Althea McNish
Rossana Laterza
Daniela Godel
«Una delle cinque designer donne che hanno cambiato la storia» (Architectural Digest).
La sua carriera artistica è stata decisamente luminosa anche a intenderla in senso strettamente letterale, per l’uso inedito ai suoi tempi nel campo del design tessile e della moda di «…pigmenti straordinariamente vividi» e luminosi. Nel 2022 la William Morris Gallery di Londra ha ospitato una mostra retrospettiva sull’artista, riproposta l’anno successivo alla Whitworth Art Gallery di Manchester, dal titolo Colour is mine. «…design innovativi… rosa lussureggiante e rosso intenso, fasce pittoriche di dettagli neri punteggiano motivi ripetuti e variegati… Althea McNish vedeva il nero come un colore potente…». https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Elementi di rottura in cui la scrittrice e storica dell’arte Kirsty Jukes coglie un cambio di passo rispetto alla moda della metà del secolo. «Sostituendo i più tradizionali pastelli, marroni, oliva e ruggine con vibranti magenta, scarlatti, chartreuse, melone e azzurro, porta ogni tonalità alla sua massima saturazione» (Ivi). Soluzioni artistiche in cui le radici che la tengono ancorata al lussureggiante paesaggio, alla flora, alla fauna e alle tradizioni culturali caraibiche della sua isola, e che lei stessa ha sempre definito il suo occhio tropicale, si intrecciano ai fermenti innovativi della Londra degli anni Sessanta, la Swinging London che da capitale di un impero sta per trasformarsi in capitale della moda.
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Althea Mc Nish nasce nel 1924 a Port of Spain nell’isola di Trinidad che con Tobago, fin dal 1888, era stata amministrata come territorio unico dal Regno Unito. Nel 1962 le due isole diventano uno Stato indipendente e nel 1976 si trasformano in una Repubblica nell’ambito del Commonwealth. Nella sua lunga storia coloniale il Paese ha visto avvicendarsi i domini spagnolo, olandese, courlander, francese e inglese. La dominazione spagnola del XVI secolo aveva decimato la popolazione nativa e solo con le migrazioni coloniali spagnola e soprattutto francese post-rivoluzionaria, incentivate da esenzioni fiscali, le isole hanno cominciato a popolarsi di piantatori di cacao, indaco e tabacco con al seguito la manodopera schiavile proveniente dall’Africa e da altre colonie. Economia decollata specie a fine Settecento con i coloni inglesi orientati alla produzione della canna da zucchero e del cotone. Con l’abolizione della schiavitù le isole diventano meta di schiavi liberati di altre colonie caraibiche, dell’Asia e del Sud-America e il Regno Unito, in cerca di manodopera a basso costo per i suoi coloni, favorisce l’immigrazione nei Caraibi di persone a contratto provenienti dal sub-continente indiano.
L’incontro scontro di tale incredibile varietà di popolazioni, storie e tradizioni ha dato luogo a una caleidoscopica mescolanza culturale. La famiglia di Althea appartiene alla middle class colta dell’isola, suo padre Joseph Claude è scrittore ed editore discendente dei coloni Merikin (ex schiavi afro-americani che avevano combattuto nella guerra anglo francese del 1812), mentre la madre, Margaret Bourne, è una sarta e stilista ben nota. Althea, incoraggiata dalla famiglia, sviluppa precocemente l’interesse per il disegno e la pittura. L’isola sta vivendo una fase effervescente dal punto di vista politico, identitario, artistico e culturale e la ragazza entra a far parte della Trinidad Arts Society fondata nel 1943 da Sybil Atteck, disegnatrice biologica, acquarellista e pittrice espressionista che ne influenza lo stile. Dopo aver allestito la sua prima mostra a sedici anni, Althea continua a disegnare come cartografa e illustratrice entomologica per il governo britannico a Trinidad, tuttavia sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di una dimensione più congeniale si interessa anche di ingegneria edilizia e di architettura. Intanto la madrepatria britannica, in cerca di braccia per la ricostruzione post-bellica, favorisce i primi flussi migratori caraibici (Windrush generation) con cui arrivano anche esponenti della cultura, dell’arte e dello spettacolo, i ritmi del calipso e la tradizione del carnevale trinidadiano. Le aspettative ottimistiche della maggior parte della popolazione migrante destinata a lavorare come manodopera a basso costo vengono presto deluse a causa del clima diffusamente ostile e razzista che colpisce soprattutto la gente nera rendendo difficile persino trovare un alloggio dignitoso, fino a sfociare in episodi di aperta intolleranza e violenza (Notting Hill 1958).
Nel 1951, avendo vinto una borsa di studio per studiare architettura presso l’Architectural Association School di Bedford Square a Londra, Althea vi si trasferisce con la madre ricongiungendosi anche al padre che già vi lavora. Frequenta l’ambiente intellettuale e artistico della diaspora afro-caraibica e, per sua esplicita ammissione, lungo il suo percorso di studi non vivrà direttamente alcuna forma di discriminazione. Ben presto cambia corso per iscriversi alla London School of Printing and Graphic Arts dove l’incontro con lo scultore e incisore Eduardo Paolozzi, insegnante di disegno tessile, sarà determinante per la scelta di applicare il suo talento artistico ai tessuti. Segue il corso post laurea al Royal College of Art, situato entro gli spazi del Victoria & Albert Museum dove, «imparando a sviluppare combinazioni di colori, creare ripetizioni, preparare le opere d’arte per la produzione, apprendeva il processo di produzione» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Le competenze acquisite nella progettazione e nella produzione le permettono di salvaguardare la sua libertà inventiva e l’integrità dei colori scelti. Se l’audacia del disegno e del colore nei suoi progetti possono scoraggiare i serigrafi, le sue raffinate competenze tecniche tendono a superare ogni ostacolo. «Ogni volta che gli stampatori mi dicevano che non era possibile farlo, mostravo loro come farlo. In poco tempo l’impossibile diventava possibile» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Nelle sue tasche non possono mancare la matita per gli schizzi e la chiave a brugola indispensabile a regolare gli accessori sui telai serigrafici.
