lovers. Her work inspired many other women to study music and to found musical societies, called Chaminade Clubs. Today some of these are still in operation and promote the inclusion of female musicians and composers in numerous artistic events.

A major milestone came in 1913, when she was awarded the Legion of Honor, becoming the first female composer to achieve this recognition. However, despite her great international success, Cécile found herself increasingly marginalized by the Parisian musical world. Although her music and salon songs were popularly known and her compositions sold well, her more serious works had little critical success - she was condemned for not attending the conservatory and thus for an unrefined compositional style. Too bad that then, around the same time, a good friend of hers, composer Emmanuel Chabrier, whose irregular training made his music free from the strictures of formal music education, was praised instead. Chaminade's art is equally elegant, melodic and original, and evaluations of her work for much of the 20th century were based more on genre stereotypes than intrinsic quality. In the second half of Chaminade's life, world critics turned against her - initially praised for writing female music, this trait would later be seen as superficial. Then she would be criticized for pieces such as Concertstück, which deviated from her typical style and was therefore considered excessively masculine, just as her performances were considered too masculine. As a result of these judgments Chaminade felt increasingly insecure about her compositional abilities and found it more difficult to find a publisher willing to publish her. Her scores, once called "charmant," were trivialized as parlor works, overly sentimental. With the outbreak of the Great War, at age fifty-seven, she began working in the management of a London hospital. After the war ended, she no longer performed in public, although she continued to compose from time to time.

During her lifetime, Chaminade was incredibly prolific. She wrote more than two hundred piano pieces, an opera, orchestral suites, lieder and choral compositions, and the music for the ballet Callirhoé. She originated the French chanson tradition, and her catchy melodies were called "songs without words." Later her output was forgotten and her style criticized, but her works undoubtedly bear witness to a great compositional richness. When she died in Monte Carlo on April 13, 1954, she was no longer as esteemed as in her younger days. Her granddaughter Antoinette Lorel tried to continue to promote her music. In more recent times, U.S. musicologist Marcia Citron has published a comprehensive biography of Chaminade, commenting extensively on historical and aesthetic issues inherent in her life and career, adding many observations on musical style and an updated discography. We like to remember Chaminade not only by listening to and playing her music again, but also by quoting one of her responses to yet another criticism related to gender stereotypes:

«There is no gender in art. Genius is an independent quality»..


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

 

La historia de las músicas y compositoras a lo largo de los siglos se compone a menudo de olvidos y omisiones: de hecho, en el pasado la música era una prerrogativa exclusivamente masculina; es cierto que las mujeres podían estudiarla, componerla, cantar y tocar, pero en general la educación musical, reservada sobre todo a las jóvenes de buena familia, tenía como objetivo acrecentar el abanico de talentos de una futura esposa y madre. Sin embargo, entre el siglo XV y el siglo VII algunas mujeres comienzan a destacarse como compositoras y virtuosas del canto, primero en las cortes renacentistas, después porque esposas, hijas o hermanas de músicos famosos (son representantesivos de los casos de Anna Maria Mozart o Clara Wieck, esposa de Schumann, o Fanny Mendelssohn, hermana del más conocido Félix), y en muchos casos comienzan a obtener los primeros éxitos y reconocimientos, no sin envidia y antipatía de sus colegas. No obstante, sólo a partir del siglo XIX se instituyen por fin conservatorios abiertos a las mujeres, dándoles por fin la posibilidad de desarrollar una carrera profesional. A pesar de ello, en la actualidad, ya sea por las condiciones sociales y culturales heredadas del pasado o por los estereotipos de género que persisten, las mujeres siguen siendo consideradas como figuras menores en el panorama musical, figuras a menudo desconocidas, infravaloradas o incluso olvidadas. Pero la historia también está llena de artistas que, a pesar de todas las adversidades, han logrado romper las convenciones sociales y distinguirse como músicas y compositoras talentosas, de ahí que hoy más que nunca sea necesario recordarlas y darles el espacio que merecen en la memoria colectiva.

Un caso emblemático es el de Cécile Chaminade, pianista y compositora francesa que, a lo largo de su vida, entre finales del siglo XIX y principios del siglo XX, tuvo que enfrentarse a numerosas discriminaciones relacionadas con su sexo, y a pesar de todo logró un gran éxito internacional, para luego acabar en el olvido. Cécile Louise Stéphanie Chaminade nació el 8 de agosto de 1857 en Batignolles, en aquel entonces un pueblo en las afueras de París, en una familia de origen burgués. Su padre era director de una compañía de seguros inglesa, mientras que su madre, pianista, se dio cuenta muy pronto de la excepcional sensibilidad musical de su hija; gracias a su figura materna, Cécile tiene sus primeras citas musicales y, sobre todo, conoce a Georges Bizet, veinte años mayor, que la apodó «mi pequeño Mozart». Fue Bizet quien sugirió a los padres de la niña que la inscribiesen en el conservatorio en la clase de Félix le Couppey, profesor de piano; Pero Cécile, a pesar de su talento, se enfrentará inmediatamente a su condición de hija de la burguesía parisina: su padre considera inapropiado para su clase social recibir una formación musical profesional, ya que el destino de las niñas es convertirse en buenas esposas y madres. Aunque más tarde muchos críticos rechazarán sus composiciones debido a un estilo poco sofisticado a causea de la falta de educación musical académica, Chaminade recibirá en forma privada las mismas enseñanzas que habría recibido en el conservatorio: estudia piano con Le Couppey, armonía con Augustin Savard y composición con Benjamin Godard.

Los padres organizan a menudo veladas en su casa, y Cécile aprovecha estos eventos mundanos y la red de relaciones de su familia para actuar en público. Con apenas dieciocho años, debuta como pianista y en 1875 lleva sus obras de gira por Francia e Inglaterra. En 1877 acompaña al violinista belga Martin-Pierre Marsick, fundador de un cuarteto de cuerdas, en un concierto de música de cámara en la Salle Pleyel de París. A partir de 1878 comienza a difundir sus primeras composiciones en la Société Nationale de musique, ganando recibiendo reconocimiento a su alrededor. Es elogiada por Camille Saint-Saëns y Emmanuel Chabrier. En 1882 presenta en una audición privada en casa de sus padres la ópera cómica La Sevillane; en 1888 está comprometida en exhibiciones públicas de sus propias composiciones: el ballet Callirhoé, la sinfonía dramática Les Amazones y el Concertstück para piano, consolidando su notoriedad y haciendo circular su arte en los salones de la Belle Époque de las más importantmayores capitales europeas. En cuanto a este ballet, fue representado en más de doscientos espectáculos, pero ninguno en París, el epicentro de la música clásica, demostrando que Chaminade, al no haber asistido al conservatorio, nunca fue realmente aceptada por las élites musicales de la capital.

