Althea McNish
Rossana Laterza

Daniela Godel

 

«Una delle cinque designer donne che hanno cambiato la storia» (Architectural Digest).

La sua carriera artistica è stata decisamente luminosa anche a intenderla in senso strettamente letterale, per l’uso inedito ai suoi tempi nel campo del design tessile e della moda di «…pigmenti straordinariamente vividi» e luminosi. Nel 2022 la William Morris Gallery di Londra ha ospitato una mostra retrospettiva sull’artista, riproposta l’anno successivo alla Whitworth Art Gallery di Manchester, dal titolo Colour is mine. «…design innovativi… rosa lussureggiante e rosso intenso, fasce pittoriche di dettagli neri punteggiano motivi ripetuti e variegati… Althea McNish vedeva il nero come un colore potente…». https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Elementi di rottura in cui la scrittrice e storica dell’arte Kirsty Jukes coglie un cambio di passo rispetto alla moda della metà del secolo. «Sostituendo i più tradizionali pastelli, marroni, oliva e ruggine con vibranti magenta, scarlatti, chartreuse, melone e azzurro, porta ogni tonalità alla sua massima saturazione» (Ivi). Soluzioni artistiche in cui le radici che la tengono ancorata al lussureggiante paesaggio, alla flora, alla fauna e alle tradizioni culturali caraibiche della sua isola, e che lei stessa ha sempre definito il suo occhio tropicale, si intrecciano ai fermenti innovativi della Londra degli anni Sessanta, la Swinging London che da capitale di un impero sta per trasformarsi in capitale della moda.

Althea Mc Nish nasce nel 1924 a Port of Spain nell’isola di Trinidad che con Tobago, fin dal 1888, era stata amministrata come territorio unico dal Regno Unito. Nel 1962 le due isole diventano uno Stato indipendente e nel 1976 si trasformano in una Repubblica nell’ambito del Commonwealth. Nella sua lunga storia coloniale il Paese ha visto avvicendarsi i domini spagnolo, olandese, courlander, francese e inglese. La dominazione spagnola del XVI secolo aveva decimato la popolazione nativa e solo con le migrazioni coloniali spagnola e soprattutto francese post-rivoluzionaria, incentivate da esenzioni fiscali, le isole hanno cominciato a popolarsi di piantatori di cacao, indaco e tabacco con al seguito la manodopera schiavile proveniente dall’Africa e da altre colonie. Economia decollata specie a fine Settecento con i coloni inglesi orientati alla produzione della canna da zucchero e del cotone. Con l’abolizione della schiavitù le isole diventano meta di schiavi liberati di altre colonie caraibiche, dell’Asia e del Sud-America e il Regno Unito, in cerca di manodopera a basso costo per i suoi coloni, favorisce l’immigrazione nei Caraibi di persone a contratto provenienti dal sub-continente indiano.

L’incontro scontro di tale incredibile varietà di popolazioni, storie e tradizioni ha dato luogo a una caleidoscopica mescolanza culturale. La famiglia di Althea appartiene alla middle class colta dell’isola, suo padre Joseph Claude è scrittore ed editore discendente dei coloni Merikin (ex schiavi afro-americani che avevano combattuto nella guerra anglo francese del 1812), mentre la madre, Margaret Bourne, è una sarta e stilista ben nota. Althea, incoraggiata dalla famiglia, sviluppa precocemente l’interesse per il disegno e la pittura. L’isola sta vivendo una fase effervescente dal punto di vista politico, identitario, artistico e culturale e la ragazza entra a far parte della Trinidad Arts Society fondata nel 1943 da Sybil Atteck, disegnatrice biologica, acquarellista e pittrice espressionista che ne influenza lo stile. Dopo aver allestito la sua prima mostra a sedici anni, Althea continua a disegnare come cartografa e illustratrice entomologica per il governo britannico a Trinidad, tuttavia sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di una dimensione più congeniale si interessa anche di ingegneria edilizia e di architettura. Intanto la madrepatria britannica, in cerca di braccia per la ricostruzione post-bellica, favorisce i primi flussi migratori caraibici (Windrush generation) con cui arrivano anche esponenti della cultura, dell’arte e dello spettacolo, i ritmi del calipso e la tradizione del carnevale trinidadiano. Le aspettative ottimistiche della maggior parte della popolazione migrante destinata a lavorare come manodopera a basso costo vengono presto deluse a causa del clima diffusamente ostile e razzista che colpisce soprattutto la gente nera rendendo difficile persino trovare un alloggio dignitoso, fino a sfociare in episodi di aperta intolleranza e violenza (Notting Hill 1958).

Nel 1951, avendo vinto una borsa di studio per studiare architettura presso l’Architectural Association School di Bedford Square a Londra, Althea vi si trasferisce con la madre ricongiungendosi anche al padre che già vi lavora. Frequenta l’ambiente intellettuale e artistico della diaspora afro-caraibica e, per sua esplicita ammissione, lungo il suo percorso di studi non vivrà direttamente alcuna forma di discriminazione. Ben presto cambia corso per iscriversi alla London School of Printing and Graphic Arts dove l’incontro con lo scultore e incisore Eduardo Paolozzi, insegnante di disegno tessile, sarà determinante per la scelta di applicare il suo talento artistico ai tessuti. Segue il corso post laurea al Royal College of Art, situato entro gli spazi del Victoria & Albert Museum dove, «imparando a sviluppare combinazioni di colori, creare ripetizioni, preparare le opere d’arte per la produzione, apprendeva il processo di produzione» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Le competenze acquisite nella progettazione e nella produzione le permettono di salvaguardare la sua libertà inventiva e l’integrità dei colori scelti. Se l’audacia del disegno e del colore nei suoi progetti possono scoraggiare i serigrafi, le sue raffinate competenze tecniche tendono a superare ogni ostacolo. «Ogni volta che gli stampatori mi dicevano che non era possibile farlo, mostravo loro come farlo. In poco tempo l’impossibile diventava possibile» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Nelle sue tasche non possono mancare la matita per gli schizzi e la chiave a brugola indispensabile a regolare gli accessori sui telai serigrafici.

Secondo la storica del design Libby Sellers, Althea, fortemente determinata a esprimersi attraverso il suo originale e innovativo vocabolario artistico e a preservare la brillantezza dei suoi colori, non percepisce alcuno stridore fra le sue creazioni e lo spazio del Victoria and Albert Museum come luogo consacrato ufficialmente alle collezioni storiche dell’Impero britannico. Del resto negli anni Cinquanta e Sessanta si esce dall’austerità e dal grigiore del dopoguerra e il Royal College of Art è fucina della Pop Art, il design britannico si sta trasformando e il motto "Il colore è mio" è sintesi calzante della nuova arte di Althea: «…il tripudio di colori di McNish era come un vulcano in eruzione attraverso il centro del modernismo britannico conservatore» (Kirsty Jukes). Durante il corso di studi, tra i suoi design di maggior successo spicca Golden Harvest ispirato da una passeggiata in un campo di grano nell’Essex. « “A Trinidad camminavo attraverso le piantagioni di zucchero e campi di riso e ora stavo camminando attraverso un campo di grano. Un’esperienza gloriosa”. Questo bucolico idillio inglese trasposto attraverso la sua lente colorata, dà vita al progetto (1959). Il modello e le sue varie colorazioni saranno successivamente acquistati da Hull Traders» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).

Nel 1957 alla mostra di fine corso post laurea del Rca espone stampe vivaci e vistose ricche di motivi e fiori tropicali, disegni tessili che «portavano le forme botaniche naturali al limite dell’astrazione, con una tavolozza di colori sfrenata che ribaltava le rigide regole del design britannico del dopoguerra» (https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Subito dopo Arthur Stuart Liberty dei grandi magazzini di Londra, «Riconoscendone il talento unico e convinto che i consumatori britannici desiderino disperatamente andare oltre il grigiore degli anni del dopoguerra incarica la giovane designer di creare nuovi ed esclusivi design sia per la moda che per i tessuti d’arredamento. Tra i molti progetti ricordiamo Cebollas (1958) e Hibiscus (1958)» (Ivi). Lavora inoltre per Zika Ascher che dal 1942 con la stilista Lida, sua moglie, ha aperto un laboratorio di stampa su seta producendo tessuti stravaganti e sperimentali per l’industria della moda (famosi i foulard stampati con opere di grandi artisti contemporanei esposti in gallerie come opere d’arte) e che annovera fra i suoi clienti Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy e Lanvin.

I design di Althea appaiono sulle più note riviste di moda europee. Nel 1959 comincia anche a progettare per l’azienda di arredamento Hull Traders «specializzata in piccole tirature di tessuti disegnati da artisti che venivano serigrafati a mano utilizzando coloranti ricchi di pigmento»(Ivi). Shirley Craven, la principale designer dell’azienda, le commissiona nove modelli fra cui il citato Golden Harvest e Painted desert. «Inizialmente chiamato Old Man dal nome comune del cactus gigante, questo tessuto strabiliante incarna l’approccio di Althea, con il suo design grafico vagamente disegnato in nero su colori vivaci. Ed è anche il simbolo della sua totale padronanza dei processi e della tecnologia della serigrafia» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Lavora per aziende leader del Regno Unito come Cavendish Textiles, Danasco, Heals e Wallpaper Manufactures Ltd., per British Rail e Orient Steam Navigation, progettando tessuti destinati alla moda e all’arredamento, pannelli laminati, murales e carta da parati.

McNish si è sempre percepita come un’artista, da pittrice affermata a Trinidad a contatto con l’avanguardia culturale londinese supera i rigidi confini tra belle arti e arte applicata per approdare a nuove forme espressive e creando un linguaggio tutto suo: «Il mio design è funzionale, ma libero, puoi indossarlo, sedertici sopra, sdraiartici e starci in piedi sopra». Sperimenta tecniche pionieristiche, come la stampa dei suoi disegni direttamente su tavole laminate decorative di Warerite e multistrato dalla lavorazione complessa ed estremamente specialistica, progetta nuovi materiali e un nuovo tessuto in poliestere come il Terilene. E per il design trae ispirazione ovunque: «Non devo guardare molto lontano, di solito sono gli oggetti a portata di mano che mi vengono in aiuto. Vedo un’idea in una cipolla, un cavolo o qualsiasi altro oggetto in giro per lo studio». Viaggia regolarmente in Europa, vendendo i suoi progetti direttamente a prestigiose ditte in Svizzera, Italia Francia e Scandinavia e riceve nel suo studio londinese acquirenti e produttori stranieri. Nel 1966 disegna i tessuti per il guardaroba ufficiale della regina Elisabetta II per il Royal Tour nei Caraibi. All’Ideal Home Show di Londra del 1966 progetta e allestisce la Bachelor Girls Room, una stanza per una ragazza di città come lei, indipendente economicamente, che ha fiducia in sé stessa e svolge un lavoro creativo, svincolata da aspettative sociali e familiari che limitino entro i confini domestici le ambizioni e i desideri delle ragazze. Uno spazio agile e libero in cui poter esprimere la propria personalità, arredato con mobili componibili e vivaci stampe floreali, coerentemente con l’idea che «le donne dovrebbero avere sempre l’opportunità di mettere in mostra sé stesse, i propri talenti e i propri risultati…».

Come attivista per i diritti civili della comunità caraibica contribuisce a fondare il Cam (Caribbean Artistic Movement) impegnato dal 1966 al 1972 a promuovere l’arte, la musica e le tradizioni caraibiche. E mentre i discorsi razzisti di Enoch Powell fomentano discriminazione e violenze contro la popolazione immigrata non bianca, nonostante siano state approvate leggi contro la segregazione razziale, Althea decora gli spazi britannici con la flora della sua Trinidad, esprimendo la sua libera creatività, sentendosi legittimamente parte di un discorso artistico che valica i confini nazionali e diventando simbolo di una vera e propria «fusione di culture creolizzate». Nel 1969 sposa il designer di gioielli e argentiere John Weiss con cui condivide una ricca e profonda vita sentimentale, l’amore per l’arte e la passione per lo studio delle culture della migrazione e per l’insegnamento. Nel 1973 recita e progetta il set per Full House, un programma della Bbc sulle arti caraibiche di John La Rose, scrittore e attivista per i diritti civili della comunità caraibica fondatore del Cam. Nel 1958 organizza il Carnevale caraibico di Notting Hill collaborando con Claudette Jones, amica di famiglia e attivista per i diritti civili, ricoprendo, negli anni successivi, il ruolo di giudice. Nel 1963 British Vogue la definisce «il nuovo volto del British design». Nel 1969 allestisce la mostra centrale all’Ideal Home Show dal titolo Fiesta riportando da Trinidad una selezione di costumi premiati al Carnevale fra cui uno disegnato da lei. Espone in mostre collettive e personali in tutto il mondo continuando a vivere nella sua casa studio di West Green Road a Tottenham dove muore all’età di 95 anni, dopo 60 anni di attività.

A partire dagli anni Ottanta fino al 2022, anno della prima retrospettiva a lei dedicata, Althea McNish cade nell’oblio insieme a una quantità di artiste/i della diaspora afro-caraibica in Gran Bretagna. Il 15 maggio 2023 per celebrare il novantanovesimo anniversario dalla sua nascita, in West Green Road viene apposta una targa, la Nubian Jak Community Trust che riconosce il contributo storico delle minoranze etniche e della migrazione afrodiscendente in Gran Bretagna: «Il suo impatto sulla capitale ha risuonato per oltre mezzo secolo e confidiamo che la targa continuerà a rendere la sua eredità meglio conosciuta e non più invisibile alle generazioni future». Nell’autunno del 2024, nel centenario della nascita, si prevede l’uscita della prima monografia su Althea McNish scritta da Rose Sinclair per Yale Publishers.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

«Une des cinq designers femmes qui ont changé l’histoire» (Architectural Digest).

Grâce l’usage de “pigments étonnamment vibrants et lumineux”, tout à fait inédit à cette époque au sein du design textile et de la mode, la carrière artistique de Althea a été lumineuse au sens propre du mot. En 2022 la William Morris Gallery de Londres a accueilli une rétrospective au titre Colour is mine dediée à l’artiste, proposée à nouveau l’année suivante par la Whitworth Art Gallery de Manchester. Le commentaire “…design innovatif…rose exubérant et rouge intense, bandes peintes en détails noirs qui marquent les motifs répétés ou bien diversifiés… Althea Mc Nish utilise le noir comme une couleur puissante…” résume en peu de mots la puissance de son travail. https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Travail qui s’organise autour de plusierurs points de rupture que l’écrivain et historienne de l’art Kirsty Jukes définit comme un “changement de rythme par rapport à la mode de la moitié du siècle”. “Mc Nish pousse chaque tonalité à sa saturation maximale, remplaçant les nuances pastels traditionnelles telles que les marrons, olive, rouille par des vibrants magenta,cramoisi, chartreuse,melon et azur.” Les racines qui lient Althea au paysage verdoyant,à la flore, à la faune et aux traditions culturelles de son île antillaise, et que elle- même a toujour défini son œil tropical, se mèlent aux vagues d’innovation qui parcourent la Londres des années soixante, la Swinging London qui est en train de perdre son rôle de capitale d’un empire pour se transformer en capitale de la mode.

Althea Mc Nish naît en 1924 à Port of Spain dans l’île de Trinidad qui, avec Tobago, était administrée par le Royaume Uni depuis 1888 comme un seul territoire. En 1962 les deux îles acquièrent l’indépendance et en 1976 s’organisent comme une république au sein du Commonwealth. Tout au long de son histoire coloniale le Pays a connu tour à tour les dominations espagnole, hollandaise, courlander, française et anglaise. La domination espagnole du XVI siècle avait décimé la population native, mais c’est au sein des migrations coloniales espagnole et notamment française à la suite de la Révolution (encouragée par une exemption d’Impôts) que les îles ont été peuplées par les planteurs de cacao, indigo et tabac, suivis par la main-d’ôeuvre des esclaves provenants de l’Afrique et d’autres colonies. L’économie démarre à la fin du XVIII siècle grâce aux colons anglais qui se dédient à la production de la canne à sucre et du coton. A la suite de l’abolition de l’esclavage, les îles accueillent les esclaves libérés provenants d’autres colonies antillaises, aussi bien que de l’Asie ou de l’Amérique du Sud. C’est alors que le Royaume Uni, à la recherche de main-d’ôeuvre à bas coût pour ses colons, encourage l’immigration aux Caraibes d’individus à contract provenants du sous-continent indien.

Cet incroyable mélange de populations, histoires et traditions a produit un mixage culturel kaléidoscopique. La famille d’Althea fait partie de la middle class cultivée de l’île: son père Joseph Claude est un écrivain et éditeur qui descend des colons Merikin (esclaves afro-américains qui avaient pris part à la guerre anglo-française du 1812) tandis que sa mère Margaret Bourne est une couturière et styliste renommée. Encouragée par sa famille, Althea s’intéresse bientôt au dessin et à la peinture dans une période qui voit l’ île parcourue par des vagues de renouvement politique, identitaire, artistique et culturel. La jeune fille fait partie de la Trinidad Arts Society fondée en 1943 par Sybil Atteck, illustratrice biologique, aquarelliste et peintre expressionniste dont le style va influencer celui de Althea. Après avoir organisé sa prémière expositionà l’âge de seize ans, elle continue à dessiner comme cartographe et illustratrice entomologique pour le gouvernement britannique à Trinidad. Toutefois elle est à la recherche de nouvelles idées et de situations plus correspondantes à ses intérêts, et s’oriente aussi vers l’ingénierie de contruction et vers l’architecture. C’est la période où l’Angleterre encourage les premiers mouvements migratoires (Windrush generation) caribéens, à la recherche de main- d’œuvre pour la reconstruction d’après-guerre. A la suite de ce flux arrivent aussi des nombreux représentants de la culture, de l’art et du spectacle, ainsi que le rythme du Calipso et la tradition du Carnaval de Trinidad. Malheureusement les attentes de la plupart des migrants, destinés à travailler comme main- d’œuvre bon marché, sont bientôt déçues: l’atmosphère hostile et raciste vers les noirs est tellement forte qu’il devient difficile même trouver un logement décent, et on arrive à des épisodes d’intolérance et de violence (Notting Hill 1958).

En 1951 Althea obtient une bourse pour étudier l’architecture au sein de l’Architectural Association School de Bedford Square a Londres et elle s’installe dans la capitale avec sa mère et son père, qui y travaille depuis quelque temps. Elle fréquente le milieu intellectuel et artistique de la diaspora afro-antillaise et elle avoue de n’avoir jamais connu des situations de discriminations tout au long de ses études. Bientôt, elle change son parcours et s’inscrit à la London School of Printing and Graphic Arts: c’est à ce moment qu’elle décide d’orienter son talent artistique vers les tissus, grâce aussi à la rencontre avec le sculpteur et graveur Eduardo Paolozzi qui est son enseignant de design textile. Althea poursuit son parcours avec un cours de troisième cycle au Royal College of Art, situé à l’intérieur du Victoria & Albert Museum. Ici elle “apprend à développer les jeux des couleurs, créer des répétitions, preparer des œuvres d’art pour la production, bref, apprendre le processus complet de la production”(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Les compétences sur la conception et la fabrication apprises tout au long de ses études lui permettent de préserver sa liberté en matière de projet, ainsi que le choix des couleurs à utiliser. Face aux doutes posés par les imprimeurs devant l’audace du dessin et de la couleur, avec ses compétences techniques elle est capable de surmonter toute difficulté: “Chaque fois qu’un imprimeur me disait qu’il n’était pas possible de réaliser ce que je lui proposais, je lui montrais comment le faire et en peu de temps l’impossible devenait possible” (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Dans ses poches ne manquent jamais un crayon pour les croquis et une clé hexagonale indispensable pour régler l’écran de sérigraphie.