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Secondo la storica del design Libby Sellers, Althea, fortemente determinata a esprimersi attraverso il suo originale e innovativo vocabolario artistico e a preservare la brillantezza dei suoi colori, non percepisce alcuno stridore fra le sue creazioni e lo spazio del Victoria and Albert Museum come luogo consacrato ufficialmente alle collezioni storiche dell’Impero britannico. Del resto negli anni Cinquanta e Sessanta si esce dall’austerità e dal grigiore del dopoguerra e il Royal College of Art è fucina della Pop Art, il design britannico si sta trasformando e il motto "Il colore è mio" è sintesi calzante della nuova arte di Althea: «…il tripudio di colori di McNish era come un vulcano in eruzione attraverso il centro del modernismo britannico conservatore» (Kirsty Jukes). Durante il corso di studi, tra i suoi design di maggior successo spicca Golden Harvest ispirato da una passeggiata in un campo di grano nell’Essex. « “A Trinidad camminavo attraverso le piantagioni di zucchero e campi di riso e ora stavo camminando attraverso un campo di grano. Un’esperienza gloriosa”. Questo bucolico idillio inglese trasposto attraverso la sua lente colorata, dà vita al progetto (1959). Il modello e le sue varie colorazioni saranno successivamente acquistati da Hull Traders» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).
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Nel 1957 alla mostra di fine corso post laurea del Rca espone stampe vivaci e vistose ricche di motivi e fiori tropicali, disegni tessili che «portavano le forme botaniche naturali al limite dell’astrazione, con una tavolozza di colori sfrenata che ribaltava le rigide regole del design britannico del dopoguerra» (https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Subito dopo Arthur Stuart Liberty dei grandi magazzini di Londra, «Riconoscendone il talento unico e convinto che i consumatori britannici desiderino disperatamente andare oltre il grigiore degli anni del dopoguerra incarica la giovane designer di creare nuovi ed esclusivi design sia per la moda che per i tessuti d’arredamento. Tra i molti progetti ricordiamo Cebollas (1958) e Hibiscus (1958)» (Ivi). Lavora inoltre per Zika Ascher che dal 1942 con la stilista Lida, sua moglie, ha aperto un laboratorio di stampa su seta producendo tessuti stravaganti e sperimentali per l’industria della moda (famosi i foulard stampati con opere di grandi artisti contemporanei esposti in gallerie come opere d’arte) e che annovera fra i suoi clienti Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy e Lanvin.
I design di Althea appaiono sulle più note riviste di moda europee. Nel 1959 comincia anche a progettare per l’azienda di arredamento Hull Traders «specializzata in piccole tirature di tessuti disegnati da artisti che venivano serigrafati a mano utilizzando coloranti ricchi di pigmento»(Ivi). Shirley Craven, la principale designer dell’azienda, le commissiona nove modelli fra cui il citato Golden Harvest e Painted desert. «Inizialmente chiamato Old Man dal nome comune del cactus gigante, questo tessuto strabiliante incarna l’approccio di Althea, con il suo design grafico vagamente disegnato in nero su colori vivaci. Ed è anche il simbolo della sua totale padronanza dei processi e della tecnologia della serigrafia» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Lavora per aziende leader del Regno Unito come Cavendish Textiles, Danasco, Heals e Wallpaper Manufactures Ltd., per British Rail e Orient Steam Navigation, progettando tessuti destinati alla moda e all’arredamento, pannelli laminati, murales e carta da parati.
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McNish si è sempre percepita come un’artista, da pittrice affermata a Trinidad a contatto con l’avanguardia culturale londinese supera i rigidi confini tra belle arti e arte applicata per approdare a nuove forme espressive e creando un linguaggio tutto suo: «Il mio design è funzionale, ma libero, puoi indossarlo, sedertici sopra, sdraiartici e starci in piedi sopra». Sperimenta tecniche pionieristiche, come la stampa dei suoi disegni direttamente su tavole laminate decorative di Warerite e multistrato dalla lavorazione complessa ed estremamente specialistica, progetta nuovi materiali e un nuovo tessuto in poliestere come il Terilene. E per il design trae ispirazione ovunque: «Non devo guardare molto lontano, di solito sono gli oggetti a portata di mano che mi vengono in aiuto. Vedo un’idea in una cipolla, un cavolo o qualsiasi altro oggetto in giro per lo studio». Viaggia regolarmente in Europa, vendendo i suoi progetti direttamente a prestigiose ditte in Svizzera, Italia Francia e Scandinavia e riceve nel suo studio londinese acquirenti e produttori stranieri. Nel 1966 disegna i tessuti per il guardaroba ufficiale della regina Elisabetta II per il Royal Tour nei Caraibi. All’Ideal Home Show di Londra del 1966 progetta e allestisce la Bachelor Girls Room, una stanza per una ragazza di città come lei, indipendente economicamente, che ha fiducia in sé stessa e svolge un lavoro creativo, svincolata da aspettative sociali e familiari che limitino entro i confini domestici le ambizioni e i desideri delle ragazze. Uno spazio agile e libero in cui poter esprimere la propria personalità, arredato con mobili componibili e vivaci stampe floreali, coerentemente con l’idea che «le donne dovrebbero avere sempre l’opportunità di mettere in mostra sé stesse, i propri talenti e i propri risultati…».
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Come attivista per i diritti civili della comunità caraibica contribuisce a fondare il Cam (Caribbean Artistic Movement) impegnato dal 1966 al 1972 a promuovere l’arte, la musica e le tradizioni caraibiche. E mentre i discorsi razzisti di Enoch Powell fomentano discriminazione e violenze contro la popolazione immigrata non bianca, nonostante siano state approvate leggi contro la segregazione razziale, Althea decora gli spazi britannici con la flora della sua Trinidad, esprimendo la sua libera creatività, sentendosi legittimamente parte di un discorso artistico che valica i confini nazionali e diventando simbolo di una vera e propria «fusione di culture creolizzate». Nel 1969 sposa il designer di gioielli e argentiere John Weiss con cui condivide una ricca e profonda vita sentimentale, l’amore per l’arte e la passione per lo studio delle culture della migrazione e per l’insegnamento. Nel 1973 recita e progetta il set per Full House, un programma della Bbc sulle arti caraibiche di John La Rose, scrittore e attivista per i diritti civili della comunità caraibica fondatore del Cam. Nel 1958 organizza il Carnevale caraibico di Notting Hill collaborando con Claudette Jones, amica di famiglia e attivista per i diritti civili, ricoprendo, negli anni successivi, il ruolo di giudice. Nel 1963 British Vogue la definisce «il nuovo volto del British design». Nel 1969 allestisce la mostra centrale all’Ideal Home Show dal titolo Fiesta riportando da Trinidad una selezione di costumi premiati al Carnevale fra cui uno disegnato da lei. Espone in mostre collettive e personali in tutto il mondo continuando a vivere nella sua casa studio di West Green Road a Tottenham dove muore all’età di 95 anni, dopo 60 anni di attività.