La artista no se deja desanimar y, además, a partir de los años noventa, tras la muerte de su padre, tiene que proveer para ella misma: comienza a comprometerse cada vez más en giras al extranjero y a firmar contratos editoriales para sus obras. Demuestra desde el principio una considerable astucia en los negocios: comprende que la producción de un ballet completo es costosa, por lo que arregla las partituras para piano dividiendo su trabajo en piezas más cortas y vendiéndolas individualmente. En 1901, a los 44 años, contrae un matrimonio de conveniencia con el editor musical marsellés Louis Mathieu Carbonel, un conocido de su madre, que era veinte años mayor que ella. Vivían separados, y Carbonel la acompañaba en las giras, preservando su independencia como compositora. Apenas seis años después del matrimonio, él falleció de una enfermedad pulmonar, y ella no volvió a casarse. En la primera década del siglo XX, viaja a menudo a Inglaterra, donde sus obras son muy populares y cuenta entre sus admiradoras a la reina Victoria. Precisamente en Londres, en 1901, graba en gramófono siete composiciones para la Gramophone and Typewriter Company, grabaciones que hoy cuentan con un alto valor de colección. Siguen giras en Viena, Bélgica, Grecia y Turquía. Entre 1907 y 1908 viaja a EE. UU. y Canadá. El 7 de noviembre de 1908 debuta en Estados Unidos con la parte solista de su Concertstück junto a la Orquesta de Filadelfia. Da conciertos en 12 ciudades, incluyendo actuaciones en el Carnegie Hall y en el Symphony Hall, cosechando gran éxito entre el público estadounidense, especialmente con piezas como Scarf Dance, Pas des écharpes y Ballet No. 1, muy apreciadas por los amantes de la música para piano. Su trabajo ha inspirado a muchas otras mujeres a estudiar música y a fundar sociedades musicales llamadas Chaminade Clubs, algunos de los cuales aún hoy están en actividad y promueven la inclusión de mujeres músicas y compositoras en numerosos eventos artísticos.

Un logro importante llega en 1913, cuando es galardonada con la Legión de Honor, convirtiéndose en la primera compositora en obtener este reconocimiento. Sin embargo, a pesar del gran éxito internacional, Cécile se encuentra cada vez más marginada del mundo musical parisino. A pesar de que su música y sus canciones de salón eran muy populares y sus composiciones se vendían bien, sus trabajos más serios tenían escasa relevancia para la crítica; se le reprochaba la falta de asistencia al conservatorio y, por lo tanto, un estilo compositivo poco refinado. Es curioso que, en la misma época, su buen amigo el compositor Emmanuel Chabrier, cuya formación irregular hacía que su música estuviera libre de los estrictos vínculos de la educación musical formal, era elogiado. El arte de Chaminade es igualmente elegante, melódico y original, y las valoraciones de su obra durante gran parte del siglo XX se basaron más en estereotipos de género que en la calidad intrínseca. En la segunda mitad de la vida de Chaminade, la crítica mundial se volvió en su contra: inicialmente elogiada por escribir música femenina, esta característica comenzó a ser vista como superficial. Luego fue criticada por piezas como el Concertstück, que se alejaba de su estilo típico y por lo tanto fue considerado excesivamente masculino, así como sus interpretaciones, juzgadas demasiado viriles. A raíz de estos juicios, Chaminade se sintió cada vez más insegura respecto a sus habilidades compositivas y tuvo mayores dificultades para encontrar un editor dispuesto a publicarla. Sus partituras, que antes se definían como “charmantes”, fueron trivializadas como obras de salón, excesivamente sentimentales. Con el estallido de la Gran Guerra, a los cincuenta y siete años, comenzó a trabajar en la dirección de un hospital londinense. Terminada la guerra, no volvió a actuar en público, aunque de vez en cuando seguía componiendo.

A lo largo de su vida, Chaminade fue increíblemente prolífica: escribió más de doscientas piezas para piano, una ópera, suites para orquesta, lieder y composiciones corales, así como la música del ballet Callirhoé. Dio origen a la tradición francesa de la chanson y sus melodías cautivadoras se llamaban “canciones sin palabras”. Posteriormente su producción fue olvidada y su estilo criticado, pero sus obras son sin duda testimonio de una gran riqueza compositiva. A la hora de su muerteCuando murió, el 13 de abril de 1954 en Montecarlo, ya no era tan estimada como en su juventud. Su sobrina, Antoinette Lorel, trató de continuar promoviendo su música. En tiempos más recientes, la musicóloga estadounidense Marcia Citron ha publicado una biografía completa de Chaminade, comentando ampliamente cuestiones históricas y estéticas relacionadas con su vida y carrera, añadiendo muchas observaciones sobre su estilo musical y una discografía actualizada. Nos gusta recordar a Chaminade no solo escuchando y tocando nuevamente su música, sino también citando una de sus respuestas a las críticas basadas en estereotipos de género:

«No hay sexo en el arte. El genio es una cualidad independiente»...

Mél Bonis
Laura Bertolotti

Daniela Godel

 

Il sogno della musica può sopravvivere a dispetto di un ambiente ostile, forse è questa la lezione che si trae dalla vita di Mélanie Helene Bonis, nata nel 1858 in una famiglia piccolo borghese parigina e destinata a diventare sarta, secondo la madre, che le impresse una severa educazione religiosa. Invece Mélanie imparò da sola a suonare il pianoforte, a dodici anni, aiutata da lezioni di solfeggio, e fu un amico di famiglia, Hippolyte Maury, insegnante di corno, a convincere i riluttanti genitori a impartirle una formale istruzione musicale. Così nel 1876 fu ammessa come uditrice alla classe di organo del Conservatorio di Parigi, poi studiò Armonia e Accompagnamento pianistico in una classe frequentata anche da Claude Debussy. Nel 1879 ricevette un premio per l'Accompagnamento e nel 1990 un primo premio per l'Armonia. Il suo maestro, Auguste Bazille, disse di lei: «È la migliore della classe, ma è paralizzata dalla paura». È questo l'anno in cui incontra l'amore della sua vita, Amédee Louis Hettich, studente di canto, poeta e giornalista.

Mel Bonis nel 1901. © Association Mel Bonis

A quel tempo una donna poteva suonare e insegnare pianoforte ma non poteva aspirare alla professione di compositrice, perciò quando musicò le poesie di Amédee si firmò con uno pseudonimo maschile, Mel, per celare la sua vera identità. Amédee chiese la sua mano ma trovò la ferma opposizione della famiglia che organizzò, in alternativa, un matrimonio con il ricco vedovo Albert Domage, di ventidue anni più grande di lei, con cinque figli e non particolarmente amante della musica. Nel 1883 Mélanie si assoggettò completamente alla volontà dei genitori e si adeguò alla vita matrimoniale, lasciando gli studi musicali. Ebbe tre figli a cui si dedicò per dieci anni. Il caso volle che la sua vita tornasse a incrociare quella di Amédee e dal loro amore nacque una bambina, mai riconosciuta legalmente, Madéleine, data alla luce durante un viaggio in Svizzera per presunte cure termali, subito affidata a una cameriera, ma seguita nella crescita da lontano. In forza della rigorosa educazione ricevuta, Mélanie visse con molti sensi di colpa la relazione con Amédee con cui si risolse di comunicare solo per ottenere notizie della loro piccola. Alla morte del marito, nel 1918, poté accoglierla finalmente in casa, ma solo quando uno dei suoi figli si innamorò della ragazza ne rivelò la vera identità.

