Catharine Van Tussenbroek
Roberta Gringeri



Laura Dumitriu

 

Albertina Philippina Catharine Van Tussenbroek, figlia del falegname Gerardus e di Cornelia Van Der Voort, nacque a Utrecht il 4 agosto del 1852. Ben presto si distinse per la sua determinazione sia negli studi, sia nella carriera lavorativa. All’inizio degli anni Settanta del XIX secolo si è dedicata con profitto all’insegnamento per poi divenire dirigente scolastica. Nonostante ciò, Catharine avvertiva dentro di sé che quella non era la strada giusta, pertanto nei primi anni Ottanta decise di iscriversi presso la facoltà di Medicina di Utrecht, ottenendo il primato di essere la prima studente ammessa. Nel 1887 portò a termine i suoi studi universitari con il massimo dei voti con la tesi Sulla secrezione di latte normale e anormale, diventando così la seconda laureata in medicina in Olanda. In seguito la giovane neolaureata decise di trasferirsi nella città di Amsterdam grazie all’incarico di assistente in ostetricia e malattie prettamente femminili presso il centro medico, gestito dal dottor Mendes De Leon, la Boerhaave Kliniek. In una conferenza pubblica, fece scalpore il suo pronunciamento a favore dell'attività professionale delle donne, al pari di quello della contemporanea Aletta Jacobs, la prima laureata in medicina nel suo Paese.

 

 

Il periodo successivo è stato importantissimo per la crescita personale e lavorativa di Catharine, al punto tale da farle ottenere prestigiosi incarichi anche al di fuori di Amsterdam. Nel 1891 ha ricoperto la carica di segretaria della Società olandese di ginecologia, un ruolo di grande rilievo per una donna che ha sempre amato il suo lavoro e le sue pazienti, ragazze e donne di ogni età. Ed è qui che entrano in gioco le sue innumerevoli battaglie; difatti ha mostrato particolare interesse verso alcune problematiche sociali come, ad esempio, nell’abbigliamento femminile, l’utilizzo dei corsetti ritenuti troppo stretti tanto da non permettere una corretta respirazione e agili movimenti. La questione è stata affrontata nell’articolo scritto per l’associazione Maandblad der, nel quale fece emergere la necessità di un vestiario più morbido e flessibile ma soprattutto comodo. O ancora, la mancanza di opportunità lavorative a causa della mentalità chiusa e bigotta dell’epoca, secondo la quale gli unici obiettivi per una ragazza dovevano essere il matrimonio, la prole, la cura della casa e della famiglia. Difatti così si espresse nel 1898, parlando su La mancanza di spirito di vita nelle nostre giovani donne e ragazze, in occasione dell'inaugurazione della prima mostra del lavoro femminile all'Aja: «Prima di tutto, credo che noi donne dobbiamo avere fiducia e rispetto in noi stesse. Credo che attraverso un lavoro diligente raggiungeremo l'indipendenza economica. L'immagine convenzionale della donna si evolverà quindi in un nuovo concetto. Come apparirà, io non oso prevederlo. Ma di una cosa sono certa: noi donne incarniamo l'ideale sia che utilizziamo la scopa, impugniamo il bisturi o ci mettiamo al timone dello Stato». Nella conferenza non mancò di criticare la posizione delle donne benestanti, deboli e svogliate, che preferivano trascorrere il loro tempo senza avere alcun obiettivo personale né aspettative. L'innata gentilezza, la disponibilità e la brillante carriera professionale della ginecologa tuttavia sono ricordate in particolar modo per la sua importante scoperta in campo medico riguardo l’esistenza delle possibili gravidanze extrauterine grazie a studi ed esami effettuati minuziosamente; all'inizio i suoi risultati, pur documentati con cura e quindi attendibili, non ebbero credito e provocarono scetticismo nell'ambiente, praticamente tutto maschile, almeno fino agli anni Venti del nuovo secolo, anche se le dimostrazioni scientifiche erano evidenti. Si occupò pure di un'altra tematica essenziale per il corpo femminile: il tumore della cervice uterina, a cui lavorò a partire dal 1902.

 

 

In seguito, è stata membro di diverse associazioni, enti pubblici, redazioni come il comitato editoriale del Dutch Journal of Medicine e il consiglio del Nederlandsche Maatschappij tot Promotion der Geneeskunst, ma pure vicepresidente e poi presidente del National Bureau of Women's Labour (1910-16). Ha ricoperto anche il ruolo di redattrice per il Netherlands Journal of Medicine e per il Netherlands Journal of Obstetrics and Gynecology. Successivamente fu membro del consiglio di amministrazione della Società olandese per l’avanzamento della medicina, dando un importante contributo come consulente per diverse riviste scientifiche con la collaborazione dei colleghi J. Blok e Ch. De Jong, con i quali pubblicò Introduction to the Study of School Hygiene (studio sull'igiene scolastica) e The Development of Aseptic Ostetricia (studio per contrastare la setticemia durante il parto) nei Paesi Bassi. Pure in ambito politico non è mancata la sua presenza, infatti è stata attivista della Society for Women’s Suffrage, un’organizzazione olandese in difesa dei diritti delle donne e a favore del diritto di voto. Come simbolo della sua adesione amava portare una spilla di velluto in onore della celebre suffragetta americana Carrie Chapman Catt (1859-1947). Nel 1917 nel suo Paese venne data finalmente alle donne la possibilità di candidarsi, mentre due anni dopo ottennero la possibilità di votare, quindi Van Tussenbroek si candidò alle successive elezioni parlamentari, ma non venne eletta. Dopo la sua morte avvenuta ad Amsterdam il 5 maggio 1925, in omaggio alla sua personalità di spicco, la dottoressa Marianne Herwerden, membro dell'Associazione olandese delle donne nell'istruzione accademica, ha creato un fondo fiduciario, lo Stichting Fonds, che ne porta il nome. Tale sostegno finanziario copre l’intero periodo della formazione delle giovani studenti più meritevoli grazie a delle borse di studio per la ricerca scientifica sia nel territorio olandese, sia all'estero.

 

Traduzione francese

 

Albertina Philippina Catharine Van Tussenbroek, fille du charpentier Gerardus et de Cornelia Van Der Voort, est née à Utrecht le 4 août 1852. Elle se distingue rapidement par sa détermination dans ses études et dans sa carrière professionnelle. Au début des années 1870, elle se consacre avec profit à l’enseignement et devient ensuite chef d’établissement. Malgré cela, Catharine sentait en elle que ce n’était pas la bonne voie, donc au début des années 80, elle a décidé de s’inscrire à la faculté de médecine d’Utrecht, obtenant le primat d’être la première étudiante admise. En 1887, elle termine ses études universitaires avec mention, elle a rédigé sa thèse sur la sécrétion du lait normal et anormal, devenant ainsi la deuxième diplômée en médecine aux Pays-Bas. Par la suite, la jeune diplômée a décidé de déménager dans la ville d’Amsterdam en tant qu’assistante en obstétrique et maladies exclusivement féminines au centre médical, dirigé par le docteur Mendes De Leon, la Boerhaave Kliniek. Lors d’une conférence publique, elle a fait sensation en faveur de l’activité professionnelle des femmes, tout comme celle de la contemporaine Aletta Jacobs, la première diplômée en médecine de son pays.

 

 

La période suivante a été très importante pour le développement personnel et professionnel de Catharine, au point qu’elle a obtenu des postes prestigieux en dehors d’Amsterdam. En 1891, elle a été secrétaire de la Société néerlandaise de gynécologie, un rôle très important pour une femme qui a toujours aimé son travail et ses patients, les filles et les femmes de tous âges. Et c’est là que ses innombrables batailles entrent en jeu; en fait, elle a montré un intérêt particulier pour certaines questions sociales telles que, par exemple, les vêtements pour femmes, l’utilisation de corsets jugés trop serrés pour permettre une respiration correcte et des mouvements agiles. La question a été abordée dans l’article écrit pour l’association Maandblad der, dans lequel elle a fait apparaître la nécessité d’un vêtement plus souple et flexible mais surtout confortable. Ou encore, le manque d’opportunités de travail en raison de la mentalité fermée et bigote de l’époque, selon laquelle les seuls objectifs d’une fille devaient être le mariage, la progéniture, la prise en charge de la maison et de la famille. En effet, elle s’est exprimée en 1898, sur le sujet du manque d’esprit de vie chez nos jeunes femmes et jeunes filles, à l’occasion de l’inauguration de la première exposition du travail féminin à La Haye : «Tout d’abord, je crois que nous, femmes, devons avoir confiance et respect en nous-mêmes. Je crois que grâce à un travail diligent, nous atteindrons l’indépendance économique. L’image conventionnelle de la femme évoluera alors en un nouveau concept. A quoi cela ressemblera, je n’ose pas le prévoir. Mais je suis sûre d’une chose : nous, les femmes, nous incarnons l’idéal, que nous utilisions le balai, que nous prenions le scalpel ou que nous nous mettions à la tête de l’Etat». Lors de la conférence, elle n’a pas manqué de critiquer la position des femmes aisées, faibles et apathiques, qui préféraient passer leur temps sans avoir d’objectifs personnels ni d’attentes. La gentillesse innée, la disponibilité et la brillante carrière professionnelle de la gynécologue sont cependant rappelées en particulier pour sa découverte importante dans le domaine médical concernant l’existence de possibles grossesses extra-utérines grâce à des études et des examens effectués minutieusement; Au début, ses résultats, bien que soigneusement documentés et donc fiables, n’eurent pas de crédit et provoquèrent le scepticisme dans l’environnement, pratiquement entièrement masculin, au moins jusqu’aux années 1920, même si les preuves scientifiques étaient évidentes. Elle s’occupe également d’une autre thématique essentielle pour le corps féminin : le cancer du col de l’utérus, sur lequel elle travaille à partir de 1902.

 

 

Par la suite, elle a été membre de plusieurs associations, organismes publics, rédactions comme le comité éditorial du Dutch Journal of Medicine et le conseil du Nederlandsche Maatschappij tot Promotion der Geneeskunst, mais aussi vice-président puis président du Bureau national des femmes travaillistes (1910-1916). Elle a également été rédactrice du Netherlands Journal of Medicine et du Netherlands Journal of Obstetrics and Gynecology. Elle a ensuite été membre du conseil d’administration de la Société néerlandaise pour l’avancement de la médecine, apportant une contribution importante en tant que consultant pour diverses revues scientifiques avec la collaboration de ses collègues J. Blok et Ch. De Jong, avec qui elle a publié Introduction to the Study of School Hygiene (étude sur l’hygiène scolaire) et The Development of Aseptic Ostetricia (étude pour lutter contre la septicémie lors de l’accouchement) aux Pays-Bas. Elle a également été membre de la Society for Women’s Suffrage, une organisation néerlandaise de défense des droits des femmes et de droit de vote. Comme symbole de son adhésion, elle aimait porter une broche de velours en l’honneur de la célèbre suffragette américaine Carrie Chapman Catt (1859-1947). En 1917, dans son pays, les femmes ont finalement eu la possibilité de se présenter, tandis que deux ans plus tard, elles ont eu la possibilité de voter, puis Van Tussenbroek s’est présentée aux élections législatives suivantes, mais n’a pas été élue. Après sa mort à Amsterdam le 5 mai 1925, en hommage à sa personnalité grandiose , le Dr Marianne Herwerden, membre de l’Association néerlandaise des femmes dans l’enseignement universitaire, a créé un fonds fiduciaire, le Stichting Fonds, qui porte son nom. Ce soutien financier couvre toute la période de formation des jeunes étudiants les plus méritants grâce à des bourses d’études pour la recherche scientifique tant sur le territoire néerlandais qu’à l’étranger.

 

Traduzione inglese

 

Albertina Philippina Catharine Van Tussenbroek, daughter of the carpenter Gerardus and Cornelia Van Der Voort, was born in Utrecht on 4 August 1852. She soon distinguished himself for his determination both in his studies and in her working career. 
At the beginning of the seventies of the nineteenth century she devoted herself profitably to teaching and then became a school leader. Despite this, Catharine felt within herself that this was not the right path, so in the early eighties she decided to enroll at the Faculty of Medicine in Utrecht, obtaining the primacy of being the first student admitted. In 1887 she completed her university studies with honors with her thesis On the Secretion of Normal and Abnormal Milk, thus becoming the second graduate of medicine in the Netherlands. Then the young graduate decided to move to the city of Amsterdam thanks to the post of assistant in obstetrics and female diseases at the medical center, run by Dr Mendes De Leon, the Boerhaave Kliniek. In a public conference, her pronouncement in favor of the professional activity of women, as well as that of contemporary Aletta Jacobs, the first doctor of medicine in her country, caused a sensation.

 

 

The following period was very important for Catharine’s personal and professional growth, to the point that she also obtained prestigious positions outside of Amsterdam. In 1891 she held the position of secretary of the Dutch Society of Gynecology, a role of great importance for a woman who has always loved her work and her patients, girls and women of all ages. And this is where her countless battles come into play; In fact, she has shown particular interest in some social issues such as, for example, in women’s clothing, the use of corsets considered too tight so as not to allow proper breathing and agile movements. The issue was addressed in the article written for the association Maandblad der, in which she highlighted the need for a softer and flexible clothing but above all comfortable. Or again, the lack of job opportunities because of the closed and bigoted mentality of the time, according to which the only goals for a girl had to be marriage, offspring, care of the house and family. In fact, this is how she expressed herself in 1898, speaking on The lack of a spirit of life in our young women and girls, on the occasion of the inauguration of the first exhibition of women’s work in The Hague: First of all, I believe that we women must have confidence and respect in ourselves. I believe that through diligent work we will achieve economic independence. The conventional image of women will then evolve into a new concept. As it will appear, I dare not foresee it. But I am sure of one thing: we women embody the ideal whether we use the broom, grab the scalpel or put ourselves at the helm of the State». In the conference, she criticized the position of wealthy, weak, and listless women who preferred to spend their time without any personal goals or expectations. The innate kindness, the availability and the brilliant professional career of the gynecologist, however, are remembered in particular for her important discovery in the medical field about the existence of possible extrauterine pregnancies thanks to studies and examinations carried out meticulously; At the beginning his results, although carefully documented and therefore reliable, had no credit and provoked skepticism in the environment, practically all male, at least until the twenties of the new century, even if the scientific demonstrations were evident. She also dealt with another essential subject for the female body: cervical cancer, which she worked on from 1902.

 

 

Later, she was a member of several associations, public bodies, editors such as the editorial board of the Dutch Journal of Medicine and the board of the Nederlandsche Maatschappij tot Promotion der Geneeskunst, but also vice president and then president of the National Bureau of Women’s Labour (1910-16). She also served as an editor for the Netherlands Journal of Medicine and the Netherlands Journal of Obstetrics and Gynecology. Later she was a member of the board of directors of the Dutch Society for the Advancement of Medicine, making an important contribution as a consultant for several scientific journals with the collaboration of colleagues J. Blok and Ch. De Jong, with whom he published Introduction to the Study of School Hygiene (study on school hygiene) and The Development of Aseptic Obstetrics (study to combat septicaemia during childbirth) in the Netherlands. She was also a political activist of the Society for Women’s Suffrage, a Dutch women’s rights and voting organization. As a symbol of her adhesion she loved to wear a velvet brooch in honor of the famous American suffragette Carrie Chapman Catt (1859-1947). In 1917, Van Tussenbroek was finally given the opportunity for women to stand, while two years later they were given the opportunity to vote, so Van Tussenbroek ran for the next parliamentary elections, but was not elected. After her death in Amsterdam on 5 May 1925, Dr Marianne Herwerden, a member of the Dutch Association of Women in Academic Education, created a trust fund, the Stichting Fonds, which bears her name. This financial support covers the entire period of training of the most deserving young students thanks to scholarships for scientific research both in the Netherlands and abroad.

 

Traduzione spagnola
Maria Carreras i Goicoechea

 

Albertina Philippina Catharine Van Tussenbroek, hija del carpintero Gerardus y de Cornelia Van Der Voort, nació en Utrecht el 4 de agosto de 1852. Desde muy pronto se distinguió por su determinación en los estudios y sucesivamente en su carrera profesional. A principios de los años 70 del siglo XIX se dedicó con provecho a la enseñanza para luego converstirse en directora de escuela. No obstante, Catharine se daba cuenta de que aquel no era su camino, de modo que a principios de los años 80 decidió matricularse en la facultad de Medicina de Utrecht, donde fue la primera mujer admitida. En 1887 terminó sus estudios universitarios con una tesis Sobre la secreción de la leche normal y anormal que obtuvo la nota máxima, convirtiéndose en la segunda mujer licenciada en Medicina en toda Holanda. Todo seguido, la recién licenciada decidió trasladarse a Ámsterdam con un cargo de ayudante en obstetricia y enfermedades estrictamente femeninas en el centro médico Boerhaave Kliniek, dirigido por el doctor Mendes De León. En una conferencia pública provocó un cierto revuelo su declaración en favor de la actividad profesional de las mujeres, como su contemporánea Aletta Jacobs, la primera licenciada en medicina de su país.

 

 

El periodo siguiente fue muy importante para el crecimiento profesional y laboral de Catharine, hasta el punto que recibió cargos de prestigio incluso fuera de Ámsterdam. En 1891, fue secretaria de la Sociedad holandesa de ginecología, papel de notable relevancia para una mujer que siempre amó su trabajo y a sus pacientes, chicas y mujeres de todas las edades. Y justamente ahí es donde entran en juego sus batallas: demostró mucho interés hacia algunos problemas sociales como, por ejemplo, el uso del corsé, que consideraba demasiado estrecho, tanto que no permitía una correcta respiración ni movimientos ágiles. Afrontó la cuestión en un artículo escrito para la asociación Maandblad der, donde abogó por la necesidad de un vestuario menos ajustado y más flexible, sobre todo cómodo. También señaló, entre otras, la falta de oportunidades laborales a causa de la mentalidad obtusa y santurrona de su época, según la cual los únicos objetivos para una chica consistían en casarse, tener hijos, cuidar de la casa y la familia. Y así lo dijo públicamente en 1898, en el documento La falta de espíritu de vida en nuestras jóvenes mujeres y chicas, en ocasión de la inauguración de la primera exposición nacional del trabajo de la mujer en La Haya: «Antes que nada creo que las mujeres debemos tener respeto y confianza en nosotras mismas. Pienso que a través de un trabajo diligente lograremos la independencia económica. La imagen convencional de la mujer se desarrollará por tanto en un nuevo concepto. Cómo será, no me atrevo a preverlo. Pero de una cosa estoy segura: las mujeres encarnamos el ideal tanto si manejamos la escoba, como si empuñamos un bisturí o nos ponemos al frente del Estado.» En dicha conferencia también criticó la posición de las mujeres acomodadas, débiles y sin motivación, que preferían transcurrir su tiempo sin ningún objetivo personal y sin expectativas. Además de por su innata amabilidad, su disponibilidad y su brillante carrera profesional, a la ginecóloga se la recuerda sobre todo por su importante descubrimiento en el campo médico sobre la existencia de posibles embarazos extrauterinos gracias a sus escrupulosos estudios y exámenes; al principio, aunque documentados con rigor y por tanto fiables, en su ambiente laboral, prácticamente solo masculino al menos hasta los años Veinte del nuevo siglo, no se dio crédito a sus resultados que fueron acogidos con escepticismo; incluso cuando las pruebas científicas eran evidentes. También se ocupó de otro tema esencial para el cuerpo femenino: el cancer de cérvix (o de cuello uterino), al que se dedicó desde 1902.

 

 

Más tarde formó parte de distintas asociaciones, entes públicos y redacciones científicas –como el comité editorial de la Revista Nacional de Medicina y la junta directiva de la Sociedad holandesa para la promoción de la Medicina (Nederlandsche Maatschappij tot Promotion der Geneeskunst)–, vicepresidenta y luego presidenta de la Asociación Laboral Nacional de las Mujeres (Nationale Vereniging voor Vrouwenarbeid) (1910-16). También tuvo el cargo de redactora para la Revista holandesa de Medicina (Tijdschrift voor Geneeskunde) y para la Revista nacional de Ginecología (Nederlandsche Vereeniging voor Gynaecologie). Más tarde fue miembra del Consejo de administración de la Sociedad holandesa para el avance de la medicina, desde donde dió un importante contributo como asesora para varias revistas científicas con la colaboración de sus compañeros, J. Blok y Ch. De Jong, con los que publicó un estudio sobre la higiene escolar y uno para contrarrestar la septicemia durante el parto en los Países Bajos. Tampoco hizo faltar su presencia en el ámbito político, donde fue activista de la Vereeniging voor Vrouwenkiesrech, una organización holandesa en defensa de los derechos de las mujeres y a favor del derecho al voto. Como símbolo de su adhesión, le gustaba llevar un broche de terciopelo en honor de la célebre sufragista Carrie Chapman Catt (1859-1947). En 1917 finalmente Holanda dio a las mujeres la posibilidad de candidarse y dos años más tarde obtuvieron el derecho al voto, de modo que Van Tussenbroek se candidó a las elecciones parlamentarias, aunque no fue elegida. Tras su muerte, que tuvo lugar en Ámsterdam el 5 de mayo de 1925, en homenaje a su destacada personalidad, la Dra. Marianne Herwerden, miembra de la Asociación holandesa de las mujeres en la instrucción académica (Vereniging van Vrouwen met een Academische Opleiding), creó un fondo fiduciario a su nombre. Semejante apoyo financiero cubre todo el periodo de formación de las jóvenes estudiantes más merecedoras gracias a unas becas para la investigación científica tanto en el territorio holandés como en el extranjero.

