Modena: diversa ma uguale

La provincia di Modena: diversa ma uguale

 

In tema di Toponomastica femminile, la provincia di Modena (come pure l'Emilia Romagna nel suo complesso) non si distingue dal resto d’Italia: su un totale di 10.514 toponimi, quelli dedicati agli uomini sono 4.708, pari al 44,77%, quelli dedicati alle donne soltanto 245, cioè il 2,33% del totale.

Anche analizzando i dati relativi solo ai 4.953 toponimi dedicati alle persone (escludendo cioè i nomi geografici, naturalistici, di fantasia ecc.) i toponimi “al femminile”, in provincia di Modena, sono soltanto il 4,94%.
Come noto, la Regione Emilia Romagna ha istituto l'Archivio Regionale delle Strade, pubblicato sul sito della regione stessa, cosa che ha semplificato di molto il lavoro, consentendo di censire tutti i comuni presenti sul territorio regionale.
In provincia di Modena sono stati così censiti tutti i 47 comuni (compresa la città di Modena). A parte Modena, solo sette comuni superano i 20.000 abitanti, mentre la maggioranza (27 comuni) si attesta sotto i 10.000 e addirittura due hanno meno di 1.000 residenti.

Nonostante le diverse dimensioni, i comuni modenesi, dal punto di vista toponomastico, hanno però caratteristiche pressoché simili, dimostrando che il pregiudizio nei confronti delle donne va al di là delle dimensioni, dell'orografia, degli orientamenti politici.
Innanzitutto, nessun comune raggiunge né tantomeno supera mai il 5% di toponimi femminili; a questa soglia si avvicinano solo i comuni di Camposanto, Castelnuovo Rangone, Fiumalbo, Nonantola, San Felice sul Panaro e Savignano sul Panaro, mentre ci sono comuni con punte di poco superiori allo zero (ad esempio Guiglia con lo 0,57% di toponimi femminili) e addirittura 4 comuni (Bastiglia, Marano sul Panaro, Polinago e S.Possidonio) che non hanno nemmeno un toponimo femminile.

La maggioranza dei comuni modenesi (21) si attesta sotto il 2%, mentre il comune più “virtuoso” nei confronti delle donne è San Felice sul Panaro, che si colloca al 4,92%. Balza agli occhi anche il caso di Maranello, comune di quasi 17.000 abitanti, il cui sindaco da anni è una donna e ha una delle percentuali più basse dell’intera provincia, lo 0,76%. D’altra parte, il numero dei sindaci donna nei comuni modenesi è esso stesso indicativo, poiché sono 10 su 47 comuni e nei comuni governati da donne la percentuale dei toponimi femminili non presenta significative variazioni rispetto alla media provinciale. Hanno infatti un sindaco donna il comune di Guiglia, come detto il comune con la minore percentuale di toponimi femminili, il comune di Marano sul Panaro, che non ne ha nessuno, il comune di Montefiorino (1%), il comune di Novi di Modena (1,16%), il comune di Serramazzoni (1,3%), il comune di Vignola (1,03%).
Non si riscontrano grandi differenze nemmeno fra comuni grandi e piccoli: ad esempio, Modena (184.600 abitanti) ha la stessa percentuale di toponimi femminili (il 2,47%) di Palagano, che ha solo 2.400 abitanti, e di Zocca, che di abitanti ne ha 5.000.
Percentuali pressoché identiche si hanno anche fra comuni montani e comuni della pianura; ad esempio Bomporto, Campogalliano e Finale Emilia, che sorgono in pianura, hanno la stessa percentuale di toponimi femminili (l’1,9%) di Frassinoro, che è il più alto dei comuni montani modenesi.
Non si riscontrano grandi differenze nemmeno analizzando dal punto di vista politico la realtà modenese; i comuni attualmente amministrati dal centro-destra, come Montecreto e Serramazzoni, hanno la stessa percentuale di toponimi femminili (fra l’1,2 e l’1,3%) di comuni amministrati dal centro-sinistra come Prignano sulla Secchia e Lama Mocogno. La stessa Soliera, nota come il comune più “rosso” d’Italia, in cui il voto al P.C.I. ha sempre raggiunto percentuali superiori al 60%, ha solo l’1,5% di toponimi femminili.
Nemmeno la lontananza dal capoluogo risulta essere una discriminante rispetto alla percentuale di toponimi femminili: il comune più lontano da Modena (Fiumalbo), che sorge nel cuore dell’Appennino modenese e ha appena 1.300 abitanti, presenta una delle percentuali più alte dell’intera provincia, pari al 4,44%.