La sua opera comprende un corpus di circa trecento composizioni, sessanta per pianoforte solo, altre a quattro mani, altre ancora per due pianoforti, e poi ventisette melodie, una dozzina per duetti e/o coro, venticinque canti religiosi, trenta per organo, venti di musica da camera, undici opere orchestrali. Il suo stile compositivo è stato definito essenzialmente tardo-romantico, si avvicina a quello di Gabriel Fauré e di Claude Debussy. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso la sua opera è stata oggetto di riscoperta da parte di vari musicologi, aiutati dai e dalle pronipoti per giungere alla completa catalogazione. Esiste anche una biografia, ad opera di Christine Géliot, sua pronipote, pubblicata nel 1998, dal titolo Mel Bonis: femme et compositeur. 1858-1937. Si può affermare che il talento di Mélanie abbia dovuto venire dolorosamente a patti con le logiche del tempo che vedevano le donne ai margini della società, sempre relegate in posti di secondo piano. Tuttavia il dono della sua musica la ricorda nella grandezza che non le è stata riconosciuta in vita. Mélanie si spense il 18 marzo del 1937 ed è sepolta nel Cimitero di Montmartre, a Parigi.

Mel Bonis al pianoforte, suonando una sinfonia burlesque, durante gli anni ’20.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis distesa a Sarcelles, Francia. © Association Mel Bonis

Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Le rêve de la musique peut survivre malgré un environnement hostile. C'est peut-être la leçon que l'on tire de la vie de Mélanie Hélène Bonis, née en 1858 dans une famille petite-bourgeoise parisienne et destinée à devenir couturière selon sa mère, qui lui imposait une éducation religieuse stricte. Pourtant, Mélanie apprend seule à jouer du piano à l'âge de douze ans, aidée par des cours de solfège. C’est un ami de la famille, Hippolyte Maury, professeur de cor, qui a convaincu ses parents réticents de lui offrir une formation musicale formelle. Ainsi, en 1876, elle est admise comme auditrice à la classe d'orgue du Conservatoire de Paris. Par la suite, elle étudie l’harmonie et l’accompagnement pianistique dans une classe où se trouvait également Claude Debussy. En 1879, elle reçoit un prix pour l’accompagnement, et en 1880, un premier prix pour l’harmonie. Son professeur, Auguste Bazille, disait d’elle : « Elle est la meilleure de la classe, mais paralysée par la peur. Cette même année, elle rencontre l’amour de sa vie, Amédée Louis Hettich, étudiant en chant, poète et journaliste. 

Mel Bonis en 1901. © Association Mel Bonis

À cette époque, une femme pouvait jouer et enseigner le piano, mais elle ne pouvait aspirer à une carrière de compositrice. Ainsi, lorsqu’elle met en musique les poèmes d’Amédée, elle signe sous un pseudonyme masculin, Mel, pour cacher sa véritable identité. Amédée demande sa main, mais il se heurte à l’opposition ferme de la famille, qui organise à la place un mariage avec le riche veuf Albert Domange, de vingt-deux ans son aîné, père de cinq enfants et peu intéressé par la musique. En 1883, Mélanie se soumet complètement à la volonté de ses parents et adopte la vie conjugale, abandonnant ses études musicales. Elle a eu trois enfants, auxquels elle se consacre pendant dix ans. Le destin fit qu’elle recroise la route d’Amédée, et de leur amour naît une fille, Madeleine, qui n’a jamais été reconnue légalement. L’enfant vit le jour lors d’un voyage en Suisse soi-disant pour des soins thermaux. Elle est confiée immédiatement à une gouvernante, mais Mélanie suit son développement à distance. Fidèle à l’éducation rigoureuse qu’elle avait reçue, Mélanie vit sa relation avec Amédée avec beaucoup de culpabilité. Elle décide de ne communiquer avec lui que pour obtenir des nouvelles de leur fille. À la mort de son mari en 1918, elle peut enfin accueillir Madeleine chez elle. Cependant, ce n’est que lorsque l’un de ses fils tombe amoureux de la jeune fille qu’elle révèle sa véritable identité.

Son œuvre comprend un corpus d’environ trois cents compositions : soixante pour piano seul, d'autres pour piano à quatre mains ou pour deux pianos, vingt-sept mélodies, une douzaine pour duos et/ou chœur, vingt-cinq pièces religieuses, trente pour orgue, vingt œuvres de musique de chambre, et onze compositions orchestrales. Son style musical, essentiellement post-romantique, s'approche de celui de Gabriel Fauré et Claude Debussy. Depuis les années 1990, son œuvre a fait l'objet d'une redécouverte par divers musicologues, aidés par ses arrière-petits-enfants pour parvenir à une catalogation complète. Une biographie, écrite par Christine Géliot, son arrière-petite-fille, a été publiée en 1998 sous le titre Mel Bonis : femme et compositeur. 1858-1937. On peut dire que le talent de Mélanie a dû composer douloureusement avec les logiques de son époque, qui cantonnent les femmes à des rôles subalternes. Cependant, le don de sa musique rappelle la grandeur qui ne lui a pas été reconnue de son vivant. Mélanie s'éteint le 18 mars 1937 et repose au cimetière de Montmartre, à Paris.

Mel Bonis au piano, jouant une symphonie burlesque, pendant les années 20.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis allongée à Sarcelles, France. © Association Mel Bonis

Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

The dream of music can survive in spite of a hostile environment - perhaps this is the lesson drawn from the life of Mélanie Helene Bonis, born in 1858 into a Parisian petit-bourgeois family and destined to become a seamstress, according to her mother, who imprinted a strict religious upbringing on her. Instead, Mélanie learned to play the piano on her own at the age of twelve, aided by solfege lessons, and it was a family friend, Hippolyte Maury, a horn teacher, who convinced her reluctant parents to give her a formal musical education. As a result, in 1876 she was admitted as an auditor to the organ class at the Paris Conservatory, then studied Harmony and Piano Accompaniment in a class also attended by Claude Debussy. In 1879 she received a prize for Accompaniment and in 1890 a first prize for Harmony. Her teacher, Auguste Bazille, said of her, "She is the best in the class, but she is paralyzed by fear." This was the year she met the love of her life, Amédee Louis Hettich, a singing student, poet and journalist.

Mel Bonis in 1901. © Association Mel Bonis

At that time a woman could play and teach piano but could not aspire to the profession of composer, so when she set Amédee's poems to music she signed herself with a male pseudonym, Mel, to conceal her true identity. Amédee asked for her hand but found firm opposition from her family, who arranged, as an alternative, a marriage to a wealthy widower Albert Domage, twenty-two years her senior, a man not particularly fond of music, with five children. In 1883 Mélanie submitted completely to her parents' wishes and adjusted to married life, leaving behind her musical studies. She had three children to whom she devoted herself for ten years. As chance would have it, her life again intersected with Amédee's, and from their love a child, Madéleine, was born, never legally recognized, born during a trip to Switzerland for supposed spa treatment, immediately entrusted to a maid, but followed in her growth from afar. By virtue of the strict upbringing she received, Mélanie experienced her relationship with Amédee with much guilt, with whom she resolved to communicate only to obtain news of their little girl. When her husband died in 1918, she was finally able to welcome her into her home, but only when one of her children fell in love with the girl did she reveal her true identity.