L’historienne du design Libby Sellers déclare qu’ Althea se trouve parfaitement à l’aise au milieu du Victoria and Albert Museum, malgré ce lieu soit consacré officiellement aux collections historiques de l’Empire Britannique. La jeune fille considère ses créations parfaitement intégrées au milieu, poussée par le désir de s’exprimer à travers son vocabulaire artistique personnel, fait de couleurs vibrants et innovatifs. Ce n’est pas au hasard que dans les années cinquante et soixante on sort de l’austérité et de la grisaille de l’après guerre et le Royal College of Art est le foyer de la Pop Art. Le design britannique est en pleine transformation, la devise “la couleur est mienne” est le résumé parfait de la nouvelle art de Althea: ”…le festival de couleurs de Mc Nish était comme un volcan en éruption à travers le centre du modernisme britannique conservateur” (Kirsty Jukes). Pendant le cours de ses études, parmi les dessins qui ont le plus grand succès, se détache Golden Harvest, qui prend inspiration d’une promenade dans un champ de blé dans la région anglaise de l’Essex. “A Trinidad je marchais au long des plantations de canne à sucre et champs de riz, et maintenant je marchais à travers un champ de blé. C’était une expérience glorieuse”. L’idylle bucolique, revisité à travers la lentille colorée d’Althea donne naissance au projet (1959). Le modèle avec ses différentes couleurs est successivement acheté par Hull Traders(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).

En 1957 Althea présente ses travaux à l’exposition de fin du cours d’études: il s’agit d’ impressions vivaces et bruyantes, riches en motifs et fleurs tropicaux, dessins textiles qui “conduisaient les formes botaniques de la nature à la limite de l’abstraction, par une palette de couleurs débordante, capable de basculer les strictes régles du design britannique de l’après-guerre. https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Peu après Arthur Stuart Liberty des grands magasins de Londres, en reconnaissant le talent unique d’Althea et convaincu que les consommateurs britanniques souhaient absolument abandonner la grisaille des années de l’après-guerre, confie à la jeune designer la création de dessins exclusifs et nouveaux à reproduire soit dans la mode que dans les tissus de décoration. Parmi un grand nombre de projets il faut remarquer Cebollas (1958) et Hibiscus (1958). (Ivi) Althea travaille aussi pour Zika Ascher qui depuis 1942, avec sa femme et styliste Lyda, a ouvert un atelier de presse sur soie. Ascher produit pour l’industrie de la mode des tissus extravagants et expérimentaux (ces célèbres foulards imprimés avec des ouvrages des grands artistes contemporains, aujourd’hui exposés dans les galeries comme des chef-d’œuvres). Parmi ses clients on remarque Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy e Lanvin.

Les dessins d’Althea paraissent dans les pages des revues de mode éuropéennes les plus importantes. En 1959 démarre sa collaboration avec l’entreprise de décor d’intérieurs Hull Traders “specialisée dans le tirage limité de tissus artistiques, sérigraphiés à la main en utilisant des colorants riches en pigments” (Ivi). Le chef designer de l’entreprise, Shirley Craven, demande à Althea neuf modèles, parmi lesquels le susmentionné Golden Harvest et Painted desert. Appelé au début Old Man par le nom du cactus géant, ce tissu étonnant incarne le style d’Althéa, avec son design graphique esquissé en noir sur des couleurs vivaces. Et c’est aussi la démonstration de sa maîtrise totale en ce qui concerne les processus et la technologie de la sérigraphie.(https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Althea travaille pour les entreprises du Royaume Unis telles que Cavendish Textiles, Danasco, Heals et Wallpaper Manufactures Ltd., pour British Rail et Orient Steam Navigation, en projetant des tissus destinés à la mode et au décor, des panneaux stratifiés,des fresques et de la tapisserie.

Mc Nish s’est toujours perçue comme une artiste: depuis ses prémières expériences comme peintre rénommée à Trinidad jusqu’au liens avec l’avant-garde culturelle londonnaise, elle franchit les limites strictes entre beaux-arts et arts décoratifs. Elle parvient à des formes expressives nouvelles tout en forgeant son style personnel: ” Mon design est fonctionnel mais sans contrainte: tu peux le porter, t’asseoir dessus, t’allonger dessus, y monter dessus”. Althea expérimente des techniques novatrices, telles que l’impression de ses dessins directement sur des planches laminées décoratives en Warerite ou bien sur des feuilles stratifiées au processus compliqué, elle conçoit des nouveaux matériaux et un nouveau tissu en polyester nommé Terilene. Elle prend inspiration un peu partout:” Je ne dois pas chercher trop loin, d’habitude ce sont les choses de tous les jours qui m’inspirent. Je trouve une idée dans un oignon, un chou ou n’importe quel objet se trouve dans mon atelier.” L’artiste voyage régulièrement en Europe pour vendre ses projets directement aux entreprises prestigieuses de Suisse, Italie, France ou bien Scandinavie, tout en accueillant dans son cabinet à Londres les clients et producteurs étrangers. En 1966 est chargée de dessiner les tissus pour le garde-robe officiel de la Reine Elisabeth II en voyage pour le Royal Tour dans les Caraibes. La même année elle prends part à l’Ideal Home Show de Londres: elle conçoit et aménage la Bachelor Girls Room, une chambre pour une jeune fille citadine comme elle, financièrement indépendante, confiante en elle-même grâce à un travail créatif, libérée de contraintes sociales ou familiales qui puissent étouffer les aspirations et les désirs féminins. La chambre se présente comme un endroit flexible et libre, à l’intérieur du quel il est possible exprimer sa propre personnalité: amenagée avec des meubles modulaires et décorée par des motifs floraux aux couleurs vibrantes, elle transmet le concept que ”les femmes devraient avoir toujours la possibilité d’exhiber leurs talents et leurs résultats aussi bien que elles-mêmes”.

En tant qu’activiste pour les droits civiques de la communauté antillaise, elle participe à la fondation du CAM (Caribbean Artistic Movement), qui entre le 1966 et le 1972 s’occupe de faire connaître l’art, la musique et les traditions des Caraibes. Pendant que les discours racistes de Enoch Powell fomentent la discrimination et les violences contre la population immigrée de couleur, bien que les lois contre la ségrégation raciale aient été approuvées, Althea décore les intérieurs britanniques avec la flore de sa Trinidad, en exprimant sa liberté créatrice, consciente de prendre part à un discours artistique qui franchit les frontières nationales et devient symbôle d’une véritable ”fusion de cultures créoles”. En 1969 Althea se marie avec le créateur de bijoux John Weiss, avec son époux elle partage non seulement une vie conjugale profonde et riche, mais aussi l’amour pour l’art et la passion pour l’étude des cultures des migrations et pour l’enseignement. En 1973 elle aménage le décor et prends part en tant qu’actrice à Full House, une émission de la BBC sur les arts antillaises de John La Rose, écrivain et activiste pour les droits civiques de la communauté caraibique, fondateur du Cam. En 1958 Althea organise le Carnaval Caraibique de Notting Hill en collaboration avec Claudette Jones, amie de famille et elle aussi activiste, et dans les années suivantes elle fait partie du jury. En 1969 elle aménage l’exposition centrale au titre Fiesta à l’IDEAL HOME SHOW, en utilisant une selection de costumes qui avaient obtenu un prix au concours du carnaval, dont l’un dessiné par elle- même. Tout en menant sa vie dans sa maison atelier de West Green Road à Tottenham, elle participe à des expositions individuelles et collectives partout dans le monde. Elle meurt enfin à 95 ans, après 60 ans d’activité.

A partir des années 80 et jusqu’au 2022, date de la prémière retrospective qu’on lui dédie, Althea Mc Nish tombe dans l’oubli avec un grand nombre d’artistes qui avaient fait partie de la diaspora afro-antillaise en Grande Bretagne. Le 15 mai 2023, à l’occasion du 99ième anniversaire de sa naissance, on pose une plaque en West Green Road, la Nubian Jak Community Trust, qui reconnait l‘importance du contribut historique apporté à la Grande Bretagne par les minorités ethniques et par la migration des gens de couleur. “L’influence de sa personnalité s’est épanouie sur la capitale pendant plus qu’un demi-siècle: nous confions que cette plaque permettra aux générations futures de mieux connaître son héritage et de ne pas laisser tomber l’oubli sur cette femme formidable”. La sortie de la prémière biographie dediée à Althea Mc Nish, par Rose Sinclair aux éditions Yale Publishers, a eu lieu dans l’automne 2024, à l’occasion du centenaire de la naissance de l’artiste.


Traduzione spagnola

Alexandra Paternò

«Una de las cinco diseñadoras que han cambiado la historia» (Architectural Digest).

Su carrera artística fue sin duda luminosa, también en un sentido estrictamente literal, por su uso inédito de «…pigmentos extraordinariamente vívidos» y luminosos en el campo del diseño textil y de la moda. En 2022, la William Morris Gallery de Londres acogió una exposición retrospectiva sobre la artista, que se repitió el año siguiente en la Withworth Art Gallery de Manchester, titulada Colour is mine (El color es mío). «…diseños innovadores… rosas exuberantes y rojos profundos, bandas pictóricas de detalles negros puntean motivos repetidos y variados… Althea McNish veía el negro como un color poderoso…». (https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery). Elementos rompedores en los que la escritora e historiadora del arte Kristy Jukes reconoce un cambio de ritmo con respecto a la moda de mediados de siglo XX. «Sustituyendo los pasteles, marrones, oliva y óxido más tradicionales por vibrantes magenta, escarlatas, chartreuse, melón y azul claro, lleva cada tono a su máxima saturación» (Ibid). Soluciones artísticas en las que las raíces que la mantienen anclada al exuberante paisaje, a la flora, a la fauna y a las tradiciones culturales caribeñas de su isla, y que ella misma siempre ha llamado su ojo tropical, se entrelazan con los fermentos innovadores de Londres de los años sesenta, el Swinging London que estaba a punto de transformarse de capital de un imperio en capital de la moda.

Althea McNish nació en 1924 en Puerto España, en la isla de Trinidad que junto con Tobago había sido administrada como un solo territorio por el Reino Unido desde 1888. Las dos islas se convirtieron en 1962 en estado independiente y en 1976 en república dentro de la Commonwealth. En su larga historia colonial, el país ha alternado los dominios español, holandés, curlandés, francés e inglés. El dominio español del siglo XVI había diezmado la población nativa y solamente con las migraciones coloniales españolas, y sobre todo francesas después de la revolución, estimuladas por las exenciones fiscales, ambas islas empezaron a poblarse de plantadores de cacao, índigo y tabaco, acompañados por mano de obra esclava procedente de África y otras colonias. La economía despegó, especialmente a finales del siglo XVIII con los colonos británicos centrados en la producción de caña de azúcar y algodón. Después de la abolición de la esclavitud, las islas se convirtieron en la meta de los esclavos liberados de otras colonias caribeñas, asiáticas y sudamericanas, y el Reino Unido, en búsqueda de mano de obra barata para sus colonos, favoreció la inmigración al Caribe de trabajadores contratados en el subcontinente indio.

La colisión de una variedad tan increíble de poblaciones, historias y tradiciones dio lugar a una mezcla cultural caleidoscópica. La familia de Althea pertenecía a la clase media culta de la isla, su padre Joseph Claude fue escritor y editor descendiente de los colonos Merikin (antiguos esclavos afroamericanos que habían luchado en la guerra anglo-francesa de 1812), mientras que su madre, Margare Bourne, fue una conocida costurera y diseñadora de moda. Althea, animada por su familia, desarrolló un temprano interés por el dibujo y la pintura. La isla estaba viviendo una fase de efervescencia política, identitaria, artística y cultural, y ella se unió a la Trinidad Art Society, fundada en 1943 por Sybil Atteck, diseñadora biológica, acuarelista y pintora expresionista que influyó en su estilo. Después de realizar su primera exposición a los dieciséis años, Althea siguió dibujando como cartógrafa e ilustradora entomológica para el gobierno británico en Trinidad; sin embargo, siempre en búsqueda de nuevos estímulos y de una dimensión más congenial, se interesó también por la construcción y la arquitectura. Mientras tanto, su madre patria inglesa, en búsqueda de mano de obra para la reconstrucción tras la guerra, favoreció los primeros flujos migratorios caribeños (generación Windrush), con los que llegaron también exponentes de la cultura, del arte y del espectáculo, los ritmos calipsos y la tradición carnavalesca de Trinidad. Las optimistas expectativas de la mayoría de la población inmigrante destinada a trabajar como mano de obra barata pronto se vieron truncadas debido al clima hostil y racista generalizado que afectaba especialmente a la población negra, dificultando incluso la búsqueda de una vivienda digna, llegando a producirse episodios de abierta intolerancia y violencia (Notting Hill 1958).

En 1951, tras haber ganado una beca para estudiar arquitectura en la Architectural Association School de Bedford Square, en Londres, Althea se trasladó allí con su madre, reuniéndose con su padre, que ya trabajaba allí. Frecuentó el ambiente intelectual y artístico de la diáspora afrocaribeña y, según ella misma admitió explícitamente, no experimentaría directamente ninguna forma de discriminación durante sus estudios. Pronto cambió de rumbo para matricularse en la London School of Printing and Graphic Arts, donde su encuentro con el escultor y grabador Eduardo Paolozzi, profesor de diseño textil, será importante en su decisión de aplicar su talento artístico a los tejidos. Siguió un curso de postgrado en el Royal College of Art, que se encontraba situado en los espacios del Victoria & Albert Museum donde, «aprendiendo a desarrollar combinaciones de colores, crear repeticiones, preparar obras de arte para la producción, aprendía el proceso de producción»(https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). Los conocimientos adquiridos en diseño y producción le permitieron salvaguardar su libertad inventiva y la integridad de los colores elegidos. Si la audacia del diseño y el color de sus proyectos podían desanimar a los impresores serigráficos, sus refinadas habilidades técnicas tendían a superar cualquier obstáculo. «Cuando los impresores me decían que no se podía, yo les enseñaba cómo hacerlo. En poco tiempo lo imposible se hizo posible» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). En sus bolsillos no faltaban nunca un lápiz de dibujo y una llave Allen necesaria para ajustar los accesorios de los bastidores de serigrafía.

Según la historiadora del diseño Libby Sellers, Althea, fuertemente decidida a expresarse a través de su original e innovador vocabulario artístico y a preservar la brillantez de sus colores, no percibía ningún choque entre sus creaciones y el espacio del Victoria and Albert Museum como lugar oficialmente dedicado a las colecciones históricas del Imperio Británico. Al fin y al cabo, en los años 50 y 60, la sociedad salía de la austeridad y la grisura de los años de posguerra y el Royal College of Art era la forja del Pop Art, el diseño británico se estaba transformando y el lema «El color es mío» era un resumen apropiado del nuevo arte de Althea: «...la explosión de colores de McNish era como un volcán en erupción en medio del conservador modernismo británico» (Kirsty Jukes). Durante sus estudios, uno de sus diseños de mayor éxito fue Golden Harvest, inspirado en un paseo por un campo de trigo en Essex. «“En Trinidad estuve paseando por plantaciones de azúcar y arrozales, y ahora estaba caminando por un campo de trigo. Una experiencia gloriosa”. Este bucólico idilio inglés transpuesto a través de su colorida lente dio origen a dicho proyecto (1959). El modelo y sus diversos colores fueron adquiridos posteriormente por Hull Traders» (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish ).

En 1957, en la exposición de postgrado de la RCA, expuso vívidos y llamativos estampados llenos de motivos tropicales y flores, diseños textiles que «llevaban las formas botánicas naturales al borde de la abstracción, con una paleta de colores desenfrenada que revertía las rígidas normas del diseño británico de la posguerra» (https://www.nsead.org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/). Poco después Arthur Stuart Liberty, de los grandes almacenes londinenses, «reconociendo su talento único y convencido de que los consumidores británicos deseaban desesperadamente ir más allá de la grisura de los años de la posguerra, le encargó a la joven diseñadora la creación de nuevos y exclusivos diseños tanto para la moda como de tejidos para interiorismo». Entre los numerosos diseños se encuentran Cebollas (1958) e Hibiscos (1958)» (Ibid.). También trabajó para Zika Ascher, quien, desde 1942, con su esposa, la diseñadora de moda Lida, abrió un taller de estampación de seda que producía tejidos extravagantes y experimentales para la industria de la moda (son famosos los pañuelos estampados con obras de grandes artistas contemporáneos expuestos en galerías como obras de arte) y entre cuyos clientes figuran Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy y Lanvin.

Los diseños de Althea aparecieron en las revistas de moda más conocidas de Europa. En 1959 también empezó a diseñar para la empresa de muebles Hull Traders, «especializada en pequeñas tiradas de telas diseñadas por artistas que se serigrafiaban a mano con tintes ricos en pigmentos» (Ibid.). Shirley Craven, diseñadora principal de la empresa, le encargó nueve modelos, entre ellos los ya mencionados Golden Harvest (Cultivo Dorado) y Painted desert (Desierto Pintado). «Inicialmente llamado Old Man, por el nombre común del cactus gigante, este sorprendente tejido encarna el enfoque de Althea, con su diseño gráfico vagamente dibujado en negro sobre colores brillantes. También simboliza su dominio total de los procesos y la tecnología de la serigrafía» (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Trabaja para importantes empresas británicas como Cavendish Textiles, Danasco, Heals y Wallpaper Manufactures Ltd., para British Rail y Orient Steam Navigation, diseñando tejidos para la moda y para interiorismo, paneles laminados, murales y papel pintado.

McNish siempre se percibió a sí misma como artista y, como pintora reconocida en Trinidad en contacto con la vanguardia cultural londinense, trascendió las rígidas fronteras entre bellas artes y las artes aplicadas para llegar a nuevas formas de expresión y crear un lenguaje propio: «Mi diseño es funcional, pero libre, puedes llevarlo puesto, sentarte en él, tumbarte en él y estar de pie sobre él». Experimentó con técnicas pioneras, como la impresión directa de sus diseños sobre paneles laminados decorativos de WareRite y tableros laminados multicapa con una elaboración compleja y extremadamente especializada, diseñó nuevos materiales y un nuevo tejido de poliéster como el Terylene. Y para diseñar se inspiraba en todas partes: «No tengo que buscar muy lejos, normalmente son los objetos que tengo a mano los que acuden en mi ayuda. Veo una idea en una cebolla, un repollo o cualquier otro objeto del estudio». Viajaba regularmente por Europa, vendiendo sus diseños directamente a prestigiosas firmas de Suiza, Italia, Francia y Escandinavia, y recibiendo en su estudio de Londres a compradores y fabricantes extranjeros. En 1966 diseñó los tejidos del vestuario oficial de la reina Isabel II para el Royal Tour por el Caribe. En la feria Ideal Home Show de Londres de 1966, diseñó y montó la Bachelor Girls Room (cuarto de la chica soltera), una habitación para una chica de ciudad como ella, económicamente independiente, segura de sí misma y que realizaba un trabajo creativo, libre de las expectativas sociales y familiares que limitaban sus ambiciones dentro de los confines del hogar. Un espacio ágil y libre en el que expresar la propia personalidad, amueblado con muebles modulares y vivos estampados floreales, coherente con la idea de que «las mujeres deben tener siempre la oportunidad de mostrarse a sí mismas, sus talentos y sus logros».