 

Cesina Bermudes
Sara Morelato



Laura Dumitriu

 

«Quando un parto era difficile e lungo, non voleva lasciare il fianco della donna; a volte, dormiva sul pavimento accanto a lei o in un letto di fortuna. Quando ci curava, ci ‘prestava’ qualche pillola per poter iniziare immediatamente. Tutto ciò che rimaneva le veniva poi restituito, così che potesse passarlo alle più povere tra noi». Così viene ricordata Cesina Borges Adam Bermudes da una delle sue pazienti: una donna intraprendente, con una personalità veramente innovativa per il suo tempo. Medica, ricercatrice, attivista politica e femminista, introduce in Portogallo il metodo del parto indolore. Vive in un momento storico particolare, quel XX secolo segnato da due guerre mondiali e dalla dittatura di Salazar: nulla, però, la induce ad abbandonare la sua lotta per la libertà e per una migliore qualità della vita delle donne. Cesina Bermudes nasce a Lisbona il 20 maggio 1908, quando il Portogallo è ancora una monarchia. La famiglia, comprendente anche un'altra figlia, Clara, appartiene alla borghesia benestante ed esprimerà tutto il suo appoggio per la fondazione della repubblica nel 1910. La madre Cândida è molto colta e insegna il francese. Il padre, Félix Bermudes, è saggista, scrittore teatrale, democratico e sostenitore dell’uguaglianza tra i sessi. Cesina esprime un’enorme ammirazione nei suoi confronti, presentandolo come un combattente femminista che non accetta l’invisibilità e la discriminazione delle donne. Da bambina inizia il suo percorso di studi prendendo lezioni private a casa, usanza molto comune tra le famiglie borghesi. Frequenta poi il Liceu Camões e all’ultimo anno è l’unica ragazza in una classe di quindici studenti. In diverse interviste, racconta di aver deciso di lavorare nel campo della medicina già all’età di 11 anni, quando uno zio materno le ha spiegato cosa vuol dire essere medico del villaggio e fare visite alle persone povere senza chiedere nulla in cambio. Affascinata da quei racconti, sceglierà di seguire proprio questa strada. Cesina cresce in una società che esclude le donne dalla vita pubblica senza rendersene conto: infatti, può sempre contare sull’appoggio del padre, che fin dalla più tenera età ha contribuito ad avvicinarla al mondo dello sport, permettendole di distinguersi come pattinatrice, ginnasta e ciclista. Partecipa a gare di ciclismo e automobilismo e vince il primo Tour di Lisbona in bicicletta nel 1923. Inoltre, è una delle prime donne a ottenere la patente di guida in Portogallo.

 

A 18 anni entra nella Società teosofica, di cui diventerà Segretaria generale. Si sente attratta dall’idea reincarnazione, perché secondo lei «Una sola vita non basta». Abbraccia anche un’alimentazione vegetariana. Si laurea a 24 anni e lavora come assistente presso la Facoltà di medicina di Lisbona. Nel periodo successivo completa i percorsi di specializzazione in Chirurgia e Ostetricia; nel 1947 consegue il dottorato di ricerca con un punteggio di 19/20: è la prima donna in Portogallo a ottenere un Ph.D in medicina. Nonostante il suo brillante percorso di studi, non le è permesso di insegnare alla Facoltà di medicina di Lisbona a causa delle sue idee, chiaramente democratiche. Il regime repubblicano era molto instabile e, con un colpo di Stato militare nel 1926, António de Oliveira Salazar è riuscito a insediarsi al potere. Cesina vive dunque con dolore gli anni dell’Estado Novo, regime dittatoriale che inizia nel 1933 e che vede l’arresto, la tortura, l’uccisione di centinaia di oppositori. Negli anni Quaranta sviluppa un’intensa attività politica per opporsi esplicitamente a Salazar. Nel 1945 firma le liste del Mud (Movimento di unità democratica), nato allo scopo di riorganizzare l’opposizione in vista delle successive elezioni: il movimento raggiunge in breve tempo una grande adesione popolare soprattutto tra intellettuali e professionisti liberali, diventando una minaccia per il regime. Cesina guida anche il Comitato elettorale femminile di Lisbona e sostiene la candidatura alla presidenza del generale Norton de Matos, ma a causa delle forti pressioni il generale è costretto a ritirarsi. L’attivismo politico e l’appartenenza al Comitato centrale del movimento nazionale democratico femminile porteranno Cesina a essere arrestata il 14 ottobre 1949 dal Pide, la polizia politica. Dopo tre mesi di prigionia, viene rilasciata il 14 gennaio 1950. In quell'anno contribuisce all’istituzione del Comitato nazionale per la difesa della pace insieme a Maria Isabel Aboim Inglês, Maria Lamas e Virgínia Moura, importanti figure femminili portoghesi con cui condivide l’interesse per l’attivismo e l’orientamento politico antiregime. Nonostante le minacce e le discriminazioni subite, l’atteggiamento coraggioso di Cesina contro la dittatura e il suo appoggio ai settori democratici della società hanno incontrato il sostegno incondizionato del padre, che si è distinto per il suo carattere fermo e il suo senso di giustizia sociale: ecco perché la figlia si è sempre sentita così vicina a lui. Nel 1954 Cesina va a Parigi per approfondire gli studi di ostetricia e apprende dal dottor Lamaze le conoscenze sulle tecniche del parto indolore. Questo metodo, introdotto negli anni Venti in Urss, prevede la riduzione del dolore mediante l’uso di farmaci anestetici e oppiacei somministrati per via epidurale. Al suo ritorno introduce questa tecnica in Portogallo, ma le sue idee si scontrano con la visione cattolica secondo cui una donna, per essere una buona madre, deve necessariamente soffrire. «Alla donna disse: i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli» (Gen. 3, 16). Cesina considera questa credenza una sciocchezza. La condanna cattolica del parto indolore sarà revocata nel 1956, grazie all’intervento di papa Pio XII.

 

 

Il regime intanto impedisce a Cesina di lavorare nel settore pubblico, ma i suoi ideali sono molto più forti di qualunque imposizione. Aiuta più di tremila fra bambini e bambine a nascere nel reparto maternità di Cascais e nella clinica Bensaúde, associazione inaugurata nel 1928 con lo scopo di fornire assistenza e cure alle donne in forma anonima. È facile capire perché sia felice di lavorare in questa struttura: il reparto accoglie anche donne incinte perseguitate dal regime dittatoriale, tutelate proprio dal fatto che, a differenza di quanto avviene negli ospedali pubblici, non è richiesto loro alcun documento d’identità. Come medica e cittadina, Cesina si distingue nella lotta per migliorare la qualità della vita femminile, ideale che ha espresso anche tramite il suo impegno in politica. Molte donne le sono riconoscenti per aver alleviato la loro sofferenza durante il parto e le comuniste la ricordano come un’amica sempre pronta ad aiutare le persone in difficoltà. Assai rispettata tra i suoi colleghi, Cesina scrive diversi testi a carattere scientifico diffusi attraverso riviste mediche, come Bases Científicas do Parto sem Dor (1955) e Notas Soltas sobre o Parto sem Dor (1957). Dopo la "rivoluzione dei garofani" del 25 aprile 1974 che pone fine alla dittatura di Salazar, il Portogallo riconosce il merito e la tenacia di Cesina nella lotta per la libertà: nel 1989 il Presidente Mário Soares le consegna la Medaglia dell'Ordine della Libertà e le dedica una strada nella capitale. Riceve molti altri premi e onorificenze: nell’assegnarle tutti questi riconoscimenti si sottolineano l’importanza del suo ideale antifascista e l’attenzione alla dignità delle donne, che hanno reso ancora attuale la sua lotta per una maggiore tutela della maternità. Una lotta che, in epoca repubblicana, richiede la partecipazione e la solidarietà di tutte le cittadine. Cesina si spegne a Lisbona il 9 dicembre 2001, all’età di 93 anni. Ha sempre vissuto con il padre e non si è mai sposata, anche se alcune fonti affermano che sia stata sposata un solo giorno. Graça Mexia, che ha lavorato per più di trent’anni con lei, la ricorda così:

«La sua lunga e straordinaria vita è stata dedicata a cancellare l'incubo del tradizionale parto giudaico-cristiano della donna sofferente e passiva; ha considerato la preparazione e il nuovo metodo di parto una vittoria delle donne su sé stesse, la vittoria della conoscenza sull’ignoranza, dell’educazione sull’oscurantismo».

Cesina Bermudes è stata una grande donna che non ha mai permesso che le violenze e le ingiustizie del mondo la mettessero a tacere e facessero vacillare i suoi ardenti ideali. Virtuosa e altruista, si è prodigata per il prossimo e per ogni forma di libertà.

 

Traduzione francese
Piera Negri

 

«Quand un accouchement était difficile et long, elle ne voulait pas quitter le côté de la femme ; parfois, elle dormait par terre aux côtés d'elle ou dans un lit de fortune. Quand elle s’occupait de nous, elle nous ‘prêtait’ des pilules pour que nous puissions commencer immédiatement. Tout ce qui restait lui était ensuite retourné, et elle le passait aux plus pauvres d'entre nous ». C'est ainsi que l'une de ses patientes se souvient de Cesina Borges Adam Bermudes : une femme entreprenante, dotée d'une personnalité vraiment novatrice pour son époque. Femme médecin, chercheuse, militante politique et féministe, elle introduit la méthode de l'accouchement sans douleur au Portugal. Elle vit un moment historique particulier, ce XXe siècle marqué par deux guerres mondiales et par la dictature de Salazar : mais rien la pousse à abandonner sa lutte pour la liberté et pour une meilleure qualité de vie des femmes. Cesina Bermudes est née à Lisbonne le 20 mai 1908, alors que le Portugal est encore une monarchie. La famille, dont une autre fille, Clara, appartient à la bourgeoisie aisée et exprimera tout son soutien à la fondation de la république en 1910. La mère Cândida est très instruite et enseigne le français. Son père, Félix Bermudes, est essayiste, auteur de théâtre, démocrate et défenseur de l'égalité entre les sexes. Cesina exprime pour lui une énorme admiration, le présentant comme un combattant féministe qui n'accepte pas l'invisibilité et la discrimination des femmes. Enfant, elle commence ses études en prenant des leçons privées à domicile, une coutume très répandue dans les familles de la bourgeoisie. Elle a ensuite fréquenté le Liceu Camões et en dernière année, elle était la seule fille d'une classe de quinze élèves. Dans plusieurs entretiens, elle raconte avoir décidé de travailler dans le domaine de la médecine dès l'âge de 11 ans, lorsqu'un oncle maternel lui a expliqué ce qu’il signifie être médecin du village et rendre visite aux pauvres sans rien demander en retour. Fascinée par ces histoires, elle choisira de suivre cette voie Cesina grandit dans une société qui exclut les femmes de la vie publique sans s'en rendre compte : en effet, elle peut toujours compter sur le soutien de son père, qui dès son plus jeune âge a contribué à la rapprocher du monde du sport, lui permettant de se démarquer comme patineur, gymnaste et cycliste. Elle participe à des compétitions de cyclisme et automobilisme et remporte le premier Tour à vélo de Lisbon en 1923. De plus, elle est l'une des premières femmes à obtenir le permis de conduire au Portugal.

 

A 18 ans, elle entre à la Société Théosophique dont elle deviendra Secrétaire Générale. Elle se sent attirée par l'idée de la réincarnation, car selon elle "Une vie ne suffit pas". Elle embrasse également un régime végétarien. Elle obtient son diplôme à l'âge de 24 ans et travaille comme assistant à la Faculté de médecine de Lisbonne. Dans la période suivante, elle a suivi les cours de spécialisation en Chirurgie et Obstétrique ; en 1947, elle obtient son doctorat avec une note de 19/20 : elle est la première femme au Portugal à obtenir un doctorat en médecine. Malgré ses brillantes études, elle n'est pas autorisée à enseigner à la Faculté de médecine de Lisbonne en raison de ses idées, clairement démocratiques. Le régime républicain était très instable et, avec un coup d'État militaire en 1926, António de Oliveira Salazar arrive à prendre le pouvoir. Cesina a donc vécu dans la douleur les années de l'Estado Novo, un régime dictatorial qui a débuté en 1933 et qui a vu l'arrestation, la torture et l'assassinat de centaines d'opposants. Dans les années 1940, elle développe une intense activité politique pour s'opposer explicitement à Salazar. En 1945, elle signe les listes de la Boue (Mouvement d'unité démocratique), né pour réorganiser l'opposition en vue des élections suivantes : le mouvement atteint rapidement une grande adhésion populaire, notamment parmi les intellectuels et les professionnels libéraux, devenant une menace au régime. Cesina dirige également le Comité électoral des femmes de Lisbonne et soutient la candidature du général Norton de Matos à la présidence, mais en raison de fortes pressions, le général est contraint de se retirer. L'activisme politique et l'appartenance au Comité central du mouvement national des femmes démocratiques conduisent Cesina à être arrêtée le 14 octobre 1949 par le Pide, la police politique. Après trois mois d'emprisonnement, elle est libérée le 14 janvier 1950. Cette année-là, elle a contribué à la création du Comité national pour la défense de la paix avec Maria Isabel Aboim Inglês, Maria Lamas et Virgínia Moura, importantes personnalités féminines portugaises avec lesquelles elle partage l’intérêt pour l'activisme et l'orientation politique anti-régime. Malgré les menaces et les discriminations subies, l'attitude courageuse de Cesina contre la dictature et son soutien aux secteurs démocratiques de la société ont rencontré le soutien inconditionnel de son père, qui s'est démarqué par son caractère ferme et son sens de justice sociale : c'est pourquoi sa fille s'est toujours sentie si proche de lui. En 1954, Cesina se rend à Paris pour approfondir ses études d'obstétrique et apprend du Dr Lamaze les connaissances sur les techniques d'accouchement sans douleur. Cette méthode, introduite dans les années 1920 en URSS, permet de réduire la douleur grâce à l'utilisation de médicaments anesthésiques et opioïdes administrés par péridurale. A son retour elle introduit cette technique au Portugal, mais ses idées se heurtent à la vision catholique selon laquelle une femme, pour être une bonne mère, doit nécessairement souffrir. "A la femme il dit : tes douleurs et tes grossesses, dans la douleur tu donneras naissance à tes enfants" (Gen. 3, 16). Cesina considère cette croyance comme un non-sens. La condamnation catholique de l'accouchement sans douleur sera révoquée en 1956, grâce à l'intervention du pape Pie XII.

 

 

Pendant ce temps, le régime empêche Cesina de travailler dans le secteur public, mais ses idéaux sont bien plus forts que toute imposition. Elle aide plus de trois mille garçons et filles à naître à la maternité de Cascais et à la clinique Bensaúde, une association inaugurée en 1928 dans le but d'apporter une aide et des soins aux femmes de manière anonyme. On comprend aisément pourquoi elle est heureuse de travailler dans cet établissement : le service accueille également des femmes enceintes persécutées par le régime dictatorial, protégées justement par le fait que, contrairement à ce qui se passe dans les hôpitaux publics, elles ne sont pas tenues d'avoir des pièces d'identité. En tant que femme médecin et citoyenne, Cesina se démarque dans la lutte pour l'amélioration de la qualité de vie des femmes, un idéal qu'elle a également exprimé à travers son engagement politique. De nombreuses femmes lui sont reconnaissantes d'avoir soulagé leurs souffrances lors de l'accouchement et les communistes se souviennent d'elle comme d'une amie toujours prête à aider les personnes dans le besoin. Très respectée parmi ses collègues, Cesina écrit plusieurs textes scientifiques diffusés dans des revues médicales, telles que Bases Científicas do Parto sem Dor (1955) et Notas Soltas sobre ou Parto sem Dor (1957). Après la "révolution des œillets" du 25 avril 1974 qui mit fin à la dictature de Salazar, le Portugal reconnut le mérite et la ténacité de Cesina dans la lutte pour la liberté : en 1989, le président Mário Soares lui remet la Médaille de l'Ordre de la Liberté et lui dédie une rue dans la capitale. Elle reçoit de nombreux autres prix et distinctions : en lui décernant tous ces prix, l'importance de son idéal antifasciste et l'attention à la dignité de la femme sont soulignées, ce qui a rendu son combat pour une plus grande protection de la maternité toujours d'actualité. Une lutte qui, à l'ère républicaine, demande la participation et la solidarité de toutes les citoyennes. Cesina est décédée à Lisbonne le 9 décembre 2001, à l'âge de 93 ans. Elle a toujours vécu avec son père et ne s'est jamais mariée, bien que certaines sources affirment qu'elle n'a été mariée qu'un jour. Graça Mexia, qui a travaillé avec elle depuis plus de trente ans, se souvient d'elle ainsi:

«Sa longue et extraordinaire vie a été consacrée à effacer le cauchemar de la naissance traditionnelle judéo-chrétienne de la femme souffrante et passive ; elle considérait la préparation et le nouveau mode d'accouchement comme une victoire des femmes sur elles-mêmes, la victoire du savoir sur l'ignorance, de l'éducation sur l'obscurantisme ».

Cesina Bermudes était une grande femme qui n'a jamais laissé la violence et les injustices du monde la faire taire et faire vaciller ses idéaux ardents. Vertueuse et désintéressée, elle a tout fait pour son prochain et pour toute forme de liberté.

 

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

"When a delivery was difficult and long, she didn't want to leave the woman's side. Sometimes, she would sleep on the floor next to her or in a makeshift bed. When she treated us, she would 'lend' us a few pills so we could start immediately. Whatever was left over was then returned to her so that she could pass it on to the poorest among us." This is how Cesina Borges Adam Bermudes is remembered by one of her patients: as an enterprising woman with a truly innovative personality for her time. Physician, researcher, political activist and feminist, she introduced the methods of painless childbirth into Portugal. She lived in a particular historical moment, that 20th century, marked by two world wars and Salazar's dictatorship. Nothing, however, induced her to abandon her fight for freedom and a better quality of life for women. Cesina Bermudes was born in Lisbon on May 20, 1908, when Portugal was still a monarchy. The family, which also included another daughter, Clara, belonged to the wealthy bourgeoisie and expressed its support for the founding of the republic in 1910. The mother, Cândida, was very cultured and taught French. Her father, Félix Bermudes, was an essayist, theatrical writer, democrat and supporter of equality between the sexes. Cesina expressed enormous admiration for him, and presented him as a feminist fighter who did not accept the invisibility of women or discrimination against them. As a child, she began her studies by taking private lessons at home, a very common custom among middle-class families. She then attended the Liceu Camões and in her last year she was the only girl in a class of fifteen students. In several interviews, she tells of having decided to work in the field of medicine at the age of 11, when a maternal uncle explained to her what it meant to be a village doctor and to pay visits to poor people without asking anything in return. Fascinated by those stories, she chose to follow that very path. Cesina grew up in a society that excluded women from public life without realizing it. She was, however, always able to count on the support of her father, who from an early age helped to bring her closer to the world of sport, allowing her to distinguish herself as a skater, gymnast and cyclist. She participated in cycling and motor racing and won the first Tour of Lisbon by bicycle in 1923. In addition, she was one of the first women to obtain a driver's license in Portugal.

 

At the age of 18 she joined the Theosophical Society, of which she eventually became General Secretary. She felt attracted to the idea of reincarnation, because according to her "One life is not enough". She also embraced a vegetarian diet. She graduated at the age of 24 and worked as an assistant at the Faculty of Medicine in Lisbon. In the following period she completed specialized courses in Surgery and Obstetrics In 1947 she obtained her doctorate with a score of 19/20. She was the first woman in Portugal to obtain a Ph.D. in medicine. Despite her brilliant studies, she was not allowed to teach at the Faculty of Medicine in Lisbon because of her clearly democratic ideas. The republican regime was very unstable and, with a military coup in 1926, António de Oliveira Salazar managed to install himself in power. Cesina therefore lived the years of the Estado Novo with pain, a dictatorial regime that began in 1933 and saw the arrest, torture, and murder of hundreds of its opponents. In the 1940s intense political activity developed, explicitly opposing Salazar. In 1945 she signed up with the Movement of Democratic Unity, born with the purpose of reorganizing the opposition in view of the coming elections. The movement achieved, in a short time, great popular support, especially among intellectuals and liberal professionals, and became a threat to the regime. Cesina also led the Women's Electoral Committee of Lisbon and supported the presidential candidacy of General Norton de Matos. But, due to strong pressure, the general was forced to withdraw. Political activism and membership in the Central Committee of the National Democratic Women's Movement led Cesina to be arrested on October 14, 1949 by the PIDE, the political police. After three months of imprisonment, she was released on January 14, 1950. In that year she contributed to the establishment of the National Committee for the Defense of Peace together with Maria Isabel Aboim Inglês, Maria Lamas and Virgínia Moura, important Portuguese female figures with whom she shared a political orientation and an interest in anti-regime activism. Despite the threats and discrimination she endured, Cesina's courageous opposition to the dictatorship and her support for the democratic sectors of society met with the unconditional support of her father, who stood out for his firm character and sense of social justice. That’s why his daughter always felt so close to him. In 1954 Cesina went to Paris to further her studies in obstetrics and learned about painless childbirth techniques from Dr. Lamaze. This method, introduced in the twenties in the USSR, involves the reduction of pain through the use of anesthetic drugs and opiates administered by epidural. Upon her return she introduced this technique in Portugal, but her ideas clashed with the Catholic view that a woman, to be a good mother, must necessarily suffer. "To the woman he said, your pains and your pregnancies, with pain you will bear children" (Gen. 3:16). Cesina considered this belief to be nonsense. The Catholic condemnation of painless childbirth was finally revoked in 1956, thanks to the intervention of Pope Pius XII.

