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Nel febbraio del 2013 iniziava una collaborazione tra Toponomastica femminile,  RBE (Radio Beckwith Evangelica) e Bradipodiario, blog legato alla radio attraverso il redattore Giuseppe Rissone. Dall'11 settembre 2013 la collaborazione con Bradipodiario è diventata continuativa.
Gli articoli, che escono regolarmente il secondo mercoledì di ogni mese, hanno come oggetto la toponomastica e la presenza femminile nelle valli valdesi.
 
 

Le tabacchine e le valdesi

Pensieri a ruota libera sulle identità femminili

“Ci pensavo qualche giorno fa, seduta al tavolino di un bar pasticceria in quello che era un tempo il borgo sorto intorno alla Manifattura Tabacchi, al fondo di corso Regio Parco a Torino: ci sono eredità trasparenti, peculiarità che talora la storia collettiva scolpisce nel volto, nella  gestualità, nel sentire dei gruppi umani, peculiarità che si conservano e si tramandano da una generazione all’altra, e che si avvertono al primo impatto.

Nella camminata decisa, negli sguardi diretti, nella parlata franca delle abitanti di quel quartiere, per poco che se ne conoscano le vicende, non è difficile scorgere i segni di una storia collettiva al femminile, la storia di quelle tabacchine e di quelle sigaraie cui la comune esperienza di lavoro forgiò nel tempo un’identità ben precisa e ancora percepibile, oggi, nelle figlie e nelle nipoti di quelle donne.

E ci sono invece realtà più sfuggenti e sfumate, che non appaiono con la stessa evidenza. Non credo sia facile, per esempio, trovare  un denominatore comune per le donne valdesi, al di là di ciò che fortemente le contraddistingue  come portatrici degli stessi valori  condivisi con i correligionari di sesso maschile. Qualità come la serietà, l’affidabilità, il senso civico, lo spirito di servizio, il modo rigorosamente laico di vivere la sfera religiosa, una certa riservatezza che si unisce all’apertura culturale dovuta sia ad un livello di istruzione da sempre elevato sia ai tradizionali scambi con l’Europa protestante, tutto ciò costituisce un retaggio comune sia agli uomini che alle donne della comunità valdese.

Non facile, invece, almeno così a me pare, definire caratteristiche che identifichino le donne valdesi non in quanto valdesi ma proprio in quanto donne. Questa la mia impressione di osservatrice esterna, ma che non sia del tutto campata in aria mi viene confermato, dall’interno, da persone che di quella comunità fanno parte.

Mi piacerebbe però che si aprisse un confronto anche con le lettrici e i lettori di Bradipodiario, parecchie e parecchi dei quali hanno certamente da dire, su questo tema, molto più di me.

Francesca Spano: una breve e intensa esperienza di vita

“Protestante di ascendenze ebraiche e comuniste, insegnante e consigliera comunale, sessantottina e femminista”: con queste parole sul retro di copertina del libro che ne raccoglie gli articoli politici, filosofici e teologici (Francesca Spano, Con rigore e passione, Claudiana) Claudio Canal presenta la complessa personalità di Francesca Spano, figura di spicco del mondo politico e culturale pinerolese dalla metà degli anni ’70, delineando l’ambito degli interessi e dell’azione della sua vita breve e intensa.

Lei aveva detto di sé, con l’ironia che la contraddistingueva, che era stata allattata sui divani del Transatlantico, a Montecitorio. Infatti sua madre era Nadia Gallico Spano, una delle ventuno donne che il 2 giugno 1946 erano entrate nell’Assemblea Costituente. Alla nascita di Francesca era ancora deputata alla Camera e lo sarebbe stata fino al 1958, mentre il padre Velio era senatore; entrambi dirigenti del PCI.