Como activista de los derechos civiles de la comunidad caribeña, ayudó a fundar el CAM (Movimiento Artístico Caribeño), que entre 1966 y 1972 se dedicó a promover el arte, la música y las tradiciones caribeñas. Y mientras los discursos racistas de Enoch Powell fomentaban la discriminación y la violencia contra la población inmigrante no blanca, a pesar de la aprobación de leyes contra la segregación racial, Althea decoraba los espacios británicos con la flora de su Trinidad, expresando su libre creatividad, sintiéndose legítimamente parte de un discurso artístico que traspasaba las fronteras nacionales y convirtiéndose en símbolo de una verdadera «fusión de culturas criollas». En 1969 se casó con el diseñador de joyas y platero John Weiss, con quien compartió una rica y profunda vida amorosa, el amor por el arte y la pasión por el estudio de las culturas migrantes y la enseñanza. En 1973 diseñó el escenario de Full House, un programa de la BBC sobre las artes caribeñas, en el que también actuó, realizado por John La Rose, escritor y activista de los derechos civiles de la comunidad caribeña y fundador del CAM. En 1958 organizó el Carnaval Caribeño de Notting Hill, colaborando con Claudette Jones, amiga de la familia y activista por los derechos civiles, y en los años siguientes formó parte de su jurado. En 1963, la revista British Vogue la definió como «la nueva cara del diseño británico». En 1969 montó la exposición central de la Ideal Home Show, titulada Fiesta, llevando una selección de trajes de Trinidad premiados en el Carnaval, incluso uno diseñado por ella. Tomó parte en exposiciones colectivas y personales por todo el mundo, y siguió viviendo en su estudio de West Green Road, en Tottenham, donde murió a los 95 años, después de 60 años trabajando.

Desde la década de 1980 hasta 2022, año de la primera retrospectiva que se le dedica, Althea McNish cayó en el olvido junto con la multitud de artistas de la diáspora afrocaribeña en Gran Bretaña. El 15 de mayo de 2023, con motivo del noventa y nueve aniversario de su nacimiento, se colocó una placa en West Green Road, la Nubian Jak Community Trust, que reconoce la contribución histórica de las minorías étnicas y de la migración afrodescendiente en Gran Bretaña: «Su impacto en la capital ha resonado durante más de medio siglo y confiamos en que la placa siga haciendo que su herencia sea más conocida y deje de ser invisible para las generaciones futuras». En otoño de 2024, en el centenario de su nacimiento, estaba prevista la publicación de la primera monografía sobre Althea McNish, escrita por Rose Sinclair para la editorial Yale; de momento se ha publicado un artículo (‘Black because it has power in it …’ The Textile Designs of Althea McNish de Rose Sinclair) en «Decoratives arts journal», n° 47, 2023 (https://research.gold.ac.uk/id/eprint/35793/1/06_DAS%202023%20Sinclair_pp90-107_2-03.pdf).


Traduzione inglese

Syd Stapleton

«One of five female designers who changed history» (Architectural Digest).

Her artistic career was decidedly luminous even when understood in a strictly literal sense, due to her use of "...extraordinarily vivid" and luminous pigments, unprecedented in her day in textile and fashion design. In 2022, the William Morris Gallery in London hosted a retrospective exhibition on the artist, repeated the following year at the Whitworth Art Gallery in Manchester, entitled Colour Is Mine. "...innovative designs... lush pinks and deep reds, painterly bands of black details punctuate repeated and varied patterns... Althea McNish saw black as a powerful color...." https://www.thefourdrinier.com/review-of-althea-mcnish-colour-is-mine-whitworth-art-gallery Breaking elements in which writer and art historian Kirsty Jukes captures a change of pace from mid-century fashion. "Replacing the more traditional pastels, browns, olives, and rusts with vibrant magentas, scarlets, chartreuse, melon, and light blues, she takes each hue to its maximum saturation" (Ibid.). Artistic solutions in which the roots that keep her grounded in the lush Caribbean landscape, flora, fauna and cultural traditions of her island, and which she has always called her tropical eye, are intertwined with the innovative ferments of 1960s London, the Swinging London that was about to transform from the capital of an empire into the capital of fashion.

Althea Mc Nish was born in 1924 in Port of Spain on the island of Trinidad, which with Tobago had been administered as a single territory by the United Kingdom since 1888. In 1962 the two islands became an independent state and in 1976 became a republic under the Commonwealth. In its long colonial history the country has seen alternating Spanish, Dutch, Courlander, French, and British rule. Sixteenth-century Spanish rule had decimated the native population, and it was not until the Spanish and especially French post-revolutionary colonial migrations, stimulated by tax exemptions, that the islands began to be populated by cocoa, indigo and tobacco planters with slave labor from Africa and other colonies in tow. The economy took off, especially in the late 1700s, with English settlers geared toward sugarcane and cotton production. With the abolition of slavery, the islands became a destination for freed slaves from other Caribbean, Asian and South American colonies, and the United Kingdom, seeking cheap labor for its colonists, encouraged the immigration of contract laborers from the Indian sub-continent to the Caribbean.

The clash of such an incredible variety of populations, histories and traditions resulted in a kaleidoscopic cultural mix. Althea's family belonged to the island's educated middle class; her father Joseph Claude was a writer and publisher descended from Merikin settlers (former African-American slaves who had fought in the Anglo-French War of 1812), while her mother, Margaret Bourne, was a well-known seamstress and fashion designer. Althea, encouraged by her family, developed an early interest in drawing and painting. The island experienced an effervescent phase politically, identifiably, artistically and culturally, and she joined the Trinidad Arts Society founded in 1943 by Sybil Atteck, an organic draftsman, watercolorist and expressionist painter who influenced its style. After mounting her first exhibition at the age of sixteen, Althea continued to draw as a cartographer and entomological illustrator for the British government in Trinidad, yet always in search of new stimuli and a more congenial dimension she also became interested in building engineering and architecture. Meanwhile, the British motherland, in search of arms for post-war reconstruction, fosters the first Caribbean migratory flows (Windrush generation) with which exponents of culture, art and entertainment, calypso rhythms and the Trinidadian carnival tradition also arrive. The optimistic expectations of the majority of the migrant population destined to work as cheap labor were soon dashed because of the widely hostile and racist climate that affected black people in particular, making it difficult even to find decent housing, eventually erupting into incidents of open intolerance and violence (Notting Hill 1958).

In 1951, having won a scholarship to study architecture at the Architectural Association School in London's Bedford Square, Althea moved there with her mother, also reuniting with her father, who was already working there. She frequented the intellectual and artistic milieu of the Afro-Caribbean diaspora and, by her explicit admission, would not directly experience any form of discrimination along her course of study. She soon changed course to enroll at the London School of Printing and Graphic Arts where an encounter with sculptor and printmaker Eduardo Paolozzi, a teacher of textile design, would be instrumental in her decision to apply her artistic talents to textiles. She followed the postgraduate course at the Royal College of Art, located within the spaces of the Victoria & Albert Museum where, "learning how to develop color combinations, create repetitions, prepare artworks for production, she learned the production process" (https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish). The skills she acquired in design and production allowed her to safeguard her inventive freedom and the integrity of her chosen colors. While the boldness of design and color in her designs may deter screen printers, her refined technical skills tend to overcome all obstacles. "Whenever the printers told me it couldn't be done, I showed them how to do it. In no time the impossible became possible." (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/). Her pockets could not be without her sketching pencil and the Allen wrench essential for adjusting accessories on screen printing frames.

According to design historian Libby Sellers, Althea, strongly determined to express herself through her original and innovative artistic vocabulary and to preserve the brilliance of her colors, perceived no jarring between her creations and the space of the Victoria and Albert Museum as a place officially consecrated to the historical collections of the British Empire. After all, in the 1950s and 1960s, people were emerging from the austerity and grayness of the postwar years and the Royal College of Art was a hotbed of Pop Art. British design was being transformed, and the motto "Color is Mine" was a fitting summary of Althea's new art: "...McNish's riot of color was like a volcano erupting through the center of conservative British modernism" (Kirsty Jukes). While in school, among her most successful designs is Golden Harvest inspired by a walk through a wheat field in Essex. " "In Trinidad I was walking through sugar plantations and rice fields and now I was walking through a wheat field. A glorious experience." This bucolic English idyll transposed through its colorful lens gave birth to the project (1959). The model and its various colors would later be purchased by Hull Traders." https://www.maharam.com/stories/sellers_althea-mcnish

In 1957 at the RCA's postgraduate exhibition she exhibited vibrant, eye-catching prints full of tropical motifs and flowers, textile designs that "took natural botanical forms to the edge of abstraction, with an unrestrained color palette that overturned the rigid rules of postwar British design" (https://www.nsead. org/news/newsroom/althea-mcnish-colour-is-mine/) Soon after Arthur Stuart Liberty of the London department stores, "Recognizing her unique talent and convinced that British consumers desperately wanted to move beyond the drabness of the post-war years commissioned the young designer to create new and exclusive designs for both fashion and upholstery fabrics. Among the many projects are Cebollas (1958) and Hibiscus (1958" (Ibid.).” She also worked for Zika Ascher, who in 1942, with his fashion designer wife Lida, opened a silk printing workshop producing extravagant and experimental fabrics for the fashion industry (famous are the scarves printed with works by great contemporary artists displayed in galleries as works of art) and whose clients include Cardin, Dior, Schiaparelli, Givenchy and Lanvin.

Althea's designs appeared in Europe's best-known fashion magazines. In 1959 she also began designing for the furniture company Hull Traders, "specializing in small runs of artist-designed fabrics that were screen-printed by hand using pigment-rich dyes."(Ibid). Shirley Craven, the company's principal designer, commissioned her to design nine patterns including the aforementioned Golden Harvest and Painted Desert. "Initially named Old Man after the common name for the giant cactus, this jaw-dropping fabric epitomizes Althea's approach, with its loosely drawn graphic design in black on bright colors. And it also symbolizes her total mastery of screen printing processes and technology." (https://www.theharris.org.uk/press-news/artist-profile-althea-mcnish/) She worked for leading U.K. companies such as Cavendish Textiles, Danasco, Heals, and Wallpaper Manufactures Ltd. and for British Rail and Orient Steam Navigation, designing textiles for fashion and furniture, laminated panels, murals and wallpaper.

McNish always perceived herself as an artist, as an established painter in Trinidad in contact with London's cultural avant-garde she crossed the rigid boundaries between fine and applied art to arrive at new forms of expression and creating a language all her own: "My design is functional, but free, you can wear it, sit on it, lie on it and stand on it." She experimented with pioneering techniques, such as printing her designs directly on decorative Warerite and multilayer laminated boards with complex and extremely specialized workmanship, designing new materials and a new polyester fabric such as Terilene. And for design she drew inspiration from everywhere: "I don't have to look very far, it's usually the objects at hand that come to my aid. I see an idea in an onion, a cabbage or any other object around the studio." She traveled regularly in Europe, selling her designs directly to prestigious firms in Switzerland, Italy France and Scandinavia and receiving foreign buyers and manufacturers in her London studio. In 1966 she designed fabrics for Queen Elizabeth II's official wardrobe for the Royal Tour to the Caribbean. At the 1966 Ideal Home Show in London, she designed and set up the Bachelor Girls Room, a room for a city girl like herself, economically independent, self-confident, and creatively employed, freed from social and familial expectations that limit within the confines of the home the ambitions and desires of girls. A nimble, free space in which to express her personality, furnished with modular furniture and vibrant floral prints, consistent with the idea that "women should always have the opportunity to showcase themselves, their talents, and their achievements...."

As a civil rights activist in the Caribbean community she helped found the CAM (Caribbean Artistic Movement) engaged from 1966 to 1972 in promoting Caribbean art, music and traditions. And while Enoch Powell's racist speeches fomented discrimination and violence against the nonwhite immigrant population, despite the fact that laws against racial segregation had been passed, Althea decorated British spaces with the flora of her Trinidad, expressing her free creativity, feeling legitimately part of an artistic discourse that crossed national boundaries and became a symbol of a true "fusion of creolized cultures." In 1969 she married jewelry designer and silversmith John Weiss with whom she shared a rich and deep love life, a love of art and a passion for studying migration cultures and teaching. In 1973 she acted in and designed the set for Full House, a BBC program on the Caribbean arts by John La Rose, writer and civil rights activist for the Caribbean community and founder of CAM. In 1958 she organized the Notting Hill Caribbean Carnival, collaborating with Claudette Jones, a family friend and civil rights activist, serving as a judge in later years. In 1963 British Vogue called her "the new face of British design." In 1969 she mounted the central exhibition at the Ideal Home Show entitled Fiesta bringing back from Trinidad a selection of award-winning costumes at Carnival including one designed by her. She exhibited in group and solo shows around the world while continuing to live in her home studio on West Green Road in Tottenham where she died at the age of 95 after 60 years of activity in England.

Beginning in the 1980s until 2022, the year of the first retrospective exhibition dedicated to her, Althea McNish fell into oblivion along with a host of female artists of the Afro-Caribbean diaspora in Britain. On May 15, 2023, to mark the ninety-ninth anniversary of her birth, a plaque was affixed in West Green Road, the Nubian Jak Community Trust recognizing the historic contribution of ethnic minorities and Afro-descendant migration to Britain: "Her impact on the capital has resonated for over half a century and we trust that the plaque will continue to make her legacy better known and no longer invisible to future generations." In the fall of 2024, on the centennial of her birth, the first monograph on Althea McNish written by Rose Sinclair for Yale Publishers is scheduled to be released.

 

Jacqueline Groag
Laura Bertolotti

Daniela Godel

 

La designer Hilde Pick Blumberger, meglio conosciuta come Jacqueline Groag, nacque in una famiglia ebrea il 6 aprile 1903, in Boemia, adesso Repubblica Ceca. Da piccola non godeva di buona salute e, considerando la sua fragilità, i genitori decisero di farla istruire privatamente, in casa, a differenza degli altri figli. Per Hilde la formazione comprese le stesse materie che si insegnavano nelle scuole, ma senza mai sostenere esami. Era una bambina solitaria, sviluppò uno spirito indipendente e la particolare educazione ricevuta le lasciò, per usare le sue parole, «un gusto ingenuo e sofisticato» al contempo, che l'accompagnò per tutta la vita. Negli anni Venti andò invece a completare gli studi a Vienna, sotto la guida del professor Franz Cižec, che era assolutamente deliziato dalla sua lacunosa preparazione artistica, considerandola come un foglio bianco su cui influire liberamente, dato il naturale talento per il disegno e la decorazione che dimostrava l'allieva. Per tale motivo la raccomandò a Josef Hoffmann, allora a capo della Wiener Werkstätte, l'innovativa officina laboratorio che aveva raccolto lo spirito della Secessione viennese e dei movimenti Art and Crafts, Liberty, Art Nouveau e Jugendstil. 

Hilde cominciò così a frequentare la Kunstgewerbeschule, una scuola tecnica superiore di arti e mestieri, in cui insegnava lo stesso Hoffmann, e si mise presto in luce vincendo il primo premio in una competizione interna. Dopo la laurea entrò anche lei nell'esclusivo gruppo della Wiener Werkstätte e si distinse per i suoi disegni dalle linee marcate e dai colori intensi. La traccia del suo precoce talento si trova già nel 1930 in un articolo di Hans von Ackmicz, sulla pubblicazione tedesca Deutche Kunst und Decoration, in cui veniva descritta come la punta di diamante della scuola di Hoffmann. Durante il suo soggiorno viennese, a un ballo in maschera, nel 1930, conobbe Jacques Groag, un architetto legato all'indirizzo di Adolf Loos, da cui ereditò il gusto per il funzionalismo austero che ebbe grande influenza nella sua produzione architettonica. Tra i due giovani nacque una simpatia che li portò al fidanzamento nel 1931 e poi al matrimonio nel 1937. Da quel momento Hilde cambiò il nome in Jacqueline, a cui restò legata tutta la sua opera di designer.

A partire dal 1929 viaggiò molto tra Parigi e New York, a tutto vantaggio della sua reputazione nel campo. A Parigi disegnò tessuti per importanti case di moda come Chanel, Schiaparelli, Worth, Paul Poiret e Lanvin. Le si riconosce il merito di aver umanizzato l'austera semplicità del funzionalismo, però il fatto la mise in contrasto con alcuni esponenti del modernismo che vedevano nella sua cifra stilistica qualcosa di inutilmente frivolo. Tuttavia i dissapori non le impedirono di proseguire sulla sua strada e ottenere alcuni riconoscimenti importanti come la medaglia d'oro alla Milano Triennale nel 1933 e un'altra medaglia d'oro all'Esposizione di Parigi del 1937. Giova ricordare che erano tempi bui ed essendo i coniugi Groag ebrei, nel 1938 dovettero fuggire da Vienna, alla volta di Praga, dopo che l'Austria fu annessa alla Germania con l'Anschluss. Di lì a poco, l'anno seguente, anche l'aria di Praga risultò pericolosa, a causa dell'invasione tedesca che ormai controllava pure quel Paese, allora si trasferirono nuovamente e scelsero di andare a Londra, che pareva un luogo più sicuro, almeno nei confronti delle persone ebree.

Arrivati a Londra si stabilirono nel complesso modernista Isokon Flats, dove già risiedevano molti altri emigrati. Si trattava di un edificio disegnato da Wells Coates per Jack Pritchard. Jacques Groag stentò a integrarsi nel mondo del lavoro per la scarsa conoscenza della lingua inglese e per carenza di opportunità di impiego, ma trovò infine occupazione come arredatore d'interni e successivamente fu coinvolto da Gordon Russell nella produzione di mobili fatti in serie. L'emergenza, per la capitale britannica, era di sopperire alle necessità abitative causate dagli otto mesi di bombardamenti a opera dell'esercito tedesco, tra il 1940 e il 1941. Per Jacqueline andò diversamente, infatti cominciò quasi subito a disegnare tessuti per abiti e continuò a collaborare con le maggiori fabbriche tessili lungo gli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta. Nel 1945, con sua grande soddisfazione, uno dei suoi disegni venne scelto dal celebre sarto Edward Molyneaux per una collezione di abiti per la futura regina Elisabetta II. I coniugi Groag ottennero la cittadinanza inglese nel 1947 e il fatto permise loro di diventare membri della Society of Industrial Artist nel 1952. Insieme portarono a termine alcune importanti collaborazioni come l'allestimento di mostre ed esposizioni, la più importante delle quali fu il Festival of Britain nel 1951, per cui crearono e disegnarono il marchio.

Tessuto per abiti, 1956 circa Bambole di carta, 1967, stampate nel 1969

Nel 1959 la coppia lasciò Isokon Flats e si trasferì in una casa modernista a St. John's Wood trasformandola completamente a proprio gusto. Jacques Groag morì nel 1962, a sessantanove anni, in seguito a un attacco di cuore che lo colpì su un autobus, mentre si recava all'Opera. Jacqueline continuò a lavorare per tutto il decennio, come già durante gli anni Cinquanta, per il Design Research Unit (Dru) coinvolta da sir Misha Black, un altro ebreo emigrato, originario dell'Azerbaijan, che aveva fondato questa impresa per riunire le diverse competenze di architetti, grafici e designer industriali. Jacqueline si adoperò per la realizzazione di tessuti all'interno di navi, aerei e treni. Ideò anche i rivestimenti per la British Overseas Airways Corporation e le ferrovie British Rail. Inoltre ebbe un'importante commissione per disegnare le moquette per la London Transport, usate su treni e autobus. Per ricordare la vita, le opere e la carriera dei coniugi Groag fu allestita, nel 2020, una mostra antologica all'Isokon Gallery di Londra. Il particolare stile di Jacqueline giocò una grande influenza a partire dagli anni Venti del secolo scorso. La sua visione aveva radici nel gusto austriaco combinando con originalità elementi del tutto nuovi che contribuirono a definire lo stile in voga degli anni Cinquanta.

Tessuto d'arredamento, 1952 circa

Tuttavia, per comprendere il successo che ebbe in Gran Bretagna e oltreoceano, occorre tornare al dopoguerra, quando si avvertiva a tutti i livelli un forte desiderio di cambiamento, di ispirazione e di colore, a partire dalle abitazioni. L'energia e l'innovazione delle disegnatrici britanniche rivoluzionò il design introducendo l'arte moderna e contemporanea attraverso i tessuti, la carta da parati, le pavimentazioni. In una parola, democratizzarono l'arte, si chiamavano Lucienne Day, Marianne Mahler, Barbara Brown e, appunto, Jacqueline Groag. In particolare Jacqueline infuse nelle sue produzioni un senso di ottimismo e vitalità con un approccio nuovo e vibrante ispirato alle opere di Paul Klee e Roaul Dufy. Aveva sviluppato una teoria secondo la quale ogni persona ha un'età immutata nell'anima, indipendentemente dall'età anagrafica. Lei si riconosceva otto anni e alcuni critici le attribuirono, non di rado, un affascinante tratto infantile. Nel 1984 Jacqueline raggiunse il più alto riconoscimento ambito dai designer britannici: il Royal Designer for Industry (Rdi), e si spense nella sua casa di Londra il 13 gennaio 1986.