 

 

Meanwhile, the regime prevented Cesina from working in the public sector, but her ideals were much stronger than any restriction. She helped more than three thousand boys and girls to be born in the maternity ward of Cascais and in the Bensaúde clinic, an association inaugurated in 1928 with the aim of providing assistance and care to women anonymously. It’s easy to understand why she was happy to work in this facility. It welcomed pregnant women persecuted by the dictatorial regime, protected precisely by the fact that, unlike in public hospitals, they were not required to have any identity documents. As a doctor and citizen, Cesina stood out in the fight to improve the quality of life for women, an ideal that she also expressed through her commitment to politics. Many women were grateful to her for alleviating their suffering during childbirth, and communists remember her as a friend always ready to help people in need. Highly respected among her colleagues, Cesina wrote several scientific texts published in medical journals, such as Bases Científicas do Parto sem Dor (1955) and Notas Soltas sobre o Parto sem Dor (1957). After the "Carnation Revolution" of April 25, 1974, which put an end to the Salazar dictatorship, Portugal recognized Cesina's merit and tenacity in the fight for freedom. In 1989, President Mário Soares awarded her the Medal of the Order of Freedom and dedicated a street in the capital to her. She received many other awards and honors. In assigning her all these recognitions, the importance of her anti-fascist ideals and her attention to the dignity of women were emphasized, which made her struggle for greater protection of motherhood still relevant. A struggle that, in the Republican era, requires the participation and solidarity of all citizens. Cesina died in Lisbon on December 9, 2001, at the age of 93 years. She always lived with her father and never married, although some sources claim that she was married for only one day. Graça Mexia, who worked with her for more than 30 years, remembers her this way:

"Her long and extraordinary life was dedicated to erasing the nightmare of the traditional Judeo-Christian childbirth of the suffering and passive woman; she considered the preparation and the new method of childbirth a victory of women for themselves, the victory of knowledge over ignorance, of education over obscurantism."

Cesina Bermudes was a great woman who never let the violence and injustices of the world silence her or cause her ardent ideals to falter. Virtuous and selfless, she did her best for others and for all forms of freedom.

 

Traduzione spagnola
Federica Agosta

 

«Cuando un parto era largo y complejo, se negaba a dejar sola a la parturienta; a veces, dormía en el suelo, a su lado, o en un lecho improvisado. Cuando nos curaba, nos ‘prestaba’ algunas píldoras para poder empezar al instante. Le devolvían todo lo que quedaba, para que lo pudiera pasar a las más pobres de nosotras». Así es recordada Cesina Borges Adam Bermudes por una de sus pacientes: una mujer audaz, con una personalidad verdaderamente innovadora para su época. Doctora, investigadora, activista política y feminista, introduce el parto sin dolor en Portugal. Vive en un momento histórico particular, aquel siglo XX marcado por dos guerras mundiales y por la dictadura de Salazar: nada, sin embargo, la lleva a abandonar su lucha por y para la libertad y para una mejor calidad de vida de las mujeres. Cesina Bermudes nace en Lisboa el 20 de mayo de 1908 en el Portugal aún monárquico. La familia, ya formada por otra hija, Clara, pertenece a la burguesía acomodada y muestra su apoyo a la instauración de la República en 1910. La madre, Cândida, es muy culta y enseña francés. El padre, Félix Bermudes, es ensayista, dramaturgo, democrático y defensor de la igualdad de género. Cesina profesa una gran admiración hacia su padre, presentándolo como un combatiente feminista que no admite la invisibilidad y la discriminación de las mujeres. De pequeña empieza sus estudios tomando clases particulares en casa, práctica bastante común entre las familias burguesas. Luego asiste al Liceu Camões y, en su último año de secundaria, es la única chica en un aula de quince estudiantes. En varias entrevistas, Cesina confiesa que había decidido trabajar en el ámbito médico ya a los 11 años, cuando un tío materno suyo le explicó qué significaba ser el médico del pueblo y tratar a los pacientes sin nada a cambio. Fascinada por aquellos relatos, decide seguir precisamente este camino. Cesina crece en una sociedad que excluye a las mujeres de la vida pública sin darse cuenta: de hecho, puede contar con el apoyo de su padre, el cual, ya desde su edad temprana, ha facilitado al acercamiento de Cesina al mundo del deporte, permitiendo que esta última destacara como patinadora, gimnasta y ciclista. Toma parte en carreras de automobilismo y de ciclismo y gana el primer Tour de Lisboa en bicicleta en 1923. Además, es una de las primeras mujeres en obtener el carné de conducir en Portugal.

 

A los 18, entra en la Sociedad Teosófica, de la cual será la secretaria general. Se siente atraída por la idea de la reincarnación, porque, en su opinión: «Una sola vida no es suficiente». Abraza también una alimentación vegetariana. Se gradúa a los 24 y trabaja como ayudante en la Facultad de Medicina de Lisboa. En el período siguiente, completa su especialización en Cirugía y Obstetricia; en 1947 obtiene su Doctorado con una puntuación de 19/20: es la primera mujer en Portugal en obtener un doctorado en Medicina. No obstante sus brillantes estudios, no se le permite enseñar en la Facultad de Medicina de Lisboa por sus ideas, explícitamente democráticas. El régimen republicano se veía inestable y, con un golpe de Estado militar en 1926, António de Oliveira Salazar logró tomar el poder. Cecina, por lo tanto, vive con dolor los años del Estado Novo, régimen dictatorial que empieza en 1933 y que ve la detención, la tortura, la matanza de cientos de opositores. En los años cuarenta lleva a cabo una intensa actividad política para oponerse explícitamente a Salazar. En 1945 firma las listas del MUD (Movimiento de Unidad Democrática), fundado con la intención de reorganizar la oposición en vista de las siguientes elecciones: el movimiento obtiene, en poco tiempo, una gran adhesión popolar, sobre todo entre los intelectuales y los profesionales liberales, conviertiéndose en una amenaza para el régimen. Cesina dirige también el Comité electoral femenino de Lisboa y apoya la candidatura a la Presidencia del general Norton de Matos, pero a causa de las fuertes presiones este último se ve obligado a retirarse. El activismo político y la afiliación al Comité central del movimiento nacional-democrático femenino llevan a Cesina a ser detenida el 14 de octubre de 1949 por el Pide, la policía política. Tras tres meses de cautiverio, sale a la libertad el 14 de enero de 1950. Aquel año contribuye a la institución del Comité nacional para la defensa de la paz junto a Maria Isabel Aboim Inglês, Maria Lamas e Virgínia Moura, importantes figuras femeninas portuguesas con las cuales comparte el interés por el activismo y la orientación política anti-régimen. No obstante las amenazas y discriminaciones sufridas, la actitud valiente de Cesina contra la dictadura y su apoyo a los sectores democráticos de la sociedad contaban con el sostén incondicional del padre, el cual destacó por su carácter firme y por su sentido de la justicia, lo que explica la razón por la cual Cesina siempre se sintió cercana a su padre. En 1954 Cesina se va a París para profundizar los estudios de obstetricia y aprende del doctor Lamaze los conocimientos acerca de las técnicas del parto sin dolor. Dicho método, introducido en los años Veinte en la URSS, contempla la reducción del dolor a través la administración por vía epidural de anestésicos y opiáceos. A su regreso, introduce dicha técnica en Portugal, pero sus ideas chocan con la visión católica según la cual una mujer, para ser una buena madre, tiene que sufrir necesariamente. «En gran manera multiplicaré Tu dolor en el parto, con dolor darás a luz a los hijos» (Gén. 3, 16). Cesina considera tal creencia una tontería. La condena católica del parto sin dolor será revocada en 1956, gracias a la intervención del Papa Pío XII.

 

 

El régimen, mientras tanto, le impide a Cesina trabajar en el sector público, pero sus ideales son más fuertes que cualquier otra imposición. Ayuda con el nacimiento de más de tres mil infantes en la división de maternidad de Cascais y en la clínica Bensaúde, asociación inaugurada en 1928 con el objetivo de prestar asistencia y cuidados a las mujeres en forma anónima. Resulta fácil comprender su felicidad por trabajar en esaestructura: la división también acoge a mujeres embarazadas perseguidas por el régimen dictatorial, protegidas gracias , a diferencia de lo que ocurre en los hospitales públicos, a que no se les exige ningún documento de identidad. En calidad de doctora y ciudadana, Cesina se distingue en la lucha para mejorar la calidad de la vida femenina, ideal que expresa también a través de su activismo político. Muchas mujeres le están agradecidas por haber alivado su sufrimeinto durante el parto y las comunistas la recuerdan como una amiga siempre dispuesta a ayudar a las personas en apuros. Muy respetada por sus colegas, Cesina escribe diferentes textos de carácter científico distribuidas en revistas médicas, como Bases Científicas do Parto sem Dor (1955) y Notas Soltas sobre o Parto sem Dor (1957). Tras la “Revolución de los Claveles” del 25 de abril de 1974, que puso fin a la dictadura de Salazar, Portugal reconoce el mérito y la tenacidad de Cesina en la lucha por y para la libertad. En 1989 el Presidente Mário Soares le confiere la condecoración del Orden de la Libertad y le dedica una calle en la capital. Recibe muchos otros premios y títulos: al conferirle dichos reconocimientos se subrayan la importancia de su ideal anti-fascista y la atención a la dignidad de las mujeres, que han hecho todavía actual su lucha para una mayor tutela de la maternidad. Una lucha que, en época republicana, requiere la participación y la solidariedad de todas las ciudadanas. Cesina fallece en Lisboa el 9 de diciembre de 2001, a los 93 años. Ha vivido siempre con su padre y nunca se ha casado, aunque algunas fuentes afirman que estuvo casada un solo día. Graça Mexia, que trabajó treinta años con Cesina, la recuerda así:

«Su larga y extraordinaria vida estuvo dedicada a borrar la pesadilla del tradicional parto judeo-cristiano de la mujer doliente y pasiva; consideró la preparación y el nuevo método del parto un triunfo de las mujeres sobre sí mismas, el triunfo del conocimiento sobre la ignorancia, de la educación sobre el obscurantismo».

Cesina Bermudes ha sido y sigue siendo una gran mujer que nunca permitió que las violencias e injusticias del mundo la redujeran al silencio y que hicieran vacilar sus ardientes ideales. Virtuosa y altruista, se desveló por el prójimo y por toda forma de libertad.

 

Ester Børgesen Boserup
Valeria Pilone



Alessia Tzimas

 

L’economia è una disciplina che subisce da sempre lo stesso destino delle discipline STEM, ovvero essere considerata una materia a esclusivo appannaggio degli uomini. Sono tante, invece, le economiste che hanno dato importanti contributi alle teorie dello sviluppo economico. Tra queste ricordiamo il nome di Ester Børgesen, nata nel 1910 a Copenaghen, figlia unica di un ingegnere danese che morì quando lei aveva appena due anni, lasciando la famiglia in difficoltà economiche. Ester fortunatamente aveva una madre che la incoraggiava allo studio, unico ascensore sociale in quegli anni per una ragazza di umili condizioni come lei. Così, nel 1935 aveva conseguito la laurea in Economia teorica e aveva poi lavorato come responsabile dell’ufficio di programmazione del Governo danese durante l’occupazione nazista nella Seconda guerra mondiale, concentrandosi, tra le altre cose, sul commercio. Si era sposata a ventuno anni con il coetaneo Mogens Boserup, la cui famiglia benestante li aveva aiutati nei primi anni del matrimonio, coincidenti con l'ultima fase di studio di Ester all’università. Dal matrimonio erano nati una figlia e due figli. Trasferitisi a Ginevra, nel 1957 lei e il marito avevano fatto un’esperienza di lavoro per un progetto di ricerca in India. Aveva poi lavorato tra Copenaghen e Ginevra fino alla morte del marito nel 1980. Lei morirà a Ginevra il 24 settembre di 19 anni dopo. Il ruolo e la presenza delle donne in ambiti economici e tecnologici è veramente importante per una lettura globale e maggiormente inclusiva delle dinamiche che regolano le nostre società complesse. Ester Boserup si inserisce pienamente in questa storia di contributi dal mondo delle donne, in passato il più delle volte ignorati, ma oggi più che mai necessari, perché presentano una visione del mondo alternativa a quella machista e secolarizzata, il cui fallimento è sotto gli occhi di tutti, perché esclude da sempre il mondo e la sensibilità femminile, le sue esigenze e le attenzioni in termini di cura che solo le donne hanno saputo affinare in ogni ambito di studio, di ricerca e di azione per il cambiamento di paradigmi economici e culturali ormai stantii.

 

Boserup aveva indagato un aspetto dell’economia molto interessante in termini di parità di genere, ovvero la distribuzione ed i ruoli all’interno della famiglia e l’integrazione del lavoro produttivo e riproduttivo delle donne, in modo particolare nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Le donne del Sud del mondo, infatti, erano sempre state studiate e indagate da un punto di vista prettamente antropologico, in relazione all’ambiente, al matrimonio, ai rapporti familiari e ai ruoli sessuali. I ruoli produttivi femminili e la loro importanza in termini economici, sociali e politici nelle società pre-coloniali e post-coloniali non erano quasi per nulla presi in considerazione. Ester Boserup è stata la prima economista a mettere in luce l’importanza del ruolo attivo e non passivo svolto dalle donne nei processi di sviluppo, ma non solo: l’economista ha analizzato anche in che modo i processi di modernizzazione abbiano influito sulla posizione subordinata delle donne in molte società. Nel 1970 Ester pubblicò il suo saggio Woman’s role in economic development, che influenzò enormemente il dibattito sul ruolo femminile nel mercato del lavoro e nello sviluppo, e sulla possibilità di migliori opportunità educative e lavorative per le donne, dando vita successivamente al programma Wid (Women in Development) delle Nazioni Unite. L’economista partiva da un confronto tra due tipologie di sistemi agricoli: la coltivazione intensiva, basata sull’uso dell’aratro, e la coltivazione a rotazione, e osservava che il ruolo della donna in società agricole tradizionali cambiava notevolmente in base al tipo di regime agricolo prevalente. Boserup descrive, in un'ottica di genere in ambito economico sorprendentemente pionieristica, come nei Paesi in via di sviluppo si è passati da un sistema di produzione agricolo in cui le donne si autogestivano ed erano economicamente indipendenti, ad un sistema europeo in cui diventano dipendenti dai coniugi, perdendo autodeterminazione e retribuzione. La responsabilità di questa subalternità in cui sono state relegate è attribuita dunque ai colonizzatori europei, artefici del degrado della condizione femminile nei settori agricoli dei Paesi in via di sviluppo, poiché hanno via via trascurato il ruolo della forza lavoro femminile e incentivato intensivamente la produttività del lavoro maschile. In Uganda, per esempio, nelle zone in cui le donne coltivavano il cotone, i coloni europei imposero lavoratori uomini: così, nel giro di un decennio, la maggior parte degli uomini coltivava cotone e caffè, importando lavoro da altre tribù, e anche laddove il cotone era ancora coltivato dalle donne, gli europei insegnavano i nuovi metodi agricoli solo agli uomini, emarginando le lavoratrici potenziali. Anche lo storico francese Fernand Braudel (Memorie del Mediterraneo, 1998) aveva scritto riguardo alla Mesopotamia preistorica che le donne si occupavano tout court dei campi, dalla piantagione alla raccolta, ma nel momento in cui gli uomini avevano introdotto l’uso dell’aratro si erano riservati pure il diritto di usarlo: da questo era derivata la dominazione dell’uomo nella società. La coltivazione con l'aratro, infatti, richiede forza muscolare non indifferente per controllarlo o per controllare l’animale che lo traina: questo, unitamente al fatto che la coltivazione a rotazione era maggiormente compatibile con il ruolo di cura della prole, ha comportato che gli uomini soppiantassero le donne nel momento in cui tale pratica agricola è divenuta prevalente e permanente.

 

 

Le tesi di Ester sono riprese quasi vent’anni dopo dalla filosofa statunitense, di origine bengalese, Gayatri Chakravorty Spivak, che nel suo saggio del 1988 intitolato Can the subaltern speak, spiega che se il soggetto subalterno è cancellato dalla storia coloniale, la traccia della differenza sessuale è cancellata doppiamente. Se nell’ambito del colonialismo il subalterno non ha storia e non può parlare, la subalterna in quanto donna è ancora più profondamente posta nell’ombra. Spivak si chiede, dunque, se la donna subalterna possa parlare ed essere ascoltata, o se deve subire sempre da parte di qualcun altro la narrazione distorta di sé (oggi diremmo che è costretta a subire un costante mansplaining). Ester Boserup ha dunque mostrato che anche una scienza tecnica come l’economia può essere al servizio della lotta contro le disparità e le disuguaglianze, tracciando il sentiero per un miglioramento collettivo delle nostre società. Questa economista “non allineata” (come l’ha definita la toponomasta e collega prof.ssa Sara Marsico) non ha mai accettato la matematizzazione dell’economia, in quanto la sua visione prospettava un futuro in crescita, soprattutto grazie alle maggiori opportunità di istruzione per le donne, volano necessario dello sviluppo e dell’innovazione. Da donna a cui fu detto sin da piccola di dover studiare e rimboccarsi le maniche per sperare di conquistare e occupare il suo posto nel mondo, Ester non si è mai piegata alla crescente sterilità tecnica delle discipline economiche, privilegiando nelle sue ricerche i temi legati allo sviluppo e ai diritti civili, in modo particolare la distribuzione della ricchezza e del potere tra persone, generi e società in modo egualitario. Un grande esempio, una via maestra che auspicabilmente andrebbe percorsa in tempi di ricostruzione, Recovery Plan e Next Generation Eu, programmazioni troppo economiche e poco sociali, che ci sembrano ancora ben lontane dagli obiettivi di vera parità ed uguaglianza tra popoli e persone.

 

Per ulteriori approfondimenti:

https://vitaminevaganti.com/2019/09/21/ester-borgesen-boserup-uneconomista-non-allineata/

https://www.ingenere.it/articoli/pioniere-ester-boserup-ruolo-donne-agricoltura

https://www.clio92.org/2021/03/04/genere-sviluppo-malsviluppo/

https://jan.ucc.nau.edu/~sj6/Spivak%20CanTheSubalternSpeak.pdf

https://www.affaritaliani.it/costume/disuguaglianza-di-genere-aratro-in-agricoltura-origine-del-sessimo-700899.html

 

Traduzione francese
Piera Negri

 

L'économie est une discipline qui a toujours subi le même sort que les disciplines STEM, c'est-à-dire être considérée comme une matière exclusivement réservée aux hommes. D'autre part, de nombreuses économistes ont apporté d'importantes contributions aux théories du développement économique. Parmi celles-ci, on retiendra le nom d'Ester Børgesen, née en 1910 à Copenhague, fille unique d'un ingénieur danois décédé alors qu'elle n'avait que deux ans, laissant sa famille dans des difficultés financières. Heureusement, Ester avait une mère qui l'a encouragée à étudier, le seul ascenseur social de ces années-là pour une fille aux conditions humbles comme elle. Ainsi, en 1935, elle obtient son diplôme en Economie théorique, puis travaille comme chef du bureau de programmation du Gouvernement danois pendant l'occupation nazie de la Seconde Guerre mondiale, se concentrant, entre autres choses, sur le commerce. Elle s'est mariée à l'âge de vingt et un ans avec un garçon de son même âge Mogens Boserup, dont la riche famille les avait aidés dans les premières années de leur mariage, coïncidant avec la dernière phase d'études d'Ester à l'université. Une fille et deux fils sont nés du mariage. Après avoir déménagé à Genève, en 1957, Ester et son mari avaient eu une expérience de travail pour un projet de recherche en Inde. Elle a ensuite travaillé entre Copenhague et Genève jusqu'à la mort de son mari en 1980. Elle mourra à Genève le 24 septembre,19 ans plus tard. Le rôle et la présence des femmes dans les domaines économiques et technologiques est véritablement important pour une lecture globale et plus inclusive des dynamiques qui régissent nos sociétés complexes. Ester Boserup s’inscrit pleinement dans cette histoire des contributions du monde des femmes, dans le passé le plus souvent ignorées, mais aujourd’hui plus que jamais nécessaires, car elles présentent une vision du monde alternative à celle machiste et sécularisée, dont l’échec est sous les yeux de tous, car il exclut depuis toujours le monde et la sensibilité féminine, ses exigences et les attentions en termes de soins que seules les femmes ont su affiner dans tous les domaines d’études, de recherche et d’action pour le changement des paradigmes économiques et culturels depassés.

