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Nel febbraio del 2013 iniziava una collaborazione tra Toponomastica femminile,  RBE (Radio Beckwith Evangelica) e Bradipodiario, blog legato alla radio attraverso il redattore Giuseppe Rissone. Dall'11 settembre 2013 la collaborazione con Bradipodiario è diventata continuativa.
Gli articoli, che escono regolarmente il secondo mercoledì di ogni mese, hanno come oggetto la toponomastica e la presenza femminile nelle valli valdesi.
 
 

LISBONA: NON SOLO FADO

“Io non sono mai stato a Lisbona (e, se ci andassi, m’ingozzerei di baccalà e cardo verde, non certo di pizza) ma mi sono arrivate queste due edificanti immagini di pizzerie italiane che mi hanno decisamente irritato.
Il problema non è tanto di immagine dell’Italia all’estero quanto di quella che, come al solito, si vuole dare delle donne. Non ne faccio una questione patriottica: mi sarei indignato anche se fossero stati ristoranti cinesi.
La Cantina Baldracca e la pizzeria La Puttana sono un esempio bieco e squallido ma pericoloso di sessismo.”

Questo post, scritto  da un uomo (grazie a Dio, o alle loro mamme, ce ne sono…) e corredato dalle foto che pubblichiamo, è comparso venerdì 12 febbraio sulla paginaFacebook di Toponomastica femminile. Che, per la sua particolare sensibilità a tutto ciò che riguarda la sfera simbolica e l’immagine femminile, sta dimostrando di prendere  a cuore il problema.

Già in precedenza, informa lo stesso post, è  stato contattato il consolato italiano a Lisbona, ma sembra che non abbia trovato la cosa interessante. Un atteggiamento diverso ha dimostrato invece la console portoghese in Italia, che, indignata quanto noi, ci ha subito assicurato che informerà la sua ambasciata.

Tra i commenti di varia natura che il post ha suscitato, ce n’è uno che fa notare come intitolazioni di questo genere facciano parte di un fenomeno più ampio, cioè la spettacolarizzazione della volgarità, della violenza e della delinquenza, e ricorda certe magliette inneggianti alla mafia o ai narcos. Ritengo che sia vero, e che sia anche fisiologico che l’indebolimento progressivo del principio di autorità, che in altri tempi abbiamo salutato come liberatorio, produca certe aberrazioni. Ma credo anche che sia sbagliato sottovalutarle, significherebbe dare per scontata l’accettazione di un generale capovolgimento di valori.

Non so come finirà questa vicenda dei due ristoranti di Lisbona che hanno creduto opportuno intitolarsi in questo modo squallido. Naturalmente mi auguro che si riesca a fargli cambiare nome, e che comunque intorno al problema si possa suscitare interesse e dibattito, in un ambito più vasto e non solo nel gruppo di Toponomastica femminile. La cosa peggiore sarebbe continuare con  l’indifferente accettazione che finora hanno rivelato  i cittadini e purtroppo anche le cittadine di Lisbona, e speriamo che sia avvenuto perché magari non si sono rese del tutto conto del valore che hanno quei due termini nella nostra lingua.

 

 

 

 

MADAME CURIE ERA UNO SCIENZIATO?

Prima c’era un cespuglio a nasconderla. Adesso la targa dedicata a Madame Curie nel giardino di via Servais 158 a Torino è di nuovo leggibile, ma a celare in qualche modo l’appartenenza della grande scienziata al genere femminile è proprio il linguaggio, secondo cui Marie Curie sarebbe invece uno “scienziato”. 

Sì, certo, al maschile! Perché si può dire “operaia” “infermiera” “maestra” e magari anche “scienziata”, termine che abbiamo sentito usare più volte, ma qui si tratta di un Premio Nobel (ohibò!) e mica si può declassarlo usando il femminile, vero? Perché tutti sanno che quando una donna ricopre un ruolo importante diventa un uomo… Il fenomeno interessa avvocate, chirurghe, magistrate, assessore, ministre eccetera.

Di Nobel poi Marie Sklodowska Curie ne ricevette ben due, il primo per la fisica, condiviso con il marito e con lo scopritore dell’uranio Henri Becquerel, il secondo per la chimica, e rimane l’unica donna ad aver vinto il prestigioso premio per due volte.

Nata a Varsavia, nella Polonia allora soggetta alla Russia, nel 1867, mostra molto presto un ingegno eccezionale e si trasferisce a Parigi per poter continuare gli studi alla Sorbona, laureandosi in matematica e fisica nel 1891. Tre anni più tardi entra nella sua vita lo scienziato Pierre Curie.