Prima di analizzare le varie tipologie di donne presenti negli stradari modenesi, corre l’obbligo di segnalare un certo provincialismo, data la pressoché totale mancanza di donne non italiane. Sono infatti soltanto 8 le donne straniere ricordate: una Beata (Madre Teresa di Calcutta, che ha 5 toponimi dedicati), 4 figure storiche e politiche (Anna Frank, Anna Kuliscioff, Rosa Luxemburg, Maria Josè principessa del Belgio), una scienziata (Marie Curie), una donna di spettacolo (Maria Callas) e una letterata (Gabriela Mistral).

Passando ad esaminare la tipologia dei nomi femminili utilizzati, si riscontra il maggior numero di presenze di origine religiosa; sommando Madonne (28 toponimi), Sante/Beate/Martiri (48 toponimi) e Suore (4 toponimi) si arriva a un totale di 80, pari al 31,65% di tutti i toponimi femminili della provincia. È un dato abbastanza singolare, che sembra in netto contrasto con la tradizione laica della provincia modenese, se non si ricorda che comunque l’Italia non è più quella di “Libera Chiesa in libero Stato”, come diceva Cavour, ma piuttosto quella del Concordato e degli insegnanti di religione cattolica scelti dal Vescovo e pagati dallo Stato...
Fra le Sante, spicca per numero di presenze Santa Liberata, che la tradizione vuole vissuta tra Francia e Spagna e le cui reliquie sarebbero conservate in Spagna: le sono dedicati ben 6 toponimi.
Due sole sono le Sante di origine locale: Santa Clelia Barbieri, che prima della morte a 23 anni fondò le suore minime dell’Addolorata, e la Beata suor M. Rosa Pellesi, delle Francescane Missionarie di Cristo, che era originaria di Prignano sulla Secchia.

Il secondo gruppo in ordine di importanza è quello delle Figure storiche e politiche (53 toponimi), testimonianza forse del fatto che in provincia di Modena la partecipazione delle donne alla vita politica è da tempo maggiore che in altre realtà. Spiace però dover segnalare che in tutta la provincia non c'è nemmeno una strada dedicata a Bice Ligabue, membro della segreteria della Federazione modenese del Partito Comunista d'Italia nel 1921 (cosa più unica che rara in quegli anni, per una donna), che partecipò nel 1924 al Congresso dell'Internazionale Comunista a Mosca, come testimoniato da preziose documentazioni fotografiche.
Fra le donne di questa categoria è da segnalare la presenza di due donne risalenti al Medioevo: la Marchesa Beatrice di Lorena e sua figlia Matilde di Canossa (6 toponimi), dato che il Marchesato di Canossa sorgeva in provincia di Reggio Emilia, a pochi chilometri dal confine con Modena.
Spicca anche la quasi totale assenza di donne del recente passato. Sono pochissime infatti le donne vissute nella seconda metà del secolo scorso. Una è Nilde Iotti (1920-1999), Presidente della Camera fra il 1979 e il 1992, la più longeva dei Presidenti della Camera di tutti i tempi e la prima Presidente donna. L’on. Iotti è stata molto amata dai modenesi anche perché, insieme al suo compagno Palmiro Togliatti, adottò Marisa Malagoli, sorella di uno degli operai uccisi dalla Celere durante uno sciopero alle Fonderie di Modena il 9 gennaio 1950. L’altra è Carla Gozzi, ricordata a Concordia, che insieme al fidanzato fu vittima della strage fascista della stazione di Bologna il 2 agosto 1980.
Una singolare figura di donna attiva nella politica modenese del secondo dopoguerra è infine quella di Elena Tosetti, sindaco di Fanano dal 1946 al 1950, il primo sindaco donna d'Italia. Molto stimata in paese, si trovò a gestire una situazione disastrosa: il paese semi-distrutto dalla guerra, il bilancio dissestato, anagrafe e archivio persi sotto i bombardamenti, un'altissima disoccupazione. Mentre si occupava della ricostruzione di Fanano, non trascurò l’infanzia, il potenziamento della scuola (la madre era maestra) e la valorizzazione della vocazione turistica del paese. Nel settembre 1950, a seguito di una denuncia anonima, venne sospesa dalla carica di sindaco e si ritirò dalla vita politica. Solo nel 1957 –a pochi giorni dalla morte– venne dimostrata la totale infondatezza delle accuse che le erano state rivolte. Nel 1947 la “Domenica del Corriere” pubblicava una delle consuete tavole di Walter Molino che ritraeva Elena Tosetti che spalava la neve in una strada del suo paese. La didascalia che accompagnava l’illustrazione recitava: “Una donna dà l’esempio... In un paese dell'Appennino il Sindaco –che è una donna– non trovando uomini che si prestassero per poca mercede alla spalatura, scendeva per strada con gli impiegati comunali e si metteva energicamente al lavoro ”.

