di Livia Capasso

Palazzo Massimo fu costruito tra il 1883 e il 1887, per volontà del padre gesuita Massimiliano Massimo, in stile neorinascimentale dall’architetto Camillo Pistrucci, nell’area dove sorgeva la cinquecentesca villa Montalto-Peretti, passata poi di proprietà ai principi Massimo.

Il palazzo, sede di un collegio d’istruzione fino al 1960, è stato acquistato e restaurato dallo Stato italiano e inaugurato come sede museale nel 1998.
L'esposizione si articola nei quattro piani. Nel piano interrato si trovano la Sezione Oreficeria e la Sezione Numismatica, dove è esposta una collezione, che va dalle origini nel VII secolo a.C., al conio della moneta fino ai prototipi dell'Euro. Nella sala intitolata “Il lusso a Roma” si possono ammirare sfarzosi corredi funerari e preziosi gioielli rinvenuti nel Tevere e nel sottosuolo urbano.
Eccezionale interesse, fra gli altri, riveste il corredo funerario della bambina di Grottarossa, unica documentazione a Roma del rito dell’imbalsamazione. La mummia è quella di una bambina di circa otto anni, risalente al II secolo d.C. circa, ritrovata sulla via Cassia all'interno del suo sarcofago. Originaria probabilmente dell'Italia settentrionale o centrale, di famiglia agiata, la bambina aveva sofferto di infezioni e carenze nutrizionali, ma la causa della morte dovette essere una fibrosi pleurica, come risulta dalle analisi effettuate. Coperta da una pregiata tunica di seta cinese, era ornata da una collana in oro e zaffiri, due orecchini d'oro e un anello su cui, in oro, è incisa una vittoria alata. Nel sarcofago a farle compagnia è stata trovata una bambola in avorio alta 16,5 cm con braccia e gambe articolate, un po’ come le moderne Barbie, e ancora vasetti di ambra e amuleti.

Nelle sale del piano terra sono esposti splendidi originali greci rinvenuti a Roma, della statuaria antica, dall'età repubblicana all'epoca della dinastia Giulio-Claudia e la ritrattistica coeva.

Niobide morente
La statua, un originale greco del 440-430 a.C, di autore sconosciuto, trovata negli Horti Sallustiani, raffigura una giovane donna che, colpita a morte alle spalle da una freccia, cade in ginocchio, mente tenta di estrarla. Vi si può identificare una delle figlie di Niobe, la mitica regina madre di sette figli che osò vantarsi di essere più prolifica di Latona e per questo fu punita da Apollo e Artemide con l’uccisione dei suoi figli e delle sue figlie. La fanciulla morente ha la testa rovesciata all’indietro, gli occhi spalancati rivolti verso l’alto e la bocca dischiusa; i capelli sono divisi in due bande da una discriminatura centrale e trattenuti da una fascia. L'opera è originale e ed è ritenuta appartenente alle figure del frontone del tempio di Apollo a Eretria; sarebbe dunque una delle numerosissime opere portate a Roma dalla Grecia come bottino di guerra e che tanta parte ebbero nel diffondere a Roma la cultura e lo stile greco.
Interessantissima a Palazzo Massimo è la ritrattistica. I numerosissimi esemplari, anche originali, che ci sono giunti, hanno permesso una valutazione molto approfondita di questo genere artistico. Volti di uomini e donne sbucano dal passato e sembrano fissarci: sono persone comuni, soldati, atleti, ma anche imperatori, figure dell’entourage imperiale o della classe patrizia. Il periodo repubblicano fu caratterizzato da una esasperazione della realtà: un crudo verismo mette in evidenza calvizie, rughe, nasi e labbra dalle fogge irregolari, e impietosamente sottolinea i segni del tempo; con l’età augustea invece si diffuse lo stile classico e i ritratti vennero improntati ad una maggiore idealizzazione, pur non mancando di spunti realistici.
Nella galleria di ritratti femminili troviamo ritratti di donne ignote, anziane o giovani, un ritratto di Saffo, due ritratti dell’imperatrice Livia, un ritratto di Agrippina minore, uno di una principessa Giulio-claudia, altri personaggi femminili dell'età degli imperatori Flavi e Antonini, (Crispina, Plotina, Faustina minore ..) e infine personaggi femminili del II-IV sec. d.C.

Ritratto di Saffo
In base a numerose repliche che ritraggono la celebre poetessa di Lesbo con la stessa pettinatura, si ritiene che questo splendido ritratto immortali le sembianze di Saffo (612- 580 a.C.). Questa testa, in marmo bigio morato, è forse una replica moderna del XVI o XVIII secolo, ma potrebbe anche essere una scultura antica  rilavorata e rilucidata: la poetessa, dai lineamenti regolari e una bocca carnosa, ha i capelli raccolti in una elaborata acconciatura, quasi una cuffia, mentre due boccoli le pendono ai lati del volto.

La grande varietà di ritratti femminili, presenti a Palazzo Massimo, ci permette di approfondire la nostra conoscenza della moda femminile di acconciare i capelli. Le donne romane in epoca repubblicana coprivano il capo con veli o mantelli, quando uscivano di casa; ma in epoca imperiale tolsero il velo e adornarono le chiome in vario modo: acconciavano i capelli in complicatissimi riccioli, o lunghe trecce, innalzate sulla sommità della testa come delle torri, il tutto ornato con diademi, coroncine e spilloni, o rinforzato da capelli posticci.

Ritratto di Livia
L’imperatrice Livia, in questo ritratto, porta un grosso boccolo sulla fronte, ai lati capelli ondulati e trecce raccolte dietro la nuca. Niente di elaborato; le donne dell’epoca seguirono la sua semplicità, ma alla sua morte si scatenarono: ricciolini a ciocche pendenti o inamidati incorniciano i visi, anellini e fasce spuntano tra le onde, rotoli di trecce scendono sul collo, o sono avvolte dietro la nuca e ancora boccoli allineati perfettamente con giri regolari.