Design tessile, 1966 circa

Traduzione spagnola

Laura Cavallaro

La diseñadora Hilde Pick Blumberger, mejor conocida como Jacqueline Groag, nació en una familia judía el 6 de abril de 1903, en Bohemia, actualmente República Checa. De niña no gozaba de buena salud y, considerando su fragilidad, sus padres decidieron que recibiera educación privada en casa, a diferencia de sus otros hijos. Para Hilde, la formación incluyó las mismas materias que se enseñaban en las escuelas, pero sin tomar exámenes. Era una niña solitaria, desarrolló un espíritu independiente y la educación especial que recibió le dejó, en sus propias palabras, «un gusto ingenuo y sofisticado» al mismo tiempo, que la acompañó durante toda su vida. En los años veinte completó sus estudios en Viena, bajo la tutela del profesor Franz Cižec, quien estaba absolutamente encantado con su preparación artística incompleta, que consideraba como una hoja en blanco sobre la que influir libremente, dado el talento natural para el dibujo y la decoración que demostraba su alumna. Por ese motivo, la recomendó a Josef Hoffmann, entonces al mando de la Wiener Werkstätte, el innovador taller que había recogido el espíritu de la Secesión vienesa y de los movimientos Arts and Crafts, Liberty, Art Nouveau y Jugendstil.

Así fue como Hilde comenzó a asistir a la Kunstgewerbeschule, una escuela técnica superior de artes y oficios, en la que enseñaba el propio Hoffmann, donde pronto destacó ganando el primer premio en una competencia interna. Tras graduarse, ingresó también en el exclusivo grupo de la Wiener Werkstätte y se distinguió por sus diseños de líneas marcadas y colores intensos. El rastro de su precoz talento ya se encuentra en 1930 en un artículo de Hans von Ackmicz, en la publicación alemana Deutsche Kunst und Decoration, donde se la describía como la punta de lanza de la escuela de Hoffmann. Durante su estancia en Viena, en un baile de máscaras en 1930, conoció a Jacques Groag, un arquitecto influenciado por la corriente de Adolf Loos, de quien heredó el gusto por el funcionalismo austero que tuvo gran influencia en su producción arquitectónica. Entre los dos jóvenes nació una simpatía que los llevó al compromiso en 1931 y luego al matrimonio en 1937. A partir de ese momento, Hilde cambió su nombre por el de Jacqueline, al que quedó ligada toda su obra como diseñadora.

A partir de 1929 viajó con frecuencia entre París y Nueva York, lo que favoreció enormemente su reputación en el ámbito del diseño. En París diseñó tejidos para importantes casas de moda como Chanel, Schiaparelli, Worth, Paul Poiret y Lanvin. Se le reconoce el mérito de haber humanizado la austera simplicidad del funcionalismo, aunque esto la puso en desacuerdo con algunos representantes del modernismo, quienes consideraban que su estilo tenía un carácter innecesariamente frívolo. Sin embargo, estas discrepancias no le impidieron seguir su propio camino y obtener reconocimientos importantes, como la medalla de oro en la Trienal de Milán en 1933 y otra medalla de oro en la Exposición de París de 1937. Conviene recordar que eran tiempos oscuros, y al ser los cónyuges Groag de origen judío, en 1938 se vieron obligados a huir desde Viena hacia Praga, después de que Austria fuera anexionada por Alemania con el Anschluss. Poco después, al año siguiente, el ambiente en Praga se volvió peligroso debido a la invasión alemana que ya controlaba también ese país, por lo que decidieron trasladarse de nuevo, esta vez a Londres, que parecía un lugar más seguro, al menos para las personas judías.

Una vez en Londres, se establecieron en el complejo modernista Isokon Flats, donde ya vivían muchos otros emigrados. Se trataba de un edificio diseñado por Wells Coates para Jack Pritchard. Jacques Groag tuvo dificultades para integrarse en el mundo laboral, debido al escaso conocimiento del idioma inglés y a la falta de oportunidades de empleo, pero finalmente encontró trabajo como decorador de interiores y posteriormente fue involucrado por Gordon Russell en la producción de muebles en serie. La emergencia en la capital británica era responder a las necesidades de alojamiento provocadas por los ocho meses de bombardeos del ejército alemán entre 1940 y 1941. Para Jacqueline fue distinto, comenzó casi de inmediato a diseñar tejidos para ropa y continuó colaborando con las principales fábricas textiles durante las décadas de los cuarenta, cincuenta y sesenta. En 1945, con gran satisfacción personal, uno de sus diseños fue elegido por el célebre modisto Edward Molyneux para una colección de vestidos destinados a la futura reina Isabel II. Los Groag obtuvieron la ciudadanía británica en 1947, lo que les permitió convertirse en miembros de la Society of Industrial Artists en 1952. Juntos llevaron a cabo algunas colaboraciones importantes, como la organización de exposiciones y muestras, siendo la más destacada el Festival of Britain de 1951, cuyo logotipo diseñaron y crearon.

Tela para vestidos, hacia 1956 Muñecas de papel, 1967, impresas en 1969

En 1959, la pareja dejó los Isokon Flats y se trasladó a una casa modernista en St. John's Wood, que transformaron completamente según su gusto. Jacques Groag falleció en 1962, a los sesenta y nueve años, tras sufrir un ataque al corazón mientras iba en autobús camino de la Ópera. Jacqueline continuó trabajando durante toda la década, como ya lo había hecho en los años cincuenta, para el Design Research Unit (DRU), invitada por sir Misha Black, otro judío emigrado, originario de Azerbaiyán, quien había fundado dicha empresa con el objetivo de reunir distintas competencias de arquitectos, diseñadores gráficos e industriales. Jacqueline trabajó en la creación de tejidos en el interior de barcos, aviones y trenes. También diseñó los revestimientos para la British Overseas Airways Corporation y para los ferrocarriles British Rail. Además, recibió un importante encargo para diseñar las moquetas del London Transport, utilizadas en trenes y autobuses. Para conmemorar la vida, obra y carrera de los Groag, en 2020 se organizó una exposición antológica en la Isokon Gallery de Londres. El estilo particular de Jacqueline tuvo una gran influencia desde los años veinte del siglo pasado. Su visión tenía raíces en el gusto austríaco, combinando con originalidad con elementos completamente nuevos que contribuyeron a definir el estilo predominante en los años cincuenta.

 Tela de decoración, hacia 1952

Sin embargo, para comprender el éxito que tuvo en Gran Bretaña y más allá del océano, es necesario regresar a la posguerra, cuando se sentía a todos los niveles un fuerte deseo de cambio, de inspiración y de color, empezando por los hogares. La energía y la innovación de las diseñadoras británicas revolucionaron el diseño al introducir el arte moderno y contemporáneo a través de los tejidos, el papel pintado y los suelos. En una palabra: democratizaron el arte; se llamaban Lucienne Day, Marianne Mahler, Barbara Brown y, por supuesto, Jacqueline Groag. En particular, Jacqueline infundió en sus creaciones un sentido de optimismo y vitalidad con un enfoque nuevo y vibrante, inspirado en las obras de Paul Klee y Raoul Dufy. Había desarrollado una teoría según la cual cada persona tiene una edad inmutable en el alma, independientemente de la edad cronológica. Ella se reconocía a sí misma como de ocho años, y algunos críticos le atribuían, no pocas veces, un encantador rasgo infantil. En 1984, Jacqueline alcanzó el reconocimiento más alto al que pueden aspirar los diseñadores británicos: el Royal Designer for Industry (RDI), y falleció en su casa de Londres el 13 de enero de 1986.

Diseño textil, hacia 1966

Traduzione inglese

Syd Stapleton

Designer Hilde Pick Blumberger, better known as Jacqueline Groag, was born into a Jewish family on April 6, 1903, in Bohemia, now the Czech Republic. She did not enjoy good health as a child and, considering her frailty, her parents decided to have her educated privately, at home, unlike their other children. For Hilde, the education included the same subjects that were taught in schools, but without ever taking exams. She was a solitary child, developed an independent spirit, and the particular education she received left her with, in her words, "a naive and sophisticated taste" - which accompanied her throughout her life. In the 1920s she went to Vienna to complete her studies, under the guidance of Professor Franz Cižec, who was absolutely delighted by her lackluster artistic training, seeing her as a blank sheet of paper on which to freely exercise his influence, given the natural talent for drawing and decoration that the pupil showed. He therefore recommended her to Josef Hoffmann, then head of the Wiener Werkstätte, an innovative workshop-laboratory that had gathered the spirit of the Viennese Secession and the Art and Crafts, Art Nouveau, and Jugendstil movements.

Hilde thus began attending the Kunstgewerbeschule, a higher technical school of arts and crafts, where Hoffmann himself taught, and soon made a name for herself by winning first prize in an internal competition. After graduation she also joined the exclusive group of the Wiener Werkstätte and distinguished herself by her drawings with strong lines and intense colors. A trace of her precocious talent can be found as early as 1930 in an article by Hans von Ackmicz in the German publication Deutche Kunst und Decoration, in which she was described as the spearhead of the Hoffmann school. During her stay in Vienna, at a masquerade ball in 1930, she met Jacques Groag, an architect associated with the work of Adolf Loos, from whom he acquired the taste for austere functionalism that had great influence on his architectural output. A liking arose between the two young people that led to their engagement in 1931 and then marriage in 1937. From that time Hilde changed her name to Jacqueline, to whom all her work as a designer remained linked.

Beginning in 1929 she traveled extensively between Paris and New York, which benefited her reputation in the field. In Paris she designed fabrics for important fashion houses such as Chanel, Schiaparelli, Worth, Paul Poiret and Lanvin. She is credited with humanizing the austere simplicity of functionalism, however, the fact put her at odds with some exponents of modernism who saw something unnecessarily frivolous in her style. However, the disagreements did not prevent her from continuing on her path and obtaining some important awards such as a gold medal at the Milan Triennale in 1933 and another gold medal at the Paris Exposition in 1937. It is worth remembering that these were dark times and, as the Groags were Jewish, they had to flee Vienna in 1938 for Prague after Austria was annexed by Germany with the Anschluss. Shortly thereafter, the following year, the atmosphere in Prague also turned out to be dangerous, due to the German invasion that by then controlled that country as well, so they moved again and chose to go to London, which seemed a safer place, at least with respect to Jewish people.

When they arrived in London they settled in the modernist Isokon Flats complex, where many other émigrés already resided. It was a building designed by Wells Coates for Jack Pritchard. Jacques Groag struggled to integrate into the world of work due to his lack of knowledge of the English language and a shortage of employment opportunities, but he eventually found employment as an interior designer and was later involved by Gordon Russell in the production of mass-produced furniture. The emergency, for the British capital, was to meet the housing needs caused by the eight months of bombing by Germany between 1940 and 1941. It was different for Jacqueline. She began designing fabrics for clothes almost immediately and continued to work with major textile factories throughout the 1940s, 1950s and 1960s. In 1945, to her delight, one of her designs was chosen by the famous tailor Edward Molyneaux for a collection of dresses for the future Queen Elizabeth II. Mr. and Mrs. Groag obtained British citizenship in 1947, and the fact enabled them to become members of the Society of Industrial Artists in 1952. Together they completed some important collaborations such as setting up exhibitions and displays, the most important of which was the Festival of Britain in 1951, for which they created and designed the brand.

Dress fabric, circa 1956 Paper dolls, 1967, printed in 1969

In 1959 the couple left Isokon Flats and moved to a modernist house in St. John's Wood, completely transforming it to their own taste. Jacques Groag died in 1962, at the age of sixty-nine, following a heart attack that struck him on a bus on his way to the Opera. Jacqueline continued to work throughout the decade, as she had during the 1950s, for the Design Research Unit (DRU) involved by Sir Misha Black, another Jewish émigré, originally from Azerbaijan, who had founded this enterprise to bring together the diverse skills of architects, graphic designers and industrial designers. Jacqueline worked on fabrics for the interiors of ships, planes and trains. She also designed upholstery for the British Overseas Airways Corporation and the British Railways. She also had a major commission to design carpets for London Transport, used on trains and buses. To commemorate the lives, works and careers of Mr. and Mrs. Groag, an anthological exhibition was mounted at the Isokon Gallery in London in 2020. Jacqueline's particular style played a major influence from the 1920s onward. Her vision was rooted in Austrian taste by combining with originality entirely new elements that helped define the style in vogue in the 1950s.

Upholstery fabric, circa 1952

However, to understand the success she had in Britain and overseas, it is necessary to go back to the postwar period, when a strong desire for change, inspiration and color was felt at all levels, starting with homes. The energy and innovation of British designers revolutionized design by introducing modern and contemporary art through textiles, wallpaper, and flooring. In a word, they democratized art. Their names were Lucienne Day, Marianne Mahler, Barbara Brown, and, indeed, Jacqueline Groag. Jacqueline, in particular, infused her productions with a sense of optimism and vitality with a new and vibrant approach inspired by the works of Paul Klee and Roaul Dufy. She had developed a theory that every person has an unchanged age in his or her soul, regardless of the age of registry. She considered herself as eight years old and some critics attributed to her, not infrequently, a charming childlike character. In 1984 Jacqueline achieved the highest honor coveted by British designers: the Royal Designer for Industry (RDI). She passed away at her London home on January 13, 1986.

Textile design, circa 1966

 

Annie Albers
Angela Scozzafava

Daniela Godel

 

«We exist to open eyes».(Josef and Anni Albers Foundation).

Tessere. Attività antichissima, ancestrale, necessaria per la sopravvivenza e per molte attività umane, carica – per sua intima natura – di significati simbolici che vanno ben oltre i suoi scopi pratici e quotidiani; tessere vuol dire collegare, creare relazioni, immaginare ciò che non c’è ancora e realizzarlo. Attività, però, ingiustamente costretta – come tante altre – tra due argini; innanzitutto è stata considerata artigianato e non “arte”: non si è tenuto conto dell’arazzo di Bayueux, o di quelli, magnifici, delle manifatture francesi del XVII e XVIII secolo né considerato che grandi artisti, come Raffaello ad esempio, abbiano creato disegni per la tessitura; e poi è un’arte femminile, come tale minore, utile solo per soddisfare bisogni quotidiani o per assurgere a simbolo, con Penelope, della fedeltà al proprio marito.

Tutto questo è radicalmente trasformato da Anni Albers: le sue tessiture saranno veri lavori “d’architettura”, realizzati utilizzando tecniche tradizionali e inventandone di nuove. Annelise Else Frieda Fleischmann nasce a Berlino il 12 giugno 1899, da una famiglia benestante di origine ebraica: la madre, di discendenza nobile, è proprietaria di un’importante casa editrice, il padre è costruttore di mobili. Fin da piccola mostra interesse per le arti; dal 1916 al 1919 studia con il pittore impressionista Martin Branderburg, nel 1920 frequenta la Scuola di arti applicate di Amburgo. Nel 1922 va a Berlino per iscriversi al Bauhaus e incontra Josef Albers, che in seguito descriverà così: «un giovanotto emaciato, che arrivava dalla Westfalia e che aveva una frangetta irresistibile». Più grande di lei di undici anni, cattolico, di famiglia più modesta, l’aiuta a superare l’esame di ammissione (al primo tentativo era stata respinta), inizia a corteggiarla; si sposano tre anni dopo e rimarranno sempre insieme fino alla morte di Josef (1976).

L’esperienza del Bauhaus è centrale per entrambi: lì si formano e poi insegnano fino al 1933 quando la scuola, nata nel 1919 insieme alla Repubblica di Weimar, viene chiusa dal regime nazista. Il Bauhaus era una scuola innovativa, libera da stantii condizionamenti accademici: si vogliono integrare artigianato e arti, rinnovare i canoni estetici; qui docenti e studenti lavorano insieme per sperimentare soluzioni nuove e integrare la bellezza negli oggetti di uso comune. Frequentandola Anni ha l’opportunità di incontrare grandissimi maestri – Vassily Kandinskij, Paul Klee, Johannes Itten, Piet Mondrian – e Paul Klee che ispirerà il suo stile. Nonostante il carattere molto innovativo della scuola, aperta anche alle donne, numerose attività – come la falegnameria, la scultura, la lavorazione del vetro o dei metalli, quelle che Gropius definiva «le aree più pesanti del mestiere» – erano loro interdette. Per questo Anni, che avrebbe voluto frequentare un laboratorio per il vetro seguito da Josef, si iscrive a quello tessile. La sua maestra è Gunta Stöltz che le insegna i segreti di quest’arte e gliene fa intravedere le possibilità creative. Nel 1927 segue le lezioni di Paul Klee e inizia a disegnare tappezzerie murali e tende per alcuni teatri. Nel 1930 ottiene il diploma del Bauhaus con un innovativo progetto di tappezzeria fonoassorbente e riflettente alla luce realizzato per l’Auditorium di Bernau. Nel 1931 è nominata Direttrice del laboratorio di tessitura.

In questi anni viaggia molto con Josef, in particolare in Spagna e in Italia. La visita di Firenze, dove i coniugi Albers trascorrono la luna di miele, influenzerà il suo lavoro per due aspetti: le facciate geometriche delle chiese (San Miniato al Monte, Santa Croce, il Duomo), combinate con le suggestioni di Paul Klee si riflettono chiaramente nei suoi tessuti; inoltre scopre qui, del tutto casualmente in seguito all’acquisto di un cappellino, la possibilità di intrecciare fili di lana e fibre elastiche ottenendo tessuti capaci di adattarsi a ogni forma. La capacità di assorbire e di farsi ispirare da ciò che vede, dalle arti e dai manufatti di altre culture rimane una costante della sua vita. Quando, tra gli anni Trenta e Quaranta, viaggerà in America Latina, la pittura e l’architettura delle culture precolombiane con le loro forme geometriche diventeranno anch’esse fonte di ispirazione e saranno integrate nei suoi lavori.

South of the Border è realizzato in cotone e lana da Anni Albers nel 1958

Nel 1933 con l’avvento del nazismo e la chiusura del Bauhaus, Anni – ricordiamo la sua origine ebraica – e il marito si trasferiscono in America, destino comune a moltissimi esuli ebrei in questi anni. Accettano una proposta d’insegnamento presso il Black Mountain College in North Carolina. Anni continua il suo lavoro di sperimentazione e insegnamento, da qui parte con Josef verso Cuba, il Cile il Perù e verso il Messico, Paese «in cui l’arte è ovunque». Nel 1949 gli Albers si trasferiscono a New York; nello stesso anno il Museum di Modern Art organizza la mostra Anni Albers Textiles, la prima retrospettiva dedicata al lavoro di una donna e di un/una artista tessile mai realizzata da un museo. Nel 1950 si spostano a New Haven, Connecticut (dove, per la prima volta dopo venticinque anni di matrimonio, vivono in una casa di loro proprietà). Anni continua a tessere, crea oggetti per la produzione industriale e opere che chiama “pitture tessili”, tessuti di piccole dimensioni, montati su lino e incorniciati. Tiene conferenze, scrive libri e articoli; particolarmente significativi sono: Design: anonimo e senza tempo (1947),The Pliable Plane: Textiles in Architecture (1957), On Designing (1959) e On Weaving (1965). In essi espone alcune considerazioni teoriche, molto attuali. Nel 1963 inizia a interessarsi alla litografia e dal 1970 si applicherà esclusivamente alle arti grafiche. Le vengono dedicate rassegne e mostre; ricordiamo Anni Albers: Prints and drawings, organizzata nel 1977 dal Broklyn Museum e la retrospettiva della Renwick Gallery di Washington del 1985. Nel 1990 il Royal College di Londra e la Rhode Island School of design le conferiscono la laurea ad honorem. Muore il 9 maggio 1994 a Orange (Connecticut).