Tutte le altre figure femminili di ambito storico e politico risalgono come si diceva al periodo della II guerra mondiale, con una forte presenza delle donne protagoniste della lotta antifascista e partigiana.
Sono infatti 22 i toponimi dedicati a donne vittime della guerra nazifascista e/o partigiane, con la significativa presenza di ben 8 toponimi dedicati a Gabriella Degli Esposti.
Partigiana modenese, Gabriella Degli Esposti partecipò fin dall'inizio alle attività della Resistenza, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia il 17 dicembre 1944. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Viene ricordata anche un'altra partigiana modenese insignita di Medaglia al V.M., la venticinquenne Umbertina Smerieri di Mirandola. Attiva nella Divisione II Modena “Pianura”, Brigata “Remo” (nonostante fosse già madre), catturata, torturata e poi fucilata dalle brigate nere. Medaglia d’argento al V.M. con la seguente motivazione: “Giovane partigiana, catturata nell'esercizio delle sue pericolose funzioni, per 15 giorni resisteva alle insidie e torture del nemico. Cadeva, infine, per fucilazione, in eroico incrollabile silenzio ”.
Alla partigiana Gina Borellini, a cui la strada è stata intitolata il 2 giugno scorso e non dal suo comune di origine, è stato invece riservato un destino diverso. Nata da una famiglia di agricoltori di San Possidonio, si sposa a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l'8 settembre 1943, partecipa attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944, insieme al marito, viene catturata, arrestata e torturata dai fascisti. Dopo la fucilazione del marito entra nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, viene ferita e perde una gamba. Nel 1946 viene eletta al consiglio comunale di Concordia. Nel 1948 viene eletta in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. È Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura. Ha fatto parte della Commissione Difesa della Camera. È tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra dal 1960 al 1990. È stata insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare e del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana. È scomparsa nel 2007.
Quattro toponimi sono dedicati infine ad un’altra partigiana, Irma Marchiani, originaria di Firenze e caduta a Pavullo nel Frignano. Staffetta partigiana e poi vicecomandante del battaglione Matteotti della Divisione Garibaldi Modena, viene catturata dai tedeschi nella battaglia di Montefiorino. Destinata alla deportazione in Germania, riesce ad evadere e a rientrare nei ranghi della Resistenza. In seguito alla nuova cattura durante la battaglia di Benedello, viene fucilata il 26 novembre 1944. Le è stata assegnata la Medaglia d’oro al Valor Militare.
Per concludere l’analisi di questa categoria, è doveroso ricordare le Staffette Partigiane (a cui sono dedicati 3 toponimi), in una provincia in cui la partecipazione delle donne alla Resistenza fu un fenomeno di grande rilievo. Su un totale di oltre 19.000 combattenti, nella provincia di Modena furono infatti circa 2.000 le donne coinvolte a vario titolo nella guerra di liberazione.

Un’altra categoria abbastanza ben rappresentata è quella delle letterate, con 45 toponimi, fra cui la più ricordata è Grazia Deledda, con 15 toponimi. Non sono praticamente presenti letterate modenesi, se si escludono le semisconosciute poetesse Isabella Gabardi Brocchi Rossi (di origini fiorentine, ma diventata cittadina di Carpi per matrimonio) e M. Barbara Tosatti, nata a Camposanto, ma vissuta a Roma.
Sono molto presenti in questa categoria le educatrici (maestre, pedagoghe ecc.); fra i 6 toponimi, oltre a Maria Montessori e Rosa Agazzi, è presente la maestra Marcella Panini, a cui il comune di Formigine ha dedicato una strada semplicemente per il suo essere stata per molti anni l’amatissima maestra del paese.