 

 

Boserup avait étudié un aspect très intéressant de l'économie en termes d'égalité des genres, à savoir la répartition et les rôles au sein de la famille et l'intégration du travail productif et reproductif des femmes, en particulier dans les Pays dits du Tiers Monde. En effet, les femmes du Sud ont toujours été étudiées et investiguées d'un point de vue purement anthropologique, en relation avec l'environnement, le mariage, les relations familiales et les rôles sexuels. Le rôle productif des femmes et leur importance en termes économiques, sociaux et politiques dans les sociétés précoloniales et postcoloniales n'étaient guère pris en considération. Ester Boserup a été la première économiste à souligner l'importance du rôle actif et non passif joué par les femmes dans les processus de développement, mais pas seulement : l'économiste a également analysé comment les processus de modernisation ont influencé la position subordonnée des femmes dans nombreuses sociétés. En 1970, Ester a publié son essai Le rôle de la femme dans le développement économique, qui a grandement influencé le débat sur le rôle des femmes sur le marché du travail et dans le développement, et sur la possibilité de meilleures opportunités d'éducation et de travail pour les femmes, donnant ensuite vie au Wid ( Women In Development) des Nations Unies. L'économiste partait d'une comparaison entre deux types de systèmes agricoles : la culture intensive, basée sur l'utilisation de la charrue, et la culture en rotation, et a observé que le rôle des femmes dans les sociétés agricoles traditionnelles changeait considérablement selon le type de régime agricole en vigueur. Boserup décrit, à partir d'une perspective de genre étonnamment pionnière dans la sphère économique, comment dans les pays en développement on est passé d'un système de production agricole dans lequel les femmes s'autogéraient et étaient économiquement indépendantes, à un système européen dans lequel elles devenaient dépendantes de ses époux, perdant autodétermination et rémunération. La responsabilité de cette subordination à laquelle elles ont été reléguées est donc attribuée aux colonisateurs européens, responsables de la dégradation de la condition des femmes dans les secteurs agricoles des pays en développement, puisqu'ils ont progressivement négligé le rôle de la main-d'œuvre féminine et encouragé intensivement la productivité du travail masculin. En Ouganda, par exemple, dans les régions où les femmes cultivaient le coton, les colons européens ont imposé des travailleurs masculins : ainsi, dans une décennie, la plupart des hommes cultivaient le coton et le café, importaient du travail d'autres tribus, et même là où le coton était encore cultivé par les femmes, les Européens n’enseignèrent les nouvelles méthodes agricoles qu'aux hommes, marginalisant les travailleuses potentielles. Même l'historien français Fernand Braudel (Mémoires de la Méditerranée, 1998) avait écrit sur la Mésopotamie préhistorique que les femmes s'occupaient des champs tout court, de la plantation à la récolte, mais quand les hommes avaient introduit l'usage de la charrue ils s’étaient réservée aussi le droit de l'utiliser : de là découlait la domination de l'homme dans la société. La culture avec la charrue, en effet, demande une force musculaire considérable pour la contrôler ou pour contrôler l'animal qui la tire : cela, ajouté au fait que la rotation de la culture était plus compatible avec le rôle de soin de la progéniture, a fait que les hommes ont supplanté les femmes lorsque cette pratique agricole est devenue courante et permanente.

 

 

Les thèses d'Esther ont été reprises près de vingt ans plus tard par le philosophe américain, d'origine bengali, Gayatri Chakravorty Spivak, qui dans son essai de 1988 intitulé Can the subaltern speak explique que si le sujet subordonné est effacé de l'histoire coloniale, la trace de la différence sexuelle est doublement annulée. Si dans le contexte du colonialisme le subordonné n'a pas d'histoire et ne peut pas parler, le subordonné en tant que femme est encore plus profondément placé dans l'ombre. Spivak se demande donc si la femme subordonnée peut parler et être entendue, ou si elle doit toujours souffrir de la narration déformée d'elle-même par quelqu'un d'autre (on dirait aujourd'hui qu'elle est forcée de subir un constant mansplaining). Ester Boserup a ainsi montré que même une science technique comme l'économie peut être au service de la lutte contre les disparités et les inégalités, traçant la voie d'une amélioration collective de nos sociétés. Cette économiste "non alignée" (comme l’experte de Toponomastique et collègue Prof. Sara Marsico) n'a jamais accepté la mathématisation de l'économie, tant sa vision prévoyait un avenir grandissant, surtout grâce à de plus grandes opportunités d'éducation pour les femmes, volant nécessaire au développement et innovation. Femme à qui on a dit dès son plus jeune âge qu'elle devait étudier et se retrousser les manches pour espérer conquérir et occuper sa place dans le monde, Ester n'a jamais cédé à la stérilité technique croissante des disciplines économiques, privilégiant dans ses problématiques de recherche liés au développement et aux droits civils, en particulier la répartition des richesses et du pouvoir entre les personnes, les sexes et la société de manière égalitaire. Un bel exemple, une grande route qui, espérons-le, devrait être suivie en périodes de reconstruction, Recovery Plan e Next Generation Eu, des programmations trop économiques et peu sociales, qui semblent encore loin des objectifs de véritable parité et égalité entre les peuples et les gens.

 

pour de plus amples informations:

https://vitaminevaganti.com/2019/09/21/ester-borgesen-boserup-uneconomista-non-allineata/

https://www.ingenere.it/articoli/pioniere-ester-boserup-ruolo-donne-agricoltura

https://www.clio92.org/2021/03/04/genere-sviluppo-malsviluppo/

https://jan.ucc.nau.edu/~sj6/Spivak%20CanTheSubalternSpeak.pdf

https://www.affaritaliani.it/costume/disuguaglianza-di-genere-aratro-in-agricoltura-origine-del-sessimo-700899.html

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

Economics is a discipline that has always suffered the same fate as the STEM disciplines, that is, being considered a subject exclusively reserved for men. On the other hand, there are many female economists who have made important contributions to the theories of economic development. Among these we remember the name of Ester Børgesen, born in 1910 in Copenhagen, the only daughter of a Danish engineer who died when she was just two years old, leaving her family in financial difficulties. Fortunately, Ester had a mother who encouraged her to study, education being the only social elevator in those years for a girl of humble conditions like her. Thus, in 1935 she graduated in theoretical economics and then worked as the head of the Danish government's programming office during the Nazi occupation in World War II, focusing, among other things, on trade. She was married at the age of twenty-one to a man of the same age, Mogens Boserup, whose wealthy family helped them in the first years of their marriage, coinciding with Ester's last phase of study at university. A daughter and two sons were born of the marriage. Having moved to Geneva, in 1957 she and her husband had a work experience together through a research project in India. She then worked between Copenhagen and Geneva until her husband died in 1980. She died 19 years later, in Geneva, on September 24, 1999. The role and presence of women in economic and technological fields is truly important for a global and more inclusive reading of the dynamics that govern our complex societies. Ester Boserup fits fully into this story of contributions from the world of women, in the past more often than not ignored, but today more than ever necessary, because they present an alternative worldview to the macho and secularized one, whose failure is plain for all to see, because it has always excluded the world and sensitivity of women, needs and attentions in terms of care that only women have been able to refine in every field of study, research and action for the change of economic and cultural paradigms that are now stale.

 

 

Boserup had investigated a very interesting aspect of the economy in terms of gender equality, namely the distribution and roles within the family and the integration of women's productive and reproductive work, especially in the so-called Third World countries. In fact, the women of the southern hemisphere had always been studied and investigated from a purely anthropological point of view, in relation to the environment, marriage, family relationships and gender roles. The productive roles of women and their importance in economic, social and political terms in pre-colonial and post-colonial societies were hardly taken into consideration. Ester Boserup was the first economist to highlight the importance of the active and not passive role played by women in development processes. But not only that - the economist also analyzed how modernization processes have influenced the subordinate position of women in many societies. In 1970 Ester published her essay Woman's Role in Economic Development, which greatly influenced the debate on the role of women in the labor market and development, and on the possibility of better educational and work opportunities for women, subsequently giving life to the WID (Women in Development) of the United Nations. The economist started from a comparison between two types of agricultural systems: intensive cultivation, based on the use of the plow, and rotation cultivation, and observed that the role of women in traditional agricultural societies changed considerably according to the type of prevailing agricultural regime. Boserup describes, from a surprisingly pioneering gender perspective in the economic sphere, how in developing countries there has been a shift from an agricultural production system in which women self-managed and were economically independent, to a European system in which they become dependent on spouses, losing self-determination and remuneration. The responsibility for this subordination to which they have been relegated is therefore attributed to the European colonizers, architects of the degradation of the female condition in the agricultural sectors of developing countries, since they have neglected the role of the female workforce and intensively encouraged the productivity of male work. In Uganda, for example, in areas where women grew cotton, European settlers imposed male workers: thus, within a decade, mostly men were growing cotton and coffee, importing workers from other tribes, and even where cotton was still grown by women, Europeans taught the new agricultural methods only to men, marginalizing potential female workers. Even the French historian Fernand Braudel (Memories of the Mediterranean, 1998) had written that in prehistoric Mesopotamia women took care of the fields tout court, from planting to harvesting, but when men had introduced the use of the plow, they reserved the right to themselves. From this came the domination of men in society. Cultivation with the plow, in fact, requires considerable muscular strength to control it or to control the animal that pulls it. This, together with the fact that the rotation cultivation was more compatible with the role of care for the offspring, meant that men supplanted women when this agricultural practice became prevalent and permanent.

 

 

Esther's theses were taken up almost twenty years later by the American philosopher, of Bengali origin, Gayatri Chakravorty Spivak, who in her 1988 essay entitled Can the Subaltern Speak, explains that if the subordinate subject is erased from colonial history, the traces of the gender differences are doubly canceled. If in the context of colonialism the subordinate has no history and cannot speak, the subordinate, as a woman, is even more deeply placed in the shadows. Spivak wonders, therefore, if the subordinate woman can speak and be heard, or if she must always suffer from someone else's distorted narration of her story (today we would say that she is forced to undergo constant mansplaining). Ester Boserup therefore showed that even a technical science such as economics can be at the service of the fight against disparities and inequalities, tracing the path for a collective improvement of our societies. This "non-aligned" economist (as the toponymast and colleague Prof. Sara Marsico defined her) has never accepted the mathematization of the economy, as her vision promised a growing future, especially thanks to greater educational opportunities for women, seeing them as a necessary driver of development and innovation. As a woman who was told from an early age that she had to study and roll up her sleeves to hope to conquer and occupy her place in the world, Ester never yielded to the growing technical sterility of economic disciplines, favoring in her research issues related to development and civil rights, especially the distribution of wealth and power between people, genders and society in an egalitarian way. A great example, a high road that hopefully should be followed in times of reconstruction, Recovery Plan and Next Generation Eu, too economic and not very social programs, which still seem far from the objectives of true parity and equality between peoples and persons.

 

For further information:

https://vitaminevaganti.com/2019/09/21/ester-borgesen-boserup-uneconomista-non-allineata/

https://www.ingenere.it/articoli/pioniere-ester-boserup-ruolo-donne-agricoltura

https://www.clio92.org/2021/03/04/genere-sviluppo-malsviluppo/

https://jan.ucc.nau.edu/~sj6/Spivak%20CanTheSubalternSpeak.pdf

https://www.affaritaliani.it/costume/disuguaglianza-di-genere-aratro-in-agricoltura-origine-del-sessimo-700899.html

 

Traduzione spagnola
Syd Federica Agosta

 

La economía es una disciplina que sufre, desde siempre, la misma suerte que las disciplinas STEM, es decir ser considerada una materia exclusivamente masculina. Sin embargo, muchas son las economistas que han aportado contribuciones significativas con respecto a las teorías del desarrollo económico. Entre ellas cabe recordar el nombre de Ester Børgesen, nacida en 1910 en Copenaghe, hija única de un ingeniero danés, cuya muerte, ocurrida casi a los dos años de Ester, había dejado a su familia en dificultades económicas. Afortunadamente, Ester tenía una madre que la animaba al estudio, el único ascensor social de la época para una joven de humildes condiciones como ella. De este modo, en 1935, Ester había logrado licenciarse en Economía teórica y luego empezado a trabajar como responsablede la oficina de programación del Gobierno Danés durante la ocupación nazi en la Segunda Guerra Mundial, centrándose, entre otras cosas, en el comercio. A los veintiuno se había casado con su coetáneo Mogens Boserup, cuya acomodada familia les había ayudado durante los primeros años del matrimonio, coincidentes con la última etapa de estudio de Ester en la universidad. Del matrimonio nacieron una hija y dos hijos. Tras desplazarse a Ginebra, en 1957 Ester y su marido tuvieron una experiencia laboral para un proyecto de investigación en la India. Luego, Ester trabajó entre Copenaghe y Ginebra hasta la muerte de su marido en 1980. Diecinueve años después, ella muere en Ginebra el 24 de septiembre. El papel y la presencia de las mujeres en los ámbitos económicos y tecnológicos es verdaderamente importante para una lectura global y mayormente inclusiva de las dinámicas que regulan nuestras complejas sociedades. Ester Boserup se inscribe perfectamente en esta historia de contribuciones desde el mundo de las mujeres, casi siempre ignoradas en el pasado, pero hoy más necesarias que nunca, dado que presentan una visión del mundo alternativa a la machista y secularizada, visión cuyo fracaso está a la vista de todo el mundo, porque excluye desde siempre el mundo y la sensibilidad femeninas, su exigencias y atenciones en términos de cuidado, cuidado que solamente las mujeres han logrado aguzar en cada ámbito de estudio, investigación y acción para el cambio de los paradigmas económicos y culturales ya anticuados.

 

 

Boserup había indagado un aspecto de la economía muy interesante con respecto a la igualdad de género, es decir la distribución y los roles dentro de la familia y la integración del trabajo productivo y reproductivo de las mujeres, en particular en los países tercermundistas. Las mujeres del Sur del mundo, en efecto, siempre habían sido indagadas y estudiadas desde un punto de vista estrictamente antropológico, en relación con el ambiente, el matrimonio, los lazos familiares y los roles sexuales. Los papeles productivos femeninos y su relevancia en términos económicos, sociales y políticos en las sociedades pre y poscoloniales apenas se tomaban en cuenta. Ester Boserup fue la primera economista en poner de manifiesto la importancia del rol activo y no pasivo llevado a cabo por las mujeres en los procesos de desarrollo, pero no solo: esta economista también examinó la influencia de los procesos de modernización en la posición de subordinación de las mujeres en muchas sociedades. En 1970 Ester publicó su ensayo Woman’s role in economic development, ensayo que animó enormemente el debate acerca del rol femenino en el mercado del trabajo y en el desarrollo, y sobre la posibilidad de mejores oportunidades educativas y laborales para las mujeres, dando lugar, posteriormente, al programa Wid (Women in Development) de las Naciones Unidas. La economista se basaba en una comparación entre dos tipologías de sistemas de cultivo: el cultivo intensivo, basado en el empleo del arado, y el de rotación, y observaba que el papel de la mujer en las sociedades agrícolas tradicionales cambiaba considerablemente en función del régimen agrícola prevalente. Boserup describe, en una óptica de género de ámbito económico increíblemente pionera, el paso, en los países en vías de desarrollo, de un sistema de producción agrícola en el cual las mujeres se autogestionaban y eran económicamente independientes a un sistema europeo en el cual las mujeres se volvían dependientes de sus cónyuges, perdiendo así autodeterminación y retribución. La responsabilidad de dicha subalternidad en la cual las mujeres quedaron relegadas se atribuye, por lo tanto, a los colonizadores europeos, artífices de la degradación de la condición femenina en los sectores agrícolas de los países en vías de desarrollo, dado que ignoraban gradualmente el rol de la fuerza viva femenina incentivado intensivamente la productividad del trabajo masculino. En Uganda, por ejemplo, en las zonas donde las mujeres cultivaban el algodón, los colonizadores europeos impusieron trabajadores masculinos: de esta forma, en una década, la mayor parte de los hombres cultivaba algodón y café, importando fuerza viva de otras tribus, e incluso donde eran las mujeres quienes cultivaban el algodón, los europeos solamente enseñaban los nuevos métodos agrícolas a los hombres, marginando, así, a las potenciales trabajadoras. El historiador francés Fernand Braudel (Memorie del Mediterraneo, 1998) también había escrito, acerca de la Mesopotamia prehistórica, que las mujeres se ocupaban tout court de los campos, desde la plantación hasta la cosecha pero, en el momento en que los hombres habían introducido el empleo del arado, se reservaron también su derecho de uso: a eso se debía la dominacióm del hombre en la sociedad. El cultivo con el arado, en efecto, requiere una fuerza muscular no indiferente para su control, o para el control del animal de tiro: esto último junto al hecho de que la rotación de cultivo resultaba mayormente compatible con el papel de cuidadora de la prole, significó el reemplazo de las mujeres por los hombres en el momento en que dicha práctica agrícola se volvió prevalente y permamente.

 

Las tesis de Ester fueron retomadas casi veinte años más tarde por la filósofa estadounidense, de origen bengalí, Gayatri Chakravorty Spivak, que en su ensayo de 1998, titulado Can the subaltern speak, explica que si el sujeto subalterno se ve borrado por la historia colonial, la huella de diferencia sexual se ve borrada dos veces. Si en el ámbito del colonialismo el subalterno no tiene historia y no puede hablar, la subalterna, en cuanto mujer aún se encuentra más escondida. Spivak se pregunta si la mujer subalterna puede hablar y ser escuchada, o si tiene que sufrir, siempre por parte de alguién más, la narración deforme y deformante de sí misma (hoy en día diríamos que se ve obligada a sufrir un constante mansplaining). Ester Boserup, por lo tanto, ha demostrado que también una ciencia técnica como la economía puede estar al servicio de la lucha contro las disparidades y desigualdades, marcando así el rumbo para una mejora colectiva de nuestras sociedades. Esta economista “no alineada” (definida así por la experta de toponimia y colega, la Profesora Sara Marsico), nunca aceptó la matematización de la economía, dado que su visión planteaba un futuro en desarrollo, sobre todo gracias a las mayores oportunidades de instrucción para las mujeres, motor necesario del desarrollo y de la innovación. En cuanto a mujer a la cual desde pequeña le habían dicho que tenía que estudiar y remangarse con la esperanza de conquistar y ocupar su lugar en el mundo, Ester nunca se dobló frente a la creciente esterilidad técnica de las disciplinas económicas, privilegiando, en sus investigaciones, asuntos en relación con el desarrollo y los derechos civiles, en particular la distribución de la riqueza y el poder entre personas, géneros y sociedad de manera igualitaria. Un gran ejemplo, una vía maestra que, con suerte, tendría que ser recorrida, en tiempos de reconstrucción, Recovery Plan y Next Generation Eu, programaciones demasiado económicas y poco sociales, que nos parecen aún lejos de los objetivos de una verdadera paridad e igualdad entre poblaciones y personas.

 

Para mayores profundizaciones:

https://www.ingenere.it/articoli/pioniere-ester-boserup-ruolo-donne-agricoltura

https://www.clio92.org/2021/03/04/genere-sviluppo-malsviluppo/

https://jan.ucc.nau.edu/~sj6/Spivak%20CanTheSubalternSpeak.pdf

https://www.affaritaliani.it/costume/disuguaglianza-di-genere-aratro-in-agricoltura-origine-del-sessimo-700899.html

 

Zlata Bartl
Angela Scozzafava



Alessia Tzimas

 

Il piatto si presentava bene, era invitante, lo assaggiai incuriosita: zucchine ripiene di carne. Un sapore inconsueto ma buono. Distinsi l’affumicato dello speck, il dolciastro del latte, il profumo dell’aneto e poi… qualcosa di sconosciuto. Seppi in seguito che a dare quel gusto particolare, tipico di moltissimi piatti della gastronomia croata, era il “vegeta”. Un prodotto onnipresente in tutte le cucine, in ogni casa così come nei ristoranti stellati, un condimento essiccato, dalla composizione ancora oggi segreta, molto imitato ma inimitabile, mi dissero con orgoglio, inventato nel 1959 da una donna, Zlata Bartl, la cui vita incrociò le radicali trasformazioni che nel corso del Novecento hanno coinvolto l’Europa e in particolare l’area balcanica: le due guerre mondiali, la guerra fredda, il crollo dell’impero sovietico, la dissoluzione della Jugoslavia, la nascita della Repubblica di Croazia (1992).

Quando Zlata Bartl nacque, il 20 febbraio 1920, la Grande Guerra era finita da poco più di un anno e nel 1918, in base al Trattato di Saint-Germain, era nato il Regno dei serbi-croati-sloveni (Jugoslavia). Gli anni dell’infanzia e della giovinezza furono difficili dal punto di vista politico: contrasti nazionalistici, una gestione sempre più autoritaria del potere da parte del sovrano Alessandro I Karađorđević, culminata nel 1929 con la “dittatura della monarchia” nonché le conseguenze della crisi economica mondiale ebbero effetti devastanti e alimentarono movimenti estremi come quello degli ustaša, ispirato al fascismo. L’assassinio del re (1934) accentuò l’instabilità politica e tentativi di mediazione fallirono anche per il precipitare della situazione internazionale. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la Jugoslavia si dichiarò neutrale, aderendo poi al Patto Tripartito. Nonostante ciò, nel 1941 fu invasa dalle forze dell’Asse, spartita tra Italia e Germania e soggetta a un’occupazione particolarmente spietata. In Croazia fu creato uno Stato collaborazionista, sotto la guida del “duce” degli ustaša Ante Pavelić: la resistenza contro l’occupazione nazifascista cominciò subito. Intanto nel 1938 Zlata Bartl a diciotto anni era stata tra le prime donne a iscriversi all’università di Zagabria dove si laureò nel 1942 in chimica, fisica e matematica. Tornò poi a Sarajevo e iniziò a lavorare come insegnante. Nel 1945, dopo la liberazione del Paese per opera delle forze partigiane, i comunisti di Josip Broz Tito instaurarono un regime che si ispirava all’Urss pur mantenendo una propria autonomia (tanto da essere espulsi nel 1948 dal Cominform e diventando, nel clima di violenta contrapposizione della guerra fredda, un Paese guida del movimento dei “non allineati”).