A partire dagli anni Ottanta fino al 2022, anno della prima retrospettiva a lei dedicata, Althea McNish cade nell’oblio insieme a una quantità di artiste/i della diaspora afro-caraibica in Gran Bretagna. Il 15 maggio 2023 per celebrare il novantanovesimo anniversario dalla sua nascita, in West Green Road viene apposta una targa, la Nubian Jak Community Trust che riconosce il contributo storico delle minoranze etniche e della migrazione afrodiscendente in Gran Bretagna: «Il suo impatto sulla capitale ha risuonato per oltre mezzo secolo e confidiamo che la targa continuerà a rendere la sua eredità meglio conosciuta e non più invisibile alle generazioni future». Nell’autunno del 2024, nel centenario della nascita, si prevede l’uscita della prima monografia su Althea McNish scritta da Rose Sinclair per Yale Publishers.
Traduzione francese
Rachele Stanchina
«Une des cinq designers femmes qui ont changé l’histoire» (Architectural Digest).
Grâce l’usage de “pigments étonnamment vibrants et lumineux”, tout à fait inédit à cette époque au sein du design textile et de la mode, la carrière artistique de Althea a été lumineuse au sens propre du mot. En 2022 la William Morris Gallery de Londres a accueilli une rétrospective au titre Colour is mine dediée à l’artiste, proposée à nouveau l’année suivante par la Whitworth Art Gallery de Manchester. Le commentaire “…design innovatif…rose exubérant et rouge intense, bandes peintes en détails noirs qui marquent les motifs répétés ou bien diversifiés… Althea Mc Nish utilise le noir comme une couleur puissante…” résume en peu de mots la puissance de son travail. https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Travail qui s’organise autour de plusierurs points de rupture que l’écrivain et historienne de l’art Kirsty Jukes définit comme un “changement de rythme par rapport à la mode de la moitié du siècle”. “Mc Nish pousse chaque tonalité à sa saturation maximale, remplaçant les nuances pastels traditionnelles telles que les marrons, olive, rouille par des vibrants magenta,cramoisi, chartreuse,melon et azur.” Les racines qui lient Althea au paysage verdoyant,à la flore, à la faune et aux traditions culturelles de son île antillaise, et que elle- même a toujour défini son œil tropical, se mèlent aux vagues d’innovation qui parcourent la Londres des années soixante, la Swinging London qui est en train de perdre son rôle de capitale d’un empire pour se transformer en capitale de la mode.
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Althea Mc Nish naît en 1924 à Port of Spain dans l’île de Trinidad qui, avec Tobago, était administrée par le Royaume Uni depuis 1888 comme un seul territoire. En 1962 les deux îles acquièrent l’indépendance et en 1976 s’organisent comme une république au sein du Commonwealth. Tout au long de son histoire coloniale le Pays a connu tour à tour les dominations espagnole, hollandaise, courlander, française et anglaise. La domination espagnole du XVI siècle avait décimé la population native, mais c’est au sein des migrations coloniales espagnole et notamment française à la suite de la Révolution (encouragée par une exemption d’Impôts) que les îles ont été peuplées par les planteurs de cacao, indigo et tabac, suivis par la main-d’ôeuvre des esclaves provenants de l’Afrique et d’autres colonies. L’économie démarre à la fin du XVIII siècle grâce aux colons anglais qui se dédient à la production de la canne à sucre et du coton. A la suite de l’abolition de l’esclavage, les îles accueillent les esclaves libérés provenants d’autres colonies antillaises, aussi bien que de l’Asie ou de l’Amérique du Sud. C’est alors que le Royaume Uni, à la recherche de main-d’ôeuvre à bas coût pour ses colons, encourage l’immigration aux Caraibes d’individus à contract provenants du sous-continent indien.
Cet incroyable mélange de populations, histoires et traditions a produit un mixage culturel kaléidoscopique. La famille d’Althea fait partie de la middle class cultivée de l’île: son père Joseph Claude est un écrivain et éditeur qui descend des colons Merikin (esclaves afro-américains qui avaient pris part à la guerre anglo-française du 1812) tandis que sa mère Margaret Bourne est une couturière et styliste renommée. Encouragée par sa famille, Althea s’intéresse bientôt au dessin et à la peinture dans une période qui voit l’ île parcourue par des vagues de renouvement politique, identitaire, artistique et culturel. La jeune fille fait partie de la Trinidad Arts Society fondée en 1943 par Sybil Atteck, illustratrice biologique, aquarelliste et peintre expressionniste dont le style va influencer celui de Althea. Après avoir organisé sa prémière expositionà l’âge de seize ans, elle continue à dessiner comme cartographe et illustratrice entomologique pour le gouvernement britannique à Trinidad. Toutefois elle est à la recherche de nouvelles idées et de situations plus correspondantes à ses intérêts, et s’oriente aussi vers l’ingénierie de contruction et vers l’architecture. C’est la période où l’Angleterre encourage les premiers mouvements migratoires (Windrush generation) caribéens, à la recherche de main- d’œuvre pour la reconstruction d’après-guerre. A la suite de ce flux arrivent aussi des nombreux représentants de la culture, de l’art et du spectacle, ainsi que le rythme du Calipso et la tradition du Carnaval de Trinidad. Malheureusement les attentes de la plupart des migrants, destinés à travailler comme main- d’œuvre bon marché, sont bientôt déçues: l’atmosphère hostile et raciste vers les noirs est tellement forte qu’il devient difficile même trouver un logement décent, et on arrive à des épisodes d’intolérance et de violence (Notting Hill 1958).
En 1951 Althea obtient une bourse pour étudier l’architecture au sein de l’Architectural Association School de Bedford Square a Londres et elle s’installe dans la capitale avec sa mère et son père, qui y travaille depuis quelque temps. Elle fréquente le milieu intellectuel et artistique de la diaspora afro-antillaise et elle avoue de n’avoir jamais connu des situations de discriminations tout au long de ses études. Bientôt, elle change son parcours et s’inscrit à la London School of Printing and Graphic Arts: c’est à ce moment qu’elle décide d’orienter son talent artistique vers les tissus, grâce aussi à la rencontre avec le sculpteur et graveur Eduardo Paolozzi qui est son enseignant de design textile. Althea poursuit son parcours avec un cours de troisième cycle au Royal College of Art, situé à l’intérieur du Victoria & Albert Museum. Ici elle “apprend à développer les jeux des couleurs, créer des répétitions, preparer des œuvres d’art pour la production, bref, apprendre le processus complet de la production”(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Les compétences sur la conception et la fabrication apprises tout au long de ses études lui permettent de préserver sa liberté en matière de projet, ainsi que le choix des couleurs à utiliser. Face aux doutes posés par les imprimeurs devant l’audace du dessin et de la couleur, avec ses compétences techniques elle est capable de surmonter toute difficulté: “Chaque fois qu’un imprimeur me disait qu’il n’était pas possible de réaliser ce que je lui proposais, je lui montrais comment le faire et en peu de temps l’impossible devenait possible” (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Dans ses poches ne manquent jamais un crayon pour les croquis et une clé hexagonale indispensable pour régler l’écran de sérigraphie.
