Assenze modenesi

Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

Assenze illustri nella toponomastica femminile modenese

Noi di “Toponomastica Femminile” abbiamo l’abitudine ormai inveterata di verificare quanti sono i toponimi dedicati alle donne in qualunque città ci troviamo. Sappiamo che la percentuale nazionale si aggira intorno al 3-4% e che ci sono tanti Comuni in cui la presenza di toponimi femminili è quasi nulla o assente addirittura. Siamo curiose di vedere quali figure femminili vengono ricordate, siano esse di larga fama o sconosciute ai più, e ci interessa conoscere le biografie delle donne che vengono celebrate.
Ci piace vedere che a Modena, ad esempio, si ricordano Enrichetta Castiglioni, una patriota del Risorgimento morta per amore, una grande medica, Fausta Massolo, ancor oggi amata e rimpianta, tante partigiane (come Gabriella Degli Esposti, Gina Borellini, Irma Marchiani, Caterina Zambelli), musiciste, attrici e molte Sante.
Questa volta però vogliamo soffermarci sulle tante donne che nella toponomastica modenese non ci sono.

L’assenza forse più incomprensibile è quella di Tarquinia Molza.
Nata a Modena il 1 novembre 1542, Tarquinia Molza fu definita “la più dotta fra tutte le più illustri matrone che sono, che furono e che in avvenire saranno”. Studiò il greco, il latino e l’ebraico, la poesia, la filologia, la filosofia e la musica. Nel 1560 sposò il conte Paolo Porrino e, alla sua morte nel 1579, disperata, si trasferì da Modena alla corte estense di Ferrara, dove fu per 12 anni damigella d’onore delle sorelle del Duca Alfonso. A Ferrara frequentò fra gli altri eruditi Torquato Tasso, che le intitolò un dialogo. Nel periodo ferrarese, Tarquinia Molza partecipò anche al Concerto delle Dame, istituito dalla Duchessa Margherita Gonzaga d’Este, e la sua voce “soavissima” e la sua abilità nel suonare il liuto furono unanimemente apprezzati. Spostatasi a Roma, il senato romano le conferì la cittadinanza onoraria, paragonandola a Saffo e Corinna. Rientrò a Modena, dove morì l’8 agosto 1617. Molteplici le sue opere, che spaziano dalla poesia alla musica alla letteratura. Fino al 1945 a Tarquinia Molza era intitolata la strada di Modena che dalla via Berengario porta in viale F.M.Molza (letterato e umanista, che di Tarquinia era il nonno). Nel dicembre 1945 il toponimo fu sostituito con l’attuale “via Bono da Nonantola”, probabilmente per evitare la confusione fra due toponimi simili. Fino al 1898 fu intitolata a Tarquinia Molza la Scuola Normale privata finanziata per beneficenza dai coniugi modenesi Corazziari. Quando nel 1898 nacque la Civica Scuola complementare, e la scuola privata chiuse, nessuno si ricordò più di lei e di Tarquinia Molza, a Modena, oggi resta solo una lapide nella navata sinistra del Duomo.

Un’altra assenza che si nota è quella di Teresa Ricci Menafoglio.
La marchesa Menafoglio era moglie di Giuseppe Ricci, guardia nobile d’onore del Duca e cavaliere dell’ordine dei SS.Maurizio e Lazzaro, che nel 1832 fu fatto giustiziare da Francesco IV per una supposta congiura antiducale, in realtà mai organizzata. Al momento dell’esecuzione della condanna, Teresa Menafoglio aveva otto figli ed era in attesa del nono. Nel 1848 chiese al Governo provvisorio di rivedere il processo e di riabilitare il nome del marito, giustiziato innocente, come dimostrato anche dalle memorie del capo della Polizia del Duca, Girolamo Riccini. Il conte Riccini , invidioso dello stretto rapporto fra il Ricci e il Duca oppure, secondo altri, per questioni di donne, pagò infatti tre individui affinché accusassero falsamente Giuseppe Ricci di tramare contro Francesco IV. Giuseppe Ricci fu quindi ingiustamente accusato di aver programmato l’uccisione del duca nella chiesa modenese di S.Pietro, il sequestro della duchessa, il disarmo delle guardie e la ribellione militare e venne fucilato vicino al cimitero di S.Cataldo di Modena. Solo il 6 marzo 1865 Teresa Menafoglio ottenne dal nuovo Stato italiano la completa riabilitazione del marito, con una sentenza che riconosceva il conte Riccini colpevole di calunnia e abuso di potere e lo rinviava alla Corte d’Assise, ordinandone l’arresto. Il conte Riccini era però morto tre giorni prima a Venezia. Teresa Menafoglio, assolto finalmente il compito che si era data, poté spegnersi serenamente pochi mesi dopo, il 26 giugno 1865. Ma nulla a Modena ricorda questa coraggiosa donna che lottò fino alla fine della sua vita per la riabilitazione del marito.