Anni Albers Nero Bianco Giallo 1926, ritessuto 1965 Quaresima del Metropolitan Museum of Art Anni-Albers - tessuto

Nella sua lunga e multiforme attività Anni Albers rivoluziona il modo di guardare e produrre tessuti. “Costretta” a occuparsi di tessitura, ne esplora le possibilità innovative, cerca nuove strade; rifiuta le decorazioni floreali e propone forme geometriche, “architettoniche”: linee, quadri, frecce si alternano nei suoi lavori, si ripetono, si richiamano seguendo un ritmo segreto. Sperimenta materiali inediti, li sfida per piegarne le qualità ai suoi progetti: nella seconda metà degli anni Venti lavora con fibre sintetiche, cellophane e rame intrecciato, in seguito utilizzerà materiali quali il mais, la canapa, la iuta e l’erba. Cerca soluzioni originali: «lavoravo molto cercando di sviluppare nuove tecniche di tessitura. Per esempio… mi interessava unire le proprietà di riflessione della luce e dell’assorbimento del suono alla durabilità del tessuto, cercando di ridurre al minimo la tendenza dell’ordito a deformarsi»[]. Nei suoi lavori teorici sostiene che la tessitura è “costruzione” architettonica di un oggetto, vicina a questa techne più che alla pittura: nel tessere gli aspetti che contano , a cui bisogna dare spazio, che definiscono il prodotto finito sono la ruvidità, la levigatezza, la lucentezza, etc. Su questi aspetti l’artigiano/a (così ha sempre preferito farsi chiamare, non artista) deve concentrarsi; sono qualità che emergono se non ci si lascia distrarre dal colore. Si deve cercare l’essenziale: lasciar parlare il materiale, “toccarlo con mano”, “rispettarlo”; per questa ragione la figura dell’artigiano, che pratica e conosce la materia, e i suoi suggerimenti sono centrali così come proficua è la sua collaborazione per la produzione industriale.

Annie Albers, Pasture, 1958 Anni Albers. Nero-Bianco-Oro I, 1950. Cotone, lurex, iuta. 68,3×48,3 cm Anni Albers. Studio dell'effetto della costruzione dell'armatura, n.d. giornale, spago e fibra. 6,4×6 cm

Il design deve conciliare funzionalità e bellezza, anche – e direi soprattutto – negli oggetti di uso quotidiano; non l’individualità del designer ma la materia, la forma, la funzionalità dell’oggetto devono emergere :«è meglio lasciar parlare il materiale, piuttosto che parlare noi», bisogna ritrarsi, lasciar spazio alla materia. Queste indicazioni, modernissime e attuali, ora che stiamo soffocando e stiamo soffocando il mondo, valgono non solo per l’artigiano/artista ma per chiunque:

«Dobbiamo imparare a scegliere ciò che è semplice e duraturo anziché ciò che è nuovo e individuale […]. Ciò significa ridurre invece di aggiungere […]. Le nostre case sono sovraccariche di oggetti solo occasionalmente utili che […] dovrebbero avere un’esistenza solo temporanea. E invece ci si attaccano addosso come noi ci attacchiamo a loro, limitando la nostra libertà. Il possesso può degradarci» (Sul design, 1943).

Un altro aspetto importante della sua attività e nella sua vita è stato l’insegnamento. Insegna alle/agli studenti che i limiti posti dalla materia “indocile” non sono un vincolo ma sfide per l’immaginazione, incoraggia anche nei principianti «un modo libero di avvicinarsi alla materia[…]. Il coraggio è un fattore importante in qualsiasi sforzo creativo», insegna loro che «bisogna esplorare luoghi dove nessuno prima di noi è stato»: per questa sua lungimiranza e per il suo entusiasmo i suoi scritti e le sue opere sono ancora letti, discussi, fonte continua di indicazioni e di ispirazione.

Anni Albers insieme ad una studente, Black Mountain College, ca. 1944

Per concludere vorrei porre l’accento sul sodalizio attivo con il marito. Personalità forti e innovative hanno costruito un dialogo che lasciava spazio alle loro soggettività e alla loro autonoma espressione artistica confrontandosi sempre e imparando l’uno dall’altra. Questo aspetto, come sottolinea Nicolas Fox Weber, direttore della fondazione a loro dedicata, trova espressione in Equal and unequal: un quadro che Anni e Joseph Albers avevano nella loro camera da letto a New Haven. Dipinto da Josef nel 1939 esso è, a suo parere, un «ritratto perfetto degli Albers». Due quadrati si intrecciano e danzano nel vuoto, pur mantenendo la loro indipendenza. «Come il titolo del quadro, Anni e Josef Albers erano proprio come volevano essere: uguali e ineguali».

Joseph e Annie Albers

Traduzione spagnola

Graziana Santoro

«Nosotros existimos para abrir los ojos» (Fundación de Josef y Anni Albers)

Tejer. Antiquísima actividad, ancestral, necesaria para sobrevivir y para muchas actividades humanas, cargada –por su naturaleza íntima– de significados simbólicos que exceden sus propósitos prácticos y cotidianos; tejer significa conectar, crear relaciones, imaginar lo que todavía no existe y luego realizarlo. Sin embargo, es una actividad injustamente atrapada –como muchas otras– entre dos diques: primero, fue considerada artesanía y no “arte’’: no se tomó en consideración el tapiz de Bayeux, o las magníficas manufacturas francesas de los siglos XVII y XVIII, ni que grandes artistas, por ejemplo, Rafael, hubieran creado dibujos para el tejido. Además, es un arte femenino, y por eso menor, útil solo para cumplir con las necesidades cotidianas y para elevarse a emblema, en el caso de Penélope, de la fidelidad hacia su marido.

Todo esto resulta radicalmente transformado por Anni Albers: sus tejidos son verdaderas obras de «arquitectura», realizados no solo mediante técnicas tradicionales, sino también ideando nuevas técnicas. Annelise Else Frieda Fleischmann nació en Berlín el 12 de junio de 1899, en una familia judía acomodada: la madre, de linaje noble, era dueña de una importante editorial; el padre era fabricante de muebles. Desde niña, su interés por las artes fue palpable; desde 1916 hasta 1919 fue alumna del pintor impresionista Martin Brandenburg, y en 1920 asistió a la Escuela de Artes Aplicadas de Hamburgo. En 1922 se matriculó en la Bauhaus en Berlín y conoció a Josef Albers, sobre el cual enseguida dijo: «un chaval demacrado, que llegaba de Westfalia y con un flequillo irresistible». Once años mayor que ella, católico, de familia más humilde, le ofrece su ayuda para la prueba de acceso (había sido rechazada en el primer intento), y comienza a cortejarla; tres años más tarde se casan y siguen juntos sin dejarse jamás hasta la muerte de Josef (1976).

La experiencia en la Bauhaus es fundamental para los dos: allí se educan y luego enseñan, hasta el 1933 cuando la escuela, nacida en el 1919 junto a la República de Weimar, fue cerrada por el régimen nazi. La Bauhaus era una escuela revolucionaria, libre de influencias académicas superadas: la intención es integrar la artesanía con las artes, renovar los cánones estéticos; aquí educadores y estudiantes trabajan juntos para experimentar nuevas soluciones e incluir la belleza en objetos de uso común. Asistiendo a la escuela, Anni tiene la oportunidad de conocer a grandísimos maestros –Vassily Kandinskij, Paul Klee, Johannes Itten, Piet Mondrian– y Paul Klee, quien será de gran inspiración para su estilo. A pesar del carácter muy revolucionario de la escuela, abierta a las mujeres, muchas actividades –como la carpintería, escultura, trabajo del vidrio o de los metales, las que Gropius denominaba «las áreas más pesadas del oficio»– estaban prohibidas para ellas. Así que Anni, que hubiera querido asistir al laboratorio sobre vidrio con Josef, se apunta al textil. Su maestra es Gunta Stöltz, quien le enseña los secretos de este arte y las posibilidades creativas. En 1927 asiste a las clases de Paul Klee y comienza a diseñar tapices murales y cortinas para algunos teatros. En 1930 se gradúa en la Bauhaus con un proyecto innovador de tapicería fonoabsorbente y reflectante a la luz, realizado para el Auditorio de Bernau. En 1931 la nombran Directora del taller de tejido.

Durante aquellos años viaja mucho junto a Josef, particularmente a España y a Italia. Su visita a Florencia, donde los cónyuges Albers pasan la luna de miel, será muy inspiradora para su trabajo, especialmente por dos aspectos: las fachadas geométricas de las iglesias (San Miniato al Monte, Santa Croce, el Duomo), combinadas con las sugestiones visuales de Paul Klee, se reflejan claramente en sus tejidos. Además, descubre ahí, de manera completamente casual tras la compra de un pequeño sombrero, la posibilidad de entrelazar hilos de lana con fibras elásticas, obteniendo así tejidos capaces de adaptarse a cualquier forma. La capacidad de asimilar e inspirarse en lo que ve, en las artes y en la artesanía de otras culturas, sigue siendo una constante en su vida. Cuando, entre los años treinta y cuarenta, se va de viaje a América Latina, la pintura y la arquitectura de las culturas precolombinas, con sus formas geométricas, también se convierten en fuente de inspiración y las incorpora en sus obras.

South of the Border está realizado en algodón y lana por Anni Albers en 1958

En 1933, con el ascenso del nazismo y el cierre de la Bauhaus, Anni —recordemos su origen judío— y su esposo se mudan a Estados Unidos, un destino común para muchos exiliados judíos en aquellos años. Aceptan una propuesta de enseñanza en el Black Mountain College en Carolina del Norte. Anni continúa su trabajo de experimentación y enseñanza, y desde allí se marcha con Josef hacia Cuba, Chile, Perú y México, país «donde el arte está en todas partes». En 1949, los Albers se mudan a Nueva York; ese mismo año, el Museo de Arte Moderno organiza la exposición Anni Albers Textiles, la primera retrospectiva dedicada al trabajo de una mujer y de un/a artista textil jamás realizada por un museo. En 1950 se mudan a New Haven, Connecticut (donde, por primera vez después de veinticinco años de matrimonio, viven en una casa de su propiedad). Anni continúa tejiendo, crea objetos para la producción industrial y obras que llama “pinturas textiles”, tejidos de pequeño tamaño, montados sobre lino y enmarcados. Da conferencias, escribe libros y artículos; son especialmente significativos: Diseño: anónimo y atemporal (1947), The Pliable Plane: Textiles in Architecture (1957), On Designing (1959) y On Weaving (1965). En ellos expone algunas reflexiones teóricas de gran actualidad. En 1963 comienza a interesarse por la litografía y, a partir de 1970, se dedicará exclusivamente a las artes gráficas. Se le dedican reseñas y exposiciones como Anni Albers: Prints and Drawings, organizada en 1977 por el Brooklyn Museum, y la retrospectiva de la Renwick Gallery de Washington en 1985. En 1990, el Royal College de Londres y la Rhode Island School of Design le otorgan el doctorado Honoris causa. Fallece el 9 de mayo de 1994 en Orange (Connecticut).

Anni Albers Negro Blanco Amarillo 1926, retejido 1965 Cuaresma del Museo Metropolitano de Arte Anni-Albers - tejido

En su larga y polifacética actividad, Anni Albers revoluciona la manera de producir y contemplar los tejidos. “Obligada” a dedicarse al tejido, explora sus posibilidades innovadoras, busca nuevos caminos; rechaza las decoraciones florales y propone formas geométricas, “arquitectónicas”: líneas, cuadros, flechas que se alternan en sus obras, se repiten, se evocan siguiendo un ritmo secreto. Experimenta con materiales inéditos, desafiándolos para adaptar sus cualidades a sus proyectos: en la segunda mitad de los años veinte, trabaja con fibras sintéticas, celofán y cobre trenzado, y más adelante utiliza materiales como el maíz, el cáñamo, el yute y la hierba. Busca soluciones originales: «Yo trabajaba mucho tratando de desarrollar nuevas técnicas de tejido. Por ejemplo… me interesaba combinar las propiedades de reflexión de la luz y de absorción del sonido con la durabilidad del tejido, así intentando reducir al mínimo la tendencia de la urdimbre a deformarse». En sus obras teóricas sostiene que el tejido es una “construcción” arquitectónica de un objeto, más cercana a esta techne que a la pintura: en la práctica del tejer los aspectos que importan, a los que hay que dar espacio y que definen el producto final, son la aspereza, la suavidad, el brillo, etc. El artesano o la artesana (así prefería siempre que la llamaran, no artista) debe concentrarse acerca de estos aspectos; son cualidades que destacan, si alguien no se deja distraer por el color. Hay que buscar lo esencial: dejar hablar al material, “tocarlo con las manos”, “respetarlo”; por esta razón, la figura del artesano, que practica y conoce la materia, y sus sugerencias, son fundamentales, así como es provechosa su colaboración en la producción industrial.

Annie Albers, Pasture, 1958 Anni Albers. Negro-Blanco-Dorado I, 1950. Algodón, lúrex, yute. 68,3 × 48,3 cm Anni Albers. Estudio del efecto de la construcción de la armadura, s.f., periódico, cuerda y fibra. 6,4 × 6 cm.

El diseño tiene que conciliar funcionalidad y belleza, incluso –y diría que, sobre todo– en los objetos de uso cotidiano; no debe destacar la individualidad de quien diseña, sino el material, la forma y la funcionalidad del objeto: «es mejor dejar que hable el material, en lugar de hablar nosotros», hay que retroceder, dejar espacio al material. Estas indicaciones, muy modernas y actuales, ahora que nos estamos asfixiando, nosotros y el planeta, valen no solo para quien es artista-artesano/a, sino para cualquiera: «Tenemos que aprender a elegir lo que es sencillo y duradero en lugar de lo que es nuevo e individual […]. Esto significa reducir en lugar de añadir […]. Nuestras casas están sobrecargadas de objetos que son útiles solo ocasionalmente, y que […] deberían tener una existencia solo pasajera. En cambio, se nos pegan como nosotros estamos apegados a ellos, limitando nuestra libertad. La posesión puede degradarnos» (El diseño, 1943).

Otro aspecto importante de su actividad y de su vida fue la enseñanza. Les enseña a sus estudiantes que los límites impuestos por la materia “indócil” no son un vínculo, sino desafíos para la imaginación; y fomenta en quienes son principiantes «una forma libre de acercarse a la materia […]. El coraje es un factor importante en todo esfuerzo creativo», les enseña que «hay que explorar lugares donde nadie antes que nosotros ha estado»: por esta amplitud de miras y por su entusiasmo, sus escritos y sus obras siguen siendo leídos, debatidos, y una fuente continua de indicaciones e inspiración.

Anni Albers con un estudiante, Black Mountain College, hacia 1944

En conclusión, me gustaría destacar la colaboración activa con su esposo. Personalidades fuertes e innovadoras, construyeron un diálogo que dejaba espacio a sus subjetividades y a su expresión artística autónoma, siempre abiertos a la confrontación y aprendiendo siempre uno/a del/a otro/a. Este aspecto, como subraya Nicolas Fox Weber, director de la fundación dedicada a ellos, encuentra su expresión en Equal and Unequal: un cuadro que Anni y Josef Albers tenían en su dormitorio en New Haven. Pintado por Josef en 1939, es, según él, un «retrato perfecto de los Albers». Dos cuadrados se entrelazan y bailan en el vacío, manteniendo su independencia. «Como el título del cuadro, Anni y Josef Albers eran exactamente como querían ser: iguales y desiguales».

Joseph e Annie Albers

Traduzione inglese

Syd Stapleton

"We exist to open eyes." (Josef and Anni Albers Foundation). 

Weaving. A very ancient, ancestral activity, necessary for survival and for many human activities, charged - by its intimate nature - with symbolic meanings that go far beyond its practical, everyday purposes. Weaving means connecting, creating relationships, imagining what is not yet there and realizing it. Activity, however, unjustly constrained - like so many others - between two levees - first, it has been considered a craft and not "art". No account has been taken of the Bayueux tapestry, or of those, magnificent, of the French manufactories of the 17th and 18th centuries, nor is it considered that great artists, like Raphael for example, created designs for weaving. And then it is a feminine art , as such “minor”, useful only for satisfying daily needs or to rise to symbolize, with Penelope, fidelity to one's husband.

All this was radically transformed by Anni Albers. Her weavings were true "architectural" works, made using traditional techniques and inventing new ones. Annelise Else Frieda Fleischmann was born in Berlin on June 12, 1899, into a well-to-do family of Jewish origin. Her mother, of noble descent, owned an important publishing house, her father was a furniture maker. From an early age she showed interest in the arts - from 1916 to 1919 she studied with the Impressionist painter Martin Branderburg, and in 1920 she attended the Hamburg School of Applied Arts. In 1922 she went to Berlin to enroll at the Bauhaus and met Josef Albers, whom she would later describe as, "an emaciated young man who came from Westphalia and had irresistible bangs." Eleven years older than her, Catholic, from a more modest family, he helped her pass the entrance exam (she had been rejected on her first attempt), began courting her. They were married three years later and would remain together until Josef's death in 1976.

The Bauhaus experience was central to both of them. There they trained and then taught until 1933 when the school, founded in 1919 along with the Weimar Republic, was closed by the Nazi regime. The Bauhaus was an innovative school, free from stale academic conditioning. They wanted to integrate crafts and the arts, and renew aesthetic canons. There, teachers and students worked together to experiment with new solutions and integrate beauty into everyday objects. Attending it, Anni had the opportunity to meet great masters - Vassily Kandinsky, Paul Klee, Johannes Itten, Piet Mondrian - and Paul Klee who would inspire her style. Despite the very innovative nature of the school , which was also open to women, many activities - such as carpentry, sculpture, glass or metalwork, what Gropius called "the heaviest areas of the trade" - were forbidden to them. Therefore Anni, who would have liked to attend a glass workshop followed by Josef, enrolled in the textile workshop. Her teacher was Gunta Stöltz, who taught her the secrets of this art and gave her a glimpse of its creative possibilities. In 1927 she took Paul Klee's classes and began to design wall hangings and curtains for some theaters. In 1930 she was awarded a Bauhaus diploma with an innovative sound-absorbing and light-reflecting wallpaper design created for the Bernau Auditorium. In 1931 she was appointed director of the weaving workshop.

During these years she traveled extensively with Josef, particularly to Spain and Italy. A visit to Florence, where Mr. and Mrs. Albers spent their honeymoon, would influence her work in two respects - the geometric facades of churches (San Miniato al Monte, Santa Croce, the Duomo), combined with the suggestions of Paul Klee are clearly reflected in her textiles. She also discovered there, quite by chance following the purchase of a cap, the possibility of weaving woolen threads and elastic fibers, obtaining fabrics capable of adapting to any shape. The ability to absorb and be inspired by what she saw, the arts and artifacts of other cultures remained a constant in her life. When she traveled to Latin America in the 1930s and 1940s, the painting and architecture of pre-Columbian cultures with their geometric forms also became a source of inspiration and were integrated into her work.

South of the Border is made of cotton and wool by Anni Albers in 1958

In 1933 with the advent of Nazism and the closing of the Bauhaus, Anni (remember her Jewish origin) and her husband moved to America, a fate common to so many Jewish exiles during these years. They accepted a teaching offer at Black Mountain College in North Carolina. Anni continued her experimental and teaching work, from here she left with Josef for Cuba, Chile Peru and on to Mexico, a country "where art is everywhere." In 1949 the Albers moved to New York. In the same year the Museum of Modern Art organized the Anni Albers Textiles exhibition, the first retrospective devoted to the work of a woman and an artist in textiles ever mounted by a museum. In 1950 they moved to New Haven, Connecticut (where, for the first time in twenty-five years of marriage, they lived in a house they owned). Anni continued to weave, created objects for industrial production and works she called "textile paintings," small textiles mounted on linen and framed. She lectured, and wrote books and articles - particularly significant are: Design: anonymous and timeless (1947), The Pliable Plane: Textiles in Architecture (1957), On Designing (1959) and On Weaving (1965). In them she expounded some theoretical considerations, which are very relevant today. In 1963 she began to take an interest in lithography, and from 1970 she applied herself exclusively to graphic arts. Festivals and exhibitions were dedicated to her. Of note are Anni Albers: Prints and drawings, organized in 1977 by the Brooklyn Museum, and the 1985 retrospective at the Renwick Gallery in Washington. In 1990 the Royal College of London and the Rhode Island School of Design conferred honorary degrees on her. She died on May 9, 1994, in Orange, Connecticut.