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L’historienne du design Libby Sellers déclare qu’ Althea se trouve parfaitement à l’aise au milieu du Victoria and Albert Museum, malgré ce lieu soit consacré officiellement aux collections historiques de l’Empire Britannique. La jeune fille considère ses créations parfaitement intégrées au milieu, poussée par le désir de s’exprimer à travers son vocabulaire artistique personnel, fait de couleurs vibrants et innovatifs. Ce n’est pas au hasard que dans les années cinquante et soixante on sort de l’austérité et de la grisaille de l’après guerre et le Royal College of Art est le foyer de la Pop Art. Le design britannique est en pleine transformation, la devise “la couleur est mienne” est le résumé parfait de la nouvelle art de Althea: ”…le festival de couleurs de Mc Nish était comme un volcan en éruption à travers le centre du modernisme britannique conservateur” (Kirsty Jukes). Pendant le cours de ses études, parmi les dessins qui ont le plus grand succès, se détache Golden Harvest, qui prend inspiration d’une promenade dans un champ de blé dans la région anglaise de l’Essex. “A Trinidad je marchais au long des plantations de canne à sucre et champs de riz, et maintenant je marchais à travers un champ de blé. C’était une expérience glorieuse”. L’idylle bucolique, revisité à travers la lentille colorée d’Althea donne naissance au projet (1959). Le modèle avec ses différentes couleurs est successivement acheté par Hull Traders(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).
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En 1957 Althea présente ses travaux à l’exposition de fin du cours d’études: il s’agit d’ impressions vivaces et bruyantes, riches en motifs et fleurs tropicaux, dessins textiles qui “conduisaient les formes botaniques de la nature à la limite de l’abstraction, par une palette de couleurs débordante, capable de basculer les strictes régles du design britannique de l’après-guerre. https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Peu après Arthur Stuart Liberty des grands magasins de Londres, en reconnaissant le talent unique d’Althea et convaincu que les consommateurs britanniques souhaient absolument abandonner la grisaille des années de l’après-guerre, confie à la jeune designer la création de dessins exclusifs et nouveaux à reproduire soit dans la mode que dans les tissus de décoration. Parmi un grand nombre de projets il faut remarquer Cebollas (1958) et Hibiscus (1958). (Ivi) Althea travaille aussi pour Zika Ascher qui depuis 1942, avec sa femme et styliste Lyda, a ouvert un atelier de presse sur soie. Ascher produit pour l’industrie de la mode des tissus extravagants et expérimentaux (ces célèbres foulards imprimés avec des ouvrages des grands artistes contemporains, aujourd’hui exposés dans les galeries comme des chef-d’œuvres). Parmi ses clients on remarque Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy e Lanvin.
Les dessins d’Althea paraissent dans les pages des revues de mode éuropéennes les plus importantes. En 1959 démarre sa collaboration avec l’entreprise de décor d’intérieurs Hull Traders “specialisée dans le tirage limité de tissus artistiques, sérigraphiés à la main en utilisant des colorants riches en pigments” (Ivi). Le chef designer de l’entreprise, Shirley Craven, demande à Althea neuf modèles, parmi lesquels le susmentionné Golden Harvest et Painted desert. Appelé au début Old Man par le nom du cactus géant, ce tissu étonnant incarne le style d’Althéa, avec son design graphique esquissé en noir sur des couleurs vivaces. Et c’est aussi la démonstration de sa maîtrise totale en ce qui concerne les processus et la technologie de la sérigraphie.(https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Althea travaille pour les entreprises du Royaume Unis telles que Cavendish Textiles, Danasco, Heals et Wallpaper Manufactures Ltd., pour British Rail et Orient Steam Navigation, en projetant des tissus destinés à la mode et au décor, des panneaux stratifiés,des fresques et de la tapisserie.
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Mc Nish s’est toujours perçue comme une artiste: depuis ses prémières expériences comme peintre rénommée à Trinidad jusqu’au liens avec l’avant-garde culturelle londonnaise, elle franchit les limites strictes entre beaux-arts et arts décoratifs. Elle parvient à des formes expressives nouvelles tout en forgeant son style personnel: ” Mon design est fonctionnel mais sans contrainte: tu peux le porter, t’asseoir dessus, t’allonger dessus, y monter dessus”. Althea expérimente des techniques novatrices, telles que l’impression de ses dessins directement sur des planches laminées décoratives en Warerite ou bien sur des feuilles stratifiées au processus compliqué, elle conçoit des nouveaux matériaux et un nouveau tissu en polyester nommé Terilene. Elle prend inspiration un peu partout:” Je ne dois pas chercher trop loin, d’habitude ce sont les choses de tous les jours qui m’inspirent. Je trouve une idée dans un oignon, un chou ou n’importe quel objet se trouve dans mon atelier.” L’artiste voyage régulièrement en Europe pour vendre ses projets directement aux entreprises prestigieuses de Suisse, Italie, France ou bien Scandinavie, tout en accueillant dans son cabinet à Londres les clients et producteurs étrangers. En 1966 est chargée de dessiner les tissus pour le garde-robe officiel de la Reine Elisabeth II en voyage pour le Royal Tour dans les Caraibes. La même année elle prends part à l’Ideal Home Show de Londres: elle conçoit et aménage la Bachelor Girls Room, une chambre pour une jeune fille citadine comme elle, financièrement indépendante, confiante en elle-même grâce à un travail créatif, libérée de contraintes sociales ou familiales qui puissent étouffer les aspirations et les désirs féminins. La chambre se présente comme un endroit flexible et libre, à l’intérieur du quel il est possible exprimer sa propre personnalité: amenagée avec des meubles modulaires et décorée par des motifs floraux aux couleurs vibrantes, elle transmet le concept que ”les femmes devraient avoir toujours la possibilité d’exhiber leurs talents et leurs résultats aussi bien que elles-mêmes”.