Her work includes about three hundred compositions, sixty for solo piano, others for four hands, still others for two pianos, and then twenty-seven melodies, a dozen for duets and/or choir, twenty-five religious songs, thirty for organ, twenty of chamber music, eleven orchestral works. Her compositional style has been described as essentially late Romantic, approaching that of Gabriel Fauré and Claude Debussy. Since the 1990s her work has been the subject of rediscovery by various musicologists, aided by her great-grandchildren to achieve complete cataloguing. There is also a biography, by Christine Géliot, her great-granddaughter, published in 1998, entitled Mel Bonis: femme et compositeur 1858-1937. It can be argued that Mélanie's talent had to come painfully to terms with the logics of the time that saw women on the margins of society, always relegated to second-class places. Nevertheless, the gift of her music recalls her in the greatness that was not recognized in her lifetime. Mélanie passed away on March 18, 1937, and is buried in Montmartre Cemetery, Paris.

Mel Bonis at the piano, playing a burlesque symphony, during the 1920s.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis lying down in Sarcelles, France. © Association Mel Bonis

Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

 

El sueño de la música puede sobrevivir, incluso frente a un ambiente hostil; tal vez esta sea la lección que aprendemos de la vida de Mélanie Helen Bonis, quien nació en 1858 en una familia parisina de clase media baja y estaba destinada a convertirse en costurera, según su madre, quien le impartió las estrictas normas de la moral católica. Sin embargo, Mélanie aprendió a tocar el piano de manera autodidacta a los doce años, con la ayuda de unas clases de solfeo; y fue un amigo de la familia, Hippolyte Maury, maestro de cuerno, quien convenció a sus reacios padres a darle una instrucción musical formal. De este modo, en 1876 fue admitida como oyente en la clase de órgano del Conservatorio de París; luego estudió Acompañamiento y Armonía para piano, donde compartió el aula con Claude Debussy. En 1879 recibió un premio por el Acompañamiento y en 1990 ganó el primer premio por la Armonía. Su maestro, Auguste Bazille, dijo de ella: «Es la mejor de la clase, pero está paralizada por el miedo». Ese mismo año conoció al amor de su vida, Amédée-Luis Hettich, estudiante de canto, poeta y periodista.

Mel Bonis en 1901. © Association Mel Bonis

En aquella época, una mujer podía tocar el piano y enseñar piano, pero no podía aspirar a la profesión de compositora; por lo tanto, cuando musicalizó los poemas de Amédée se firmó bajo el seudónimo andrógino Mel, para ocultar su verdadera identidad. Amédée le pidió la mano, pero encontró la firme oposición de su familia que, en alternativa, arregló un matrimonio con el rico viudo Albert Domage, veintidós años mayor que ella, con cincos hijos y no particularmente amante de la música. En 1883, Mélanie se sometió plenamente a la voluntad de sus padres y se adaptó a la vida matrimonial dejando los estudios de música. Tuvo tres hijos, a los que se dedicó durante diez años. Por casualidad, su vida volvió a cruzarse con la de Amédée y de su amor nació Madéleine, hija jamás reconocida legalmente, que alumbró en un viaje a Suiza, justificado con una estancia en las termas, y que enseguida confió a una camarera, aunque la siguió desde lejos. Por la rigurosa educación recibida, Mélanie vivió con un gran sentimiento de culpa su relación con Amédée, con quien decidió comunicar solo para obtener noticias de su hija. Tras la muerte de su marido, en 1918, pudo finalmente acogerla en su casa, pero solo cuando uno de sus hijos se enamoró de su hija reveló su verdadera identidad.

Su obra consta de casi trescientas composiciones: sesenta solo para piano, otras a cuatro manos, otras más para dos pianos, veintisiete melodías, una docena de duetos y/o coros, veinticinco cantos religiosos, treinta para órgano, veinte de música de cámara y once obras de orquesta. Su estilo compositivo se definió esencialmente del romanticismo tardío y se acercaba al de Gabriel Fauré y Claude Debussy. A partir de los años noventa del siglo pasado, su obra fue redescubierta gracias a varios musicólogos ayudados por sus bisnietos y bisnietas para llegar a la catalogación completa. Hay también una biografía, escrita por Christine Géliot, bisnieta suya, publicada en 1998 con el título Mel Bonis: femme et compositeur. 1858-1937. Podemos decir que el talento de Mélanie tuvo que transigir con la mentalidad de la época que veía a las mujeres en los márgenes de la sociedad, siempre relegadas a un segundo plano. Sin embargo, el don de su música nos recuerda la grandeza que no le fue reconocida en vida. Mélanie murió el 18 de marzo de 1937 y fue enterrada en el cementerio de Montmartre (París).

Mel Bonis al piano, tocando una sinfonía burlesca, durante los años 20.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis acostada en Sarcelles, Francia. © Association Mel Bonis

 

Germaine Tailleferre
Silvia De Maria

Daniela Godel

 

Germaine Tailleferre è l’unica donna compositrice appartenente al cosiddetto “Gruppo dei Sei,” un circolo musicale sorto spontaneamente a Parigi attorno al 1920; insieme a lei ne fanno parte i compositori francesi Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric e Louis Durey. Il gruppo nasce come reazione alle tendenze dominanti dell’impressionismo musicale di Claude Debussy e del wagnerismo, per raccogliere invece l'eredità musicale di Erik Satie. Jean Cocteau ne scrive nel 1918 il manifesto programmatico, con il titolo Il Gallo e l'Arlecchino, esponendone l’ideologia e l’estetica musicale. Germaine Tailleferre nasce il 19 aprile 1892 a Saint-Maur-des-Fossés, nella banlieue parigina, con il nome di Marcelle Taillefesse. La piccola inizia a studiare il pianoforte con sua madre, e comincia in tenera età a comporre piccoli lavori. Gli studi musicali sono apertamente osteggiati dal padre, rappresentante di una società che considera la cultura musicale per una donna solo come completamento dell’educazione e non come professione. Così a vent’anni si trasferisce a Parigi, cambiando il suo cognome in Tailleferre, dove studia con Koechlin e con Ravel, e dove, in Conservatorio, incontra Milhaud, Auric e Honegger. Assieme a loro frequenta l’ambiente di Montmartre e Montparnasse, dove conosce letterati (Apollinaire e Léger) e pittori (Picasso e Modigliani). Proprio in uno dei rinomati atelier di questi pittori, il 15 gennaio 1918 si svolse il primo concerto dei "Nouveaux Jeunes", con Tailleferre, Poulenc e Durey. Il programma includeva due lavori della compositrice: Jeux de plein air e la Sonatina per quartetto d'archi in due movimenti.

Il “Groupe des Six” negli anni ’20: Jean Cocteau (al pianoforte), Darius Milhaud, un disegno rappresentante Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, and Louis Durey. Il “Groupe des Six” negli anni ’50 (con Jean Cocteau al pianoforte): da sinistra a destra, Darius Milhaud, Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, Louis Durey.

