di Silveria Aroma ed Ennia Mazzella

Io me ne sto comodamente seduta in un luminoso, elegante salone; Ersilia prepara il rosso dorato per i miei capelli: lei mescola ed io scrivo; due streghe provette dei tempi moderni.

La porta del negozio affaccia sul quel tratto della strada panoramica dove in passato avevano trovato alloggio diversi confinati politici nel periodo fascista.

Lontana dai tempi in cui le donne dell'isola si mettevano in fila aspettando il proprio turno per farsi arricciare la chioma con la “permanente” da un avventuroso parrucchiere di Napoli che bolliva i bigodini in un pentolone, tra una cliente e l'altra. Io me ne sto comodamente seduta in un luminoso, elegante salone; Ersilia prepara il rosso dorato per i miei capelli: lei mescola ed io scrivo; due streghe provette dei tempi moderni.

La porta del negozio affaccia sul quel tratto della strada panoramica dove in passato avevano trovato alloggio diversi confinati politici nel periodo fascista.

Quelli appartenenti a famiglie benestanti e non quelli destinati al “camerone comune”. Vale a dire quella parte di confinati che ebbe modo di comunicare e scambiare con i ponzesi. Qualcuno di loro trovò anche l'amore e più di un'isolana divenne combattente della Resistenza; mentre Zaniboni barattava le mele del Trentino per il vino di Frontone.

Frontone, all'epoca lavorata a vigne ed orti ad occupare terra giù giù fino alla battigia, oggi considerato luogo simbolo del turismo isolano per la balneazione e per la movida. La spiaggia che ora si colora di lettini ed ombrelloni nei mesi dell'estate, per secoli aveva conosciuto come unico passo umano quello dei coloni.

Un'unica casa in alto, al centro della spiaggia, e un gruppetto di case sparse sulla destra, guardando dal mare. A completamento del quadro, sul promontorio roccioso, il forte borbonico del XVIII secolo. Poche case ornate di alberi di fico e gelso moro e terrazzamenti di vite e legumi. Nei viottoli che guidavano sino alle porte delle case fiorivano i giaggioli bianchi a filari ordinati ma fitti.

Le donne nei giorni di bucato strappavano qualche bulbo alla terra e lo grattugiavano; questa sorta di cipolla tritata veniva adoperata nell'ultimo passaggio della cosiddetta “colatura”, ossia nel fare il bucato, e lasciava profumati i tessuti per settimane. Una sorta di ammorbidente ad impatto ambientale zero. Per sbiancare lenzuola ed altro, invece, utilizzavano la cenere di “zamperervìte” (sempre estivo) il cui fiore è chiamato sull'isola “canna Feola”, conosciuto ai più – e nella lingua italiana – come agave.

Negli anni delle due guerre mondiali, nelle notti stellate e senza vento, le donne si recavano in spiaggia. Solo un lume a petrolio a guidarle. Gli uomini, mariti, figli, fratelli, erano stati chiamati alle armi e a loro toccava il compito di badare a vecchi e bambini, alla casa, alla terra e agli animali. Le più scaltre sapevano remare e pescare usando una piccola rete: la sciabica. Il mare dell'isola è da sempre rinomato per la sua pescosità e in quegli anni era talmente ricco che si poteva prendere una mormora (pesce tipico dei suoi fondali sabbiosi) usando semplicemente un amo arrugginito e un pezzo di pane secco. Una volta in spiaggia le donne si sedevano in cerchio e nel buio cominciavano a pregare: nove Padrenostro, nove Ave Maria e nove Gloria al Padre; questa la sequenza di una ”orazione”; la preveggenza delle nostre antenate.

Una forma divinatoria popolana atta a chiedere un segno o un sogno premonitore, un responso. Madri, mogli, sorelle bramavano conoscere la sorte dei loro cari in guerra. La più esperta, Donna Matilde, interpretava il segno colto. Un movimento di gabbiano, un bagliore improvviso, una sonorità nella notte e lei, da saggia sibilla, divinava.