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En tant qu’activiste pour les droits civiques de la communauté antillaise, elle participe à la fondation du CAM (Caribbean Artistic Movement), qui entre le 1966 et le 1972 s’occupe de faire connaître l’art, la musique et les traditions des Caraibes. Pendant que les discours racistes de Enoch Powell fomentent la discrimination et les violences contre la population immigrée de couleur, bien que les lois contre la ségrégation raciale aient été approuvées, Althea décore les intérieurs britanniques avec la flore de sa Trinidad, en exprimant sa liberté créatrice, consciente de prendre part à un discours artistique qui franchit les frontières nationales et devient symbôle d’une véritable ”fusion de cultures créoles”. En 1969 Althea se marie avec le créateur de bijoux John Weiss, avec son époux elle partage non seulement une vie conjugale profonde et riche, mais aussi l’amour pour l’art et la passion pour l’étude des cultures des migrations et pour l’enseignement. En 1973 elle aménage le décor et prends part en tant qu’actrice à Full House, une émission de la BBC sur les arts antillaises de John La Rose, écrivain et activiste pour les droits civiques de la communauté caraibique, fondateur du Cam. En 1958 Althea organise le Carnaval Caraibique de Notting Hill en collaboration avec Claudette Jones, amie de famille et elle aussi activiste, et dans les années suivantes elle fait partie du jury. En 1969 elle aménage l’exposition centrale au titre Fiesta à l’IDEAL HOME SHOW, en utilisant une selection de costumes qui avaient obtenu un prix au concours du carnaval, dont l’un dessiné par elle- même. Tout en menant sa vie dans sa maison atelier de West Green Road à Tottenham, elle participe à des expositions individuelles et collectives partout dans le monde. Elle meurt enfin à 95 ans, après 60 ans d’activité.
A partir des années 80 et jusqu’au 2022, date de la prémière retrospective qu’on lui dédie, Althea Mc Nish tombe dans l’oubli avec un grand nombre d’artistes qui avaient fait partie de la diaspora afro-antillaise en Grande Bretagne. Le 15 mai 2023, à l’occasion du 99ième anniversaire de sa naissance, on pose une plaque en West Green Road, la Nubian Jak Community Trust, qui reconnait l‘importance du contribut historique apporté à la Grande Bretagne par les minorités ethniques et par la migration des gens de couleur. “L’influence de sa personnalité s’est épanouie sur la capitale pendant plus qu’un demi-siècle: nous confions que cette plaque permettra aux générations futures de mieux connaître son héritage et de ne pas laisser tomber l’oubli sur cette femme formidable”. La sortie de la prémière biographie dediée à Althea Mc Nish, par Rose Sinclair aux éditions Yale Publishers, a eu lieu dans l’automne 2024, à l’occasion du centenaire de la naissance de l’artiste.
Traduzione spagnola
Alexandra Paternò
«Una de las cinco diseñadoras que han cambiado la historia» (Architectural Digest).
Su carrera artística fue sin duda luminosa, también en un sentido estrictamente literal, por su uso inédito de «…pigmentos extraordinariamente vívidos» y luminosos en el campo del diseño textil y de la moda. En 2022, la William Morris Gallery de Londres acogió una exposición retrospectiva sobre la artista, que se repitió el año siguiente en la Withworth Art Gallery de Manchester, titulada Colour is mine (El color es mío). «…diseños innovadores… rosas exuberantes y rojos profundos, bandas pictóricas de detalles negros puntean motivos repetidos y variados… Althea McNish veía el negro como un color poderoso…». (https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Elementos rompedores en los que la escritora e historiadora del arte Kristy Jukes reconoce un cambio de ritmo con respecto a la moda de mediados de siglo XX. «Sustituyendo los pasteles, marrones, oliva y óxido más tradicionales por vibrantes magenta, escarlatas, chartreuse, melón y azul claro, lleva cada tono a su máxima saturación» (Ibid). Soluciones artísticas en las que las raíces que la mantienen anclada al exuberante paisaje, a la flora, a la fauna y a las tradiciones culturales caribeñas de su isla, y que ella misma siempre ha llamado su ojo tropical, se entrelazan con los fermentos innovadores de Londres de los años sesenta, el Swinging London que estaba a punto de transformarse de capital de un imperio en capital de la moda.
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Althea McNish nació en 1924 en Puerto España, en la isla de Trinidad que junto con Tobago había sido administrada como un solo territorio por el Reino Unido desde 1888. Las dos islas se convirtieron en 1962 en estado independiente y en 1976 en república dentro de la Commonwealth. En su larga historia colonial, el país ha alternado los dominios español, holandés, curlandés, francés e inglés. El dominio español del siglo XVI había diezmado la población nativa y solamente con las migraciones coloniales españolas, y sobre todo francesas después de la revolución, estimuladas por las exenciones fiscales, ambas islas empezaron a poblarse de plantadores de cacao, índigo y tabaco, acompañados por mano de obra esclava procedente de África y otras colonias. La economía despegó, especialmente a finales del siglo XVIII con los colonos británicos centrados en la producción de caña de azúcar y algodón. Después de la abolición de la esclavitud, las islas se convirtieron en la meta de los esclavos liberados de otras colonias caribeñas, asiáticas y sudamericanas, y el Reino Unido, en búsqueda de mano de obra barata para sus colonos, favoreció la inmigración al Caribe de trabajadores contratados en el subcontinente indio.
La colisión de una variedad tan increíble de poblaciones, historias y tradiciones dio lugar a una mezcla cultural caleidoscópica. La familia de Althea pertenecía a la clase media culta de la isla, su padre Joseph Claude fue escritor y editor descendiente de los colonos Merikin (antiguos esclavos afroamericanos que habían luchado en la guerra anglo-francesa de 1812), mientras que su madre, Margare Bourne, fue una conocida costurera y diseñadora de moda. Althea, animada por su familia, desarrolló un temprano interés por el dibujo y la pintura. La isla estaba viviendo una fase de efervescencia política, identitaria, artística y cultural, y ella se unió a la Trinidad Art Society, fundada en 1943 por Sybil Atteck, diseñadora biológica, acuarelista y pintora expresionista que influyó en su estilo. Después de realizar su primera exposición a los dieciséis años, Althea siguió dibujando como cartógrafa e ilustradora entomológica para el gobierno británico en Trinidad; sin embargo, siempre en búsqueda de nuevos estímulos y de una dimensión más congenial, se interesó también por la construcción y la arquitectura. Mientras tanto, su madre patria inglesa, en búsqueda de mano de obra para la reconstrucción tras la guerra, favoreció los primeros flujos migratorios caribeños (generación Windrush), con los que llegaron también exponentes de la cultura, del arte y del espectáculo, los ritmos calipsos y la tradición carnavalesca de Trinidad. Las optimistas expectativas de la mayoría de la población inmigrante destinada a trabajar como mano de obra barata pronto se vieron truncadas debido al clima hostil y racista generalizado que afectaba especialmente a la población negra, dificultando incluso la búsqueda de una vivienda digna, llegando a producirse episodios de abierta intolerancia y violencia (Notting Hill 1958).