 


Bartl durante una visita a Sirimavo Bandaranaika - la prima donna primo ministro (Sri Lanka) podravka, nel '74 o '76.ARCHIVI PODRAVKA - Copia

Zlata Bartl in Giappone, 1968.

In questa situazione Zlata Bartl fu processata nel 1945 per aver simpatizzato col movimento degli ustaša e per aver portato un gruppo di ragazze delle superiori a visitare l’Italia: ciò fu interpretato come consenso al fascismo. Ella definì “un’ingenuità” la sua adesione al movimento ustaša e ripeté di non essere un’ammiratrice del regime fascista bensì dei monumenti, della cultura e dell’arte italiane, ma queste sue dichiarazioni non bastarono a evitarle una condanna a otto anni di carcere e la perdita dei diritti civili; scontò la sua pena nel penitenziario di Zenica fino al 1946 quando venne rilasciata sulla parola, forse perché in carcere si era ammalata di tubercolosi spinale, o forse, come dichiarò successivamente, perché poteva essere più utile fuori. Zlata Bartl, infatti, contribuì con il suo lavoro di ricerca e con le sue innovazioni al processo d’industrializzazione e al generale miglioramento delle condizioni di vita che riguardò la Jugoslavia negli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1955, bloccata a Zagabria per una nevicata particolarmente intensa, decise di cercarsi un’occupazione: trovò lavoro come ricercatrice nel laboratorio chimico della Podravka, un’azienda che non versava in buone acque. Lì poté finalmente coltivare uno dei suoi interessi principali: la chimica, ambito dal quale la vita l’aveva fino allora allontanata. Si “innamorò” di Podravka a prima vista, dichiarerà poi di essersi ambientata in pochissimo tempo e di aver subito intuito cosa fare e come muoversi per realizzarlo. La fabbrica aveva sede a Koprivnica, una cittadina sottosviluppata, di cui Zlata Bartl ricorderà le strade fangose e l’unico pasto diviso con i colleghi; curiosa, preparata, mossa dal desiderio di essere utile, iniziò con entusiasmo il suo nuovo lavoro. Le prime creazioni, realizzate dal team che dirigeva nel 1957, furono delle zuppe di pollo in busta, un’innovazione “rivoluzionaria” che avrebbe facilitato la vita di molte famiglie e soprattutto alleviato le incombenze casalinghe delle donne impegnate nel lavoro. Le zuppe erano prodotte in maniera piuttosto “avventurosa”: basti pensare che i sacchetti, in assenza di macchinari adatti, erano chiusi a mano con un ferro da stiro. Questo fu solo il primo passo: la sua inventiva e creatività la spinsero a sperimentare nuove preparazioni con verdure disidratate. Nel 1959 nacque così “vegeta”, presentato in un’accattivante confezione di colore blu, con un cuoco con baffi alla francese. La prima produzione iniziò a maggio dello stesso anno: sciolto in acqua e usato come “zuppa senza carne” non funzionava, ma ebbe immediato successo quando venne aggiunto come spezia alla preparazione di diversi piatti. Il primo stock di produzione fu esaurito rapidamente. Secondo i dati del sito Podravka l’anno successivo ne furono immesse sul mercato 3 tonnellate, poi 16, poi ancora 120; nel 1964 fu superato il record di mille tonnellate. Il prodotto risollevò le sorti dell’azienda e permise lo sviluppo di tutta la zona. Ora è presente, secondo quanto riporta il sito Vegeta, in più di 60 Paesi e Podravka è un’azienda fiorente, che ha diversificato la sua produzione sviluppando molti marchi e presentando sul mercato diversi tipi di “vegeta” (universale, al rosmarino, affumicata, per arrosti e così via).

 


Zlata Bartl e Zlata Vucelić Kralj nel laboratorio di Podravka, 1963. ARCHIVI PODRAVKA

Lattine di imballaggio di Vegeta.

 

La vita di Zlata Bartl è stata complessa; ha vissuto momenti e sfide difficili ma ha dichiarato: «Non cambierei la mia vita perché ero sempre felice quando creavo qualcosa. Ho sognato tutta la mia vita di creare qualcosa che sarebbe stato utile. Ero uno spirito irrequieto, mi piaceva molto imparare, leggere e studiare alcune delle cose che non erano nel mio campo, anche a prezzo di una notte di sonno» e ha effettivamente realizzato qualcosa di utile: un prodotto innovativo che l’ha resa popolare e amata. Ha ricevuto molte onorificenze, tra cui l’Order of Danica Hrvatska, uno tra i premi più prestigiosi della Repubblica Croata, l’alta onorificenza del Presidente della Repubblica di Croazia, il Premio Città di Koprivnica, città di cui ebbe anche la cittadinanza onoraria. «Il più grande riconoscimento e la maggiore soddisfazione» sono stati per lei «l’aver potuto trasformare, con l’aiuto del suo team, un buon prodotto, vegeta, in un ottimo prodotto» e inoltre l’affetto rivelato dal soprannome, familiare e tenero, con cui venne chiamata ed è ancora conosciuta: Zia Vegeta. Zlata Bartl morì a Koprivnica in una casa di riposo il 30 luglio 2008 a ottantotto anni. Nel 2001 Podravka ha istituito la Fondazione Ztala Bartl, il cui obiettivo è finanziare e stimolare la ricerca scientifica di cittadini e cittadine, con particolare attenzione alla gioventù della Repubblica di Croazia: non potrebbe esserci un riconoscimento che esprima meglio il senso e gli scopi che Zlata ha perseguito nella sua vita.

 

Per approfondire:

The Establishment of the "Zlata Bartl" Foundation ♥ Podravka

Influential Croatian Women - Zlata Bartl - the mother of almighty Vegeta! - Go to Croatia (croatia2go.com)

Wikipedia

AA VV – Dizionario di Storia – ed. Bruno Mondadori

 

Traduzione francese
Piera Negri

 

Le plat se présentait bien, il était invitant, je l'ai goûté avec curiosité : courgettes farcies à la viande. Une saveur inhabituelle mais bonne. J'ai distingué le speck fumé, le doucereux du lait, l'odeur de l'aneth et puis... quelque chose d'inconnu. J'ai appris plus tard qu’à donner ce goût particulier, typique de nombreux plats de la gastronomie croate, c'était la " vegeta ". Un produit omniprésent dans toutes les cuisines, dans tous les foyers ainsi que dans les restaurants étoilés, un condiment séché, à la composition encore secrète, très imitée mais inimitable, me disaient-ils avec fierté, inventé en 1959 par une femme, Zlata Bartl, dont la vie a croisé les transformations radicales qui, au cours du XXe siècle, ont impliqué l'Europe et en particulier l'espace balkanique : les deux guerres mondiales, la guerre froide, l'effondrement de l'empire soviétique, la dissolution de la Yougoslavie, la naissance de la République de Croatie (1992).

Lorsque Zlata Bartl est née, le 20 février 1920, la Grande Guerre était finie il y a un peu plus d'un an et en 1918, en vertu du Traité de Saint-Germain, il était né le Royaume des Serbes-Croates-Slovènes (Yougoslavie). Les années d'enfance et de jeunesse ont été difficiles d'un point de vue politique : conflits nationalistes, gestion de plus en plus autoritaire du pouvoir par le souverain Alexandre I Karađorđević, culminant en 1929 avec la « dictature de la monarchie » ainsi que les conséquences de la crise économique mondiale eurent des effets dévastateurs et alimentèrent des mouvements extrêmes comme celui des oustaša, inspiré par le fascisme. L'assassinat du roi (1934) accentue l'instabilité politique et les tentatives de médiation échouent également en raison de l'aggravation de la situation internationale. Au début de la Seconde Guerre mondiale, la Yougoslavie s'est déclarée neutre, rejoignant plus tard le Pacte tripartite. Malgré cela, en 1941, elle a été envahie par les forces de l'Axe, divisée entre l'Italie et l'Allemagne et soumise à une occupation particulièrement impitoyable. Un État collaborationniste est créé en Croatie, sous la houlette du « duc » des oustaša Ante Pavelić : la résistance contre l'occupation nazie-fasciste commença aussitôt. Entretemps, en 1938, Zlata Bartl, à l'âge de dix-huit ans, a été parmi les premières femmes à s'inscrire à l'Université de Zagreb où elle a obtenu son diplôme en 1942 en chimie, physique et mathématiques. Elle retourna ensuite à Sarajevo et commença à travailler comme enseignant. En 1945, après la libération du Pays par les forces partisanes, les communistes de Josip Broz Tito instaurent un régime inspiré de l'URSS tout en conservant leur autonomie (à tel point qu'ils sont expulsés en 1948 par le Kominform et deviennent, dans le climat d'opposition violente de la guerre froide, pays phare du mouvement des « non-alignés »).

 

 


Bartl lors d'une visite à Sirimavo Bandaranaika - la première femme Premier ministre (Sri Lanka) podravka, en 74 ou 76. ARCHIVI PODRAVKA - Copie

Zlata Bartl au Japon, 1968.

 

Dans cette situation, Zlata Bartl a été jugée en 1945 pour avoir sympathisé avec le mouvement oustaša et pour avoir amené un groupe de lycéennes en visite en Italie : cela a été interprété comme un consentement au fascisme. Elle a qualifié une «naïveté» son adhésion au mouvement oustaša et a répété qu'elle n'était pas une admiratrice du régime fasciste mais des monuments, de la culture et de l'art italienne, mais ces déclarations n'ont pas suffi à lui éviter d'être condamnée à huit ans d'emprisonnement et à la perte des droits civils; elle a purgé sa peine au pénitencier de Zenica jusqu'à 1946, date à laquelle elle a été libérée sur parole, peut-être parce qu'elle a contracté une tuberculose vertébrale en prison, ou peut-être, comme elle l'a déclaré plus tard, parce qu'elle pourrait être plus utile à l'extérieur. Zlata Bartl a en effet contribué par ses travaux de recherche et ses innovations au processus d'industrialisation et à l'amélioration générale des conditions de vie qui ont affecté la Yougoslavie dans les années 50 et 60. En 1955, bloquée à Zagreb en raison d'une chute de neige particulièrement intense, elle décide de chercher un travail : elle trouve un emploi de chercheuse dans le laboratoire de chimie de Podravka, une entreprise qui n'était pas en bonne eau. Elle y cultive enfin l'un de ses intérêts principaux : la chimie, domaine dont la vie l'avait éloignée jusqu'alors. Elle « est tombée amoureuse » de Podravka au premier regard, puis a déclaré qu'elle s'était installée en très peu de temps et qu'elle avait tout de suite compris quoi faire et comment se déplacer pour y arriver. L'usine était basée à Koprivnica, une ville sous-développée, dont Zlata Bartl se souviendra des rues boueuses et du seul repas partagé entre collègues ; curieuse, préparée, mue par le désir d'être utile, elle entame avec enthousiasme son nouveau travail. Les premières créations, réalisées par l'équipe qu'elle dirigeait en 1957, étaient des soupes au poulet en sachet, une innovation « révolutionnaire » qui aurait facilité la vie de nombreuses familles et surtout allégé les tâches ménagères des femmes occupées au travail. Les soupes étaient produites de manière assez « aventureuse » : il suffit de penser que les sachets, en l'absence de machines appropriées, étaient fermés à la main avec un fer à repasser. Ce n'était qu'un premier pas : son inventivité et sa créativité la conduisirent à expérimenter de nouvelles préparations à base de légumes déshydratés. En 1959, " vegeta " est né, présenté dans un joli emballage bleu, avec un chef à la moustache française. La première production débute en mai de la même année : dissoute dans l'eau et utilisée comme "soupe sans viande", elle ne fonctionne pas, mais elle rencontre immédiatement un succès lorsqu'elle est ajoutée comme épice à la préparation de divers plats. Le premier stock de production s'épuise rapidement. Selon les données du site de Podravka, l'année suivante 3 tonnes ont été mises sur le marché, puis 16, puis 120 de plus ; en 1964, le record de mille tonnes a été battu. Le produit fit la fortune de l'entreprise et permit le développement de toute la région. Il est désormais présent, selon le site Vegeta, dans plus de 60 pays et Podravka est une entreprise florissante, qui a diversifié sa production en développant de nombreuses marques et en présentant sur le marché différents types de « vegeta » (universel, au romarin, fumé, pour les rôtis et ainsi de suite).

 


Zlata Bartl et Zlata Vucelić Kralj dans le laboratoire de Podravka, 1963. ARCHIVES DE PODRAVKA

Boîtes d'emballage Vegeta.

 

La vie de Zlata Bartl a été complexe ; elle a vécu des moments et des défis difficiles mais elle a déclaré : « Je ne changerais pas ma vie parce que j'étais toujours heureuse quand je créais quelque chose. J'ai rêvé toute ma vie de créer quelque chose qui aurait été utile. J'étais un esprit agité, j'aimais vraiment apprendre, lire et étudier certaines choses qui n'étaient pas dans mon domaine, même au prix d'une nuit de sommeil " et elle en a fait quelque chose d'utile : un produit innovant qui l'a rendue populaire et aimée. Elle a reçu de nombreuses distinctions, dont l'Ordre de Danica Hrvatska, l'une des récompenses les plus prestigieuses de la République Croate, la grande distinction du Président de la République de Croatie, le Prix de la ville de Koprivnica, ville dont elle a également eu citoyenneté d’honneur. « La plus grande reconnaissance et la plus grande satisfaction » ont été pour elle « d'avoir pu transformer, à l'aide de son équipe, un bon produit, vegeta, dans un excellent produit » et aussi l'affection révélée par le surnom, familier et tendre, avec lequel elle s'appelait et est toujours connue : Tante Vegeta. Zlata Bartl est décédée à Koprivnica dans une maison de retraite le 30 juillet 2008 à l'âge de quatre-vingt-huit ans. En 2001, Podravka a créé la Fondation Ztala Bartl, dont l'objectif est de financer et de stimuler la recherche scientifique des citoyens et citoyennes, avec une attention particulière à la jeunesse de la République de Croatie : il ne pourrait y être une reconnaissance qui exprime mieux le sens et les objectifs que Zlata a poursuivi dans sa vie.

 

En savoir plus:

The Establishment of the "Zlata Bartl" Foundation ♥ Podravka

Influential Croatian Women - Zlata Bartl - the mother of almighty Vegeta! - Go to Croatia (croatia2go.com)

Wikipedia

AA VV – Dizionario di Storia – ed. Bruno Mondadori

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

The dish looked good, it was inviting, I tasted it with curiousity. Zucchini stuffed with meat. An unusual but good flavor. I distinguished the smoked bacon, the sweetness of the milk, the scent of dill and then ... something unknown. I later learned that what gave that particular taste, typical of many dishes of Croatian gastronomy, was "Vegeta". An omnipresent product in all kitchens, in every home as well as in starred restaurants, a dried condiment, with a still secret composition, much imitated but inimitable. They told me with pride that it was invented in 1959 by a woman, Zlata Bartl, whose life spanned the radical transformations that during the twentieth century affected Europe and in particular the Balkans - the two world wars, the cold war, the collapse of the Soviet empire, the dissolution of Yugoslavia, the birth of the Republic of Croatia (1992).

When Zlata Bartl was born, on February 20, 1920, the Great War had ended just over a year before, and in 1918, under the Treaty of Saint-Germain, the Kingdom of Serbs-Croats-Slovenes (Yugoslavia) was born. The years of her childhood and youth were difficult from a political point of view. There were nationalistic conflicts, an increasingly authoritarian management of power by the sovereign Alexander I Karađorđević, culminating in 1929 with the "dictatorship of the monarchy", along with consequences of the worldwide economic crisis. All this had devastating consequences and fueled extremist movements such as that of the ustaša, inspired by fascism. The assassination of the king (1934) accentuated political instability and attempts at mediation failed due to the worsening of the international situation. At the outbreak of the Second World War, Yugoslavia declared itself neutral, later joining the Tripartite Pact. Despite this, in 1941 it was invaded by the Axis forces, divided between Italy and Germany and subject to particularly harsh occupation. A collaborationist state was created in Croatia, under the leadership of the "duce" of the ustaša Ante Pavelić. The resistance against the Nazi-fascist occupation began immediately. Meanwhile, in 1938, Zlata Bartl was, at the age of eighteen, among the first women to enroll at the University of Zagreb where she graduated in 1942 in chemistry, physics and mathematics. She then returned to Sarajevo and started working as a teacher. In 1945, after the liberation of the country by the partisan forces, the communists led by Josip Broz Tito established a regime that was inspired by the USSR while maintaining its own autonomy (so much so that it was expelled in 1948 by the Cominform, becoming, in the climate of violent counter-positions of the Cold War, a leading country of the "non-aligned" movement).

 


Bartl during a visit to Sirimavo Bandaranaika - the first female prime minister (Sri Lanka) podravka, in '74 or '76. ARCHIVI PODRAVKA - Copy

Zlata Bartl in Japan, 1968.

In this situation, Zlata Bartl was tried in 1945 for having sympathized with the ustaša movement and for having brought a group of high school girls to visit Italy. This was interpreted as support to fascism. She defined her adhesion to the ustaša movement as "naïve" and repeated that she was not an admirer of the fascist regime but of Italian monuments, culture and art. But these statements were not enough to avoid her being sentenced to eight years of imprisonment and the loss of her civil rights. She served her sentence in Zenica penitentiary until 1946 when she was paroled, perhaps because she had fallen ill with spinal tuberculosis in prison, or perhaps, as she later stated, because she could be more useful outside. Zlata Bartl, in fact, contributed with her research work and her innovations to the industrialization process and the general improvement of living conditions that affected Yugoslavia in the 1950s and 1960s. In 1955, blocked in Zagreb due to a particularly intense snowfall, she decided to look for a job there. She found work as a researcher in the chemical laboratory of Podravka, a company that was not in good shape. There she was finally able to cultivate one of her main interests, chemistry, an area from which life had distanced her until then. She "fell in love" with Podravka at first sight, she later declared that she had settled in in a very short time and that she immediately understood what to do and how to move to make it happen. The factory was based in Koprivnica, an underdeveloped town, of which Zlata Bart remembered the muddy streets and the meals she shared with her colleagues. She, curious, prepared, and moved by the desire to be useful, enthusiastically began her new job. Her first creations, made by the team she headed in 1957, were chicken soups in bags, a "revolutionary" innovation that facilitated the lives of many families and above all relieved the household chores of women engaged in work. The soups were produced in a rather "adventurous" way - just think that the bags, in the absence of suitable machinery, were closed by hand with an iron. This was only the first step, and her inventiveness and creativity led her to experiment with new preparations with dehydrated vegetables. In 1959 "Vegeta" was born, presented in an attractive blue package, with a chef with a French mustache. The first production began in May of the same year, but dissolved in water and used as a "soup without meat" it was not popular, but it became immediately successful when it was used as a spice in the preparation of various dishes. The first production stock was quickly exhausted. According to data from the Podravka site, the following year 3 tons were placed on the market, then 16, then 120 more; in 1964 the record of one thousand tons was broken. The product raised the fortunes of the company and allowed the development of the whole area. Now it is present, according to the Vegeta website, in more than 60 countries and Podravka is a thriving company, which has diversified its production by developing many products and presenting to the market different types of "Vegeta" (universal, rosemary, smoked, for roasts and so on).

 


Zlata Bartl and Zlata Vucelić Kralj in the Podravka laboratory, 1963. PODRAVKA ARCHIVES

Vegeta packaging cans.

 

Zlata Bartl's life was complex. She lived through difficult moments and challenges but she said, “I would not change my life because I was always happy when I created something. I have dreamed all my life to create something that would be useful. I was a restless spirit, I really enjoyed learning, reading and studying some of the things that were not in my field, even at the price of a night's sleep." And she actually created useful things, including an innovative product that became popular and loved. She received many honors, including the Order of Danica Hrvatska, one of the most prestigious awards of the Croatian Republic, a high honor awarded by the President of the Republic of Croatia, and the City of Koprivnica Award, a city in which she also was given honorary citizenship. "The greatest recognition and the greatest satisfaction" were for her "having been able to transform, with the help of her team, a good product, Vegeta, into an excellent product." Great affection for her was reflected by the nickname, familiar and tender, by which she was and is still known, “Aunt Vegeta”. Zlata Bartl died at the age of eighty-eight on July 30, 2008, in in a retirement home in Koprivnica. In 2001 Podravka established the Ztala Bartl Foundation, whose objective is to finance and stimulate the scientific research by citizens, with particular attention to the youth of the Republic of Croatia. There could not be a recognition that better expresses the meaning and goals that Zlata pursued in her life.

 

To deepen:

The Establishment of the "Zlata Bartl" Foundation ♥ Podravka

Influential Croatian Women - Zlata Bartl - the mother of almighty Vegeta! - Go to Croatia (croatia2go.com)

Wikipedia

AA VV – Dizionario di Storia – ed. Bruno Mondadori

 

Traduzione spagnola
Daniela Leonardi

El plato se presentaba bien, era atractivo, lo probé intrigada: calabacines rellenos de carne. Un sabor inusual pero bueno. Distinguí el ahumado del speck, el dulzón de la leche, el perfume del eneldo y luego... algo desconocido. Luego supe que el sabor particular, típico de muchos platos de la gastronomía croata, era el "vegeta". Un producto omnipresente en todas las cocinas, en cada casa, así como en los restaurantes con alguna estrella Michelin, un condimento seco, de composición aún hoy secreta, muy imitado pero inimitable, me dijeron con orgullo, inventado en 1959 por una mujer, Zlata Bartl, cuya vida cruzó las profundas transformaciones que durante el siglo XX afectaron a Europa y en particular a la zona balcánica: las dos guerras mundiales, la guerra fría, el hundimiento del imperio soviético, la disolución de Yugoslavia, el nacimiento de la República de Croacia (1992).

