Vittoria della Rovere

Si dice “Nomen omen”: il nome che portiamo dovrebbe indicare il nostro destino. Così verrebbe da pensare che la giovane sposa del granduca Ferdinando II de Medici, battezzata con il nome di Vittoria, abbia avuto una vita di successi e trionfi. Ma la sua esistenza non sembra riportare gloriose imprese da ricordare.

Come sottolinea il cognome, Vittoria nasce il 7 febbraio del 1622 in una delle più potenti famiglie italiane del Rinascimento, una nobile dinastia legata al territorio del Ducato d’Urbino. È la sola figlia di Federico Ubaldo della Rovere e di Claudia de’ Medici: il padre muore quando lei è ancora in fasce e, nonostante sia l’unica erede, in quanto donna non ha alcun diritto sulle terre perché il ducato di Urbino passa unicamente per via maschile. Papa Urbano VIII vuole che quei possedimenti marchigiani tornino sotto la mitra, madre e figlia fanno ritorno a Firenze, sotto l’ala protettrice dei loro parenti Medici, negli ambienti del convento della Crocetta dove vive anche la sorella di Claudia, Maria Maddalena.

Come è stato già per sua madre, anche la piccolissima Vittoria ha il destino definito: nel 1623, a soli due anni, viene promessa in sposa per verba de futuro al cugino Ferdinando, il Granduca non ancora regnante, che ha tredici anni ed è sotto la tutela di Cristina di Lorena e di Maria Maddalena d’Austria. Come sposa legittima, Vittoria potrebbe rivendicare i propri diritti sul ducato di Urbino, già appartenuto alla sua famiglia; se proprio non si riesce a ottenere tutto il ducato, le due reggenti di Toscana sperano nel Montefeltro, un territorio chiave nella politica di quelli anni. Tutte queste trame si risolvono in un nulla di fatto, o meglio Cristina e Maria Maddalena non ottengono il ritorno dei beni territoriali, ma solo che a Vittoria siano resi tutti i beni personali del nonno Francesco Maria duca d’Urbino. Sono necessari settanta carri per trasportare tutto da Urbino a Firenze nel 1631; ognuno di essi contiene tesori molto preziosi: bronzi, statue, gioielli, spade, mobili e, soprattutto, cinquantasette opere d’arte dei più grandi maestri che avevano trovato sul versante adriatico dell’Italia i loro mecenati. Così i dipinti di Raffello, Piero della Francesca, Tiziano e Bronzino confluiscono nelle collezioni medicee, oggi esposte agli Uffizi e a Palazzo Pitti.

Il matrimonio tra Vittoria e Ferdinando, concordato nel 1623, viene officiato il 1° agosto del 1634 in forma privata, celebrato in forma ufficiale tre anni dopo.
L’unione non sembra particolarmente felice né fortunata. I primi due figli della coppia muoiono infanti, la discendenza medicea sembra in pericolo ma le preoccupazioni finiscono quando nel 1642 nasce Cosimo, futuro Granduca. Il bambino sembra destinato a essere l’unico erede, gli anni passano senza nuova prole, l’incubo della continuazione della dinastia sembra tornare pericolosamente all’orizzonte fino a quando, nel 1660, non vede la luce Francesco Maria. Un fatto così particolare non poteva lasciare indifferenti i cronisti dell’epoca che, infatti, non perdono tempo e cercano una spiegazione. Si dice che un giorno Vittoria, entrando nelle stanze del marito, lo abbia sorpreso in atteggiamenti amorosi con un paggio di cui viene anche tramandato il nome, Bruto della Molara: “Accadde un giorno che essendo il Granduca in camera, si trastullava con un suo bel paggio quando, ad un tratto, sopraggiunse inaspettatamente la Granduchessa, e trovò il Granduca in tale atto”. Sembra però che Vittoria fosse già al corrente degli amori del coniuge, rivelati una sera di fronte al camino quando la donna si sarebbe presentata con una lista di uomini che “si davano agli abusi della carne”. Ferdinando, leggendola, le avrebbe risposto che all’elenco mancavano alcuni nomi e, presa una penna, avrebbe scritto a lettere minuscole il proprio nome. In seguito a questi fatti Vittoria avrebbe abbandonato per un lungo periodo il letto coniugale.

I giudizi sulla Granduchessa non furono mai teneri. Così ci viene descritta nella Biografia Universale Antica e Moderna: “Ferdinando II, dopo aver avuto da sua moglie un solo figlio, che fu Cosimo III, si era alienato da lei: l’indole trista, gelosa e superstiziosa della granduchessa Vittoria, piacer non poteva a suo marito: per mala sorte affidata le venne l’educazione del giovane Cosimo fino al sedicesimo anno, e Cosimo prese da Vittoria tutti i suoi vizj, la sua superstizione, la sua gelosia e l’avversione sua per le scienze.” Non le viene attribuito alcun pregio, anzi: moralismo intransigente, severa concezione dei costumi, impulso religioso imposto a tutta la corte. Considerata un’amante del lusso, le viene anche imputato il grande sfoggio di eleganza. La moda è il suo punto debole e fa giungere da Roma a Parigi tante e preziose stoffe, profumi, cosmetici, scarpe e ventagli in abbondanza, scatenando non poco i giudizi malevoli delle altre dame di Firenze.
Si sa, la storia è raccontata dagli esseri umani e, più in particolare, è stata scritta e riscritta dagli uomini, i loro giudizi hanno influenzato i nostri, così una patina di noncuranza si è posata sopra tante figure femminili.
Ma Talete diceva “Il tempo è il più saggio di tutti, perché svela ogni cosa” ed è proprio il tempo trascorso a rivelarci la storia di Vittoria della Rovere che, apostrofata il più delle volte come bigotta, gretta e intellettualmente non interessante, ha ricoperto invece un ruolo di mecenatismo non secondario.

Anche se non è frequente trovare notizie al riguardo, la lungimiranza e la sensibilità artistica di Vittoria è da ammirare, in particolare per il ruolo rivestito dalla musica all’interno corte, in una strategia culturale di ampio respiro. I suoi interessi verso gli ambiti artistici si sviluppano fin dall’infanzia, compresi gli allestimenti di spettacoli e feste che nel Granducato non mancano. Protegge compositori, musici e cantanti, sa tessere le loro lodi in una fitta rete di lettere indirizzate ad altrettante donne della nobiltà europea, arrivando a creare un sistema di matronage con spazi decisionali tutti al femminile. I suoi interessi musicali non prendono in considerazione solo uomini, ma anche cantantrici come Anna Lisi, Margherita Pesci e Barbara Strozzi, che le dedica il suo Primo Libro di madrigali. E non solo: anche altre artiste, pittrici e scrittrici come Maria Selvaggia Borghini trovarono in Vittoria la loro sostenitrice. Proprio lei fu protettrice dell’Accademia delle Assicurate, un’accademia totalmente femminile sorta a Siena per riunire, sotto il motto “Qui ne difende e qui né illustra l’ombra”, diverse letterate della città alcune delle quali riuscirono a pubblicare i loro componimenti.

Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata in “Memorie” nel sitowww.toponomasticafemminile.com