En 1951, tras haber ganado una beca para estudiar arquitectura en la Architectural Association School de Bedford Square, en Londres, Althea se trasladó allí con su madre, reuniéndose con su padre, que ya trabajaba allí. Frecuentó el ambiente intelectual y artístico de la diáspora afrocaribeña y, según ella misma admitió explícitamente, no experimentaría directamente ninguna forma de discriminación durante sus estudios. Pronto cambió de rumbo para matricularse en la London School of Printing and Graphic Arts, donde su encuentro con el escultor y grabador Eduardo Paolozzi, profesor de diseño textil, será importante en su decisión de aplicar su talento artístico a los tejidos. Siguió un curso de postgrado en el Royal College of Art, que se encontraba situado en los espacios del Victoria & Albert Museum donde, «aprendiendo a desarrollar combinaciones de colores, crear repeticiones, preparar obras de arte para la producción, aprendía el proceso de producción»(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Los conocimientos adquiridos en diseño y producción le permitieron salvaguardar su libertad inventiva y la integridad de los colores elegidos. Si la audacia del diseño y el color de sus proyectos podían desanimar a los impresores serigráficos, sus refinadas habilidades técnicas tendían a superar cualquier obstáculo. «Cuando los impresores me decían que no se podía, yo les enseñaba cómo hacerlo. En poco tiempo lo imposible se hizo posible» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). En sus bolsillos no faltaban nunca un lápiz de dibujo y una llave Allen necesaria para ajustar los accesorios de los bastidores de serigrafía.
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Según la historiadora del diseño Libby Sellers, Althea, fuertemente decidida a expresarse a través de su original e innovador vocabulario artístico y a preservar la brillantez de sus colores, no percibía ningún choque entre sus creaciones y el espacio del Victoria and Albert Museum como lugar oficialmente dedicado a las colecciones históricas del Imperio Británico. Al fin y al cabo, en los años 50 y 60, la sociedad salía de la austeridad y la grisura de los años de posguerra y el Royal College of Art era la forja del Pop Art, el diseño británico se estaba transformando y el lema «El color es mío» era un resumen apropiado del nuevo arte de Althea: «...la explosión de colores de McNish era como un volcán en erupción en medio del conservador modernismo británico» (Kirsty Jukes). Durante sus estudios, uno de sus diseños de mayor éxito fue Golden Harvest, inspirado en un paseo por un campo de trigo en Essex. «“En Trinidad estuve paseando por plantaciones de azúcar y arrozales, y ahora estaba caminando por un campo de trigo. Una experiencia gloriosa”. Este bucólico idilio inglés transpuesto a través de su colorida lente dio origen a dicho proyecto (1959). El modelo y sus diversos colores fueron adquiridos posteriormente por Hull Traders» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).
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En 1957, en la exposición de postgrado de la RCA, expuso vívidos y llamativos estampados llenos de motivos tropicales y flores, diseños textiles que «llevaban las formas botánicas naturales al borde de la abstracción, con una paleta de colores desenfrenada que revertía las rígidas normas del diseño británico de la posguerra» (https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Poco después Arthur Stuart Liberty, de los grandes almacenes londinenses, «reconociendo su talento único y convencido de que los consumidores británicos deseaban desesperadamente ir más allá de la grisura de los años de la posguerra, le encargó a la joven diseñadora la creación de nuevos y exclusivos diseños tanto para la moda como de tejidos para interiorismo». Entre los numerosos diseños se encuentran Cebollas (1958) e Hibiscos (1958)» (Ibid.). También trabajó para Zika Ascher, quien, desde 1942, con su esposa, la diseñadora de moda Lida, abrió un taller de estampación de seda que producía tejidos extravagantes y experimentales para la industria de la moda (son famosos los pañuelos estampados con obras de grandes artistas contemporáneos expuestos en galerías como obras de arte) y entre cuyos clientes figuran Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy y Lanvin.
Los diseños de Althea aparecieron en las revistas de moda más conocidas de Europa. En 1959 también empezó a diseñar para la empresa de muebles Hull Traders, «especializada en pequeñas tiradas de telas diseñadas por artistas que se serigrafiaban a mano con tintes ricos en pigmentos» (Ibid.). Shirley Craven, diseñadora principal de la empresa, le encargó nueve modelos, entre ellos los ya mencionados Golden Harvest (Cultivo Dorado) y Painted desert (Desierto Pintado). «Inicialmente llamado Old Man, por el nombre común del cactus gigante, este sorprendente tejido encarna el enfoque de Althea, con su diseño gráfico vagamente dibujado en negro sobre colores brillantes. También simboliza su dominio total de los procesos y la tecnología de la serigrafía» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Trabaja para importantes empresas británicas como Cavendish Textiles, Danasco, Heals y Wallpaper Manufactures Ltd., para British Rail y Orient Steam Navigation, diseñando tejidos para la moda y para interiorismo, paneles laminados, murales y papel pintado.
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McNish siempre se percibió a sí misma como artista y, como pintora reconocida en Trinidad en contacto con la vanguardia cultural londinense, trascendió las rígidas fronteras entre bellas artes y las artes aplicadas para llegar a nuevas formas de expresión y crear un lenguaje propio: «Mi diseño es funcional, pero libre, puedes llevarlo puesto, sentarte en él, tumbarte en él y estar de pie sobre él». Experimentó con técnicas pioneras, como la impresión directa de sus diseños sobre paneles laminados decorativos de WareRite y tableros laminados multicapa con una elaboración compleja y extremadamente especializada, diseñó nuevos materiales y un nuevo tejido de poliéster como el Terylene. Y para diseñar se inspiraba en todas partes: «No tengo que buscar muy lejos, normalmente son los objetos que tengo a mano los que acuden en mi ayuda. Veo una idea en una cebolla, un repollo o cualquier otro objeto del estudio». Viajaba regularmente por Europa, vendiendo sus diseños directamente a prestigiosas firmas de Suiza, Italia, Francia y Escandinavia, y recibiendo en su estudio de Londres a compradores y fabricantes extranjeros. En 1966 diseñó los tejidos del vestuario oficial de la reina Isabel II para el Royal Tour por el Caribe. En la feria Ideal Home Show de Londres de 1966, diseñó y montó la Bachelor Girls Room (cuarto de la chica soltera), una habitación para una chica de ciudad como ella, económicamente independiente, segura de sí misma y que realizaba un trabajo creativo, libre de las expectativas sociales y familiares que limitaban sus ambiciones dentro de los confines del hogar. Un espacio ágil y libre en el que expresar la propia personalidad, amueblado con muebles modulares y vivos estampados floreales, coherente con la idea de que «las mujeres deben tener siempre la oportunidad de mostrarse a sí mismas, sus talentos y sus logros».