Cuando Zlata Bartl nació, el 20 de febrero de 1920, la Gran Guerra había terminado hacía poco más de un año y en 1918, en base al Tratado de Saint-Germain, había nacido el Reino de los Serbios-Croatas-Eslovenos (Yugoslavia). Los años de la infancia y la juventud fueron difíciles desde el punto de vista político: enfrentamientos nacionalistas, una gestión cada vez más autoritaria del poder por parte del soberano Alessandro I Karađorđević, que culminó en 1929 con la "dictadura de la monarquía" así como las consecuencias de la crisis económica mundial tuvieron efectos devastadores y alimentaron movimientos extremos como el de los ustaša, inspirado en el fascismo. El asesinato del rey (1934) acentuó la inestabilidad política y los intentos de mediación fracasaron también por la precipitación de la situación internacional. Cuando estalló el segundo conflicto mundial, Yugoslavia se declaró neutral y adhirió al Pacto Tripartito. A pesar de ello, en 1941 fue invadida por las fuerzas del Eje, dividida entre Italia y Alemania y sometida a una ocupación particularmente despiadada. En Croacia se creó un Estado colaboracionista, bajo la guía del "duce" de los ustaša Ante Pavelić: la resistencia contra la ocupación nazifascista comenzó inmediatamente. Mientras tanto, en 1938, Zlata Bartl, a los 18 años, había sido una de las primeras mujeres en matricularse en la Universidad de Zagreb, donde se graduó en 1942 en química, física y matemáticas. Luego regresó a Sarajevo y empezó a trabajar como profesora. En 1945, después de la liberación de su país por obra de las fuerzas partisanas, los comunistas de Josip Broz Tito instauraron un régimen que se inspiraba en la URSS manteniendo una autonomía propia (tanto que fueron expulsados en 1948 del Cominform y se convirtieron, en el clima de violenta contraposición de la guerra fría, en un país líder del movimiento de los "no alineados").

 


Bartl durante una visita a Sirimavo Bandaranaika - la primera mujer primera ministra (Sri Lanka) podravka, en 1974 o 1976. ARCHIVI PODRAVKA - Copiar

Zlata Bartl en Japón, 1968.

En esta situación, Zlata Bartl fue juzgada en 1945 por simpatizar con el movimiento de los ustaša y por llevar a un grupo de chicas de la escuela secundaria a visitar Italia, lo que se interpretó como el consentimiento del fascismo. Ella definió "una ingenuidad" su adhesión al movimiento ustaša y repitió que no era una admiradora del régimen fascista sino de los monumentos, la cultura y el arte italianos, pero estas declaraciones no fueron suficientes para evitarle una condena de ocho años de cárcel y la pérdida de los derechos civiles; cumplió su condena en la penitenciaría de Zenica hasta 1946 cuando fue liberada bajo palabra, tal vez porque en la cárcel se había enfermado de tuberculosis espinal, o tal vez, como declaró más tarde, porque podía ser más útil afuera. Zlata Bartl contribuyó con su trabajo de investigación y sus innovaciones al proceso de industrialización y a la mejora general de las condiciones de vida que afectó a Yugoslavia en los años cincuenta y sesenta. En 1955, atrapada en Zagreb por una nevada particularmente intensa, decidió buscar un empleo: encontró trabajo como investigadora en el laboratorio químico de la Podravka, una empresa que no estaba en buenas codiciones. Allí pudo finalmente cultivar uno de sus intereses principales: la química, ámbito del cual la vida la había alejado hasta entonces. Se "enamoró" de Podravka a primera vista, luego declarará que se había ambientado en muy poco tiempo y que había intuido inmediatamente qué hacer y cómo moverse para realizarlo. La fábrica tenía su sede en Koprivnica, una ciudad subdesarrollada, de la que Zlata Bartl recordará las calles fangosas y la única comida compartida con sus colegas; curiosa, preparada, movida por el deseo de ser útil, comenzó con entusiasmo su nuevo trabajo. Las primeras creaciones, realizadas por el equipo que dirigía en 1957, fueron sopas de pollo en sobre, una innovación "revolucionaria" que facilitaría la vida de muchas familias y sobre todo aliviado las tareas domésticas de las mujeres comprometidas en el trabajo. Las sopas se producían de una manera bastante "aventurera": por ejemplo, los sobres, a falta de maquinaria adecuada, se cerraban a mano con una plancha. Este fue sólo el primer paso: su inventiva y creatividad la llevaron a experimentar nuevas preparaciones con verduras deshidratadas. En 1959 nació así "vegeta", presentado en un cautivador paquete de color azul, con un cocinero con bigote a la francesa. La primera producción comenzó en mayo del mismo año: disuelto en agua y utilizado como "sopa sin carne" no funcionaba, pero tuvo éxito inmediato cuando se añadió como especia a la preparación de varios platos. El primer stock de producción se agotó rápidamente. Según los datos del sitio Podravka al año siguiente se introdujeron en el mercado 3 toneladas, luego 16, luego aún 120; en 1964 se superó el récord de mil toneladas. El producto levantó el destino de la empresa y permitió el desarrollo de toda la zona. Ahora está presente, según informa el sitio Vegeta, en más de 60 países y Podravka es una empresa floreciente, que ha diversificado su producción desarrollando muchas marcas y presentando en el mercado diferentes tipos de "vegeta" (universal, al romero, ahumada, para asados y así sucesivamente).

 


Zlata Bartl y Zlata Vucelić Kralj en el laboratorio de Podravka, 1963. ARCHIVOS DE PODRAVKA

Latas de embalaje Vegeta.

 

La vida de Zlata Bartl fue compleja; ha vivido momentos y desafíos difíciles pero declaró: «No cambiaría mi vida porque siempre era feliz cuando creaba algo. Toda mi vida soñé con crear algo que fuera útil. Yo era un espíritu inquieto, me gustaba mucho aprender, leer y estudiar algunas de las cosas que no estaban en mi campo, incluso al precio de una noche de sueño» y realmente realizó algo útil: un producto innovador que la hizo popular y amada. Recibió muchos honores, entre ellos el Order of Danica Hrvatska, uno de los premios más prestigiosos de la República de Croacia, el alto honor del Presidente de la República de Croacia, el Premio Ciudad de Koprivnica, ciudad de la que también tuvo la ciudadanía honoraria. «El mayor reconocimiento y la mayor satisfacción» fueron para ella «el haber podido transformar, con la ayuda de su equipo, un buen producto, vegeta, en un ´optimo producto» , además del afecto revelado por el apodo, familiar y tierno, con el que todavía es aún conocida: Tía Vegeta. Zlata Bartl murió en Koprivnica en una residencia de ancianos el 30 de julio de 2008 a los 80 años. En 2001, Podravka creó la Fundación Ztala Bartl, cuyo objetivo es financiar y estimular la investigación científica de ciudadanos y ciudadanas, prestando especial atención a la juventud de la República de Croacia: no podría haber un reconocimiento que exprese mejor el sentido y los objetivos que Zlata persiguió en su vida.

 

para saber mas:

The Establishment of the "Zlata Bartl" Foundation ♥ Podravka

Influential Croatian Women - Zlata Bartl - the mother of almighty Vegeta! - Go to Croatia (croatia2go.com)

Wikipedia

AA VV – Dizionario di Storia – ed. Bruno Mondadori

 

Ana Asla
Cristina Crocenau



Alessia Tzimas

 

Qual è il segreto dell’eterna giovinezza? A partire dagli anni Cinquanta del Novecento, la risposta sembrò essere racchiusa in un farmaco chiamato Gerovital H3, il primo medicinale anti-invecchiamento scoperto dalla dottoressa Ana Aslan, che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca dei motivi che portano al processo di “invecchiamento cellulare”. Nata il 1° gennaio 1897 a Brăila, in Romania, Ana Aslan ha mostrato sin da piccola grande determinazione. In un primo momento, infatti, sembrò voler intraprendere la carriera da pilota, ma due avvenimenti furono cruciali per avvicinarla invece al mondo della medicina. Il primo fu la morte del padre avvenuta quando lei aveva 13 anni, in seguito a una lunga sofferenza. Il secondo è legato all’ultimo anno di liceo, durante il quale Ana studiò anatomia: rimase talmente tanto colpita da questa materia che si promise di non dedicarsi ad altro nella vita se non alla medicina. La sua decisione non fu però ben accolta dalla madre che, rimasta vedova con quattro figli, di cui Ana era l’ultima, vedeva in questa professione troppe difficoltà. Ana però non si lasciò scoraggiare: per tre giorni non mangiò e, solamente dopo una riunione di famiglia, la madre e i fratelli più grandi le permisero di iscriversi presso la facoltà di medicina di Bucarest, dove si laureò nel 1922. Iniziò quindi a lavorare al fianco del cardiologo Daniel Danielopolou che la seguì anche nella stesura della tesi di dottorato. Tra il 1945 e il 1949 fu professoressa presso la facoltà di medicina di Timişoara. Proprio in quel periodo sperimentò gli effetti della procaina, un anestetico locale, su un suo studente malato di artrosi. Vedendo i risultati positivi, Ana continuò le ricerche su un trattamento a base di questo farmaco testandolo anche su un centinaio di anziane e anziani con risultati soddisfacenti pure nel caso di malate e malati di Parkinson. È diventato famoso, infatti, il paziente di 110 anni che, dopo quattro anni di cure, è riuscito quasi a fermare il tremolio delle mani e della testa, ritrovando l’appetito oltre che uno stato psichico più soddisfacente. Ana Aslan voleva quindi migliorare la qualità della vita delle anziane e degli anziani poiché, affermava, «dobbiamo onorare e amare i nostri anziani perché loro sono parte del nostro patrimonio nazionale».

 

 

Nel 1952, in seguito ai risultati positivi delle sue ricerche, Ana Aslan diede vita al farmaco Gerovital H3, sulla base del quale iniziò un programma i cui risultati furono presentati nel 1956 al Congresso europeo di Gerontologia che si tenne in Germania. Il medicinale suscitò però un diffuso scetticismo nella comunità scientifica internazionale poiché non sembrava possibile che un semplice anestetico locale potesse dare un contributo così grande al ringiovanimento cellulare. Questa reazione non fece che incoraggiare Ana a dimostrarne l’efficacia, continuando la ricerca con un numero di pazienti ancora più ampio (circa 10.00) e con esiti ancora più soddisfacenti. Nel 1985 questi risultati ottennero un’accoglienza ben diversa rispetto al primo Congresso, e il metodo della dottoressa Aslan fu riconosciuto dal professore Paul Luth «come procedura terapeutica più efficace nel periodo pregeriatrico (dai 45 ai 65) e geriatrico (oltre i 65), nella prevenzione di problemi e malattie croniche della vecchiaia». L’attività di Ana Aslan è sicuramente legata all’Istituto Nazionale di Geriatria e Gerontologia del quale fu la fondatrice oltre che la direttrice. L’Istituto è stato il primo al mondo con questo profilo e fu considerato dall’Organizzazione mondiale della sanità un vero e proprio esempio da seguire. Molte personalità importanti del tempo rimasero affascinate dall’idea di prevenire l’invecchiamento. Il nome di Ana Aslan si diffuse in fretta all’estero, e parecchie celebrità si recarono presso l’Istituto e si sottoposero alle sue cure. Tra loro emergono nomi come quelli di Pablo Neruda, Claudia Cardinale, Salvador Dalí, Charlie Chaplin, Charles de Gaulle, Indira Gandhi, Kirk Douglas, Aristotele Onassis, Jacqueline Kennedy e tanti altri ancora. La sua fama era dovuta non solo al trattamento, ma anche al rapporto di fiducia e discrezione che sapeva instaurare con i/le pazienti, e alla sua innata capacità di interagire con la stampa, con modi e parole sempre adeguate. Riceveva giornalmente decine di lettere che leggeva personalmente e che faceva sistemare in maniera ordinata alle sue cinque assistenti. La biblioteca di Ana Aslan conta infatti più di 130.000 lettere provenienti da tutto il mondo. I suoi collaboratori e collaboratrici la ricordano come una persona gentile, introversa, pacata, dedita alla scienza, oltre che estremamente meticolosa e amante dell’ordine. Nei suoi viaggi all’estero, veniva accolta in maniera trionfale, e non era raro che le venissero proposte collaborazioni con istituti di ricerca locali. In Giappone le venne chiesto di rimanere e di diventare direttrice di un laboratorio di ricerca, ma l’amore per la propria patria e soprattutto per il suo Istituto e per coloro che vi lavoravano la portò a declinare l’invito. Negli anni Settanta, migliaia erano le persone che si sottoponevano alle cure della dottoressa Aslan, e non erano rari i momenti in cui l’Istituto rimaneva senza alcun posto libero. È in una di queste occasioni che Ana lasciò che il suo ufficio diventasse una camera per poter ospitare la celebre cantante peruviana Yma Sumac.

 

 

Nel 1980, insieme alla farmacista Elena Polovrăgeanu, presentò un altro farmaco geriatrico chiamato Aslavital contro l’invecchiamento della pelle, da cui derivarono prodotti cosmetici sotto forma di creme e lozioni. La vita di Ana Aslan è stata segnata da successi raggiunti grazie soprattutto alla sua determinazione. Non pochi furono infatti gli ostacoli, e a tal proposito dichiarò: «Ho combattuto con i pregiudizi, in un'epoca in cui si credeva che la donna non può essere pari all'uomo; ho dovuto combattere con l'inerzia, con lo spirito conservatore, con la burocrazia. Mi ha molto interessato cosa poteva sentire una persona dopo una simile cura. Io credo che non avrei potuto lavorare quanto lavoro ora, non avrei potuto viaggiare tanto, tenere tante conferenze, rispondere a tante domande e visitare centinaia e migliaia di malati, se non avessi fatto io stessa per 22 anni il trattamento con il Gerovital e con l'Aslavital. La domanda che dobbiamo fare non è più quanto viviamo, ma come viviamo. Il prolungamento della vita in sé non significa nulla, anche se è auspicabile. Dobbiamo prolungare non solo la vita, ma anche la vitalità e l'attività. C'è un principio in base al quale dobbiamo aggiungere non anni alla vita, bensì vita agli anni». Non si contano i premi e i riconoscimenti a lei attribuiti né le persone che ha aiutato con i suoi trattamenti. Ana Aslan si spense all’età di 91 anni, nel 1988, a causa di un cancro incurabile in un appartamento allestito all’interno del suo Istituto. Non si è mai sposata e non ha mai avuto figli. La sua più grande passione è stata la scienza e il suo più grande obiettivo era quello di permettere alle persone anziane di vivere una vita migliore grazie alle sue scoperte. Ad Ana Aslan sono state intitolate diverse strade in alcune località della Romania compresa la sua città natale, Brăila, ma anche a Cluj-Napoca, Craiova, Piteşti e Alba Iulia.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

 

Quel est le secret de la jeunesse éternelle ? Dans les années 1950, la réponse semblait se trouver dans un médicament appelé Gerovital H3, le premier médicament anti-âge découvert par le Dr Ana Aslan, qui a consacré toute sa vie à la recherche des raisons du "vieillissement cellulaire".Née le 1er janvier 1897 à Brăila, en Roumanie, Ana Aslan fait preuve d'une grande détermination dès son plus jeune âge. Au départ, elle semble vouloir poursuivre une carrière de pilote, mais deux événements ont été déterminants pour la rapprocher du monde de la médecine. La première est la mort de son père lorsqu'elle a 13 ans, après une longue période de souffrance. La seconde est sa dernière année de lycée, au cours de laquelle elle étudie l'anatomie : elle est tellement impressionnée par cette matière qu'elle se jure de ne se consacrer à rien d'autre dans la vie qu’à la médecine. Cependant, sa décision n'est pas bien accueillie par sa mère qui, étant veuve avec quatre enfants, dont Ana est la dernière, considère cette profession comme trop difficile. Pendant trois jours, elle ne mange pas et ce n'est qu'après une réunion de famille que sa mère et ses frères et sœurs aînés lui permettent de s'inscrire à la faculté de médecine de Bucarest, où elle obtient son diplôme en 1922. Elle commence ensuite à travailler aux côtés du cardiologue Daniel Danielopolou, qui la supervise également dans la rédaction de sa thèse de doctorat. Entre 1945 et 1949, elle est professeur à la faculté de médecine de Timisoara. C'est à cette époque qu'elle teste les effets de la procaïne, un anesthésique local, sur un de ses étudiants souffrant d'arthrose. Voyant les résultats positifs, Ana poursuit la recherche d'un traitement basé sur ce médicament, le testant sur une centaine de femmes et d'hommes âgés avec des résultats satisfaisants même dans le cas de patients atteints de la maladie de Parkinson. En effet, le patient de 110 ans qui, après quatre ans de traitement, réussit presque à arrêter les tremblements de ses mains et de sa tête, retrouve l'appétit ainsi qu'un état mental plus satisfaisant, est devenu célèbre. Ana Aslan veut donc améliorer la qualité de vie des personnes âgées car, dit-elle, "nous devons honorer et aimer nos personnes âgées car elles font partie de notre patrimoine national".

 

 

En 1952, suite aux résultats positifs de ses recherches, Ana Aslan crée le médicament Gerovital H3, sur la base duquel elle lance un programme dont les résultats sont présentés en 1956 au Congrès européen de gérontologie en Allemagne. Cependant, le médicament suscite un scepticisme généralisé dans la communauté scientifique internationale, car il ne semble pas possible qu'un simple anesthésique local puisse apporter une contribution aussi importante au rajeunissement cellulaire. Cette réaction ne fait qu'encourager Ana à prouver son efficacité, et elle poursuit les recherches avec un nombre encore plus important de patients (environ 15 000) et des résultats encore plus satisfaisants. En 1985, ces résultats reçoivent un accueil très différent de celui du premier congrès, et la méthode du Dr Aslan est reconnue par le professeur Paul Luth "comme la procédure thérapeutique la plus efficace dans les périodes pré-gériatriques (45 à 65 ans) et gériatriques (plus de 65 ans), dans la prévention des problèmes chroniques et des maladies de la vieillesse”. Le travail d'Ana Aslan est certainement lié à l'Institut national de gériatrie et de gérontologie, dont elle est la fondatrice ainsi que la directrice. L’Institut est le premier au monde à présenter ce profil et est considéré par l'Organisation mondiale de la santé comme un exemple à suivre. De nombreuses personnalités de l'époque étaient fascinées par l'idée de prévenir le vieillissement. Le nom d'Ana Aslan se répand rapidement à l'étranger, et de nombreuses célébrités viennent à l'Institut et suivent son traitement. Parmi eux, Pablo Neruda, Claudia Cardinale, Salvador Dalí, Charlie Chaplin, Charles de Gaulle, Indira Gandhi, Kirk Douglas, Aristote Onassis, Jacqueline Kennedy et bien d'autres. Sa renommée est due non seulement à ses traitements, mais aussi à la relation de confiance et de discrétion qu’elle sait établir avec ses patients, et à sa capacité innée à interagir avec la presse, toujours avec les mots et les manières appropriés. Elle reçoit quotidiennement des dizaines de lettres, qu'elle lit personnellement et fait trier par ses cinq assistants. La bibliothèque d'Ana Aslan contient plus de 130 000 lettres provenant du monde entier. Ses collègues de travail se souviennent d'elle comme d'une personne aimable, introvertie, calme, scientifique, méticuleuse et ordonnée. Lorsqu'elle se rend à l'étranger, elle est accueillie avec triomphe, et il n'est pas rare qu'on lui propose de collaborer avec des instituts de recherche locaux. Au Japon, on lui demande de rester et de devenir directrice d'un laboratoire de recherche, mais son amour pour sa patrie et surtout pour son Institut et ceux qui y travaillent l'amène à décliner l'invitation. Dans les années 1970, des milliers de personnes sont traitées par le Dr Aslan, et il n’est pas rare que l'Institut soit à court de lieux de travail. C'est à cette occasion qu'Ana laisse son bureau devenir une chambre pour accueillir la célèbre chanteuse péruvienne Yma Sumac.

 

 

En 1980, avec la pharmacienne Elena Polovrăgeanu, elle présente un autre médicament gériatrique appelé Aslavital contre le vieillissement de la peau, dont sont issus des produits cosmétiques sous forme de crèmes et de lotions. La vie d'Ana Aslan est marquée par des succès obtenus en grande partie grâce à sa détermination. Les obstacles ont été nombreux dans sa vie, ce à quoi elle répond : "J'ai dû lutter contre les préjugés, à une époque où l'on pensait que les femmes ne pouvaient pas être égales aux hommes ; j'ai dû lutter contre l'inertie, contre un esprit conservateur, contre la bureaucratie. J'étais très intéressée par ce qu'une personne pouvait ressentir après un tel traitement. Je crois que je n'aurais pas pu travailler aussi dur que je le fais maintenant, je n'aurais pas pu voyager autant, donner autant de conférences, répondre à autant de questions et rendre visite à des centaines et des milliers de patients, si je n'avais pas moi-même été traité avec Gerovital et Aslavital pendant 22 ans. La question que nous devons nous poser n'est plus de savoir combien de temps nous vivons, mais comment nous vivons. Prolonger la vie en soi ne signifie rien, même si c'est souhaitable. Nous devons prolonger non seulement la vie, mais aussi la vitalité et l'activité. Il existe un principe selon lequel nous devons ajouter non pas des années à la vie, mais la vie aux années.” Le nombre de prix et de récompenses qu'elle a reçus et les personnes qu'elle a aidées grâce à ses traitements sont infinis. Ana Aslan est décédée à l'âge de 91 ans, en 1988, d'un cancer incurable, dans un appartement aménagé dans son Institut. Elle ne s'est jamais mariée et n'a jamais eu d'enfants. Sa plus grande passion était la science et son plus grand objectif était de permettre aux personnes âgées de vivre une vie meilleure grâce à ses découvertes. Plusieurs rues ont été baptisées du nom d'Ana Aslan dans plusieurs endroits en Roumanie, notamment dans sa ville natale de Brăila, mais aussi à Cluj-Napoca, Craiova, Piteşti et Alba Iulia.