Livia Drusilla Claudia (Roma, 58 a.C. – 29 d.C.), fu la seconda moglie dell'Imperatore Augusto e visse negli anni della trasformazione di Roma da Repubblica a Impero. Rappresentò per le matrone romane un modello di dedizione ai valori tradizionali. Certamente fu una grande figura storica. In una società conservatrice e maschilista Livia seppe affermarsi come personaggio pubblico, gestendo una propria sfera d'influenza riconosciuta e pretendendo il riconoscimento della sua presenza imperiale accanto al consorte. Per mezzo secolo fu la sposa perfetta: sobria, austera, nemica del lusso e dei vizi, secondo i dettami moralistici della restaurazione augustea. Obbediva ciecamente a tutti i desideri del marito, affiancandolo e sostenendolo in ogni momento. Lo accompagnava anche negli spostamenti nelle varie parti dell’impero, sempre presente in momenti di grande responsabilità. Ciononostante, alcuni storici, come Tacito e Svetonio, ci hanno restituito un'immagine di donna maligna e prepotente, una donna intrigante e senza scrupoli, capace di uccidere pur di spianare la strada verso il trono al figlio Tiberio. Certamente fu una donna molto scaltra, una “Ulisse in gonnella”, come la definì il nipote Caligola, ma fu anche una donna colta, perfino naturalista e salutista. Con le sue erbe continuò a mantenersi in buona salute fino a ottantasei anni.
Livia Drusilla, prima imperatrice di Roma, fu certamente, esempio dell’avanzata delle donne nella storia del genere umano.

Al primo piano di Palazzo Massimo sono esposti altri celebri capolavori della statuaria, tutti di età imperiale e Flavia.

Afrodite accovacciata
É una copia romana, marmorea e senza braccia, di una scultura bronzea di Doidalsa, databile al 250 a.C. circa e oggi nota solo da copie. Doidalsa rappresentò Afrodite in una posa originalissima, accovacciata sulle ginocchia, mentre si prepara a ricevere l'acqua del bagno sacro, sull’esempio dell'Afrodite Cnidia di Prassitele. La diversa inclinazione delle gambe, la schiena piegata, la testa ruotata con grazia verso sinistra, mostrano la dea in un atteggiamento umanizzato, lontano dalle atmosfere di idealizzazione ultraterrena delle opere del precedente periodo classico, e più rispondente al clima culturale dell’Ellenismo.

Fanciulla di Anzio
É stata rinvenuta nella Villa Imperiale, detta di Nerone, ad Anzio, dopo una mareggiata nel 1878. Raffigura una fanciulla mentre avanza rivolta verso sinistra, vestita di chitone e imation, che tiene arrotolato, per non inciampare. Appoggiandosi sulla gamba sinistra, porta un vassoio contenente degli oggetti votivi: un rotolo semiaperto, un ramo d'alloro e un oggetto del quale rimangono solo due piedi a forma di zampa di leone. Alcuni studiosi ritengono che si tratti di una copia romana di un perduto originale ellenistico in bronzo, mentre altri (e questa oggi è la tesi prevalente) ritengono che si tratti di un pregevole originale ellenistico del III secolo a.C., basandosi sull'altissimo livello qualitativo dato dalla scioltezza del panneggio e dalla naturalezza della posa. Per quanto riguarda l'identificazione potrebbe trattarsi di una sacerdotessa, ma è più probabile che si tratti di una giovane fanciulla che si appresta a partecipare a un rito sacro.

Al secondo piano pareti affrescate e mosaici pavimentali ricostruiscono la decorazione di prestigiose residenze romane, tra le quali spicca il giardino dipinto della Villa di Livia a Prima Porta.
Databile intorno al 30-20 a.C. ricopriva le pareti di una sala semi-sotterranea, per questo per duemila anni preservatosi dalle ingiurie del tempo e degli uomini, probabilmente un fresco triclinio per banchetti estivi. Il grande sito archeologico fu rinvenuto nel 1863 sulla via Flaminia, nei pressi del Tevere (all'altezza di Prima Porta). La villa è chiamata ad gallinas albas, perché qui Livia vi allevava delle bianche galline: una curiosa leggenda vuole che un'aquila abbia fatto cadere sul grembo di Livia, al tempo delle sue nozze con Augusto, una gallina bianca con un rametto di alloro nel becco. Consigliata dagli aruspici, Livia allevò la gallina e la sua discendenza e piantò il rametto che generò un boschetto di alloro. La decorazione della sala, ad affresco, appartenente al secondo stile, presenta con colori e dettagli straordinari una varietà di piante e di uccelli naturalisticamente riprodotti. Numerose sono le specie botaniche individuate: il pino, la quercia, l’abete; oltre un recinto marmoreo meli cotogni, melograni, mirti, oleandri, palme, allori, lecci, bossi, cipressi, edera e acanto. Nel prato sotto gli alberi fioriscono rose, papaveri, crisantemi e camomilla, mentre nei vialetti in primo piano si alternano felci, violette e iris. Le specie vegetali sono 23 e quelle avicole ben 69. Ma la verosimiglianza dei dettagli non deve trarci in inganno, questo non è un giardino reale, bensì un luogo incantato: infatti vi si possono trovare specie che non fioriscono nello stesso periodo dell'anno. In seguito ai danni della seconda guerra mondiale si decise per il distacco degli affreschi, un'operazione che fu eseguita, nel 1951-1952, a cura dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro (ICR); da allora sono conservati nel Museo nazionale romano, oggi nella sezione di palazzo Massimo alle Terme.