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Como activista de los derechos civiles de la comunidad caribeña, ayudó a fundar el CAM (Movimiento Artístico Caribeño), que entre 1966 y 1972 se dedicó a promover el arte, la música y las tradiciones caribeñas. Y mientras los discursos racistas de Enoch Powell fomentaban la discriminación y la violencia contra la población inmigrante no blanca, a pesar de la aprobación de leyes contra la segregación racial, Althea decoraba los espacios británicos con la flora de su Trinidad, expresando su libre creatividad, sintiéndose legítimamente parte de un discurso artístico que traspasaba las fronteras nacionales y convirtiéndose en símbolo de una verdadera «fusión de culturas criollas». En 1969 se casó con el diseñador de joyas y platero John Weiss, con quien compartió una rica y profunda vida amorosa, el amor por el arte y la pasión por el estudio de las culturas migrantes y la enseñanza. En 1973 diseñó el escenario de Full House, un programa de la BBC sobre las artes caribeñas, en el que también actuó, realizado por John La Rose, escritor y activista de los derechos civiles de la comunidad caribeña y fundador del CAM. En 1958 organizó el Carnaval Caribeño de Notting Hill, colaborando con Claudette Jones, amiga de la familia y activista por los derechos civiles, y en los años siguientes formó parte de su jurado. En 1963, la revista British Vogue la definió como «la nueva cara del diseño británico». En 1969 montó la exposición central de la Ideal Home Show, titulada Fiesta, llevando una selección de trajes de Trinidad premiados en el Carnaval, incluso uno diseñado por ella. Tomó parte en exposiciones colectivas y personales por todo el mundo, y siguió viviendo en su estudio de West Green Road, en Tottenham, donde murió a los 95 años, después de 60 años trabajando.
Desde la década de 1980 hasta 2022, año de la primera retrospectiva que se le dedica, Althea McNish cayó en el olvido junto con la multitud de artistas de la diáspora afrocaribeña en Gran Bretaña. El 15 de mayo de 2023, con motivo del noventa y nueve aniversario de su nacimiento, se colocó una placa en West Green Road, la Nubian Jak Community Trust, que reconoce la contribución histórica de las minorías étnicas y de la migración afrodescendiente en Gran Bretaña: «Su impacto en la capital ha resonado durante más de medio siglo y confiamos en que la placa siga haciendo que su herencia sea más conocida y deje de ser invisible para las generaciones futuras». En otoño de 2024, en el centenario de su nacimiento, estaba prevista la publicación de la primera monografía sobre Althea McNish, escrita por Rose Sinclair para la editorial Yale; de momento se ha publicado un artículo (‘Black because it has power in it …’ The Textile Designs of Althea McNish de Rose Sinclair) en «Decoratives arts journal», n° 47, 2023 (https://research.gold.ac.uk/id/eprint/35793/1/06_DAS%202023%20Sinclair_pp90-107_2-03.pdf).
Traduzione inglese
Syd Stapleton
«One of five female designers who changed history» (Architectural Digest).
Her artistic career was decidedly luminous even when understood in a strictly literal sense, due to her use of "...extraordinarily vivid" and luminous pigments, unprecedented in her day in textile and fashion design. In 2022, the William Morris Gallery in London hosted a retrospective exhibition on the artist, repeated the following year at the Whitworth Art Gallery in Manchester, entitled Colour Is Mine. "...innovative designs... lush pinks and deep reds, painterly bands of black details punctuate repeated and varied patterns... Althea McNish saw black as a powerful color...." https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery Breaking elements in which writer and art historian Kirsty Jukes captures a change of pace from mid-century fashion. "Replacing the more traditional pastels, browns, olives, and rusts with vibrant magentas, scarlets, chartreuse, melon, and light blues, she takes each hue to its maximum saturation" (Ibid.). Artistic solutions in which the roots that keep her grounded in the lush Caribbean landscape, flora, fauna and cultural traditions of her island, and which she has always called her tropical eye, are intertwined with the innovative ferments of 1960s London, the Swinging London that was about to transform from the capital of an empire into the capital of fashion.
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Althea Mc Nish was born in 1924 in Port of Spain on the island of Trinidad, which with Tobago had been administered as a single territory by the United Kingdom since 1888. In 1962 the two islands became an independent state and in 1976 became a republic under the Commonwealth. In its long colonial history the country has seen alternating Spanish, Dutch, Courlander, French, and British rule. Sixteenth-century Spanish rule had decimated the native population, and it was not until the Spanish and especially French post-revolutionary colonial migrations, stimulated by tax exemptions, that the islands began to be populated by cocoa, indigo and tobacco planters with slave labor from Africa and other colonies in tow. The economy took off, especially in the late 1700s, with English settlers geared toward sugarcane and cotton production. With the abolition of slavery, the islands became a destination for freed slaves from other Caribbean, Asian and South American colonies, and the United Kingdom, seeking cheap labor for its colonists, encouraged the immigration of contract laborers from the Indian sub-continent to the Caribbean.
The clash of such an incredible variety of populations, histories and traditions resulted in a kaleidoscopic cultural mix. Althea's family belonged to the island's educated middle class; her father Joseph Claude was a writer and publisher descended from Merikin settlers (former African-American slaves who had fought in the Anglo-French War of 1812), while her mother, Margaret Bourne, was a well-known seamstress and fashion designer. Althea, encouraged by her family, developed an early interest in drawing and painting. The island experienced an effervescent phase politically, identifiably, artistically and culturally, and she joined the Trinidad Arts Society founded in 1943 by Sybil Atteck, an organic draftsman, watercolorist and expressionist painter who influenced its style. After mounting her first exhibition at the age of sixteen, Althea continued to draw as a cartographer and entomological illustrator for the British government in Trinidad, yet always in search of new stimuli and a more congenial dimension she also became interested in building engineering and architecture. Meanwhile, the British motherland, in search of arms for post-war reconstruction, fosters the first Caribbean migratory flows (Windrush generation) with which exponents of culture, art and entertainment, calypso rhythms and the Trinidadian carnival tradition also arrive. The optimistic expectations of the majority of the migrant population destined to work as cheap labor were soon dashed because of the widely hostile and racist climate that affected black people in particular, making it difficult even to find decent housing, eventually erupting into incidents of open intolerance and violence (Notting Hill 1958).