Le sue composizioni cominciano ad essere apprezzate dai più grandi solisti del tempo, come il violinista Jacques Thibault e il pianista Alfred Cortot; la prima Sonata per violino e pianoforte viene eseguita a Parigi nel 1922 proprio dai due prestigiosi interpreti. Nel 1923 il balletto Le Marchand d'oiseaux vede un ampio successo. Cortot esegue anche il Concerto per pianoforte, commissionatole poco dopo dalla principessa di Polignac. È in questi anni che Tailleferre trascorre molto tempo con Maurice Ravel a Montfort-l'Amaury. Si incontrano vicino Biarritz nel 1919-20; Ravel si interessa ai giovani compositori e dispensa a Germaine consigli sia in tema di scrittura che di orchestrazione. Queste visite regolari, caratterizzate da lunghe passeggiate intorno a Montfort, sono sempre concluse da lunghe e spossanti ore al pianoforte. Tutto finisce misteriosamente nel 1930, e Tailleferre non rivede mai più Ravel, rifiutando sempre, anche ai suoi cari, di fornire delle spiegazioni.

Nel 1925 Germaine sposa il caricaturista americano Ralph Barton, trasferendosi a New York; durante il soggiorno americano ha modo di frequentare il mondo del cinema e stringere amicizia con Charlie Chaplin, che le propone di comporre colonne sonore per Hollywood. Come spesso accade nella storia delle donne compositrici, allo sviluppo della carriera si frappone il marito geloso del successo, un marito che le impedisce di lavorare e di ampliare il suo giro di conoscenze e addirittura arriva al tentato omicidio per fermarla. Per queste ragioni la musicista decide nel 1929 di porre fine al matrimonio con Barton ,che in seguito si toglierà la vita, e di tornare in Francia. Le Six chansons françaises sono sicuramente una reazione al divorzio. Vengono utilizzati dei testi risalenti al XV-XVII secolo, riguardanti la condizione della donna. Ogni opera è dedicata a un’amica e si tratta di uno dei rari esempi di femminismo nella sua produzione. A 39 anni, il 4 giugno 1931, a Boulogne, Germaine partorisce la sua unica figlia, Françoise. L'anno successivo si sposa con il padre della bambina, il giurista francese Jean Lageat. Di nuovo tuttavia il matrimonio diviene un ostacolo alla sua carriera. Nonostante tutto, Tailleferre lavora di buona lena: nascono la Suite per orchestra da camera, il Divertissement nello stile di Luigi XV, il Concerto per violino, andato perduto nella sua forma originale, e il suo capolavoro, il Concerto grosso per due pianoforti, quartetto di sassofoni, otto voci soliste e orchestra (1934). Compone anche una lunga serie di musiche da film.

Nel 1937 collabora con Paul Valéry per la sua Cantata del Narciso, per soprano, baritono, coro femminile e archi. All'inizio del 1942 completa i Tre Studi per pianoforte e orchestra dedicati a Marguerite Long. L'occupazione tedesca la spinge a fuggire negli Stati Uniti con la sorella e Françoise, imbarcandosi in Portogallo. Passa gli anni della guerra a Filadelfia, dove smette quasi del tutto di comporre per dedicarsi alla figlia. Rientra in Francia nel 1946, andando a vivere a Grasse, vicino a Nizza. Nel 1955 firma il suo secondo divorzio e nello stesso anno compone cinque opere brevi per Radio France, intitolate Du style galant au style méchant. A partire dagli anni Sessanta si impegna sempre più frequentemente nella musica da film e comincia a girare l'Europa in duo con il baritono Bernard Lefort, tra i suoi amici più fedeli fino alla morte che avviene a Parigi il 7 novembre 1983, all'età di 91 anni.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Centre de Musique Romantique Française

Germaine Tailleferre fotografata da Arnold Genthe

Alla domanda se avesse incontrato molti ostacoli alla sua vita artistica, Germaine, a ottantanove anni, risponde: «Sì! Sempre! Ho sposato un americano che diventò matto. La prima cosa che fece fu comprarmi un pianoforte giocattolo. E poi il secondo marito, mentre scrivevo la Cantate de Narcisse con Paul Valèry, m’impediva costantemente di lavorare. Diventai famosa piuttosto rapidamente grazie a Les Six, e questo li irritava. Ho avuto una vita veramente difficile, non mi piace parlarne perché io scrivo musica come una liberazione. Ad ogni modo, le cose erano sempre contro di me, qualunque cosa succedesse». «Une Marie Laurencin pour l'oreille» (una Marie Laurencin dell'orecchio): così Jean Cocteau parla di Germaine Tailleferre. Questa corrispondenza tra gli acquerelli decorativi di Laurencin e la musica di Tailleferre, a dire il vero, non è molto appropriata. Ingenuità, freschezza, femminilità, sono sì qualità associate a Tailleferre, fin dal suo arrivo nel gruppo dei Sei, ma nella sua musica c’è soprattutto un vigore autentico, talora venato (malgrado armonie di una grande sensualità) di inaspettata austerità.

La produzione di Tailleferre è vastissima: dalla lirica al balletto, dalla musica sinfonica a quella da camera e solistica, dai concerti alle cantate, con un eclettismo che ne dimostra la profonda cultura. Si è ritenuto troppo a lungo che la sua opera si riducesse a una serie di affascinanti lavori per pianoforte composti nel periodo tra le due Guerre e che la sua carriera di compositrice fosse conclusa con la Seconda guerra mondiale. Pensarla così significa dimenticare che, oltre a questi brevi brani, Tailleferre ha composto soprattutto musica da camera, melodie, due concerti per pianoforte, tre studi per pianoforte e orchestra, il Concerto per violino, il notevole e imponente Concerto Grosso, quattro balletti, quattro opere, due operette, senza contare numerosi altri lavori per piccoli ensemble o grandi orchestre (come il sorprendente Concerto per due chitarre e orchestra, recentemente ritrovato e registrato nel 2004 in Germania da Chris Bilobram e Cristina Altmann). La maggior parte di queste musiche è stata scritta tra il 1945 e il 1983, anno della sua morte. Fino a poco tempo fa, un’enorme parte della sua produzione maggiore era rimasta inedita. Solo recentemente se ne è potuta misurare l'ampiezza, cominciando ad assegnarle, o a renderle, il posto che merita.

Germaine Tailleferre

Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Germaine Tailleferre est la seule compositrice femme appartenant au “Groupe des Six”, un cercle musical qui s’est formé spontanément à Paris vers 1920; avec elle, font partie de ce groupe les compositeurs français Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric et Louis Durey. Le groupe naît comme une réaction aux tendances dominantes de l’impressionnisme musical de Claude Debussy et du wagnérisme, cherchant plutôt à poursuivre l’héritage musical d’Erik Satie. Jean Cocteau écrit en 1918 un manifeste programmatique, intitulé Le Coq et l’Arlequin, exposant l’idéologie et l’esthétique musicale du groupe. Germaine Tailleferre naît le 19 avril 1892 à Saint-Maur-des-Fossés, en banlieue parisienne, sous le nom de Marcelle Taillefesse. Dès son plus jeune âge, elle commence à étudier le piano avec sa mère et compose de petites pièces. Ses études musicales sont ouvertement opposées par son père, un homme représentant une société qui considère la culture musicale pour une femme comme un complément à l'éducation, et non comme une profession. Ainsi, à 20 ans, elle part pour Paris, change son nom en Tailleferre et y étudie avec Koechlin et Ravel, où elle rencontre Milhaud, Auric et Honegger. Ensemble, ils fréquentent l’ambiance de Montmartre et Montparnasse, où elle rencontre des écrivains (Apollinaire et Léger) et des peintres (Picasso et Modigliani). C’est dans l’un des célèbres ateliers de ces peintres que le premier concert des «Nouveaux Jeunes» a lieu le 15 janvier 1918, avec Tailleferre, Poulenc et Durey. Le programme inclut deux œuvres de la compositrice : Jeux de plein air et la Sonatina pour quatuor à cordes en deux mouvements.

