La Leonessa d'Italia - Seconda Parte

Torniamo ora sulle strade femminili di Brescia…

Un discreto spazio è riservato alle donne di spettacolo, a partire dalla notissima attrice Eleonora Duse, musa e per un periodo compagna di vita di Gabriele D’Annunzio – il quale si ritira a trascorrere gli ultimi anni della sua vita in provincia di Brescia, al Vittoriale di Gardone Riviera – oltre a ben quattro cantanti liriche: Maria Malibran, Adelina Patti, Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Giuseppe Verdi, e Adelaide Malanotte – veronese di nascita, contralto di fama per cui il giovane Rossini musica il Tancredi, per vent’anni legata sentimentalmente a un nobile bresciano e morta a Salò, in provincia di Brescia, nella prima metà dell’Ottocento.

Vie Malibran-Malanotte. Foto di Claudia Speziali

Nonostante la significativa partecipazione di donne e ragazze alla Resistenza, solo due partigiane, peraltro entrambe parlamentari della Repubblica e una addirittura eletta all’Assemblea Costituente, vengono ricordate: Dolores Abbiati e Laura Bianchini. Dolores Abbiati partecipa alla Resistenza in Val d’Ossola come staffetta nelle Brigate Garibaldi con il nome di battaglia di Lola, nel dopoguerra si iscrive alle organizzazioni giovanili comuniste e negli anni ’60 è sindacalista della Cgil. Alle elezioni politiche del 1968 è eletta al Senato ed è componente della 10ª Commissione permanente (Lavoro, emigrazione e previdenza sociale), mentre alle successive consultazioni del 1972 e del 1976 è eletta alla Camera dei deputati ed è vicepresidente della XIV Commissione (Igiene e sanità pubblica). Laura Bianchini, cui viene intitolata una via, peraltro assai periferica, solo nel 2015, è partigiana delle formazioni bianche dopo l’8 settembre 1943 e coordina la stampa del foglio clandestino Il Ribelle, oltre a essere una delle ventuno costituenti italiane e, fra loro, l’unica bresciana. Nel 1948 è eletta deputata alla Camera nel collegio di Brescia per la DC a e fa parte della Commissione Istruzione e Belle arti.

Via Dolores Abbiati. Foto di Marina Borghetti

Esistono infine odonimi quali Vicolo delle Dimesse, così denominato perché nel Seicento in alcune case del vicolo risiedevano suore laiche, chiamate appunto Dimesse, oppure Via Lavandaie del borgo, dedicata alle lavandaie di Borgo Trento, un agglomerato sorto nel XIV secolo fuori da una delle porte cittadine, Porta Pile, e incorporato nel comune di Brescia alla fine del XIX secolo.
Poche e isolate voci nel mondo politico e della stampa locale hanno sollevato negli ultimi anni il problema della macroscopica sproporzione di genere nell’odonomastica cittadina, senza riuscire ad aprire una vera discussione pubblica sul tema. C’è stato invece un dibattito ampio e assai acceso sulla questione del cosiddetto Bigio, finita addirittura sulle pagine del Guardian. Bigio è il diminutivo dialettale di Luigi e l’appellativo indica nel linguaggio popolare una statua di marmo, alta circa 7 metri, che raffigura un atleta giovane, aitante e nudo, realizzata dallo scultore Arturo Dazzi e chiamata l’Era fascista, a personificare gli ideali di ringiovanimento del regime. Nel 1932 la statua è collocata nella allora appena realizzata Piazza della Vittoria, risultato dello sventramento dell’antico quartiere del centro storico detto delle Pescherie. Nel 1945, dopo la fine della guerra e la morte di Mussolini, la statua viene fatta rimuovere dalle autorità e collocata in un magazzino comunale, nel quale rimane per quasi settant’anni, finché l’amministrazione comunale di centro-destra ne delibera la ricollocazione nella sede originaria. Di fatto il Bigio/l’Era fascista continua a restare in magazzino, poiché l’amministrazione comunale di centro-sinistra, eletta nel 2013, non ha dato seguito alla deliberazione di quella precedente. E tuttavia, sia pure un po’ in sordina rispetto ai toni estremamente accesi con cui è divampata, la polemica ancora non si è spenta.


Via Lavandaie del borgo. Foto di Marina Borghetti

Nel contempo, sommessamente, sono state avanzate alcune proposte, finora inascoltate, di intitolazioni a donne, dalle scienziate sorelle Ambrosetti alla scultrice Franca Ghitti, passando per le scrittrici Francesca Virginia Laffranchini e Giacinta Calini, che nell’Ottocento si batte per l’abolizione della pena di morte e scrive perfino un carme sull’argomento, la pittrice Rina Soldo, le musiciste Adele Bignami e Anna Seppilli, e la regista Mina Mezzadri, per arrivare alle partigiane Maria Morandini e Bruna Manera, restando in ambito locale, e poi, allargando il raggio, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Elsa Morante, Paola Levi Montalcini, Enrica Calabresi, Eva Mameli, Maria Pastori, Lydia Monti, per non citare che qualche esempio.
A Brescia vi sono più di cento vie senza intitolazione, per l’esattezza 115, denominate semplicemente “via” o “traversa” cui segue un numero ordinale. Sono principalmente le vie che si devono all’opera di padre Ottorino Marcolini, fondatore della Cooperativa “La Famiglia”, che realizza interi quartieri residenziali alla periferia di Brescia tra gli anni ’50 e ’80 del secolo scorso, quali, ad esempio, il Quartiere La Famiglia, il Quartiere Badia, il Villaggio Prealpino e il Villaggio Sereno. Seguono lo stesso criterio di “non intitolazione” e numerazione progressiva anche le vie di altri quartieri non realizzati dalla Cooperativa “La Famiglia”, come il Quartiere Abba o, parzialmente, Buffalora. L’intitolazione, oltre a contribuire alla diffusione della cultura di genere e alla visibilità pubblica delle donne, rivestirebbe anche una finalità funzionale di non poco conto; consentirebbe, infatti, di orientarsi più facilmente in quartieri caratterizzati da un’edilizia talmente omogenea da far risultare le singole vie e perfino i singoli edifici indistinguibili gli uni dagli altri, nonostante la pianta ortogonale degli agglomerati.
Varrebbe davvero la pena di dare un nome di donna a tutte queste vie, attribuendo visibilità a figure come le pittrici Adelaide Camplani e Amanzia Guerrillot, l’attrice e doppiatrice Zoe Incrocci, la psicologa e politica Angiola Massucco Costa, la discobola Ljubica Gabric-Calvesi, detta Gabre, la partigiana Maria Pippan Nicoletto, e tante altre da disseppellire dall’oblio.

continua..

La Leonessa d’Italia . Prima parte