Ci piacerebbe anche che fosse ricordata Lucrezia Beniamini, una ragazzina dal tragico destino, vittima dei soprusi del potere.
Nacque intorno al 1537 da Francesco e Veronica Seghizzi, discendenti di onorate famiglie modenesi. Aveva poco più di quattordici anni quando di lei si invaghì Ferrante Trotti, a quel tempo Governatore di Modena per conto dei Duchi d’Este. Con la promessa di sposarla, il Trotti riuscì ad ospitare Lucrezia a palazzo, poi, dopo averla sedotta, alle sollecitazioni della famiglia giurò di non avere mai promesso il matrimonio. Fuggì poi a Ferrara dove ribadì al Duca Ercole II di non voler sposare la ragazza. Forte dell’appoggio del Duca, Ferrante Trotti tornò a Modena e fece imprigionare il padre di Lucrezia, liberandolo poi dietro promessa che non avrebbe mai più avanzato pretese di matrimonio per la figlia. Lucrezia partorì verso la metà del 1552 il figlio di Trotti, che però nacque morto. Poco dopo, il 20 agosto 1522, per le conseguenze del parto morì anche Lucrezia: aveva solo 15 anni e 4 mesi. Fu sepolta nella chiesa di S.Margherita a Modena, dopo solenni funerali. Il Trotti non fu mai punito e continuò la sua carriera. Nel dicembre 1552, dopo soli quattro mesi dalla morte di Lucrezia, sposò la nobile ferrarese Anna Turchi.

E che dire di Alfonsina Strada , la prima donna ciclista d’Italia?
Alfonsina Morini era nata a Castelfranco E. nel 1891. Avversata dalla famiglia per la sua passione così poco “femminile” per il ciclismo, nel 1905, ad appena 14 anni, sposò Luigi Strada, che invece l’appoggerà sempre, fin da quando, nel giorno del matrimonio, le regalò una bicicletta da corsa. Forse per questo Alfonsina si fece sempre chiamare con il cognome del marito. Trasferitasi a Milano, cominciò ad allenarsi con il marito e nel 1924 venne ammessa al Giro d’Italia, da cui però fu esclusa perché, vittima di numerose cadute, nella tappa L’Aquila-Perugia arrivò fuori tempo massimo. Ma il pubblico portò in trionfo questa donna eccezionale che, grazie a finanziatori privati, proseguì il Giro, fino ad arrivare al traguardo finale di Fiume fra i trenta ciclisti rimasti dei 90 che erano partiti. A 47 anni, nel 1938, Alfonsina Strada conquistò anche il record femminile dell’ora, con 35,28 km.
Rimasta vedova, si risposò con un altro ciclista, Carlo Messori, con il quale proseguì l’attività sportiva, per poi dedicarsi alla cura del negozio di biciclette e dell’officina di riparazioni del marito. Alfonsina Strada morì a Milano nel 1959, colpita da infarto mentre tentava di avviare la sua Moto Guzzi 500, con cui, causa l’avanzare dell’età, aveva da poco sostituito l’amata bicicletta. E a Modena nulla la ricorda.

Chiudiamo quindi con un’altra singolare assenza, quella della musicista Carmen Bulgarelli Campori.
Soprano, compositrice, concertatrice e direttrice d’orchestra, nacque a Modena nel 1910.
Iniziò una promettente carriera come soprano, che però dovette interrompere per problemi alle corde vocali. Si dedicò quindi alla composizione e alla direzione d’orchestra, salendo sul podio per 500 volte nei massimi teatri del mondo. Solo in Italia, anche se fu definita “la quintessenza della musicalità”, fu chiamata a dirigere in pochissime occasioni.
Sposata con il marchese modenese Egidio Càmpori, quando si ritirò dalle scene si stabilì a Incisa Val d’Arno (FI), dove morì nel 1965. A Modena non la conosce nessuno né mai si è posto il problema di ricordarla in qualche modo.

Che dire a conclusione? Auspichiamo che la nuova Commissione Toponomastica di Modena, appena nominata, ponga rimedio ad un silenzio così assordante, dedicando maggiore attenzione alle donne che hanno dato lustro alla città e all’Italia, a cominciare da Rita Levi Montalcini, una delle due sole donne italiane premio Nobel, che attende dal 2013 le sia dedicato un toponimo.