Le "Groupe des Six" dans les années 1920: Jean Cocteau (au piano), Darius Milhaud, un dessin représentant Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, et Louis Durey. Le "Groupe des Six" dans les années 1950: Jean Cocteau (au piano), Darius Milhaud, un dessin représentant Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, et Louis Durey.

Ses compositions commencent à être appréciées par les plus grands solistes de l’époque, comme le violoniste Jacques Thibault et le pianiste Alfred Cortot ; sa première sonate pour violon et piano est jouée à Paris en 1922 par ces deux prestigieux interprètes. En 1923, le ballet Le Marchand d’oiseaux rencontre un grand succès. Cortot interprète aussi Le Concert pour piano qu’elle compose peu après, commandé par la princesse de Polignac. C’est durant ces années que Tailleferre passe beaucoup de temps avec Maurice Ravel à Montfort-l’Amaury. Ils se rencontrent près de Biarritz en 1919-20; Ravel s’intéresse aux jeunes compositeurs et donne des conseils à Germaine, tant en termes de composition que d’orchestration. Ces visites régulières, souvent marquées par de longues promenades autour de Montfort, se terminent toujours par de longues heures au piano. Tout prend fin mystérieusement en 1930, et Tailleferre ne reverra jamais Ravel, refusant toujours, même à ses proches, de donner des explications.

En 1925, Germaine épouse le caricaturiste américain Ralph Barton et part pour New York ; pendant son séjour américain, elle fréquente le monde du cinéma et se lie d’amitié avec Charlie Chaplin, qui lui propose de composer des bandes originales pour Hollywood. Comme c’est souvent le cas dans l’histoire des femmes compositrices, son mari jaloux du succès de sa femme empêche son travail et ses relations, allant jusqu’à tenter de la tuer pour lui empêcher de continuer sa carrière. Pour ces raisons, la musicienne décide en 1929 de mettre fin à son mariage avec Barton, qui se suicidera par la suite, et de retourner en France. Les Six chansons françaises sont certainement une réaction à ce divorce. Elle utilise des textes datant des XVe-XVIIe siècles concernant la condition des femmes. Chaque œuvre est dédiée à une amie, et elles représentent l’un des rares exemples de féminisme dans sa production. À 39 ans, le 4 juin 1931, à Boulogne, Germaine donne naissance à sa fille unique, Françoise. L’année suivante, elle épouse le père de l’enfant, le juriste français Jean Lageat. Toutefois, ce mariage devient à nouveau un obstacle à sa carrière. Malgré tout, Tailleferre travaille d’arrache-pied : elle compose la Suite pour orchestre de chambre, le Divertissement dans le style de Louis XV, le Concerto pour violon, perdu dans sa forme originale, et son chef-d'œuvre, le Concerto grosso pour deux pianos, quatuor de saxophones, huit voix solistes et orchestre (1934). Elle compose également une longue série de musiques de film.

En 1937, elle collabore avec Paul Valéry pour sa Cantate du Narcisse, pour soprano, baryton, chœur féminin et orchestre. Au début de 1942, elle termine les Trois Études pour piano et orchestre dédiées à Marguerite Long. L’occupation allemande la pousse à fuir aux États-Unis avec sa sœur et Françoise, embarquant depuis le Portugal. Elle passe les années de guerre à Philadelphie, où elle cesse presque complètement de composer pour se consacrer à sa fille. Elle rentre en France en 1946 et s’installe à Grasse, près de Nice. En 1955, elle signe son deuxième divorce et compose la même année cinq œuvres courtes pour Radio France, intitulées Du style galant au style méchant. À partir des années 1960, elle se consacre de plus en plus à la musique de film et commence à parcourir l’Europe en duo avec le baryton Bernard Lefort, un de ses plus fidèles amis jusqu’à sa mort, survenue à Paris le 7 novembre 1983, à l’âge de 91 ans.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Centre de Musique Romantique Française

Germaine Tailleferre photographiée par Arnold Genthe

Interrogée à 89 ans sur les obstacles rencontrés dans sa vie artistique, Germaine répond : «Oui ! Toujours! J’ai épousé un Américain qui est devenu fou. La première chose qu’il a faite a été de m’acheter un piano jouet. Et puis le deuxième mari, pendant que j’écrivais la Cantate de Narcisse avec Paul Valéry, m’empêchait constamment de travailler. Je suis devenue célèbre assez rapidement grâce aux Six, et cela les irritait. J’ai eu une vie vraiment difficile, je n’aime pas en parler parce que j’écris de la musique comme une libération. De toute façon, les choses étaient toujours contre moi, quoi qu’il se passe.» «Une Marie Laurencin pour l’oreille» (une Marie Laurencin de l’oreille) : c’est ainsi que Jean Cocteau parle de Germaine Tailleferre. Cette comparaison entre les aquarelles décoratives de Laurencin et la musique de Tailleferre n’est pas vraiment appropriée. L’ingéniosité, la fraîcheur, la féminité sont certes des qualités associées à Tailleferre, depuis son arrivée dans le groupe des Six, mais dans sa musique, il y a surtout une véritable vigueur, parfois teintée (malgré des harmonies d’une grande sensualité) d’une austérité inattendue.

La production de Tailleferre est vaste: de l’opéra au ballet, de la musique symphonique à la musique de chambre et soliste, des concertos aux cantates, avec un éclectisme qui témoigne de sa profonde culture. On a trop longtemps cru que son œuvre se réduisait à une série de charmants morceaux pour piano composés entre les deux guerres et que sa carrière de compositrice était terminée avec la Seconde Guerre mondiale. Penser ainsi revient à oublier que, au-delà de ces courts morceaux, Tailleferre a composé surtout de la musique de chambre, des mélodies, deux concertos pour piano, trois études pour piano et orchestre, le Concerto pour violon, le remarquable et imposant Concerto Grosso, quatre ballets, quatre opéras, deux opérettes, sans compter de nombreuses autres œuvres pour petits ensembles ou grandes orchestres (comme le surprenant Concerto pour deux guitares et orchestre, récemment retrouvé et enregistré en 2004 en Allemagne par Chris Bilobram et Cristina Altmann). La plupart de ces œuvres a été écrite entre 1945 et 1983, année de sa mort. Jusqu’à récemment, une grande partie de sa production majeure était restée inédite. Ce n’est que récemment qu’on a pu en mesurer l’ampleur, lui attribuant ou lui rendant enfin la place qu’elle mérite.