 

Traduzione francese
Syd Stapleton

 

What is the secret of eternal youth? Starting in the 1950s, the answer seemed to be contained in the first anti-aging drug, called Gerovital H3, discovered by Dr. Ana Aslan. She devoted her entire life to researching the reasons behind the process of "cellular aging". Born on January 1, 1897 in Brăila, Romania, Ana Aslan showed great determination from an early age. At first, she seemed to want to pursue a career as a pilot, but two events were crucial to shifting her focus to the world of medicine. The first was the death of her father, following a long and painful illness, when she was 13 years old. The second was linked to her last year of high school, during which Ana she studied anatomy. She was so impressed by this subject that she promised herself to devote her life to medicine. Her decision, however, was not well received by her mother who, being widowed with four children, of whom Ana was the youngest, saw too many difficulties in this profession. But Ana was not discouraged. For three days she refused to eat and, after a family meeting, her mother and older brothers finally allowed her to enroll at the medical faculty of Bucharest, where she graduated in 1922. She then began to work alongside the cardiologist Daniel Danielopolou, who was also helpful in the drafting of her doctoral thesis. Between 1945 and 1949 she was a professor at the Faculty of Medicine in Timişoara. At that time, she experimented on the effects of procaine, a local anesthetic (also known as Novocain), on one of her students with osteoarthritis. Seeing positive results, Ana continued the research on a treatment based on this drug, also testing it on a hundred elderly people with satisfactory results - even in the case of patients with Parkinson's. A 110-year-old patient became famous, who, after four years of treatment, largely managed to stop the shaking of his hands and head, regained his appetite, and achieved a more satisfactory psychic state. Ana Aslan wanted to improve the quality of life of the elderly because, she said, "we must honor and love our elders because they are part of our national heritage."

 

 

In 1952, following positive results from her research, Ana Aslan created and introduced the drug Gerovital H3. Using the drug, she began a program whose results were presented at the European Congress of Gerontology, held in 1956 in Germany. However, the drug aroused widespread skepticism in the international scientific community, since it did not seem possible that a simple local anesthetic could make such a great contribution to cellular rejuvenation. This reaction only encouraged Ana to demonstrate its effectiveness, continuing her research with an even larger number of patients (some 15,000), with even more satisfactory results. In 1985 these results received a very different reception from that at the 1956 Congress, and Dr. Aslan's method was recognized by Professor Paul Luth "as the most effective therapeutic procedure in the pregeriatric (from 45 to 65) and geriatric (over 65) periods in the prevention of chronic problems and diseases of old age.” Ana Aslan's activities were very much connected to the (Romanian) National Institute of Geriatrics and Gerontology, of which she was the founder as well as the director. The Institute was the first in the world of its kind, and was considered by the World Health Organization as an important example to follow. Many well-kmown personalities of the time were fascinated by the idea of ​​preventing aging. Ana Aslan's name quickly spread abroad, and many celebrities went to the Institute and underwent her treatments. Among them were names such as Pablo Neruda, Claudia Cardinale, Salvador Dalí, Charlie Chaplin, Charles de Gaulle, Indira Gandhi, Kirk Douglas, Aristotle Onassis, Jacqueline Kennedy and many others. Her fame was due not only to the treatment, but also to the relationship of trust and discretion that she knew how to establish with her patients, and to her innate ability to interact effectively with the press. She received dozens of letters daily which she read personally, and which she had her five assistants file in an orderly manner. In fact, Ana Aslan's papers contain more than 130,000 letters from all over the world. Her collaborators remember her as a kind, introverted, calm person, dedicated to science, as well as extremely meticulous and a lover of order. On her travels abroad, she was welcomed triumphantly, and it was not uncommon for her to be offered collaboration with local research institutes. In Japan she was asked to stay and become director of a research laboratory, but her love for her homeland and especially for her Institute and for those who worked there led her to decline the invitation. In the 1970s, thousands of people placed themselves under the care of Dr. Aslan, and it was not rare that the Institute was left without vacancies. It was on one of these occasions that Ana let her office become an accommodation for the famous Peruvian singer Yma Sumac.

 

 

In 1980 she, together with the pharmacist Elena Polovrăgeanu, presented another geriatric drug called Aslavital. It was directed against aging of the skin, and cosmetic products in the form of creams and lotions were derived from it. Ana Aslan's life was marked by successes achieved thanks, above all, to her determination. She faced many obstacles, and in this regard she declared, “I fought with prejudices, in an era in which it was believed that women cannot be equal to men; I had to fight against inertia, against a conservative spirit, against bureaucracy. I was very interested in what a person could feel after such a cure. I believe that I would not have been able to work as much as I work now, I would not have been able to travel as much, hold so many lectures, answer so many questions and visit hundreds and thousands of sick people, if I had not done the treatments myself with Gerovital and Aslavital for 22 years. The question we have to ask is no longer just how long we live, but how well we live. Prolonging life in itself means nothing, even if it is desirable. We must prolong not only life, but also vitality and activity. There is a principle according to which we must add not only years to life, but life to years.” There’s no counting the awards and acknowledgments given to her by the people she helped with her treatments. Ana Aslan passed away in 1988, at the age of 91, in an apartment set up inside her Institute, due to an incurable cancer. She never married and never had children. Her greatest passion was science and her greatest goal was to enable older people to live a better life thanks to her discoveries.Several streets have been named after Ana Aslan in Romania including in her hometown, Brăila, but also in Cluj-Napoca, Craiova, Piteşti and Alba Iulia.

 

Traduzione spagnola
Lizet Ángulo

 

¿Cuál es el secreto de la eterna juventud? A partir de los años Cincuenta de Mil Novecientos, la respuesta parecía estar encerrada en un fármaco llamado Gerovital H3, el primer medicamento anti-envejecimiento descubierto por la doctora Ana Aslan, quien dedicó toda su vida a la búsqueda de los motivos que conducen al proceso del “envejecimiento celular”. Ana Aslan, nacida el 1° de enero de 1897 en Brăila, Rumanía, mostró desde pequeña una gran determinación. Efectivamente, en un primer momento pareció querer emprender la carrera de piloto, pero dos acontecimientos cruciales la acercaron al mundo de la medicina. El primero fue la muerte de su padre, cuando ella tenía 13 años, después de un largo sufrimiento. El segundo está relacionado con el último año de estudios superiores, durante el cual Ana estudió anatomía: se quedó talmente impresionada por esta asignatura que se prometió a sí misma no dedicarse a otra cosa en la vida que no fuera medicina. Pero su decisión no fue bien recibida por su madre que, una viuda con cuatro hijos de los cuales Ana era la última, veía en esta profesión demasiadas dificultades. Sin embargo Ana no se dejó desanimar: no comió por tres días y, solo después de una reunión familiar, su madre y sus hermanos mayores le permitieron inscribirse en la facultad de medicina de Bucarest, donde se graduó en 1922. Empezó a trabajar al lado del cardiólogo Daniel Danielopolou que también la siguió en la redacción de la tesis de doctorado. Entre 1945 y 1949 fue profesora en la facultad de medicina de Timişoara. Justo en aquel período experimentó los efectos de la procaína, un anestésico local, en un estudiante suyo enfermo de artrosis. Viendo los resultados positivos, Ana continuó su investigación sobre un tratamiento a base de este fármaco probándolo incluso en un centenar de personas ancianas con resultados satisfactorios, incluso en el caso de enfermedad de Parkinson. En efecto, se hizo famoso el paciente de 110 años que, después de cuatro años de tratamiento, consiguió casi detener el temblor de las manos y de la cabeza, recuperando el apetito, además de un estado psíquico más satisfactorio. Ana Aslan quería por lo tanto mejorar la calidad de vida de las personas ancianas ya que, afirmaba, "debemos honrar y amar a nuestros ancianos porque ellos forman parte de nuestro patrimonio nacional”.

 

 

En 1952, después de los resultados positivos de sus investigaciones, Ana Aslan dio vida al fármaco Gerovital H3, en base al cual comenzó un programa cuyos resultados fueron presentados en 1956 al Congreso Europeo de Gerontología que tuvo lugar en Alemania. El medicamento, sin embargo, suscitó un escepticismo generalizado en la comunidad científica internacional ya que no parecía posible que un simple anestésico local pudiera dar un aporte tan grande al rejuvenecimiento celular. Esta reacción no hizo más que animar a Ana a demostrar su eficacia, continuando con la investigación con un número aún mayor de pacientes (cerca de 15 000) y con resultados aún más satisfactorios. En 1985 estos resultados obtuvieron una acogida muy diferente a la del primer Congreso, y el método de la doctora Aslan fue reconocido por el profesor Paul Luth “como procedimiento terapéutico más eficiente en el periodo pre-geriátrico (da 45 a 65) e geriátrico (más de 65), en la prevención de problemas y enfermedades crónicas de la vejez”. La actividad de Ana Asla está sin duda vinculada al Instituto Nacional de Geriatría y Gerontología del cual fue fundadora y directora. El Instituto fue el primero en el mundo con este perfil y fue considerado un auténtico ejemplo a seguir por la Organización Mundial de la Salud. Numerosas personalidades importantes de aquel período quedaron fascinadas por la idea de prevenir el envejecimiento. El nombre de Ana Aslan se difundió rápidamente en el extranjero, y varias celebridades fueron al Instituto y se sometieron a sus tratamientos. Entre ellos destacan los nombres de Pablo Neruda, Claudia Cardinale, Salvador Dalí, Charlie Chaplin, Charles de Gaulle, Indira Gandhi, Kirk Douglas, Aristóteles Onassis, Jacqueline Kennedy, entre otros. Su fama no solo se debía al tratamiento, sino también a la relación de confianza y discreción que sabía establecer con sus pacientes, y a su capacidad innata para relacionarse con la prensa, con modos y palabras siempre adecuados. Diariamente recibía decenas de cartas que leía personalmente y que mandaba ordenar a sus cinco asistentes. La biblioteca de Ana Aslan cuenta con más de 130 000 cartas procedentes de todo el mundo.Sus colaboradores y colaboradoras la recuerdan como una persona amable, introvertida, tranquila y dedicada a la ciencia, además de ser extremadamente meticulosa y amante del orden. En sus viajes al extranjero era acogida de manera triunfante, y no era extraño que le propusieran colaboraciones con institutos de investigación locales. En Japón le pidieron que se quedara y se convirtiera en directora de un laboratorio de investigación, pero el amor por la propria patria y sobre todo por su Instituto y por los que allí trabajaban, la llevó a rechazar la invitación. En los años setenta, miles de persones se sometían a los tratamientos de la doctora Aslan, hasta el punto que en algunas ocasiones en el Instituto no había habitaciones libres. En una de estas ocasiones Ana dejó que su despacho se convirtiera en una habitación para poder hospedar a la famosa cantante peruana Yma Sumac.

 

 

En 1980, junto a la farmacéutica Elena Polovrăgeanu, presentó otro medicamento geriátrico contra el envejecimiento de la piel, llamado Aslavital, del cual derivan productos cosméticos en forma de cremas y lociones. La vida de Ana Aslan estuvo marcada por éxitos conseguidos sobre todo gracias a su determinación. De hecho, no fueron pocos los obstáculos, y declaró al respecto: “He luchado contra los prejuicios, en una época en la que se creía que la mujer no podía ser igual al hombre; he tenido que luchar con la inercia, con el espíritu conservador, con la burocracia. Me ha interesado mucho lo que podía sentir una persona después de semejante tratamiento. Creo que no podría trabajar cuanto trabajo ahora, no podría viajar, dictar tantas conferencias, responder a las numerosas preguntas y visitar a cientos y miles de enfermos, si yo misma no hubiera seguido durante 22 años el tratamiento con Gerovital y con Aslavital. La pregunta que tenemos que hacer no es cuánto vivimos sino cómo vivimos. El prolongamiento de la vida en sí no significa nada, aunque sea deseable. Debemos prolongar no solo la vida, sino también la vitalidad y la actividad. Hay un principio en base al cual debemos aumentar no los años a la vida, sino vida a los años”. Los premios y los reconocimientos que se le han atribuidoson innumerables, así como las personas que ha ayudado con sus tratamientos. Ana Aslan se apagó a la edad de 91 años, en 1988, debido a un cáncer incurable en un apartamento equipado dentro de su Instituto. Nunca se casó y nunca tuvo hijos. Su mayor pasión fue la ciencia y su mayor objetivo era el de permitir a las personas ancianas vivir una vida mejor gracias a sus descubrimientos. A Ana Aslan se le dedicaron varias calles en algunas localidades de Rumanía como en su ciudad natal, Brăila, y también en Cluj-Napoca, Craiova, Piteşti y Alba Iulia.

 

Eugenija Šimkūnaitė
Giovanni Trinco



Alessia Tzimas

 

Leggendo la biografia di Eugenija Šimkūnaitė, si può quasi affermare che fosse una vera e propria predestinata. Nacque l’11 marzo 1920 a Novorossijsk (Russia) da una famiglia particolarmente colta – il padre era farmacista e la madre infermiera – che la sostenne sempre nelle sue ambizioni di studio. Pochi anni più tardi, nel 1922, i genitori decisero di tornare in Lituania con altri rifugiati e di stabilirsi definitivamente a Tauragnai (distretto di Utena), dove il padre aprì una farmacia e acquistò diversi ettari di terra. Fu, quindi, l’assistenza all’attività di famiglia che permise a Eugenija di venire a conoscenza del mondo delle erbe medicinali già in tenera età. Inoltre, proprio la località di Tauragnai rappresentò per la giovane un vero e proprio bagaglio culturale e ambientale fondamentale, che influenzò inevitabilmente le sue scelte di vita, le sue ricerche e la sua carriera accademica. Per avere un’idea del patrimonio culturale del luogo, basti pensare che lo stesso nome del lago Tauragnas, su cui si specchia il paese di Tauragnai, sembra derivare da una storia folcloristica che ha visto coinvolti il leggendario duca Rigimandas e dei tori che vivevano nelle foreste attorno al lago. Narra la leggenda che una notte sulle rive del lago apparvero due tori al duca, i quali gli rivelarono il posto migliore dove poter costruire il suo castello: la collina dove risiede l’attuale Taurapilis. In segno di riconoscimento verso quei tori, il lago venne chiamato Tauragnas. Dal punto di vista ambientale, invece, il lago fa parte del Parco nazionale dell’Aukštaitija, il più antico della Lituania. Ricoperto da laghi (molti dei quali collegati fra loro da piccoli corsi d’acqua) e posto a un’altitudine di livello basso-collinare, il parco è una zona rigogliosissima di vegetazione. Infatti, la stragrande maggioranza della sua superficie è coperta da foreste, composte al loro interno persino da esemplari ultracentenari. Oltre a questo, però, il Parco nazionale dell’Aukštaitija si caratterizza anche per la sua enorme e allo stesso tempo fragile biodiversità sia di flora che di fauna, con diverse specie animali e vegetali inserite nel libro rosso della Lituania. Per chi si occupa di conservazione della biodiversità, creare un libro rosso è uno degli obiettivi più importanti, poiché aiuta a definire le priorità, a individuare i fattori di rischio e a trovare la formula per salvare le popolazioni animali e vegetali attraverso la raccolta, la classificazione e l’analisi di dati e informazioni attuali e, soprattutto, affidabili.

 

Tornando a Eugenija Šimkūnaitė, a Tauragnai trascorse gli anni della sua gioventù tra un’istruzione formale e una educazione “informale” conferitale dalle sue vecchie zie e da altri anziani del luogo, i quali non solo la formarono al riconoscimento delle erbe e alla loro preparazione, ma le tramandarono anche un ammontare non indifferente di canzoni, leggende e tradizioni. Grazie a tutta questa ricchezza naturale e folcloristica ricevuta sin da bambina, non stupisce, quindi, il fatto che la più grande passione di Eugenija fossero le erbe, specialmente se legate alla cultura e al folclore locali. Era infatti convinta che tutte quelle canzoni, storie e pratiche medicinali rappresentassero la saggezza degli antenati e in quanto tale non dovesse andare sprecata. Tuttavia, tutto questo suo interesse e smania di conoscenza non era mai fine a sé stessa. Al contrario, nel corso della sua vita Eugenija Šimkūnaitė fu ben disposta a condividere quel che aveva imparato con il pubblico lituano (in particolare con i/le giovani), presenziando in decine di conferenze affollate e comparendo in numerose interviste radiofoniche e televisive; senza contare la vastissima produzione di articoli. Addirittura, viene riportato che aiutasse più che volentieri coloro che bussavano alla sua porta per consigli, prescrizioni o rimedi senza chiedere denaro in cambio. Non stupisce, pertanto, il fatto che fosse (e sia ancora) così amata e rispettata dal popolo lituano. Seguendo la sua vocazione, dopo aver ottenuto il diploma prima alla Scuola elementare di Tauragnai e poi all’Utena Gymnasium, nel 1937 Eugenija si iscrisse e iniziò a studiare farmacia all’Università Vytautas Magnus della città di Kaunas. All’epoca l’Università Vytautas Magnus era considerata l’apice dell’istruzione lituana e doveva il suo nome al Gran Duca Vytautas Magnus, storico governante del Granducato di Lituania ed eroe nazionale (l’Università venne nominata così in suo onore in occasione del 500º anniversario della sua morte). In questo senso, percorrendo la carriera accademica di Eugenija Šimkūnaitė, è utile ricordare che purtroppo il governo sovietico chiuse tale università nel 1950, sebbene alcune delle sue facoltà siano state poi riutilizzate come “fondamenta” per altre scuole di istruzione superiore. Nonostante ciò, lo spirito e la tradizione accademica dell’Università Vytautas Magnus riuscirono incredibilmente a sopravvivere fino al 1989, anno in cui la stessa venne ristabilita. Eugenija si laureò nel 1943, lavorando nel frattempo come assistente di diversi personaggi illustri al Giardino farmacognostico dell’Università di Vilnius. Nel mentre, la Seconda guerra mondiale le portò via la farmacia di famiglia (bruciata) e l’amato padre (ucciso). La madre riuscì a sopravvivere, seppur in pessime condizioni di salute; questo fatto, unito alla conseguente situazione di povertà incombente, la costrinse a lasciare l’accademia e a iniziare a lavorare come capo della farmacia del Primo ospedale sovietico di Vilnius.

 

La passione per lo studio e la ricerca era però troppa, così decise di tornare all’università solo per scoprire che la guerra si era portata via anche il Giardino farmacognostico. Dopo questa bruciante delusione, inizio a lavorare nel Consiglio farmaceutico della Divisione commercio presso il Ministero della salute. Non dovette aspettare molto per ricominciare a inseguire i suoi sogni e la sua vocazione, ultima eredità del defunto padre. Dopo una breve parentesi come ricercatore junior presso il Giardino botanico di Kaunas tra il 1949 e il 1950, ritornò a Vilnius per continuare il suo lavoro di ricerca all’Istituto di biologia dell'Accademia delle scienze, dove poi discusse la sua prima tesi di dottorato nel 1952. Dopo un’altra breve parentesi durata due anni (tra il 1955 e il 1957 in Kazakistan), tornò in Lituania dove trovò impiego nel Consiglio di farmacia, ove successivamente diresse uno specifico dipartimento erboristico. Nel 1971 sostenne una nuova tesi di dottorato all’Università di Vilnius. Per tutto il resto della sua vita continuò a dedicarsi allo studio delle piante medicinali, alla medicina popolare e alle tradizioni locali, interessandosi a un certo punto anche all’archeobotanica. Il suo impegno e talento le valsero diversi riconoscimenti e onorificenze di prestigio nazionale. Prima della morte, avvenuta in maniera improvvisa nel 1996, tra il 1971 e il 1994 scrisse diversi libri: Herbs; Forest trees, green greens; The kingdom of snakes; e What a witch just knows, or life without pills. Attualmente è sepolta a Tauragnai vicino ai suoi genitori, in quella località dove tutto ebbe inizio e a cui lei deve tutto. Il suo modo di fare e di essere nel corso della sua vita ha ispirato lituani e lituane, giovani e non; tanto che, circa un anno dopo la sua morte, nel 1997 venne fondata la Fondazione di beneficenza e sostegno Eugenija Šimkūnaitė, tra i cui obiettivi principali vi sono, ad esempio: la promozione delle letture scientifiche e degli eventi culturali dedicati a Eugenija Šimkūnaitė; il supporto degli studenti delle facoltà di farmacia e scienze; la divulgazione dell’erboristeria lituana sia dentro che fuori lo Stato della Lituania. Infine, dal 1998 a oggi la Scuola media di Tauragnai porta il suo nome, quasi come se lei stessa fosse diventata come una di quelle leggende che tanto amava quand’era ancora in vita.