Anni Albers Black White Yellow 1926, rewoven 1965 Lent from the Metropolitan Museum of Art Anni-Albers - textile

In her long and multifaceted career, Anni Albers revolutionized the way of looking at and producing textiles. "Forced" to deal with weaving, she explored its innovative possibilities, looked for new ways. She rejected floral decorations and proposed geometric, "architectural" forms - lines, squares, and arrows alternate in her works, repeat themselves, recall each other following a secret rhythm. She experimented with novel materials, challenging them to bend their qualities to her designs. In the second half of the 1920s she worked with synthetic fibers, cellophane and woven copper, later she would use materials such as corn, hemp, jute and grass. She looked for original solutions - "I was working a lot trying to develop new weaving techniques. For example ... I was interested in combining the properties of light reflection and sound absorption with the durability of the fabric, trying to minimize the tendency of the warp to warp." In her theoretical works she argued that weaving is architectural "construction" of an object, close to that work more than to painting. In weaving the aspects that matter, to which space must be given, and that define the finished product are roughness, smoothness, shine, etc. On these aspects the craftsperson (this is what she has always preferred to be called, not an artist) must focus. These are qualities that emerge if one does not allow oneself to be distracted by color. One must seek the essentials - let the material speak, "touch it with one's hand," "respect it"; for this reason the figure of the craftsperson, who practices and knows the material, and their suggestions are central just as fruitful is their collaboration for industrial production.

Annie Albers, Pasture, 1958 Anni Albers. Black-White-Gold I, 1950. Cotton, lurex, jute. 68.3×48.3 cm Anni Albers. Study of the effect of the construction of the armature, n.d. newspaper, string and fiber. 6.4×6 cm

Design must reconcile functionality and beauty, even - and I would say especially - in everyday objects. Not the individuality of the designer but the material, the form, the functionality of the object must emerge - "it is better to let the material speak, rather for than to us speak." We must retreat, leave room for the material. These pointers, very modern and relevant now that we are suffocating and choking the world, apply not only to the craftsperson/artist but to anyone: "We must learn to choose what is simple and enduring rather than what is new and individual [...]. This means reducing instead of adding [...]. Our homes are overloaded with only occasionally useful objects that [...] should have only a temporary existence. Instead, they cling to us as we cling to them, limiting our freedom. Possession can degrade us" (The Design, 1943).

Another important aspect of her activity and in her life was teaching. She taught students that the limitations posed by "undocile" subject matter are not constraints but challenges for the imagination, encouraged even in beginners "a free way of approaching the subject matter[...]. Courage is an important factor in any creative endeavor." She taught them that "one must explore places where no one before us has been." Because of this foresight and enthusiasm her writings and works are still read, discussed, a continuous source of guidance and inspiration.

Anni Albers with a student, Black Mountain College, ca. 1944

In conclusion I would like to emphasize her active partnership with her husband. Strong and innovative personalities built a dialogue that left room for their subjectivities and autonomous artistic expression always comparing and learning from each other. This aspect, as Nicolas Fox Weber, director of the foundation dedicated to them, points out, found expression in Equal and unequal - a painting that Anni and Joseph Albers had in their bedroom in New Haven. Painted by Josef in 1939 it is, in his view, a "perfect portrait of the Albers." Two squares intertwine and dance in the void while maintaining their independence. "Like the title of the painting, Anni and Josef Albers were just as they wanted to be: equal and unequal."

Joseph e Annie Albers

 

Varvara Stepanova
Livia Capasso

Daniela Godel

 

Il crollo dell’Impero russo e l’avvento del regime sovietico portarono cambiamenti profondi nel Paese e le arti visive non mancarono di adeguarsi. Nel giovane Stato comunista, fondato nel 1922 sotto Vladimir Lenin, molte/i intellettuali videro un’opportunità per porre fine alla corruzione e all’estrema povertà che avevano caratterizzato la Russia per secoli. L’arte, voluta e sostenuta dal nuovo regime, prendendo le mosse dal cubismo e dal futurismo, che in quegli anni dilagavano nel resto d’Europa, sfociò nel “Costruttivismo”, movimento che intendeva rappresentare le esigenze della nuova classe sociale del proletariato, superando i canoni secolari dell’arte. Il Costruttivismo, con un cambiamento conseguente a quello di una società che andava sempre di più industrializzandosi, rifiutò l’estetismo dell’arte per l’arte, di un’arte cioè fine a sé stessa. Promosse invece gli obiettivi di funzionalità e utilità, esprimendosi a tutto campo, nell’arte come nella letteratura, la musica, il teatro, e la scenografia, e ancora nelle arti grafiche, la fotografia e il design. La concentrazione di importanti istituzioni culturali a San Pietroburgo e Mosca fece di queste due città il terreno fertile per un'evoluzione favorevole delle arti, per le quali fu determinante l’apporto delle donne. Il rinnovato interesse per le arti applicate e le tecniche industriali permise a molte di loro di avventurarsi in questi nuovi settori, associandosi ai movimenti costruttivisti e suprematisti, come Olga Vladimirovna Rozanova, o Natalia Goncharova, che oggi sono considerate artiste importanti delle avanguardie russe, anche se il loro contributo è stato riconosciuto assai più tardi. Varvara Stepanova, più nota come moglie e collaboratrice di Aleksandr Rodčenko, non altrettanto come grafica, fotografa, designer, fu in prima linea in questi cambiamenti e lottò tutta la vita per avvicinare l'arte alle persone con la ferma convinzione che in questo modo la loro vita potesse essere migliorata. Come molti altri artisti e artste d'avanguardia, Stepanova realizzò opere in un'ampia varietà di campi, che vanno dalla pittura tradizionale a poster, libri, riviste, vestiti e fotografie.

Alexander Rodčenko e Varvara Stepanova nel loro studio, 1922

Nacque il 9 novembre 1894 a Kaunas, in Lituania, da una famiglia di contadini e frequentò la Scuola d'Arte di Kazan, dove conobbe Rodčenko, suo compagno di studi; con lui si trasferì a Mosca, rimanendo affascinata dalla poesia futurista, e proprio dalla poesia prese spunto per la sua prima produzione di testi poetici e libri manoscritti decorati con la tecnica del collage. Collaborò coi futuristi come Aleksej Kručënych, di cui illustrò il libro Gly-Gly nel 1919.

Illustrazione per Gly gly, 1919 - Varvara Stepanova Illustrazioni per il poema Zigra Ar, 1918 – Varvara Stepanova

Nelle opere di questo periodo il suo interesse era prevalentemente rivolto a cercare una nuova forma di pittura attraverso la fusione di suono e immagine, un tipo di poesia visiva non oggettiva, concentrata sulla particolare espressività del suono delle parole. Questi testi divennero il contenuto di una serie di libri manoscritti, le cui pagine erano ricoperte da un insieme di parole transrazionali, cioè vocaboli scelti per il loro suono e aspetto piuttosto che per il loro significato, e accostati a forme astratte.

Poesia visiva, Varvara Stepanova

Insieme ad Aleksandr Rodčenko pubblicò nel 1920 il Programma del gruppo produttivista, nel quale si auspicava che l’arte, perdute ormai le funzioni tradizionali, soprattutto quella religiosa, potesse riacquistare un nuovo significato nell’età moderna, legata al produttivismo industriale. La sua posizione si opponeva al soggettivismo di Kandinsky, che poneva l’accento sull’“emozione” e sulla “necessità spirituale”, princìpi che trovava troppo individuali e personali. Durante gli anni Venti, le sue opere costruttiviste, attraverso valori pittorici geometrici e un ritmo della composizione incalzante, incarnavano lo spirito positivo che permeava la società del tempo.

Giocatori di biliardo, 1920 - Varvara Stepanova Figura, 1921 - Varvara Stepanova

Nel 1921 organizzò la storica mostra 5 × 5 = 25, nella quale Varvara Stepanova, Liubov Popova, Aleksandr Rodčenko, Aleksandr Vesnin e Aleksandra Ekster presentarono cinque opere a testa. Nel catalogo Stepanova dichiarava la fine della pittura e la “costruzione” come nuovo ideale artistico. Iniziò a collaborare anche con alcuni teatri, tra gli altri con il Teatro della Rivoluzione, per il quale realizzò le scenografie costruttiviste per La morte di Tarelkin. 

Manifesto per la prima de La morte di Tarelkin, 24 nov. 1922 – Varvara Stepanova

Sempre più interessata a un'arte che riflettesse la realtà sociale e fosse accessibile alle masse, si dedicò all'abbigliamento e al design tessile, lavorando per la Prima Fabbrica Statale di Stampa Tessile, dove realizzò centocinquanta disegni di tessuti, di cui venti furono prodotti. Gli abiti che disegnava, ispirati a quelli tradizionali russi, erano in modo specifico studiati in base alle esigenze di chi li indossava: tute adatte a ogni professione, divise e corredi per gli sportivi; i capi, essenziali, erano costruiti con la massima cura per essere sia stimolanti da guardare che estremamente pratici da indossare. E sulle pagine della rivista Lef (Left Front of the Arts), con cui collaborava regolarmente, teorizzava il vestito costruttivista: ideato per il lavoro, è un abito che privilegia la funzione sociale rispetto a quella estetica. Ogni decoro viene abolito a favore della comodità e della funzionalità.

Modelli di vestiti costruttivisti - Varvara Stepanova Costumi, Varvara Stepanova
Tenute sportive, Varvara Stepanova

Le fantasie dei suoi tessuti sono caratterizzate dalla ripetizione di forme geometriche talvolta sovrapposte e definite dall’uso di pochi colori tra loro decisamente contrastanti, che danno vita a motivi assolutamente originali.

Fabric Design - Varvara Stepanova Disegno tessile - Varvara Stepanova
Disegni tessili - Varvara Stepanova

Pioniera del fotomontaggio, accostava immagini ritagliate e caratteri tipografici distribuiti in ogni senso, orizzontale, verticale o diagonale, con una eccezionale forza comunicativa. Come nella copertina per I risultati del primo piano quinquennale, pubblicato nel 1933, un inno al successo dell’iniziativa avviata da Stalin nel 1928. Tutto è costruito con cura, l'artista utilizza solo tre colori, alternando il bianco, il nero e il rosso, il colore della bandiera sovietica. A sinistra Stepanova ha inserito degli altoparlanti su una piattaforma con il numero 5, che simboleggia il Piano quinquennale, insieme a cartelli con le lettere Cccp, le iniziali russe dell'Urss; a destra il ritratto di Lenin, mentre parla. Sotto, una grande folla di persone indica la popolarità del programma politico di Stalin e il desiderio di celebrarlo.

I risultati del primo piano quinquennale (particolare della parte superiore), 1932 - Varvara Stepanova
Copertina di Threatening Laughter, 1932- Varvara Stepanova

L’ascesa al potere di Stalin portò con sé una diffidenza verso le avanguardie; la nascita e la diffusione del realismo socialista subordinò infatti la forma al contenuto. Il lavoro di Varvara Stepanova, come quello di molti altri artisti e artiste delle prime avanguardie, venne duramente attaccato dalla cultura stalinista e venne lasciato ai margini. Stepanova morì il 20 maggio 1958, due anni dopo suo marito, nello stesso anno in cui era stata riammessa nell’Unione degli Artisti dell’Unione Sovietica. Sebbene avesse lavorato fianco a fianco con il governo sovietico, le sue opere hanno mostrato sempre una grande creatività personale attraverso l'uso di colori vivaci e immagini sorprendenti in composizioni dinamiche.


Traduzione francese

Lucrezia Pratesi

La chute de l’Empire russe et l’avènement du régime soviétique entraînèrent de profonds bouleversements dans le pays, auxquels les arts visuels ne tardèrent pas à s’adapter. Dans le jeune État communiste fondé en 1922 sous la direction de Vladimir Lénine, de nombreux intellectuels virent une occasion de mettre fin à la corruption et à l’extrême pauvreté qui avaient marqué la Russie pendant des siècles. L’art, encouragé et soutenu par le nouveau régime, s’inspira du cubisme et du futurisme, qui se répandait alors en Europe, pour donner naissance au « Constructivisme », un mouvement destiné à représenter les besoins de la nouvelle classe sociale du prolétariat, rompant ainsi avec les canons séculaires de l’art. Le Constructivisme, en phase avec une société de plus en plus industrialisée, rejeta l’esthétisme de l’art pour l’art, c’est-à-dire d’un art ayant pour seule fin elle-même. Il promeut au contraire les objectifs de fonctionnalité et d’utilité, s’exprimant dans tous les domaines : les arts visuels, la littérature, la musique, le théâtre, la scénographie, les arts graphiques, la photographie et le design. La concentration d’institutions culturelles majeures à Saint-Pétersbourg et à Moscou fit de ces deux villes un terrain fertile pour l’essor des arts, auxquels les femmes apportèrent une contribution décisive. Le regain d’intérêt pour les arts appliqués et les techniques industrielles permit à nombre d’entre elles de s’aventurer dans ces nouveaux domaines, en s’associant aux mouvements constructivistes et suprématistes, comme Olga Vladimirovna Rozanova ou Natalia Gontcharova, aujourd’hui considérées comme des figures majeures de l’avant-garde russe, bien que leur apport ait été reconnu tardivement.Varvara Stepanova, plus connue comme épouse et collaboratrice d’Alexandre Rodtchenko, mais moins comme graphiste, photographe et designer, fut en première ligne de ces changements et lutta toute sa vie pour rapprocher l’art du peuple, convaincue que cela pouvait améliorer leur quotidien. Comme de nombreux artistes d’avant-garde, Stepanova réalisa des œuvres dans une grande variété de domaines, allant de la peinture traditionnelle aux affiches, livres, revues, vêtements et photographies. 

Alexandre Rodtchenko et Varvara Stepanova dans leur atelier, 1922

Elle naît le 9 novembre 1894 à Kaunas, en Lituanie, dans une famille de paysans. Elle fréquente l’École des Beaux-Arts de Kazan, où elle rencontre Rodtchenko, son camarade d’études ; avec lui, elle s’installe à Moscou et se passionne pour la poésie futuriste. C’est d’ailleurs la poésie qui inspire ses premières œuvres poétiques et livres manuscrits décorés à la technique du collage. Elle collabore avec les futuristes, comme Alekseï Kroutchonykh, dont elle illustre le livre Gly-Gly en 1919.

Illustration pour Gly gly, 1919 - Varvara Stepanova Illustrations pour le poème Zigra Ar, 1918 – Varvara Stepanova

Dans ses œuvres de cette période, elle cherche avant tout à créer une nouvelle forme de peinture à travers la fusion du son et de l’image : une poésie visuelle non objective, centrée sur l’expressivité particulière du son des mots. Ces textes deviennent le contenu de livres manuscrits, dont les pages sont remplies de mots transrationnels, c’est-à-dire choisis pour leur sonorité et leur apparence plutôt que pour leur sens, associés à des formes abstraites.

Poésie visuelle – Varvara Stepanova

Avec Alexandre Rodtchenko, elle publie en 1920 le Programme du groupe productiviste, où elle souhaite que l’art, ayant perdu ses fonctions traditionnelles – notamment religieuses –, retrouve un sens nouveau à l’ère moderne, lié au productivisme industriel. Elle s’oppose alors à la subjectivité de Kandinsky, qui mettait l’accent sur « l’émotion » et la « nécessité spirituelle », des principes qu’elle jugeait trop personnels. Dans les années 1920, ses œuvres constructivistes, par leurs valeurs picturales géométriques et leur rythme soutenu, incarnent l’esprit d’optimisme qui imprègne la société.

Joueurs de billard,, 1920 - Varvara Stepanova Figure, 1921 - Varvara Stepanova

En 1921, elle organise l’exposition historique 5 × 5 = 25, à laquelle participent Varvara Stepanova, Lioubov Popova, Alexandre Rodtchenko, Alexandre Vesnine et Alexandra Exter, chacun présentant cinq œuvres. Dans le catalogue, Stepanova proclame la fin de la peinture et fait de la « construction » le nouvel idéal artistique. Elle commence également à collaborer avec des théâtres, notamment le Théâtre de la Révolution, pour lequel elle conçoit des scénographies constructivistes, comme celle de La mort de Tarelkin.

Affiche pour la première de La mort de Tarelkin, 24 nov. 1922 – Varvara Stepanova

De plus en plus tournée vers un art reflétant la réalité sociale et accessible aux masses, elle se consacre à l’habillement et au design textile, travaillant pour la Première Fabrique Nationale d’Impression Textile, où elle réalise cent cinquante modèles de tissus, dont vingt seront produits. Ses vêtements, inspirés des habits traditionnels russes, sont conçus selon les besoins de ceux qui les portent : combinaisons adaptées à chaque profession, uniformes, tenues sportives ; les vêtements sont sobres mais élaborés avec soin, pour être à la fois visuellement stimulants et très pratiques. Dans les pages de la revue Lef (Front gauche des arts), avec laquelle elle collabore régulièrement, elle théorise la tenue constructiviste : pensée pour le travail, elle privilégie la fonction sociale sur l’esthétique. Toute ornementation est supprimée au profit du confort et de la fonctionnalité.

Modèles de vêtements constructivistes – Varvara Stepanova Costumes – Varvara Stepanova
Tenues sportives – Varvara Stepanova

Les motifs de ses tissus sont caractérisés par la répétition de formes géométriques parfois superposées et définies par l’usage de quelques couleurs fortement contrastées, créant des compositions d’une grande originalité. 

Fabric Design - Varvara Stepanova Dessin textile - Varvara Stepanova
Dessins textiles - Varvara Stepanova

Pionnière du photomontage, elle juxtapose images découpées et caractères typographiques disposés dans tous les sens – horizontal, vertical, diagonal – avec une force de communication exceptionnelle. Comme sur la couverture de Les résultats du premier plan quinquennal, publiée en 1933, un hymne au succès de l’initiative lancée par Staline en 1928. Tout y est soigneusement construit, avec seulement trois couleurs : blanc, noir et rouge, la couleur du drapeau soviétique. À gauche, Stepanova insère des haut-parleurs sur une plateforme portant le chiffre 5, symbole du plan quinquennal, accompagnés de panneaux marqués des lettres CCCP, initiales russes de l’URSS ; à droite, un portrait de Lénine en train de parler. En bas, une foule immense illustre la popularité du programme politique de Staline et l’envie de le célébrer.