Germaine Tailleferre

Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Germaine Tailleferre is the only female composer belonging to the so-called "Group of Six," a musical circle that sprang up spontaneously in Paris around 1920. Along with her were the French composers Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric and Louis Durey. The group emerged as a reaction to the dominant trends of Claude Debussy's musical impressionism and Wagnerism, to instead take up the musical legacy of Erik Satie. Jean Cocteau wrote its programmatic manifesto in 1918, under the title The Rooster and the Harlequin, expounding its ideology and musical aesthetics. Germaine Tailleferre was born on April 19, 1892, in Saint-Maur-des-Fossés, in the Parisian suburbs, under the name Marcelle Taillefesse. The little girl began studying the piano with her mother, and began at an early age to compose small works. Her musical studies were openly opposed by her father, representative of a society that considered musical culture for a woman only as a completion of education and not as a profession. So, at age 20 she moved to Paris, changing her last name to Tailleferre, where she studied with Koechlin and Ravel, and where, at the Conservatory, she met Milhaud, Auric, and Honegger. Together with them she frequented the milieu of Montmartre and Montparnasse, where she met men of letters (Apollinaire and Léger) and painters (Picasso and Modigliani). It was in one of the renowned ateliers of these painters that the first concert of the "Nouveaux Jeunes" took place on January 15, 1918, with Tailleferre, Poulenc and Durey. The program included two works by the composer, Jeux de plein air and the Sonatina for string quartet in two movements.

The "Groupe des Six" in the 1920s: Jean Cocteau (at the piano), Darius Milhaud, a drawing depicting Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, and Louis Durey. The "Groupe des Six" in the 1950s: Jean Cocteau (at the piano), Darius Milhaud, a drawing depicting Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, and Louis Durey.

Her compositions began to be appreciated by the greatest soloists of the time, such as violinist Jacques Thibault and pianist Alfred Cortot. The first Sonata for violin and piano was performed in Paris in 1922 by precisely those two prestigious performers. In 1923 the ballet Le Marchand d'oiseaux saw widespread success. Cortot also performed the Piano Concerto, commissioned by the Princess de Polignac. It was during these years that Tailleferre spent much time with Maurice Ravel at Montfort-l'Amaury. They met near Biarritz in 1919-20. Ravel took an interest in young composers and dispensed advice to Germaine on both writing and orchestration. These regular visits, characterized by long walks around Montfort, were always concluded by long, exhausting hours at the piano. It all ended mysteriously in 1930, and Tailleferre never saw Ravel again, always refusing, even to her loved ones, to provide an explanation.

In 1925 Germaine married American caricaturist Ralph Barton, moving to New York. During her American sojourn she was able to frequent the world of cinema and befriend Charlie Chaplin, who proposed that she compose soundtracks for Hollywood. As is often the case in the history of women composers, the development of her career was impeded by her husband who was jealous of her success - a husband who prevented her from working and expanding her circle of acquaintances and even went so far as to attempt murder to stop her. For these reasons, the musician decided in 1929 to end her marriage to Barton, who would later take his own life, and return to France. The Six chansons françaises were definitely a reaction to the divorce. Texts from the 15th-17th centuries are used, concerning the condition of women. Each work was dedicated to a female friend - one of the rare examples of feminism in her output. At age 39, on June 4, 1931, in Boulogne, Germaine gave birth to her only daughter, Françoise. The following year she married the child's father, French jurist Jean Lageat. Again, however, marriage became an obstacle to her career. In spite of everything, Tailleferre worked in good spirits: the Suite for chamber orchestra, the Divertissement in the style of Louis XV, the Violin Concerto, which has been lost in its original form, and her masterpiece, the Concerto grosso for two pianos, saxophone quartet, eight solo voices and orchestra (1934) were born. She also composed a long series of film scores.

In 1937 she collaborated with Paul Valéry on his Cantata del Narciso, for soprano, baritone, women's choir and strings. In early 1942 she completed the Three Studies for Piano and Orchestra dedicated to Marguerite Long. The German occupation prompted her to flee to the United States with her sister and Françoise, embarking for Portugal. She spent the war years in Philadelphia, where she almost completely stopped composing to devote herself to her daughter. She returned to France in 1946, going to live in Grasse, near Nice. In 1955 she obtained her second divorce and in the same year composed five short works for Radio France, entitled Du style galant au style méchant. Beginning in the 1960s she became increasingly involved in film music and began touring Europe in a duo with baritone Bernard Lefort, among her most loyal friends until her death, which occurred in Paris on November 7, 1983, at the age of 91.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Center for French Romantic Music

Germaine Tailleferre photographed by Arnold Genthe

Asked if she had encountered many obstacles to her artistic life, Germaine, at eighty-nine, replied, "Yes! Always! I married an American who went crazy. The first thing he did was to buy me a toy piano. And then the second husband, while I was writing the Cantate de Narcisse with Paul Valèry, was constantly preventing me from working. I became famous rather quickly because of Les Six, and that irritated them. I had a really difficult life. I don't like to talk about it because I write music as a liberation. Anyway, things were always against me no matter what." "Une Marie Laurencin pour l'oreille" (a Marie Laurencin for the ear) is how Jean Cocteau spoke of Germaine Tailleferre. This correspondence between Laurencin's decorative watercolors and Tailleferre's music is actually not very appropriate. Naiveté, freshness, femininity, are, yes, qualities associated with Tailleferre, since her arrival in the group of Six, but in her music there is above all an authentic vigor, sometimes veined (despite harmonies of a great sensuality) with unexpected austerity.

Tailleferre's output was vast - from opera to ballet, from symphonic to chamber and solo music, from concertos to cantatas, with an eclecticism that demonstrated her profound cultural breadth. It was assumed too long that her oeuvre could be reduced to a series of fascinating piano works composed in the interwar period and that her career as a composer ended with World War II. To think of it this way is to forget that, in addition to these short pieces, Tailleferre composed mainly chamber music, melodies, two piano concertos, three studies for piano and orchestra, the Violin Concerto, the remarkable and impressive Concerto Grosso, four ballets, four operas, two operettas, not to mention numerous other works for small ensembles or large orchestras (such as the astonishing Concerto for Two Guitars and Orchestra, recently rediscovered and recorded in 2004 in Germany by Chris Bilobram and Cristina Altmann). Most of this music was written between 1945 and 1983, the year of her death. Until recently, a huge part of her major output had remained unpublished. Only recently has its breadth been able to be gauged, beginning to assign it, or give it, the place it deserves.

Germaine Tailleferre

Traduzione spagnola

Silvia Cercarelli

 

Germaine Tailleferre es la única mujer compositora que pertenece al llamado "Grupo de los Seis", un círculo musical que surgió espontáneamente en París alrededor de 1920; junto a ella forman parte del grupo los compositores franceses Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric y Louis Durey. El grupo nació como reacción a las tendencias dominantes del impresionismo musical y el wagnerismo de Claude Debussy, para recoger el legado musical de Erik Satie. En 1918 Jean Cocteau escribió el manifiesto programático, con el título El gallo y el arlequín, exponiendo la ideología y estética musical del grupo. Germaine Tailleferre nació el 19 de abril de 1892 en Saint-Maur-des-Fossés, en los suburbios parisinos, con el nombre de Marcelle Taillefesse. La niña comenzó a estudiar piano con su madre, y comenzó a temprana edad a componer pequeñas obras. A los estudios musicales se opuso abiertamente su padre, un representante de una sociedad que consideraba la cultura musical para una mujer solo como una finalización de la educación y no como una profesión. Así que a los veinte años se mudó a París, cambiando su apellido por el de Tailleferre. Allí estudió con Koechlin y Ravel y, en el Conservatorio, conoció a Milhaud, Auric y Honegger. Junto a ellos frecuentó el ambiente de Montmartre y Montparnasse, donde conoció a escritores (Apollinaire y Léger) y pintores (Picasso y Modigliani). Fue en uno de los renombrados estudios de estos pintores que tuvo lugar el primer concierto de los "Nouveaux Jeunes" el 15 de enero de 1918, con Tailleferre, Poulenc y Durey. El programa incluía dos obras de la compositora: Jeux de plein air y Sonatina per quartetto d'archi in due movimenti.