 

Traduzione francese
Piera Negri

 

En lisant la biographie d'Eugenija Šimkūnaitė, on peut presque dire qu'elle était vraiment prédestinée. Elle est née le 11 mars 1920 à Novorossiysk (Russie) dans une famille particulièrement cultivée - le père était pharmacien et la mère infirmière - qui l'a toujours soutenue dans ses ambitions d'études. Quelques années plus tard, en 1922, les parents décident de retourner en Lituanie avec d'autres réfugiés et de s'installer définitivement à Tauragnai (district d'Utena), où le père ouvre une pharmacie et achète plusieurs hectares de terrain. C'est donc l'aide à l'entreprise familiale qui a permis à Eugenija de découvrir le monde des herbes médicinales dès son plus jeune âge. De plus, la localité de Tauagnai a représenté pour la jeune femme un véritable bagage culturel et environnemental fondamental, qui a inévitablement influencé ses choix de vie, ses recherches et son parcours universitaire. Pour se faire une idée du patrimoine culturel du lieu, il suffit de penser que le nom même du lac Tauragnas, sur lequel se reflète la ville de Tauragnai, semble dériver d'une histoire folklorique impliquant le légendaire duc Rigimandas et les taureaux qui vivaient dans les forêts autour du lac. La légende raconte qu'une nuit sur les rives du lac, deux taureaux apparurent au duc, qui lui ont révélé le meilleur endroit pour construire son château : la colline où réside l'actuel Taurapilis. En reconnaissance de ces taureaux, le lac s'appela Tauragnas. D'un point de vue environnemental, cependant, le lac fait partie du parc national d'Aukštaitija, le plus ancien de Lituanie. Couvert de lacs (dont beaucoup sont reliés entre eux par de petits ruisseaux) et situé à un niveau bas-vallonné, le parc est une zone de végétation très luxuriante. En effet, la grande majorité de sa surface est couverte de forêts, même à l'intérieur de celles-ci composées de spécimens plus que centenaires. En plus de cela, cependant, le parc national d'Aukštaitija se caractérise également par son énorme et fragile biodiversité à la fois de la flore et de la faune, avec diverses espèces animales et végétales insérées dans le livre rouge de la Lituanie. Pour les acteurs de la conservation de la biodiversité, la création d'un livre rouge est l'un des objectifs les plus importants, car il permet de définir les priorités, d'identifier les facteurs de risque et de trouver la formule pour sauver les populations animales et végétales à travers la collecte, la classification et l'analyse des données actuelles et, avant tout, des données et des informations fiables.

 

De retour à Eugenija Šimkūnaitė, à Tauagnai elle passa les années de sa jeunesse entre une éducation formelle et une éducation « informelle » qui lui furent conférées par ses vieilles tantes et autres anciens locaux, qui non seulement la formèrent à la reconnaissance des herbes et à leur préparation, mais ils ont également transmis une quantité considérable de chansons, de légendes et de traditions. Grâce à toute cette richesse naturelle et folklorique reçue depuis son enfance, il n'est donc pas surprenant que la plus grande passion d'Eugénija soient les herbes, surtout si elles sont liées à la culture et au folklore locale. Elle était en fait convaincue que toutes ces chansons, histoires et pratiques médicinales représentaient la sagesse des ancêtres et donc qu’elle ne devait pas être gaspillée. Cependant, tout cet intérêt et ce désir de connaissance n'a jamais été une fin en soi. Au contraire, tout au long de sa vie, Eugenija Šimkūnaitė a été disposée à partager ce qu'elle avait appris avec le public lituanien (en particulier avec les jeunes), en assistant à des dizaines de conférences bondées et en apparaissant dans de nombreuses interviews à la radio et à la télévision ; sans considérer l'énorme production d'articles. En effet, c’est dit qu'elle a plus que volontairement aidé ceux qui frappaient à sa porte pour obtenir des conseils, des prescriptions ou des remèdes sans demander d'argent en retour. Il n'est donc pas surprenant qu'elle ait été (et soit toujours) si aimée et respectée par le peuple lituanien. Suivant sa vocation, après avoir obtenu son diplôme d'abord à l'école primaire Tauragnai puis au gymnase d'Utena, Eugenija s'inscrit en 1937 et commence ses études de pharmacie à l'Université Vytautas Magnus de la ville de Kaunas. À l'époque, l'Université Vytautas Magnus était considérée comme le summum de l'éducation lituanienne et devait son nom au Grand-Duc Vytautas Magnus, souverain historique du Grand-Duché de Lituanie et héros national (l'Université a été nommée en son honneur à l'occasion du 500° anniversaire de sa mort). Dans ce sens, suivant la carrière universitaire d'Eugenija Šimkūnaitė, il est utile de rappeler que malheureusement le gouvernement soviétique a fermé cette université en 1950, bien que certaines de ses facultés aient ensuite été réutilisées comme « fondations » pour d'autres écoles d'enseignement supérieur. Malgré cela, l'esprit et la tradition académique de l'Université Vytautas Magnus ont incroyablement réussi à survivre jusqu'en 1989, date à laquelle elle a été rétablie. Eugenija a obtenu son diplôme en 1943, travaillant entretemps comme assistante de plusieurs personnalités illustres au Jardin pharmacognostique de l'Université de Vilnius.

 

 

Pendant ce temps, la Seconde Guerre mondiale a emporté sa pharmacie familiale (brûlée) et son père bien-aimé (tué). La mère a réussi à survivre, bien qu'en mauvaise santé ; ce fait, combiné à la situation de pauvreté imminente qui en résultait, la força à quitter l'académie et à commencer à travailler comme chef de la pharmacie du premier hôpital soviétique de Vilnius. Cependant, la passion pour l'étude et la recherche était trop forte, elle décide alors de retourner à l'université pour découvrir que la guerre avait également emporté le Jardin pharmacognostique. Après cette déception brûlante, elle a commencé à travailler au Conseil pharmaceutique de la Division du commerce au Ministère de la Santé. Elle n'a pas dû attendre longtemps pour recommencer à poursuivre ses rêves et sa vocation, le dernier héritage de son père. Après un bref passage en tant que chercheur junior au Jardin botanique de Kaunas entre 1949 et 1950, elle revient à Vilnius pour poursuivre ses travaux de recherche à l'Institut de biologie de l'Académie des sciences, où elle discute plus tard sa première thèse de doctorat en 1952. Après un autre bref intermède de deux ans (entre 1955 et 1957 au Kazakhstan), elle revient en Lituanie où elle a trouvé un emploi au Conseil de la pharmacie, où ensuite elle dirigera un département spécifique à base de plantes. En 1971, elle soutient une nouvelle thèse de doctorat à l'Université de Vilnius. Pour le reste de sa vie, elle a continué à se consacrer à l'étude des plantes médicinales, de la médecine populaire et des traditions locales, s'intéressant également à un moment donné à l'archéobotanique. Son engagement et son talent lui ont valu plusieurs prix et distinctions de prestige national. Avant sa mort, survenue soudainement en 1996, entre 1971 et 1994, elle a écrit plusieurs livres : Herbs; Forest trees, green greens; The kingdom of snakes; et What a witch just knows, or life without pills Elle est actuellement enterrée à Tauagnai près de ses parents, là où tout a commencé et auquel elle doit tout. Sa façon de faire et d'être tout au long de sa vie a inspiré des Lituaniens et des Lituaniens, jeunes et moins jeunes ; à tel point que, environ un an après sa mort, la Fondation caritative et de soutien Eugenija Šimkūnaitė, fondée en 1997, dont les principaux objectifs sont, par exemple : la promotion de lectures scientifiques et d'événements culturels dédiés à Eugenija Šimkūnaitė ; le soutien des étudiants des facultés de pharmacie et des sciences ; la diffusion de la phytothérapie lituanienne à l'intérieur et à l'extérieur de l'État de Lituanie. Enfin, de 1998 à aujourd'hui, le Collège Tauragnai porte son nom, presque comme si elle-même était devenue comme une de ces légendes qu'elle avait bien aimé au cours de sa vie.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

Reading the biography of Eugenija Šimkūnaitė, one can almost say that she was a genuinely predestined person. She was born on March 11, 1920 in Novorossiysk (Russia) to a particularly cultured family - her father was a pharmacist and her mother a nurse. A few years later, in 1922, her parents decided to return to Lithuania with other refugees and to settle permanently in Tauragnai (Utena district), where her father opened a pharmacy and bought several hectares of land. It was, therefore, the assistance she gave to her family’s business that allowed Eugenija to learn about the world of medicinal herbs from an early age. Her parents also always supported her in her ambitions to learn. Furthermore, the locality of Tauragnai represented for the young woman a deep and fundamental cultural and environmental background, which inevitably influenced her life choices, her research and her academic career. To get an idea of the cultural heritage of the place, it’s enough to think that the very name of the Lake Tauragnas, on which the village of Tauragnai is mirrored, seems to derive from a folkloric story that involved the legendary Duke Rigimandas and some bulls that lived in the forests around the lake. According to the legend, one night two bulls appeared before the duke on the shores of the lake. They revealed to him the best place where he could build his castle - the hill where the present Taurapilis is found. As a sign of recognition to those bulls, the lake was called Tauragnas. From the environmental point of view, the lake is part of the Aukštaitija National Park, the oldest in Lithuania. With many lakes (often connected to each other by small watercourses) and located among low altitude hills, the park is an area of lush vegetation. The vast majority of its surface is covered by forests, including, in their interior, even specimens of over 100 years old. In addition to this, the Aukštaitija National Park is also characterized by its enormous and at the same time fragile biodiversity of both flora and fauna, with several animal and plant species included in the “red book” of Lithuania. For those involved in biodiversity conservation, creating a “red book” is one of the most important goals, as it helps to set priorities, identify risk factors and works to find a formula with which to save animal and plant populations through collection, classification and analysis of current and, most importantly, reliable data and information.

 

Returning to Eugenija Šimkūnaitė, she spent the years of her youth in Tauragnai between a formal education and an "informal" education given to her by her old aunts and other local elders, who not only trained her in the recognition of herbs and their preparation, but also handed down to her many songs, legends and traditions. Given all this natural and folkloric richness she received during her childhood and youth, it’s not surprising that Eugenija's greatest passion was herbs, especially those related to local culture and folklore. She was in fact convinced that all those songs, stories and medicinal practices represented the wisdom of their ancestors and as such should not be wasted. However, her strong interest in and eagerness for knowledge was never an end in itself. On the contrary, throughout her life Eugenija Šimkūnaitė was willing to share what she had learned with the Lithuanian public (especially with young people), attending dozens of crowded conferences and appearing in numerous radio and television interviews, not to mention her vast production of writings. She was reported to be more than willing to help those who knocked on her door for advice, prescriptions or remedies, without asking for money in return. It is not surprising, therefore, that she was (and still is) so loved and respected by the Lithuanian people. Following her passion, after graduating from Tauragnai Elementary School and then from Utena Gymnasium in 1937, Eugenija enrolled at Vytautas Magnus University in the city of Kaunas and began studying pharmacy. At that time Vytautas Magnus University was considered the pinnacle of Lithuanian education and was named after Grand Duke Vytautas Magnus, the historical ruler of the Grand Duchy of Lithuania and a national hero (the University was named in his honor on the occasion of the 500th anniversary of his death). Going through the academic career of Eugenija Šimkūnaitė, it is useful to remember that unfortunately the Soviet government closed this university in 1950, although some of its faculties were then reused as "foundations" for other schools of higher education. Nevertheless, the spirit and academic tradition of Vytautas Magnus University incredibly managed to survive until 1989, when it was re-established. Eugenija graduated in 1943, working in the meantime as an assistant to several famous people at the Pharmacognostic Garden of Vilnius University. In the meantime, the family pharmacy was destroyed during the Second World War (burned down) and her beloved father was killed. Her mother managed to survive, although in very poor health. This fact, combined with the consequent situation of impending poverty, forced her to leave the academy and to start working as head of the pharmacy of the First Soviet Hospital in Vilnius.

 

 

However, her passion for study and research was such that she decided to return to the university, only to discover the Pharmacognostic Garden had not survived the war. After this burning disappointment, she began working in the Pharmaceutical Council of the Trade Division at the Ministry of Health. She didn't have to wait long to start pursuing her dreams and vocation again, the last legacy of her late father. After a brief interlude as a junior researcher at the Botanical Garden of Kaunas between 1949 and 1950, she returned to Vilnius to continue her research work at the Institute of Biology of the Academy of Sciences, where she defended her first doctoral thesis in 1952. After another brief interlude lasting two years (between 1955 and 1957) in Kazakhstan, she returned to Lithuania where she found employment with the Council of Pharmacy, where she later directed a department specific devoted to herbalist remedies. In 1971 she defended a new doctoral thesis at Vilnius University. For the rest of her life she continued to devote herself to the study of medicinal plants, folk medicine and local traditions, at a certain point also becoming interested in archeobotany. Her commitment and talent earned her several awards and honors of national prestige. Between 1971 and 1994 she wrote several books: Herbs, Forest Trees, Green Greens, The Kingdom of Snakes, and What a Witch Just Knows, or life without pills. Her death occurred suddenly and unexpectedly in 1996. She is buried in Tauragnai near her parents, in the place where everything began for her, and to which she owed everything. Her way of acting, and being, during her life inspired Lithuanians, young and otherwise - so much so that, in 1997, about a year after her death, the Eugenija Šimkūnaitė Charity and Support Foundation was founded. Its main objectives are, for example, the promotion of scientific readings and cultural events dedicated to Eugenija Šimkūnaitė, the support of students at the Faculty of Pharmacy and Science, and the dissemination of Lithuanian herbalism both inside and outside of Lithuania. Finally, from 1998 to the present day, the Tauragnai Middle School bears her name, almost as though she herself had become one of those legends she loved so much when she was still alive.

 

Traduzione spagnola
Aria Arianna Calabretta

 

Leyendo la biografía de Eugenija Šimkūnaitė, casi se podría afirmar que fue una auténtica predestinada. Nació el 11 marzo de 1920 en Novorossijsk (Rusia) en el seno de una familia especialmente culta –el padre era farmacéutico y la madre era enfermera– que siempre la apoyó en sus ambiciones de estudio. Unos años más tarde, en 1922, sus padres decidieron volver a Lituania junto a otros refugiados y establecerse definitivamente en Tauragnai (distrito de Utena), donde el padre abrió una farmacia y compró unas hectáreas de tierra. Por tanto, la ayuda en el negocio familiar permitió que Eugenija ya en tierna edad se acercara al mundo de las hierbas medicinales. Además, justo la localidad de Tauragnai representó para ella un bagaje cultural y medioambiental muy importante, que inevitablemente influyó en su estilo de vida, sus investigaciones y su carrera académica. Para hacerse una idea del patrimonio cultural del sitio, es suficiente pensar que al parecer el mismo nombre del lago Tauragnas, sobre el que se refleja el pueblo de Tauragnai, deriva de una historia folclórica que involucra al legendario duque Rigimandas y a unos toros que vivían en los bosques alrededor del lago. La leyenda cuenta que una noche, a orillas del lago, al duque le aparecieron dos toros, que le revelaron el mejor lugar donde construir su castillo: la colina donde se encuentra la actual Taurapilis. En señal de reconocimiento a aquellos toros, el lago fue llamado Tauragnas. En cambio, desde de un punto de vista ambiental, el lago pertenece al Parque Nacional de Aukštaitija, el más antiguo de Lituania. Recubierto de lagos (muchos de los cuales están conectados por pequeños arroyos) y situado en una altitud de bajo nivel montañoso, el parque es una zona de vegetación exuberante . Efectivamente, la gran mayoría de su superficie está cubierta por bosques, en cuyo interior se encuentran incluso ejemplares ultracentenarios. Sin embargo, más allá de este aspecto, el Parque Nacional del Aukštaitija también está caracterizado por su enorme a la vez que frágil biodiversidad tanto de flora como de fauna, con varias especies animales y vegetales recogidas en el libro rojo de Lituania. Para quienes se ocupan de la conservación de la biodiversidad, crear un libro rojo es uno de los objetivos más importantes, porque permite definir las prioridades, individuar los factores de riesgo y encontrar la fórmula para salvar las poblaciones de animales y vegetales mediante la recopilación, la clasificación y el análisis de datos e informaciones recientes y, sobre todo, fiables.

 

Regresando a Eugenija Šimkūnaitė, en Tauragnai pasó los años de su juventud entre una educación formal y una “informal”, dada por sus ancianas tías y otros ancianos del lugar, quienes no solo la formaron en el reconocimiento de las hierbas y su preparación, sino que también le transmitieron una gran cantidad de canciones, leyendas y tradiciones. Gracias a toda esta herencia natural y folclórica que recibió de pequeña, no sorprende, por tanto, que la mayor pasión de Eugenija fueran las hierbas, sobre todo aquellas relacionadas con la cultura y el folclore locales. De hecho, estaba convencida de que todas aquellas canciones, cuentos y prácticas medicinales representaban la sabiduría de los ancestros y, como tal, no tenía que desaprovecharse. Sin embargo, todo su interés y afán de conocimiento nunca fue un fin en sí mismo. Al revés, a lo largo de su vida Eugenija Šimkūnaitė estuvo bien dispuesta a compartir lo que aprendió con el público lituano (especialmente con la juventud), participando a decenas de conferencias atestadas y apareciendo en numerosas entrevistas radiofónicas y televisivas; sin contar la vastísima producción de artículos. Incluso se dice que ayudaba con gusto a la gente llamaba a su puerta para pedir consejos, recetas o remedios sin pretender dinero a cambio. Por tanto, no es de extrañar que fuera (y siga siendo) tan querida y respetada por el pueblo lituano. Siguiendo su vocación, después de obtener el diploma primero en la escuela primaria de Tauragnai y luego en el Utena Gymnasium, en 1937 Eugenija se dio matriculó y empezó a estudiar farmacia en la Universidad Vytautas Magnus de la ciudad de Kaumas. En esa época la Universidad Vytautas Magnus era considerada la cumbre de la educación lituana y llevaba el nombre del Gran Duque Vytautas Magnuns, histórico gobernador del Gran Ducado de Lituania y héroe nacional (la Universidad fue llamada así en su honor en ocasión del 500 aniversario de su muerte). En este sentido, al recorrer la carrera académica de Eugenija Šimkūnaitė, es útil recordar que, lamentablemente, el gobierno soviético cerró esta universidad en 1950, si bien algunas de sus facultades fueron reutilizadas como “cimientos” para otras escuelas de enseñanza superior. A pesar de ello, el ánimo y la tradición académica de la Universidad Vytautas Magnus pudieron sobrevivir increíblemente hasta el 1989, año en que fue restablecida. Eugenija se graduó en 1943 mientras trabajaba ayudando a diferentes personajes ilustres en el Jardín Farmacognóstico de la Universidad de Vilnius. Entretanto, la Segunda Guerra Mundial le quitó la farmacia familiar (quemada) y su querido padre (asesinado). Su madre sobrevivió, aun en pésimas condiciones de salud; eso, junto a la consecuente situación de pobreza incumbente, la obligó a dejar la academia y a empezar a trabajar como jefa de la farmacia del Primer Hospital Soviético de Vilnius.

 

 

Sin embargo, la pasión por el estudio y la investigación era enorme, así que decidió regresar a la universidad solo para darse cuenta de que la guerra también se había llevado el Jardín Farmacognóstico . Tras esta ardiente decepción, empezó a trabajar en el Consejo farmacéutico de la División de Comercio del Ministerio de la Sanidad. No tuvo que esperar mucho para volver a perseguir sus sueños y su vocación, último patrimonio del padre fallecido. Después de un breve paréntesis como investigadora junior en el Jardín botánico de Kaunas entre 1949 y 1950, volvió a Vilnius para seguir con su trabajo de investigación en el Instituto de Biología de la Academia de las Ciencias, donde defendió en 1952 su primera Tesis de doctorado. Tras otro breve periodo de dos años (entre 1955 y 1957 en Kazajstán), regresó a Lituania encontrando empleo en el Consejo de Farmacia, y donde sucesivamente dirigió un departamento específico de herboristería. En 1971 presentó una nueva Tesis doctoral en la Universidad de Vilnius. El resto de su vida siguió dedicándose al estudio de las plantas medicinales, a la medicina popular y a las tradiciones locales, y en dado momento también se interesó por la arqueobotánica. Su compromiso y talento le valieron varios reconocimientos y honores nacionales de prestigio. Antes de su muerte, ocurrida improvisamente en 1996, entre 1971 y 1994 escribió numerosos libros: Herbs; Forest trees, green greens; The kingdom of snakes y What a witch just knows, or life without pills. Actualmente está enterrada en Tauragnai al lado de sus padres, en esa localidad donde todo empezó y a la que se lo debe todo. Su modo de ser y de actuar a lo largo de su vida inspiró a lituanos y lituanas, jóvenes y mayores; a tal punto que, en torno a un año después de su fallecimiento, en 1997, se fundó la Fundación Benéfica y de Apoyo Eugenija Šimkūnaitė, entre cuyos objetivos principales se encuentran, por ejemplo: la promoción de las lecturas científicas y de los eventos culturales dedicados a Eugenija Šimkūnaitė; el apoyo a los estudiantes de la Facultad de Farmacia y Ciencias; la divulgación de la herboristería lituana tanto dentro como fuera del Estado lituano. Y, por último, desde 1998 hasta hoy la Escuela secundaria de Tauragnai lleva su nombre, casi como si ella misma se hubiera convertido en una de esas leyendas que tanto le gustaban cuando estaba viva.

 

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