Francesca nasce a Cagliari nel 1950 ma nel 1953 si trasferisce a Roma insieme con la sua famiglia per l’impegno politico dei genitori. A quattordici anni rimane  orfana del padre, esperienza che la segna profondamente. Nel solco dell’educazione famigliare, si iscrive alla FGC e naturalmente si impegna nel Movimento studentesco del liceo romano che frequenta, ma presto si allontana  dall’impronta assolutamente laica ricevuta dai genitori per avvicinarsi al cristianesimo protestante, grazie anche all’incontro con la personalità carismatica di pastori come Carlo Gay e Giorgio Tourn e agli intensi soggiorni presso il Centro ecumenico internazionale valdese di Agape, presso Prali (TO). Tuttavia, per rispetto alle proprie radici ebraiche di parte materna, sceglierà di non battezzarsi. Nel 1974 si laurea con una tesi in storia e  decide di stabilirsi a Pinerolo, dedicandosi con passione all’organizzazione culturale dei “campi” di Agape ed entrando nel Comitato esecutivo del Centro. Intanto insegna nel liceo di Pinerolo con un’attiva presenza nella CGIL scuola. Animata da autentica passione per il mondo delle idee, matura i propri orientamenti nei gruppi di ricerca teologica e in quelli femministi, nei quali convoglia anche il suo interesse per la psicanalisi; un viaggio, quello attraverso la psicanalisi, che la coinvolge personalmente e per tre anni ad Agape organizza un “campo” su questo argomento. Collabora poi attivamente alla creazione del Museo della donna valdese, fondato ad Angrogna nel 1989. A livello politico, dopo la “svolta” della Bolognina, Francesca si iscrive a Rifondazione Comunista e viene eletta al Consiglio comunale di Pinerolo, dedicandosi per qualche tempo anche alla politica attiva. Dal febbraio 1988 alla primavera del 1995 dirige la rivista Gioventù Evangelica e dal 1995 è nel Direttivo del Centro culturale valdese di Torre Pellice. Nel 1998 sposa il suo compagno, ex militante di Lotta continua e professore a Pinerolo, e nel 2003 va a vivere  a Torre Pellice, in una grande casa col giardino. La passione per il giardinaggio le ispira uno dei testi più significativi del Libretto viola, il libro che raccoglie i suoi scritti più intimi e personali, trovati nel suo pc dopo la sua morte improvvisa: l’embrione, probabilmente, di quello che avrebbe dovuto diventare un lungo racconto autobiografico.

La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi, il libro corale scritto insieme a un gruppo di donne valdesi, traccia un’analisi del cammino di condivisione con i movimenti femministi intrapreso sulla strada indicata dal “pensiero della differenza” ma anche dalla fede evangelica. Purtroppo Francesca non avrà il tempo di vederlo uscire in stampa, perché poco prima che ciò accada una rapida quanto inesorabile malattia la stronca, il 15 luglio del 2007.

Bibliografia:
Sabina Baral, Ines Pontet, Giovanna Ribet, Toti Rochat, Francesca Spano, Federica Tourn, Graziella Tron, La parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi, Claudiana
Francesca Spano, Con rigore e passione, prefazione di Claudio Canal, Claudiana
Francesca Spano, Il libretto viola e altri scritti, Iacobelli

Una "vita incompiuta"

Con queste parole è presentata, nel bel libro di Maria Rosa Fabbrini, la biografia di Silvia Pons, ricostruita con cura e rispetto partendo dal materiale conservato  nell’archivio famigliare, e arricchendo la narrazione  con i frutti di altre ricerche archivistiche e le interviste a chi ha avuto la possibilità di conoscere Silvia. La sua vita è stata molto breve: nata nel 1919 a Torre Pellice da una famiglia di tradizione valdese, è morta a soli trentanove anni.
Ma lasciamo la parola alla sua biografa,che titola il capitolo introduttivo del suo lavoro con una citazione tratta dall’Agamennone di Eschilo: ”Dopo la mia morte testimoniate, vi prego, che fui coraggiosa”.
 
“Spirito ribelle, dotata di talento, intelligenza e bellezza, Silvia Pons è passata attraverso la non facile via delle scelte e della lotta. A vent’anni, nel 1939 – dopo la promulgazione delle leggi razziali che penalizzavano il suo compagno ebreo – rivendica il diritto alla maternità fuori dal matrimonio e in pagine di grande intensità racconta la nascita di suo figlio; nel luglio 1943 si laurea in medicina e comincia a esercitare una professione ancora quasi esclusivamente maschile. Antifascista militante, aderisce al Partito d’Azione, partecipa alla Resistenza ed è attiva nell’associazionismo femminile nato durante la guerra; il suo contributo alla difesa dei diritti delle donne e alla loro emancipazione prosegue negli anni cinquanta durante i quali, tra l’altro, collabora con la casa editrice Minerva Medica di cui diventa corrispondente da Parigi”.
 