El "Groupe des Six" en los años 20: Jean Cocteau (al piano), Darius Milhaud, un dibujo que representa a Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc y Louis Durey. El "Groupe des Six" en los años 50: Jean Cocteau (al piano), Darius Milhaud, un dibujo que representa a Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc y Louis Durey.

Sus composiciones comenzaron a ser apreciadas por los mayores solistas de la época, como el violinista Jacques Thibault y el pianista Alfred Cortot; la primera Sonata per violino e pianoforte fue ejecutada en París en 1922 por los dos prestigiosos intérpretes. En 1923 el ballet Le Marchand d'oiseaux fue un gran éxito. Poco después, Cortot también interpretó el Concerto per pianoforte, encargado por la princesa de Polignac. Fue durante estos años que Tailleferre pasó mucho tiempo con Maurice Ravel en Montfort-l'Amaury. Se encontraban cerca de Biarritz en 1919-20; Ravel se interesaba por los compositores jóvenes y le dio consejos a Germaine tanto en la composición como en la orquestación. Estas visitas regulares, caracterizadas por largos paseos por Montfort, se completan siempre con largas y agotadoras horas al piano. Todo terminó misteriosamente en 1930, y Tailleferre nunca volvió a ver a Ravel, siempre negándose a dar explicaciones, incluso a sus seres queridos.

En 1925 Germaine se casó con el caricaturista estadounidense Ralph Barton y se mudó a Nueva York; durante su estancia en Estados Unidos tuvo la oportunidad de frecuentar el mundo del cine y entablar amistad con Charlie Chaplin, quien le propuso componer bandas sonoras para Hollywood. Como suele suceder en la historia de las mujeres compositoras, el desarrollo de la carrera se ve obstaculizado por un marido celoso del éxito, un marido que impide que su mujer trabaje y amplie su círculo de conocidos e incluso llega a intentar asesinarla para detenerla. Por estas razones, en 1929 la música decidió poner fin a su matrimonio con Barton, quien más tarde se quitó la vida, y regresar a Francia. Las Six chansons françaises son sin duda una reacción al divorcio. Utilizan textos que datan de los siglos XV-XVII sobre la condición de la mujer. Cada obra está dedicada a una amiga y es uno de los raros ejemplos de feminismo en su producción. A la edad de 39 años, el 4 de junio de 1931, en Boulogne, Germaine dio a luz a su única hija, Françoise. Al año siguiente se casó con el padre de la niña, el jurista francés Jean Lageat. Una vez más, sin embargo, el matrimonio se convirtió en un obstáculo para su carrera. A pesar de todo, Tailleferre trabajó a buen ritmo: la Suite per orchesta da camera, el Divertissement al estilo de Luis XV, el Concierto para violín, perdido en su forma original, y su obra maestra, el Concerto grosso para dos pianos, cuarteto de saxofones, ocho voces solistas y orquesta (1934). También compuso una larga serie de música para películas.

En 1937 colaboró con Paul Valéry para su Cantata del Narciso, para soprano, barítono, coro femenino y cuerdas. A principios de 1942 terminó los Tres estudios para piano y orquesta dedicados a Marguerite Long. La ocupación alemana la empuja a huir a los Estados Unidos con su hermana y Françoise, embarcándose en Portugal. Pasó los años de la guerra en Filadelfia, donde dejó casi por completo de componer para dedicarse a su hija. Regresó a Francia en 1946, y se fue a vivir a Grasse, cerca de Niza. En 1955 firmó su segundo divorcio y ese mismo año compuso cinco obras cortas para Radio France, tituladas Du style galant au style méchant. A partir de los años sesenta se involucró cada vez más en la música de cine y comenzó a recorrer Europa a dúo con el barítono Bernard Lefort, uno de sus amigos más fieles hasta su muerte en París el 7 de noviembre de 1983, a la edad de 91 años.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Centro de Música Romántica Francesa

Germaine Tailleferre fotografiada por Arnold Genthe

Cuando se le pregunta si ha encontrado muchos obstáculos en su vida artística, Germaine, a la edad de ochenta y nueve años, responde: “¡Sí! ¡Todo el rato! Me casé con un estadounidense que se volvió loco. Lo primero que hizo fue comprarme un piano de juguete. Y luego el segundo marido, mientras escribía el Cantate de Narcisse con Paul Valèry, me impedía constantemente trabajar. Me hice famosa bastante rápido gracias a Les Six, y esto los irritó. He tenido una vida muy difícil, no me gusta hablar de ello porque escribo música como una liberación. De todos modos, las cosas siempre estuvieron en mi contra, pasara lo que pasara”. “Une Marie Laurencin pour l'oreille” (una Marie Laurencin para los oídos): así habla Jean Cocteau de Germaine Tailleferre. Esta correspondencia entre las acuarelas decorativas de Laurencin y la música de Tailleferre, a decir verdad, no es muy apropiada. Ingenuidad, frescura, feminidad, son en efecto cualidades asociadas a Tailleferre, desde su llegada al grupo de los Seis, pero en su música hay sobre todo un auténtico vigor, a veces teñido (a pesar de las armonías de gran sensualidad) de una austeridad inesperada.

La producción de Tailleferre es muy vasta: de la ópera al ballet, de la música sinfónica a la música de cámara y solista, de los conciertos a las cantatas, con un eclecticismo que demuestra su profunda cultura. Durante mucho tiempo se ha pensado que su obra se redujo a una serie de fascinantes obras para piano compuestas en el período de entreguerras y que su carrera como compositora terminó con la Segunda Guerra Mundial. Pensar así es olvidar que, además de estas piezas breves, Tailleferre compuso principalmente música de cámara, melodías, dos conciertos para piano, tres estudios para piano y orquesta, el Concierto para violín, el notable e imponente Concerto Grosso, cuatro ballets, cuatro óperas, dos operetas, por no mencionar muchas otras obras para pequeños grupos o grandes orquestas (como el sorprendente Concierto para dos guitarras y orquesta, recientemente encontrado y grabado en 2004 en Alemania por Chris Bilobram y Cristina Altmann). La mayor parte de esta música fue escrita entre 1945 y 1983, el año de su muerte. Hasta hace poco, buena parte de su gran producción había permanecido inédita. Sólo recientemente se ha podido medir su amplitud, empezando a asignarle, o a reconocerle, el lugar que merece.

Germaine Tailleferre

 

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