Tutte le altre categorie sono presenti in provincia di Modena in modo residuale. Nove sono le donne di spettacolo, con una prevalenza di cantanti liriche, il che è normale, vista la tradizione musicale dell'Emilia. Sette i toponimi dedicati alle scienziate, di cui 4 intitolati a Marie Curie e uno solo ad una modenese, Luisa Guidotti Mistrali, medico missionario che fu uccisa in Rhodesia nel 1979 durante la guerra civile.
Sette sono anche i toponimi dedicati alle donne lavoratrici, imprenditrici o artigiane, a conferma di un ruolo sociale riconosciuto alle donne in provincia di Modena. Il toponimo più presente in questa categoria è quello dedicato alle mondine, presenti in tre comuni, a ricordo delle centinaia e centinaia di donne (anche giovanissime) che dal modenese si spostavano nelle zone risicole del Nord Italia per la monda del riso, che fino agli anni ’50 era effettuata interamente a mano. Un toponimo è dedicato alle rezdore, termine dialettale modenese che significa “le reggitrici”, cioè le donne che, in una società contadina patriarcale e maschilista, gestivano l’economia familiare con autonomia decisionale e spesso con un ruolo di vero e proprio capo-famiglia. Del tutto peculiare è la presenza di due toponimi dedicati alle trecciaiole e alle magliaie nel comune di Carpi, la cui storia ci induce a parlarne insieme.
Fin dal XVI nel carpigiano è stata presente la lavorazione a domicilio della treccia di paglia per la confezione dei cappelli. La materia prima, il cosiddetto “truciolo”, era ricavato prevalentemente dal pioppo, molto diffuso nelle zone vallive e vicine al Po, e la treccia carpigiana era di tale qualità che fin dal XVII secolo riuscì ad affermarsi anche sul mercato estero (Francia e Inghilterra prima di tutto, poi America Latina, USA ed Estremo Oriente). Era un'attività a cui si dedicavano le donne, soprattutto nelle campagne, per integrare il magro bilancio familiare, e che si diffuse rapidamente, costituendo ben presto una rete produttiva capillare. Erano infatti necessarie molte professionalità diverse per arrivare alla commercializzazione del prodotto finito: da chi preparava il truciolo ricavandolo dagli alberi, a chi confezionava le trecce (le trecciaiole, appunto), a chi distribuiva il truciolo e ritirava le trecce finite, a chi cuciva insieme le trecce e confezionava i cappelli, per finire con la commercializzazione, per la quale i produttori carpigiani si appoggiavano spesso a buyers di Firenze.
L’industria dei cappelli di paglia prosperò fino alla prima parte del Novecento, e andò in crisi alla vigilia della II guerra mondiale, causa la riduzione progressiva della domanda dovuta a radicali cambiamenti di costume. Le imprese carpigiane del truciolo si trovarono così nella necessità di riconvertire la produzione, potendo però contare sulla rete produttiva nata con la treccia. Le prime sperimentazioni videro la produzione di reti mimetiche militari, retine per capelli, camicie e maglie. Erano tutte produzioni con una certa convergenza tecnologica e ci si rese conto che le conoscenze necessarie per confezionare camicie e maglie erano rapidamente acquisibili. Dal punto di vista economico, i macchinari necessari alla confezione delle camicie e alla produzione di maglie erano abbastanza accessibili anche dalle trecciaiole, che ben presto acquistarono le macchine e iniziarono le nuove produzioni al proprio domicilio. Come per la treccia, si costituì un’organizzazione del lavoro con tante e specializzatissime figure professionali. Così, al termine della guerra, il territorio carpigiano vide la nascita del distretto della maglieria, con un passaggio quasi del tutto indolore fra vecchia e nuova attività. La maglieria carpigiana, erede diretta della treccia, arriverà ad occupare oltre il 60% della manodopera locale, dando vita ad imprese ancora oggi conosciute in tutto il mondo.

Per concludere l’analisi di una provincia, come si è visto, così diversa eppure così uguale al resto d’Italia, nulla di meglio di una citazione, ovviamente di una donna. È di Maria Callas, forse la più grande cantante lirica di tutti i tempi: «Le donne non sono sufficientemente alla pari con gli uomini, così dobbiamo renderci indispensabili. Dopo tutto, abbiamo l’arma più grande nelle nostre mani: siamo donne ».