Frida Malan, sua grande amica per tutta la vita, ha detto di lei (la sua commossa testimonianza è stata raccolta da Piera Egidi Bouchard) che la sua libertà e indipendenza ne facevano “una figura molto moderna”, che forse non è stata capita nel suo ambiente di allora, perché  era “troppo avanti rispetto ai tempi”. E rimpiangeva che non fosse stata ancora studiata e valorizzata, e che la gente delle Valli avesse avuto un atteggiamento troppo duro nei suoi confronti, un atteggiamento ingiusto perché “Silvia era buona, generosa, anche troppo generosa”.
Il personaggio di Silvia Pons compare con un ruolo preminente anche nel Diario partigiano di Ada Gobetti, che ne ricorda il ruolo fondamentale nel campo della diffusione delle idee attraverso “La nuova realtà”, il giornale del Movimento Femminile di Giustizia e Libertà.
 
La biografia di Maria Rosa Fabbrini, insieme allo studio precedente di Marta Bonsanti, colma finalmente una lacuna rendendo giustizia a quella che è stata, sempre secondo Frida Malan, “una delle più interessanti figure della storia delle donne”.
Ma per ciò che riguarda il riconoscimento toponomastico, né Frida Malan né Silvia Pons (e ci piace ricordarle insieme, per l’amicizia che le ha legate) l’hanno finora  ottenuto, a quanto ci risulta, né a Torre Pellice, luogo delle loro origini, né a Torino dove entrambe operarono.

Lidia Poët: un’avvocata nata troppo presto

Lidia Poët è stata la prima avvocata in Italia, ma a causa del suo sesso non ha mai potuto esercitare: era nata troppo presto, nel 1855. Infatti, anche se oggi ci sembra incredibile, solo nel 1919  fu permesso al genere femminile l’accesso a tutte le professioni,tranne la Magistratura. Fu infatti allora che le donne, entrate in massa nel mondo del lavoro durante la prima guerra mondiale per sostituire gli uomini al fronte, ebbero il riconoscimento della loro capacità giuridica, senza essere più sottoposte per legge alla “tutela maritale”.

Lidia Poët nasce a Traverse, una frazione di Perrero, in val Germanasca, da una benestante famiglia valdese. Brillante e determinata, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Torino, da poco aperta anche alle studentesse, e all’Università la sua presenza naturalmente fa scalpore. Nel 1881 si laurea con una tesi sulla condizione femminile, e dopo aver svolto il prescritto periodo di praticantato nello studio di un avvocato di Pinerolo e aver superato con ottimi risultati l’esame di abilitazione, chiede l’iscrizione all’Albo. Questa le viene concessa, ma la decisione, presa a maggioranza dall’Ordine, viene impugnata dalla Procura Generale del Re, che ricorre in appello e ottiene che l’iscrizione di Poët venga abolita. Sentenza confermata infine dalla Cassazione, con motivazioni che si richiamavano alla “naturale” differenza tra i sessi.

La sentenza di terzo grado pone la parola fine alle speranze di questa donna coraggiosa,  che non potrà far altro che continuare in altre sedi la sua lotta per il riconoscimento dei diritti delle donne, ma anche di altre categorie deboli come i minori e i carcerati. Entra a far parte stabilmente del Segretariato del Congresso Penitenziario Internazionale e nel 1922 presiede il Comitato per il voto alle donne, fondato a Torino nel 1906. La possibilità di iscriversi all’Albo degli Avvocati giunge per lei troppo tardi, quando  ha ormai più di sessant’anni. Sebbene la vicenda sia piuttosto nota, non esiste nessuna intitolazione stradale che ricordi questo personaggio, né nelle Valli Valdesi né a Torino: solo una scuola media di Pinerolo e una biblioteca, la Biblioteca delle Donne fortemente voluta dalla sindaca di Porte, sono state intitolate a Lidia Poët.

Eppure una scelta simile da parte delle Amministrazioni comunali sarebbe significativa, farebbe capire che le istituzioni hanno preso coscienza della pesante discriminazione cui le donne sono state sottoposte in un recente passato, e che hanno deciso veramente di voltare pagina.