In 1951, having won a scholarship to study architecture at the Architectural Association School in London's Bedford Square, Althea moved there with her mother, also reuniting with her father, who was already working there. She frequented the intellectual and artistic milieu of the Afro-Caribbean diaspora and, by her explicit admission, would not directly experience any form of discrimination along her course of study. She soon changed course to enroll at the London School of Printing and Graphic Arts where an encounter with sculptor and printmaker Eduardo Paolozzi, a teacher of textile design, would be instrumental in her decision to apply her artistic talents to textiles. She followed the postgraduate course at the Royal College of Art, located within the spaces of the Victoria & Albert Museum where, "learning how to develop color combinations, create repetitions, prepare artworks for production, she learned the production process" (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). The skills she acquired in design and production allowed her to safeguard her inventive freedom and the integrity of her chosen colors. While the boldness of design and color in her designs may deter screen printers, her refined technical skills tend to overcome all obstacles. "Whenever the printers told me it couldn't be done, I showed them how to do it. In no time the impossible became possible." (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Her pockets could not be without her sketching pencil and the Allen wrench essential for adjusting accessories on screen printing frames.
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According to design historian Libby Sellers, Althea, strongly determined to express herself through her original and innovative artistic vocabulary and to preserve the brilliance of her colors, perceived no jarring between her creations and the space of the Victoria and Albert Museum as a place officially consecrated to the historical collections of the British Empire. After all, in the 1950s and 1960s, people were emerging from the austerity and grayness of the postwar years and the Royal College of Art was a hotbed of Pop Art. British design was being transformed, and the motto "Color is Mine" was a fitting summary of Althea's new art: "...McNish's riot of color was like a volcano erupting through the center of conservative British modernism" (Kirsty Jukes). While in school, among her most successful designs is Golden Harvest inspired by a walk through a wheat field in Essex. " "In Trinidad I was walking through sugar plantations and rice fields and now I was walking through a wheat field. A glorious experience." This bucolic English idyll transposed through its colorful lens gave birth to the project (1959). The model and its various colors would later be purchased by Hull Traders." https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish
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In 1957 at the RCA's postgraduate exhibition she exhibited vibrant, eye-catching prints full of tropical motifs and flowers, textile designs that "took natural botanical forms to the edge of abstraction, with an unrestrained color palette that overturned the rigid rules of postwar British design" (https://www.nsead. org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/) Soon after Arthur Stuart Liberty of the London department stores, "Recognizing her unique talent and convinced that British consumers desperately wanted to move beyond the drabness of the post-war years commissioned the young designer to create new and exclusive designs for both fashion and upholstery fabrics. Among the many projects are Cebollas (1958) and Hibiscus (1958" (Ibid.).” She also worked for Zika Ascher, who in 1942, with his fashion designer wife Lida, opened a silk printing workshop producing extravagant and experimental fabrics for the fashion industry (famous are the scarves printed with works by great contemporary artists displayed in galleries as works of art) and whose clients include Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy and Lanvin.
Althea's designs appeared in Europe's best-known fashion magazines. In 1959 she also began designing for the furniture company Hull Traders, "specializing in small runs of artist-designed fabrics that were screen-printed by hand using pigment-rich dyes."(Ibid). Shirley Craven, the company's principal designer, commissioned her to design nine patterns including the aforementioned Golden Harvest and Painted Desert. "Initially named Old Man after the common name for the giant cactus, this jaw-dropping fabric epitomizes Althea's approach, with its loosely drawn graphic design in black on bright colors. And it also symbolizes her total mastery of screen printing processes and technology." (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/) She worked for leading U.K. companies such as Cavendish Textiles, Danasco, Heals, and Wallpaper Manufactures Ltd. and for British Rail and Orient Steam Navigation, designing textiles for fashion and furniture, laminated panels, murals and wallpaper.
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McNish always perceived herself as an artist, as an established painter in Trinidad in contact with London's cultural avant-garde she crossed the rigid boundaries between fine and applied art to arrive at new forms of expression and creating a language all her own: "My design is functional, but free, you can wear it, sit on it, lie on it and stand on it." She experimented with pioneering techniques, such as printing her designs directly on decorative Warerite and multilayer laminated boards with complex and extremely specialized workmanship, designing new materials and a new polyester fabric such as Terilene. And for design she drew inspiration from everywhere: "I don't have to look very far, it's usually the objects at hand that come to my aid. I see an idea in an onion, a cabbage or any other object around the studio." She traveled regularly in Europe, selling her designs directly to prestigious firms in Switzerland, Italy France and Scandinavia and receiving foreign buyers and manufacturers in her London studio. In 1966 she designed fabrics for Queen Elizabeth II's official wardrobe for the Royal Tour to the Caribbean. At the 1966 Ideal Home Show in London, she designed and set up the Bachelor Girls Room, a room for a city girl like herself, economically independent, self-confident, and creatively employed, freed from social and familial expectations that limit within the confines of the home the ambitions and desires of girls. A nimble, free space in which to express her personality, furnished with modular furniture and vibrant floral prints, consistent with the idea that "women should always have the opportunity to showcase themselves, their talents, and their achievements...."
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As a civil rights activist in the Caribbean community she helped found the CAM (Caribbean Artistic Movement) engaged from 1966 to 1972 in promoting Caribbean art, music and traditions. And while Enoch Powell's racist speeches fomented discrimination and violence against the nonwhite immigrant population, despite the fact that laws against racial segregation had been passed, Althea decorated British spaces with the flora of her Trinidad, expressing her free creativity, feeling legitimately part of an artistic discourse that crossed national boundaries and became a symbol of a true "fusion of creolized cultures." In 1969 she married jewelry designer and silversmith John Weiss with whom she shared a rich and deep love life, a love of art and a passion for studying migration cultures and teaching. In 1973 she acted in and designed the set for Full House, a BBC program on the Caribbean arts by John La Rose, writer and civil rights activist for the Caribbean community and founder of CAM. In 1958 she organized the Notting Hill Caribbean Carnival, collaborating with Claudette Jones, a family friend and civil rights activist, serving as a judge in later years. In 1963 British Vogue called her "the new face of British design." In 1969 she mounted the central exhibition at the Ideal Home Show entitled Fiesta bringing back from Trinidad a selection of award-winning costumes at Carnival including one designed by her. She exhibited in group and solo shows around the world while continuing to live in her home studio on West Green Road in Tottenham where she died at the age of 95 after 60 years of activity in England.
Beginning in the 1980s until 2022, the year of the first retrospective exhibition dedicated to her, Althea McNish fell into oblivion along with a host of female artists of the Afro-Caribbean diaspora in Britain. On May 15, 2023, to mark the ninety-ninth anniversary of her birth, a plaque was affixed in West Green Road, the Nubian Jak Community Trust recognizing the historic contribution of ethnic minorities and Afro-descendant migration to Britain: "Her impact on the capital has resonated for over half a century and we trust that the plaque will continue to make her legacy better known and no longer invisible to future generations." In the fall of 2024, on the centennial of her birth, the first monograph on Althea McNish written by Rose Sinclair for Yale Publishers is scheduled to be released.