Les résultats du premier plan quinquennal (détail de la partie supérieure), 1932 Varvara Stepanova
Couverture de Threatening Laughter,, 1932- Varvara Stepanova

L’arrivée au pouvoir de Staline marqua le début d’une méfiance envers les avant-gardes : la naissance du réalisme socialiste subordonna la forme au contenu. L’œuvre de Varvara Stepanova, comme celle de nombreux artistes d’avant-garde, fut sévèrement critiquée par la culture stalinienne et reléguée en marge. Stepanova meurt le 20 mai 1958, deux ans après son mari, l’année même où elle est réintégrée dans l’Union des Artistes d’URSS. Bien qu’ayant travaillé aux côtés du gouvernement soviétique, ses œuvres témoignent toujours d’une grande créativité personnelle, à travers l’usage de couleurs vives et d’images saisissantes dans des compositions dynamiques.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

El colapso del Imperio ruso y el advenimiento del régimen soviético provocaron profundos cambios en el país, y las artes visuales no tardaron en adaptarse. En el joven Estado comunista, fundado en 1922 bajo Vladimir Lenin, muchas figuras intelectuales vieron una oportunidad para poner fin a la corrupción y a la extrema pobreza que habían caracterizado a Rusia durante siglos. El arte, promovido y apoyado por el nuevo régimen, tomando como punto de partida el cubismo y el futurismo, que en aquellos años se difundían por el resto de Europa, desembocó en el Constructivismo, un movimiento que pretendía representar las necesidades de la nueva clase social del proletariado, superando los cánones seculares del arte. El Constructivismo, como consecuencia de una sociedad cada vez más industrializada, rechazó el esteticismo del arte por el arte, es decir, un arte que existía solo para sí mismo. Promovía objetivos de funcionalidad y utilidad, expresándose en todos los ámbitos: en el arte, la literatura, la música, el teatro, la escenografía, así como en las artes gráficas, la fotografía y el diseño. La concentración de importantes instituciones culturales en San Petersburgo y Moscú convirtió a estas dos ciudades en terreno fértil para una evolución favorable de las artes, en la que fue determinante el aporte de las mujeres. El renovado interés por las artes aplicadas y las técnicas industriales permitió a muchas de ellas aventurarse en estos nuevos sectores, asociándose a los movimientos constructivistas y suprematistas, como Olga Vladimirovna Rozanova o Natalia Goncharova, quienes hoy son consideradas artistas importantes de las vanguardias rusas, aunque su contribución fue reconocida mucho más tarde. Varvara Stepánova, más conocida como esposa y colaboradora de Aleksandr Ródchenko, aunque no tanto como diseñadora gráfica, fotógrafa y diseñadora textil, estuvo en primera línea en estos cambios y luchó toda su vida por acercar el arte a las personas, con la firme convicción de que, de este modo, sus vidas podían mejorar. Como una gran cantidad de artistas de vanguardia, Stepánova realizó obras en una gran variedad de campos, que van desde la pintura tradicional hasta carteles, libros, revistas, ropa y fotografías.

Aleksandr Ródchenko y Varvara Stepánova en su estudio, 1922

Nació el 9 de noviembre de 1894 en Kaunas, Lituania, en una familia campesina, y asistió a la Escuela de Arte de Kazán, donde conoció a Ródchenko, su compañero de estudios; con él se trasladó a Moscú, donde se quedó fascinada por la poesía futurista. Fue precisamente de la poesía de donde tomó inspiración para su primera producción de textos poéticos y libros manuscritos decorados con la técnica del collage. Colaboró con los futuristas como Alekséi Kruchónykh, cuyo libro Gly-Gly ilustró en 1919.

Ilustración para Gly gly, 1919 - Varvara Stepanova Ilustraciones para el poema Zigra Ar, 1918 – Varvara Stepanova

En las obras de este periodo, su interés se dirigía principalmente a buscar una nueva forma de pintura mediante la fusión de sonido e imagen, un tipo de poesía visual no objetiva, centrada en la particular expresividad del sonido de las palabras. Estos textos se convirtieron en el contenido de una serie de libros manuscritos, cuyas páginas estaban cubiertas por un conjunto de palabras transracionales, es decir, vocablos elegidos por su sonido y apariencia más que por su significado, y combinados con formas abstractas.

Poesía visual, Varvara Stepanova

Junto con Aleksandr Ródchenko, publicó en 1920 el Programa del grupo productivista, en el cual se auspiciaba que el arte, que había perdido ya sus funciones tradicionales, sobre todo la religiosa, pudiera adquirir un nuevo significado en la era moderna, vinculado al productivismo industrial. Su posición se oponía al subjetivismo de Kandinsky, quien hacía hincapié en la "emoción" y la "necesidad espiritual", principios que consideraba demasiado individuales y personales. Durante los años veinte, sus obras constructivistas, a través de valores pictóricos geométricos y un ritmo compositivo marcado, encarnaban el espíritu positivo que impregnaba la sociedad de aquella época.

Jugadores de billar, 1920 - Varvara Stepanova Figura, 1921 - Varvara Stepanova

En 1921 organizó la histórica exposición 5 × 5 = 25, en la que Varvara Stepánova, Liubov Popova, Aleksandr Ródchenko, Aleksandr Vesnin y Aleksandra Ekster presentaron cinco obras respectivamente. En el catálogo, Stepánova declaraba el fin de la pintura y proponía la "construcción" como nuevo ideal artístico. También comenzó a colaborar con algunos teatros, entre ellos el Teatro de la Revolución, para el cual realizó las escenografías constructivistas de La muerte de Tarelkin.

Cartel para el estreno de La muerte de Tarelkin, 24 nov. 1922 – Varvara Stepánova

Cada vez más interesada en un arte que reflejara la realidad social y fuera accesible a las masas, se dedicó a la ropa y al diseño textil, trabajando para la Primera Fábrica Estatal de Estampado Textil, donde realizó ciento cincuenta diseños de telas, veinte de los cuales fueron producidos. Las prendas que diseñaba, inspiradas en la vestimenta tradicional rusa, estaban específicamente pensadas según las necesidades de quienes las iban a usar: monos adecuados para cada profesión, uniformes y equipamientos para deportistas; las piezas, esenciales, estaban construidas con el máximo cuidado para ser tanto estimulantes visualmente como extremadamente prácticas para vestir. Y en las páginas de la revista Lef (Frente de Izquierda de las Artes), con la que colaboraba regularmente, teorizaba acerca del vestido constructivista: ideado para el trabajo, es una prenda que privilegia la función social por encima de la estética. Se eliminan todo los adornos en favor de la comodidad y la funcionalidad.

Modelos de vestidos constructivistas - Varvara Stepanova Vestuario, Varvara Stepanova
Equipamiento deportivo , Varvara Stepanova

Los estampados de sus telas se caracterizan por la repetición de formas geométricas, a veces superpuestas y definidas por el uso de pocos colores fuertemente contrastantes entre sí, que dan lugar a motivos absolutamente originales.

Diseño textil - Varvara Stepanova Boceto textil - Varvara Stepanova
Diseños textiles - Varvara Stepanova

Pionera del fotomontaje, combinaba imágenes recortadas con caracteres tipográficos dispuestos en todas las direcciones —horizontal, vertical o diagonal— con una fuerza comunicativa excepcional. Como en la portada de Los resultados del primer plan quinquenal, publicada en 1933, un himno al éxito de la iniciativa lanzada por Stalin en 1928. Todo está construido con esmero: la artista utiliza solo tres colores, alternando el blanco, el negro y el rojo, el color de la bandera soviética. A la izquierda, Stepánova ha insertado unos altavoces sobre una plataforma con el número 5, que simboliza el Plan Quinquenal, junto con carteles con las letras CCCP, la sigla rusa de la URSS; a la derecha, el retrato de Lenin, mientras habla. Abajo, una gran multitud de personas indica la popularidad del programa político de Stalin y el deseo de celebrarlo.

Los resultados del primer plan quinquenal (detalle de la parte superior), 1932 Varvara Stepanova
Portada de Threatening Laughter, 1932- Varvara Stepanova

El ascenso al poder de Stalin conllevó una desconfianza hacia las vanguardias; de hecho, la emersión y la difusión del realismo socialista subordinó la forma al contenido. El trabajo de Varvara Stepánova, como el de muchas otras personas artistas de las primeras vanguardias, fue duramente atacado por la cultura estalinista y quedó relegado al margen. Stepánova murió el 20 de mayo de 1958, dos años después que su esposo, en el mismo año en que fue readmitida en la Unión de Artistas de la Unión Soviética. Aunque trabajó codo a codo con el gobierno soviético, sus obras siempre mostraron una gran creatividad personal a través del uso de colores vivos e imágenes sorprendentes en composiciones dinámicas.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 The collapse of the Russian Empire and the advent of the Soviet regime brought profound changes to the country, and the visual arts did not fail to adapt. In the young communist state, founded in 1922 under Vladimir Lenin, many intellectuals saw an opportunity to end the corruption and extreme poverty that had characterized Russia for centuries. Art, desired and supported by the new regime, taking its cue from Cubism and Futurism, which were rampant in the rest of Europe in those years, resulted in "Constructivism," a movement intended to represent the needs of the new social class of the proletariat by transcending the secular canons of art. Consequential to that of an increasingly industrializing society, Constructivism rejected the aestheticism of art for art's sake, of art, that is, as an end in itself. Instead, it promoted the goals of functionality and utility, expressing itself across the board, in art as in literature, music, theater, and stage design, and again in the graphic arts, photography, and design. The concentration of important cultural institutions in St. Petersburg and Moscow made these two cities fertile ground for favorable developments in the arts, for which the contribution of women was crucial. Renewed interest in the applied arts and industrial techniques enabled many of them to venture into these new fields, associating themselves with the Constructivist and Suprematist movements, such as Olga Vladimirovna Rozanova, or Natalia Goncharova, who today are considered important artists of the Russian avant-garde, although their contributions were recognized much later. Varvara Stepanova, best known as Aleksandr Rodčenko's wife and collaborator, not so much as a graphic artist, photographer, and designer, was at the forefront of these changes and struggled all her life to bring art closer to the people with the firm belief that in this way their lives could be improved. Like many other avant-garde artists, Stepanova produced works in a wide variety of fields, ranging from traditional painting to posters, books, magazines, clothing and photographs.

Alexander Rodčenko and Varvara Stepanova in their studio, 1922

She was born on November 9, 1894, in Kaunas, Lithuania, to a peasant family and attended the Kazan School of Art, where she met Rodčenko, her fellow student. With him she moved to Moscow, becoming fascinated by Futurist poetry, and it was from poetry that she took inspiration for her first production of poetic texts and manuscript books decorated with the collage technique. She collaborated with futurists such as Aleksej Kručënych, whose book Gly-Gly she illustrated in 1919.

Illustration for Gly gly, 1919 - Varvara Stepanova Illustrations for the poem Zigra Ar, 1918 – Varvara Stepanova

In the works of this period, her interest was mainly in seeking a new form of painting through the fusion of sound and image, a type of non-objective visual poetry focused on the particular expressiveness of the sound of words. These texts became the contents of a series of handwritten books, the pages of which were covered with a set of transrational words, that is, words chosen for their sound and appearance rather than their meaning, and juxtaposed with abstract forms.

Visual poetry, Varvara Stepanova

Together with Aleksandr Rodčenko, she published the Program of the Productivist Group in 1920, in which she hoped that art, having now lost its traditional functions, especially the religious one, could regain a new meaning in the modern age, linked to industrial productivism. Her position opposed Kandinsky's subjectivism, which emphasized "emotion" and "spiritual necessity," principles she found too individual and personal. During the 1920s, her constructivist works, through geometric pictorial values and a pressing rhythm of composition, embodied the positive spirit that permeated the society of the time.

Billiard Players, 1920 - Varvara Stepanova Figure, 1921 - Varvara Stepanova

In 1921 she organized the historic exhibition 5 × 5 = 25, in which Varvara Stepanova, Liubov Popova, Aleksandr Rodčenko, Aleksandr Vesnin and Aleksandra Ekster presented five works each. In the catalog Stepanova declared the end of painting and "construction" as the new artistic ideal. She also began to collaborate with a number of theaters, among others with the Theatre of the Revolution, for which she created the constructivist sets for The Death of Tarelkin.

Poster for the premiere of The Death of Tarelkin, Nov. 24, 1922 - Varvara Stepanova

Increasingly interested in art that reflected social reality and was accessible to the masses, she devoted herself to clothing and textile design, working for the First State Textile Printing Factory, where she made one hundred and fifty fabric designs, twenty of which were produced. The clothes she designed, inspired by traditional Russian garments, were specifically tailored to the needs of the wearer - outfits suitable for every profession, uniforms and outfits for sportsmen. These essential garments were constructed with the utmost care to be both stimulating to look at and extremely practical to wear. And in the pages of Lef (Left Front of the Arts) magazine, with which she regularly collaborated, she theorized about constructivist dress: designed for work, it is clothing that prioritizes social function over aesthetics. All decoration is abolished in favor of comfort and functionality.

Constructivist dress models - Varvara Stepanova Costumes, Varvara Stepanova
Sportswear, Varvara Stepanova

The patterns of her fabrics are characterized by the repetition of geometric shapes sometimes overlapping and defined by the use of a few distinctly contrasting colors, which give rise to absolutely original patterns.

Fabric Design - Varvara Stepanova Fabric Design - Varvara Stepanova
Fabrics Designs - Varvara Stepanova

A pioneer of photomontage, she juxtaposed cropped images and typefaces distributed in every direction, horizontally, vertically or diagonally, with exceptional communicative power. As in the cover for The Results of the First Five-Year Plan, published in 1933, an ode to the success of the initiative initiated by Stalin in 1928. Everything is carefully constructed, the artist using only three colors, alternating white, black and red, the colors of the Soviet flag. To the left, Stepanova placed speakers on a platform with the number 5, symbolizing the Five-Year Plan, along with signs with the letters CCCP, the Russian initials of the USSR. To the right is a portrait of Lenin, speaking. Below, a large crowd of people indicates the popularity of Stalin's political program and the desire to celebrate it.

The results of the first five-year plan (top detail), 1932 - Varvara Stepanova
Cover of Threatening Laughter, 1932- Varvara Stepanova

Stalin's rise to power brought with it a distrust of the avant-garde. Indeed, the rise and spread of socialist realism subordinated form to content. Varvara Stepanova's work, like that of many other early avant-garde artists and artists, was harshly attacked by Stalinist culture and was left on the margins. Stepanova died on May 20, 1958, two years after her husband, the same year she was readmitted to the Union of Artists of the Soviet Union. Although she had worked side by side with the Soviet government, her works always showed great personal creativity through the use of bright colors and striking images in dynamic compositions.

 

Sophie Taeuber Arp
Livia Capasso

Daniela Godel

 

La storia ricorda Sophie Taeuber come moglie di un grande artista, Hans Arp, come pittrice e creatrice di marionette, ma dimentica che fu artista a tutto tondo: scultrice, designer di mobili e di interni, designer di tessuti, coreografa, ballerina e architetta, progettista tra l’altro di una casa che influenzò Le Corbusier. Pur avendo vissuto la tragedia di due conflitti mondiali, ha prodotto opere in cui trionfano la gioia e il colore, tanto da essere definita dai critici «un'artista che ha portato gioia al dada». Le sue opere sono "astrazioni gioiose", che sfidano le convenzioni consolidate dell'arte spostando e muovendo in modo apparentemente casuale forme e colori, in una sorta di “jazz visivo".

Portatrice di vaso, 1916 - Sophie Taeuber

Composizione di cerchi e angoli sovrapposti, 1930 - Sophie Taeuber

Artista eclettica, non faceva distinzione tra l’Arte con la A maiuscola e le arti applicate: ha creato mobili e vetrate colorate, sculture e marionette in legno, tessuti e abiti, ceramiche e tappeti, poster e cuscini, carta da parati e lampade, borse ricamate e gioielli. Minimo comune denominatore una vitalità e una vivacità tali che le sue forme sembrano danzare. La rigidità delle figure geometriche contrasta con la scioltezza della composizione e l’emozione dei colori, col risultato che cerchi, quadrati, linee ondulate danzano davanti agli occhi di chi le guarda. Sophie Taeuber nacque il 19 gennaio del 1889 a Davos in Svizzera, dove i suoi genitori gestivano una farmacia; il padre morì di tubercolosi quando lei aveva due anni e la famiglia si trasferì allora a Trogen, sempre in Svizzera, dove sua madre aprì una pensione; Sophie, vivendo in un ambiente culturalmente aperto, poté scoprire presto la sua inclinazione artistica. Studiò disegno tessile a St. Gallen, poi ad Amburgo e a Monaco, ma la prima maestra fu sua madre che le insegnò a cucire. Tornò in Svizzera nel 1914 durante la Prima guerra mondiale. Frequentò la Scuola di danza di Laban a Zurigo e si esibì al Festival del Sole ad Ascona. Rudolf Laban perseguiva la liberazione del corpo attraverso il movimento e Sophie ne afferrò immediatamente la portata, trasferendo il suo interesse per i movimenti del corpo nelle sue opere, comprendendo che non vi è soluzione di continuità tra le arti: una coreografia, un passo di danza, un tessuto, un dipinto si relazionano tra di loro per profonde analogie. In una mostra alla Galleria Tanner incontrò quello che sarebbe diventato suo marito, l'artista Hans Arp, detto Jean, che si era trasferito a Zurigo per evitare, come fecero altri artisti e intellettuali del tempo, di essere arruolato nell'esercito tedesco e mandato in guerra. I due si influenzarono a vicenda, producendo opere a quattro mani, come i Duo-collages. Insieme si associarono al movimento Dada, nato a Zurigo nel 1916. Firmataria del Manifesto Dada, Sophie si esibiva spesso al famoso Cabaret Voltaire, centro di aggregazione del gruppo dadaista; prese parte a spettacoli come ballerina, e disegnò burattini, costumi e scenografie.

Costumi per una performance al Cabaret Voltaire, 1916 - Sophie Tauber

Burattini: Angela (sin.) Dr. Komplex (dex), 1918 – Sophie Taeuber

Il fenomeno Dada al Cabaret Voltaire fu un fenomeno internazionale, durato solo alcuni mesi, ma lasciò segni indelebili. Artisti e artiste infatti si spostarono a Parigi e a Berlino e nella stessa Zurigo, alla Galerie Dada, alla cui inaugurazione, nel 1917, Sophie danzò indossando una maschera disegnata da Marcel Janco, mentre Hugo Ball recitava le sue poesie.

Fotografia di Sophie Taeuber che balla con una maschera e un costume alla Galerie Dada nel 1917

Unendo l’interesse per il nascente movimento costruttivista al design di tessuti, Sophie iniziò a realizzare opere tessili e dipinti geometrici non figurativi che definiva “concreti”, studiate composizioni di cerchi, quadrati, linee diagonali e altre forme.

Verticale-Orizzontale-Composizione, 1916 (sin)– Composizione, 1931 (dex) Sophie Taeuber

Dal 1916 al 1929 fu incaricata di insegnare disegno tessile alla Zürich Kunstgewerbeschule (ora Università delle Arti di Zurigo), impiego che le consentì di mantenere sé stessa e il marito. Le sue opere tessili e grafiche di questi anni, con la loro pura astrazione geometrica e il ritmo derivato dalla interazione tra colore, forma e movimento, sono tra i primi lavori del nascente costruttivismo.

Carta da parato (sin) - Cuscino (dex), 1920 - Sophie Taeuber

Lavoro semestrale (sin) - Ritratto in legno di Jean Arp, 1918 (dex) - Sophie Taeuber

Nel 1926, col marito, si trasferì a Strasburgo, dove presero entrambi la cittadinanza francese; lì Sophie ricevette numerose commissioni per progetti di interior design; è a lei che i fratelli Horn assegnarono l’incarico di decorare il Café de l’Aubette, un interno totalmente costruttivista, un’impresa in cui generosamente si farà affiancare da Theo van Doesburg, il quale se ne prenderà i meriti, e dal marito. I tre artisti crearono scenografie per un progetto che si sviluppa su quattro livelli e comprende una caffetteria, un ristorante, una brasserie, una sala da tè, un cinema, una sala da ballo, un cabaret e una sala da biliardo. A Sophie si devono l'Aubette-bar con la sala da tè Five-O'Clock, la Sala del Biliardo, il Foyer-bar, il Pianerottolo e la Scalone. Per l'Aubette-bar, Sophie disegna quadrati e rettangoli che ricoprono l'intera superficie di colori prevalentemente caldi, punteggiati da zone di colori freddi.

L’Aubette-bar, 1926 - Sophie Taeuber

Arazzo per la sala da tè Aubette, 1928 - Sophie Taeuber

Nel 1927 scrisse insieme a Blanche Gauchet un manuale sull’arte tessile, intitolato Welly Lowell. Nel 1928 si trasferì col marito a Clamart, ai margini della foresta di Meudon, in una casa-atelier, progettata da Sophie stessa, una casa in pietra che anticipava le costruzioni di Le Corbusier.