I due si sposano nel 1895 e tra loro si stabilisce un rapporto di fiducia e collaborazione, ma è lei a dedicare tutta la sua vita agli studi sulla radioattività, studi che continua anche dopo la morte di lui e per i quali vince il secondo Premio Nobel, nel 1911, dopo il primo ottenuto nel 1903.

Muore nel 1934, per una grave forma di anemia, quasi sicuramente provocata dalle radiazioni, di cui allora non si conosceva ancora la pericolosità.

Marie Sklodowska Curie, scienziata d’importanza mondiale, è ricordata nella toponomastica di parecchie città italiane (Novara, Bolzano, Bergamo ecc.) e le sono stati intitolati molti istituti scolastici. Nel 2009 Torino le ha dedicato un giardino nella Circoscrizione 4.

 

 

 

LA MEMORIA DELLE DONNE NEL VERDE DI TORINO Il giardino Camilla Ravera

Qualche buona notizia nel campo della toponomastica femminile ogni tanto siamo in grado di darla, anche a Torino che come sappiamo non è stata finora troppo attenta alla memoria delle donne. 
Anzi le notizie positive sono due, e si aggiungono a quella del mese scorso, quando abbiamo annunciato la delibera per intitolare un giardino nella periferia Sud della città a Felicita Ferrero.
La prima è sorprendente, ma ci fa veramente piacere, ed è che finalmente nel giardino di via Verolengo è comparsa la targa in ricordo delle Operaie della Fabbrica Superga, una di quelle che avevamo chiamato “intitolazioni fantasma”. Meglio tardi che mai…
L’altra è che la Commissione competente ha accolto in parte la richiesta dell’Associazione Toponomastica femminile,  di intitolare spazi cittadini alle donne che fecero parte dell’Assemblea Costituente. L’accoglimento è parziale perché si erano chieste, se non proprio ventuno targhe (il numero delle donne elette nell’Assemblea) almeno tre intitolazioni per le piemontesi Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce. La delibera è stata fatta invece per una targa che ricordi collettivamente l’apporto femminile alla nostra Costituzione; l’area non è stata definita, si troverà in seguito. Va bene anche così, niente esclude future intitolazioni che onorino la memoria delle singole persone, e intanto ringraziamo ancora Laura Onofri per aver appoggiato la richiesta.
Poi, dal momento che abbiamo iniziato a parlare di giardini dedicati a figure femminili, vediamo quali altre targhe compaiono nelle aree verdi di Torino.
Nella decima circoscrizione, poco distante da quello che diventerà (speriamo!) il giardino Felicita Ferrero, c’è quello intitolato a Camilla Ravera, prima donna a essere stata nominata senatrice a vita.
Di famiglia borghese, nata ad Acqui Terme nel 1889, insegnante elementare a Torino, Camilla Ravera si iscrisse al Partito Socialista nel 1918. Entrata nella redazione del giornale L’Ordine Nuovo di Gramsci, nel 1921 fu cofondatrice del Partito Comunista d’Italia, occupandosi poi dell’organizzazione delle donne.
Personaggio di primo piano nel partito clandestino (nel 1927 fu eletta alla segreteria, prima ed unica donna a occupare questa carica) e gramsciana di ferro, rientrò sotto falso nome in Italia dalla Svizzera, dove era espatriata, e in tale frangente fu arrestata ad Arona, nel 1930. Qualcuno ha sospettato che le dure lotte interne al suo partito non siano state estranee al suo arresto, dovuto al tradimento di un compagno. Fu condannata a quindici anni di prigione. Dopo cinque anni di carcere scontò il resto della pena al confino, in Basilicata, a Ponza e a infine a Ventotene, dove conobbe Sandro Pertini. Nel 1939, quando si dichiarò contraria al patto Molotov -Ribbentrop, fu addirittura espulsa dal partito. Lasciata Ventotene alla caduta del fascismo nel 1943, riuscì a raggiungere la famiglia, sfollata a San Secondo di Pinerolo, e dopo l’8 settembre, sapendo di essere di nuovo ricercata, si rifugiò in un casolare sulle colline, che diventò luogo di incontri politici clandestini.
Tornata a Torino alla fine della guerra, fu riammessa nel suo partito e fu eletta prima nel Consiglio comunale di Torino e poi alla Camera, per le prime due legislature, dal 1948 al 1958. Nel 1982 il Presidente della Repubblica Pertini la riportò sulla ribalta politica (da tempo si era ritirata a vita privata) nominandola senatrice a vita. Morì quasi centenaria, nel 1988.
Dirigente dell’UDI, impegnata soprattutto nelle battaglie in favore delle donne e per la pace, ci ha lasciato molte pubblicazioni, preziose testimonianze del suo tempo. Le sono state dedicate strade a Roma, dove è morta, e in Toscana.
L’intitolazione torinese, richiesta dalla consigliera Monica Cerutti(contestualmente a quella mai comparsa di Emilia Mariani) e deliberata pochi anni fa, ricorda giustamente una donna di grande rilievo, piemontese di nascita, che ha operato a lungo nella nostra città.
 
 
 

Torino. Un giardino per Felicita

Forse il nostro gruppo (Associazione Toponomastica femminile) sta facendo un buon lavoro di sensibilizzazione, se l’idea di intitolare qualche spazio cittadino a donne celebri incomincia a conquistare anche terreni difficili come Torino. Dove nel luglio scorso c’è stata più di una novità nel campo della toponomastica femminile.

Una riguarda la dedica di uno spazio verde nella Circoscrizione 10, deliberata in memoria di Felicita Ferrero, interessante personaggio della Torino operaia e socialista dei primi decenni del secolo scorso. Di lei ci rimane il libro di memorie “Un nocciolo di verità”, uscito alla fine degli anni ’70 con la prefazione di Rachele Farina, un’opera che illumina dal di dentro un pezzo di storia del Partito comunista italiano, ponendo agli storici più di un interrogativo.

Felicita nasce a Torino, in “barriera” di Lanzo, periferia Nord della città, nel 1899. Il padre è operaio specializzato, la madre pantalonaia. La giovane, che si interessa molto presto alla politica, nel ’21 si iscrive al Partito comunista appena fondato, e da questo viene inviata a Mosca, come delegata al Congresso dell’Internazionale giovanile. Qui Felicita ha modo di vedere e ascoltare i capi del comunismo sovietico, ma anche rivoluzionarie come Alessandra Kollontaj e Clara Zetkin. Inoltre, pur non dichiarandosi a favore di un movimento femminile autonomo, perché per lei la lotta di classe rimane un obiettivo primario, tuttavia non può fare a meno di osservare con occhio critico il ruolo subordinato che il partito riserva alle donne.

Mentre l’evoluzione della politica  italiana costringe alla clandestinità chi si oppone al fascismo, Felicita si lega a Velio Spano, con cui condivide ideali e rischi. Rimarrà la più importante, anche se sfortunata, storia d’amore della sua vita. Nel 1927 vengono arrestati entrambi e condannati a sei anni di galera. Lei esce dal carcere di Trani nel ’32 e per evitare altri arresti fugge a Parigi con Velio. Ma la prigionia ha minato gravemente la sua salute, e  lui la lascia per un’altra. Sempre più malata, Felicita viene mandata dal partito a Mosca, per curarsi. Guarisce e, come tanti altri dirigenti del Pci, rimane a vivere nella capitale dell’Unione Sovietica, incappando nelle purghe staliniane. Nel 1934, mentre lavora per Radio Mosca, viene convocata dalla polizia politica, che le contesta un fatto avvenuto durante la detenzione: si era lasciata convincere dalle monache a seguire la messa. Questo episodio, che già in Italia aveva suscitato sospetti e critiche dentro al partito, ora diventa un elemento di ricatto. Per uscire dalla Lubianka Felicita accetta di diventare informatrice della NKVD, cosa che la farà sentire in colpa per il resto della sua vita, come confessa nel suo memoriale.

Lascia l’Unione Sovietica solo nel ’46, alla fine della guerra, e torna a Torino, dove lavora per il quotidiano L’Unità. Ma nel ’56, quando scoppia la rivoluzione in Ungheria, sceglie di stare dalla parte degli insorti, perde il lavoro e nel ’57 decide di lasciare il Pci.

Muore nel 1984, per le conseguenze della caduta dovuta a uno scippo, nella sua città che solo ora, a più di trent’anni dalla scomparsa, ha deciso di ricordarne la travagliata – ma significativa e coraggiosa – esperienza di vita.

A distanza di cinque mesi dalla delibera, però, una targa non c’è ancora. Che cosa ne dobbiamo pensare?