La casa di Sophie Taeuber e Hans Arp a Meudon

Nel 1930 entrò nel gruppo Cercle e Carré, leader dell'arte non figurativa, confluito l’anno successivo in Abstraction-Creátion. In questi anni esplorava la forma del cerchio che rappresentava la metafora cosmica, la forma che contiene tutte le altre, e fu la prima artista a utilizzare i pois.

Dynamic Circles, 1934, Sophie Taeuber

Fondò e diresse per qualche anno la rivista Plastique, che si proponeva di mettere in contatto l’arte europea con quella americana e il cui numero uno fu dedicato a celebrare Kazimir Malevič, da poco scomparso. La sua cerchia di amici comprendeva Sonia e Robert Delaunay, Wassily Kandinsky, Joan Miró, Marcel Duchamp. Fece anche parte dell'Allianz, un'unione di pittori svizzeri. Prima dell'occupazione nazista Taeuber e Arp fuggirono da Parigi e si trasferirono a Grasse, nella Francia di Vichy, dove crearono una colonia artistica. Alla fine del 1942 ripararono in Svizzera. La notte del 13 gennaio 1943, Sophie, che aveva perso l'ultimo tram per tornare a casa, dormì a Zurigo, nella casa di Max Bill. Morì lì per avvelenamento accidentale da monossido di carbonio causato dal malfunzionamento di una stufa, a cinquantatré anni. Wassily Kandinsky disse: «Sophie Taeuber-Arp si esprimeva, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, utilizzando quasi esclusivamente le forme più semplici, le forme geometriche, invitando a un linguaggio che spesso era solo un sussurro; ma spesso anche il sussurro è più espressivo, più convincente, più suadente, della voce alta che qua e là si lascia esplodere».Taeuber-Arp è stata l'unica donna a essere ritratta nell'ottava serie di banconote svizzere, figurando su quella da cinquanta franchi in corso dal 1995 al 2016.

Ritratto di Sophie Taeuber sulla banconota svizzera da cinquanta franchi.

Il 19 gennaio 2016, Google ha creato un doodle per commemorare il suo 127esimo compleanno.

19 gennaio 2016, Doodle di Google per Taeuber-Arp

Molti musei in tutto il mondo hanno le sue opere nelle loro collezioni, ma la sua considerazione è rimasta per parecchi anni inferiore a quella del suo più famoso marito. Iniziò a ottenere un riconoscimento sostanziale solo dopo la Seconda guerra mondiale e il suo lavoro è ora generalmente accettato ai primi posti dell’astrattismo. Nel 1943 fu inclusa nella mostra di Peggy Guggenheim Exhibition by 31 Women alla galleria Art of This Century di New York. Una pietra miliare importante fu la mostra del suo lavoro a Documenta 1 nel 1955, la prima grande rassegna di arte contemporanea nella Germania Ovest. Nel 1981 il MoMA di New York ha allestito una retrospettiva del suo lavoro che successivamente è stata esposta al Museum of Contemporary Art di Chicago, al Museum of Fine Arts di Houston e al Musée d'art contemporain di Montréal. Una retrospettiva itinerante delle sue opere è partita dalla Svizzera nel marzo 2021 al Kunstmuseum Basel, per poi passare alla Tate Modern e poi al MoMA. Con oltre quattrocento pezzi è stata la più completa e la sua prima grande mostra. Alla Biennale 2022 è stata esposta una sua piccola borsa in stoffa con ricami di perline di vetro a formare motivi geometrici che rimandano alle composizioni pittoriche dell’artista.

Borsetta in stoffa creata da Sophie Taeuber ed esposta alla Biennale 2022

Con lei la tappezzeria diventa danza e la danza architettura.


Traduzione francese

Lucrezia Pratesi

L’histoire se souvient de Sophie Taeuber comme de l’épouse d’un grand artiste, Hans Arp, comme d’une peintre et créatrice de marionnettes, mais elle oublie qu’elle fut une artiste à part entière : sculptrice, designer de mobilier et d’intérieur, créatrice de textiles, chorégraphe, danseuse et architecte – elle conçut notamment une maison qui influença Le Corbusier. Bien qu’elle ait vécu les tragédies des deux guerres mondiales, ses œuvres débordent de joie et de couleur, au point que les critiques la qualifient d’« artiste qui a apporté la joie au dadaïsme ». Ses œuvres sont de véritables « abstractions joyeuses », défiant les conventions artistiques établies par le déplacement apparemment aléatoire de formes et de couleurs, dans une sorte de « azz visuel» 

Porteuse de vase, 1916, 1916 - Sophie Taeuber

Composition de cercles et angles superposés, 1930 1930 - Sophie Taeuber

Artiste éclectique, elle ne faisait pas de distinction entre l’Art avec un grand A et les arts appliqués : elle a créé des meubles et des vitraux colorés, des sculptures et marionnettes en bois, des tissus et vêtements, des céramiques et tapis, des affiches et coussins, du papier peint et des lampes, des sacs brodés et des bijoux. Le dénominateur commun : une vitalité et une vivacité telles que ses formes semblent danser. La rigidité des figures géométriques contraste avec la fluidité de la composition et l’émotion des couleurs, si bien que cercles, carrés, lignes ondulées dansent sous les yeux du spectateur. Sophie Taeuber naît le 19 janvier 1889 à Davos, en Suisse, où ses parents tenaient une pharmacie. Son père meurt de la tuberculose alors qu’elle n’a que deux ans, et la famille s’installe à Trogen, toujours en Suisse, où sa mère ouvre une pension. Élevée dans un environnement culturellement ouvert, Sophie découvre très tôt sa vocation artistique. Elle étudie le dessin textile à Saint-Gall, puis à Hambourg et Munich, mais sa première maîtresse fut sa mère, qui lui apprend la couture. En 1914, pendant la Première Guerre mondiale, elle rentre en Suisse. Elle fréquente l’école de danse de Rudolf Laban à Zurich et se produit au Festival du Soleil à Ascona. Laban prônait la libération du corps par le mouvement, et Sophie saisit aussitôt la portée de cette idée, transposant son intérêt pour le mouvement corporel dans ses œuvres : elle comprend qu’il n’existe pas de frontière entre les arts – chorégraphie, pas de danse, tissu, peinture s’articulent entre eux par de profondes analogies. C’est lors d’une exposition à la galerie Tanner qu’elle rencontre celui qui deviendra son mari, l’artiste Hans (Jean) Arp, réfugié à Zurich comme beaucoup d’autres artistes et intellectuels de l’époque pour échapper à l’armée allemande. Ils s’influencent mutuellement, créent ensemble des œuvres à quatre mains comme les Duo-collages. Tous deux rejoignent le mouvement Dada, né à Zurich en 1916. Signataire du Manifeste Dada, Sophie se produit souvent au célèbre Cabaret Voltaire, centre de rencontre du groupe dadaïste ; elle y danse, conçoit des marionnettes, des costumes et des décors.

Costumes pour une performance au Cabaret Voltaire, 1916 - Sophie Tauber

Marionnettes : Angela (gauche) Dr. Komplex (droite), 1918 – Sophie Taeuber

Le phénomène Dada au Cabaret Voltaire est de courte durée – quelques mois – mais marque profondément l’histoire de l’art. Les artistes se déplacent ensuite à Paris, Berlin, ou restent à Zurich, où naît la Galerie Dada. Lors de son inauguration en 1917, Sophie danse masquée – le masque est une création de Marcel Janco – pendant qu’Hugo Ball récite ses poèmes.

Sophie Taeuber dansant avec masque et costume à la Galerie Dada, 1917

Mêlant son intérêt pour le constructivisme naissant au design textile, Sophie commence à réaliser des œuvres textiles et des peintures géométriques non figuratives qu’elle qualifie de «concrètes»: compositions rigoureuses de cercles, carrés, lignes diagonales et autres formes.

Composition verticale-horizontale, 1916 (gauche) – Composition, 1931 (droite) Sophie Taeuber

De 1916 à 1929, elle enseigne le dessin textile à la Kunstgewerbeschule de Zurich (aujourd’hui Université des Arts de Zurich), un poste qui lui permet de subvenir à ses besoins et à ceux de son mari. Ses œuvres textiles et graphiques de cette période, marquées par une abstraction géométrique pure et un rythme né de l’interaction entre couleur, forme et mouvement, comptent parmi les premières du constructivisme naissant.

Papier peint (gauche) – Coussin (droite), 1920 - Sophie Taeuber

Projet de semestre (gauche) – Portrait en bois de Jean Arp, 1918 (droite) - Sophie Taeuber

En 1926, Sophie et Hans s’installent à Strasbourg, où ils obtiennent la nationalité française. Elle y reçoit de nombreuses commandes pour des projets de design d’intérieur. Les frères Horn lui confient la décoration du Café de l’Aubette, un espace résolument constructiviste. Généreusement, elle y associe Theo van Doesburg, qui en revendiquera cependant le mérite, ainsi que son mari. Les trois artistes conçoivent les décors d’un complexe sur quatre niveaux comprenant café, restaurant, brasserie, salon de thé, cinéma, salle de bal, cabaret et salle de billard. Sophie est responsable notamment du bar de l’Aubette avec son salon Five-O’Clock, de la salle de billard, du foyer-bar, du palier et de l’escalier monumental. Pour l’Aubette-bar, elle compose une surface entièrement recouverte de carrés et rectangles dans des tons chauds, ponctués de touches de couleurs froides.

L’Aubette-bar, 1926 - Sophie Taeuber

Tapisserie pour le salon de thé de l’Aubette, 1928 - Sophie Taeuber

En 1927, elle coécrit avec Blanche Gauchet un manuel sur l’art textile intitulé Welly Lowell. En 1928, le couple emménage à Clamart, en lisière de la forêt de Meudon, dans une maison-atelier conçue par Sophie elle-même, une bâtisse en pierre annonciatrice des constructions de Le Corbusier.

Maison de Sophie Taeuber et Hans Arp à Meudon

En 1930, elle rejoint le groupe Cercle et Carré, fer de lance de l’art non figuratif, qui fusionne l’année suivante avec Abstraction-Création. Dans ces années-là, elle explore la forme du cercle comme métaphore cosmique, forme qui contient toutes les autres. Elle est aussi la première artiste à utiliser les pois.

Cercles dynamiques, 1934, Sophie Taeuber

Elle fonde et dirige pendant plusieurs années la revue Plastique, visant à relier l’art européen à l’art américain ; le premier numéro rend hommage à Kazimir Malevitch, récemment disparu. Parmi ses amis proches, on compte Sonia et Robert Delaunay, Wassily Kandinsky, Joan Miró, Marcel Duchamp. Elle fait aussi partie du groupe Allianz, union de peintres suisses. Avant l’occupation nazie, Sophie et Hans fuient Paris pour Grasse, en zone libre, où ils fondent une colonie artistique. Fin 1942, ils se réfugient en Suisse. Dans la nuit du 13 janvier 1943, Sophie, ayant manqué le dernier tram, passe la nuit à Zurich chez Max Bill. Elle meurt d’une intoxication accidentelle au monoxyde de carbone due à un poêle défectueux. Elle avait cinquante-trois ans. Wassily Kandinsky a dit : « Sophie Taeuber-Arp s’exprimait, surtout dans les dernières années de sa vie, en utilisant presque exclusivement les formes les plus simples, les formes géométriques, invitant à un langage qui souvent n’était qu’un murmure ; mais bien souvent, le murmure est plus expressif, plus convaincant, plus séduisant qu’une voix forte qui éclate ici ou là. » Taeuber-Arp est la seule femme à avoir figuré sur la huitième série de billets suisses, apparaissant sur le billet de cinquante francs en circulation de 1995 à 2016.

Portrait de Sophie Taeuber sur le billet suisse de cinquante francs

Le 19 janvier 2016, Google crée un Doodle pour célébrer son 127e anniversaire.

Doodle Google pour Taeuber-Arp, 19 janvier 2016

De nombreux musées dans le monde conservent ses œuvres dans leurs collections, mais elle est longtemps restée dans l’ombre de son mari plus célèbre. Ce n’est qu’après la Seconde Guerre mondiale qu’elle commence à être réellement reconnue, son travail étant aujourd’hui largement considéré comme central dans l’abstraction. En 1943, elle est incluse dans l’exposition Exhibition by 31 Women organisée par Peggy Guggenheim à la galerie Art of This Century de New York. Une étape importante est la présentation de son œuvre à Documenta 1 en 1955, première grande exposition d’art contemporain en Allemagne de l’Ouest. En 1981, le MoMA de New York consacre une rétrospective à son œuvre, présentée ensuite au Museum of Contemporary Art de Chicago, au Museum of Fine Arts de Houston et au Musée d’art contemporain de Montréal. Une exposition itinérante, lancée en mars 2021 au Kunstmuseum Basel, est ensuite accueillie à la Tate Modern, puis au MoMA. Avec plus de 400 pièces, elle constitue la rétrospective la plus complète jamais réalisée sur son œuvre. À la Biennale de 2022, une petite bourse en tissu, brodée de perles de verre dessinant des motifs géométriques évoquant ses compositions picturales, est exposée.

Petite bourse en tissu de Sophie Taeuber, exposée à la Biennale 2022

Avec elle, la tapisserie devient danse, et la danse architecture.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

History remembers Sophie Taeuber as the wife of a great artist, Hans Arp, as a painter and creator of puppets, but forgets that she was a well-rounded artist: sculptor, furniture and interior designer, textile designer, choreographer, dancer and architect, and designer, among other things, of a house that influenced Le Corbusier. Although she lived through the tragedy of two world wars, she produced works in which joy and color triumph, so much so that critics called her "an artist who brought joy to dada." Her works are "joyful abstractions" that defy the established conventions of art by seemingly randomly shifting and moving shapes and colors in a kind of "visual jazz." 

Vase Bearer, 1916, 1916 - Sophie Taeuber

Composition of overlapping circles and angles, 1930, Sophie Taeuber

An eclectic artist, she made no distinction between Art with a capital A and the applied arts. She created furniture and stained glass, wooden sculptures and puppets, textiles and clothing, ceramics and rugs, posters and pillows, wallpaper and lamps, embroidered bags and jewelry. The lowest common denominator is such vitality and liveliness that her forms seem to dance. The rigidity of the geometric figures contrasts with the looseness of the composition and the excitement of the colors, with the result that circles, squares, and wavy lines dance before the eyes of the beholder. Sophie Taeuber was born on Jan. 19, 1889, in Davos, Switzerland, where her parents ran a pharmacy. Her father died of tuberculosis when she was two years old, and the family then moved to Trogen, also in Switzerland, where her mother opened a boarding house. Sophie, living in a culturally open environment, was able to discover her artistic inclination early on. She studied textile design in St. Gallen, then in Hamburg and Munich, but her first teacher was her mother, who taught her to sew. She returned to Switzerland in 1914 during World War I. She attended Laban's School of Dance in Zurich and performed at the Festival del Sole in Ascona. Rudolf Laban pursued the liberation of the body through movement, and Sophie immediately grasped its significance, transferring her interest in body movements into her works, understanding that there is no seamlessness between the arts - a choreography, a dance step, a fabric, a painting relate to each other because of profound similarities. At an exhibition at the Tanner Gallery she met what would become her husband, the artist Hans Arp, known as Jean, who had moved to Zurich to avoid, as other artists and intellectuals of the time did, being drafted into the German army and sent to war. The two influenced each other, producing four-handed works such as the Duo-collages. Together they became associated with the Dada movement, which was born in Zurich in 1916. A signatory of the Dada Manifesto, Sophie often performed at the famous Cabaret Voltaire, the Dadaist group's center of gathering. She took part in shows as a dancer, and designed puppets, costumes and sets.

Costumes for a performance at Cabaret Voltaire, 1916 - Sophie Tauber

Puppets: Angela (left) Dr. Komplex (dex), 1918 – Sophie Taeuber

The Dada phenomenon at Cabaret Voltaire was an international phenomenon, lasting only a few months, but it left indelible marks. Artists (male and female) moved on to Paris and Berlin and to Zurich itself, to the Galerie Dada, at whose opening in 1917 Sophie danced wearing a mask designed by Marcel Janco, while Hugo Ball recited his poems.

Photograph of Sophie Taeuber dancing in a mask and costume at the Galerie Dada in 1917

Combining her interest in the nascent Constructivist movement with textile design, Sophie began making textile works and non-figurative geometric paintings that she called "concrete," studied compositions of circles, squares, diagonal lines and other shapes.

Vertical-Horizontal-Composition, 1916 (sin)- Composition, 1931 (dex), Sophie Taeuber

From 1916 to 1929 she was assigned to teach textile design at the Zürich Kunstgewerbeschule (now Zurich University of the Arts), employment that enabled her to support herself and her husband. Her textile and graphic works of these years, with their pure geometric abstraction and rhythm derived from the interplay of color, form and movement, are among the earliest works of the emerging constructivism.

Wallpaper (left) - Cushion (right), 1920 - Sophie Taeuber

Half-year work (left) - Wood portrait of Jean Arp, 1918 (right) - Sophie Taeuber

In 1926, with her husband, she moved to Strasbourg, where they both took French citizenship. There Sophie received numerous commissions for interior design projects. It was to her that the Horn brothers assigned the task of decorating the Café de l'Aubette, a totally constructivist interior, an undertaking in which she generously joined Theo van Doesburg, who took credit for it, and her husband. The three artists created sets for a project that spanned four levels and included a cafeteria, restaurant, brasserie, tea room, cinema, dance hall, cabaret, and billiard room. Sophie is responsible for the Aubette-bar with Five-O'Clock Tea Room, Billiard Room, Foyer-bar, Landing, and Staircase. For the Aubette-bar, Sophie drew squares and rectangles covering the entire surface in predominantly warm colors, punctuated by areas of cool colors.

The Aubette-bar, 1926 - Sophie Taeuber

Tapestry for the Aubette tea room, 1928 - Sophie Taeuber

In 1927 she and Blanche Gauchet wrote a manual on textile art, entitled Welly Lowell. In 1928 she moved with her husband to Clamart, on the edge of the Meudon forest, to a house-atelier, designed by Sophie herself, a stone house that anticipated Le Corbusier's constructions.

Sophie Taeuber and Hans Arp's house in Meudon.

In 1930 she joined the Cercle e Carré group, a leader in non-figurative art, which merged the following year into Abstraction-Creátion. During these years she explored the form of the circle, which represented the cosmic metaphor, the form that contains all others, and was the first artist to use polka dots.

Dynamic Circles, 1934, Sophie Taeuber

She founded and directed for a few years the magazine Plastique, which aimed to connect European and American art and whose first issue was dedicated to celebrating Kazimir Malevič, who had recently passed away. Her circle of friends included Sonia and Robert Delaunay, Wassily Kandinsky, Joan Miró, and Marcel Duchamp. She was also a member of the Allianz, a union of Swiss painters. Before the Nazi occupation Taeuber and Arp fled Paris and moved to Grasse in Vichy France, where they established an art colony. At the end of 1942 they moved to Switzerland. On the night of January 13, 1943, Sophie, who had missed the last streetcar home, slept in Max Bill's house in Zurich. She died there from accidental carbon monoxide poisoning caused by a malfunctioning stove, at the age of fifty-three. Wassily Kandinsky said, "Sophie Taeuber-Arp expressed herself, especially in the last years of her life, using almost exclusively the simplest forms, the geometric shapes, inviting a language that was often only a whisper; but often even the whisper is more expressive, more convincing, more persuasive, than the loud voice that here and there is allowed to burst out." Taeuber-Arp was the only woman to be portrayed on the eighth series of Swiss banknotes, appearing on the fifty-franc banknote that ran from 1995 to 2016.

Portrait of Sophie Taeuber on the Swiss fifty-franc banknote.

On January 19, 2016, Google created a doodle to commemorate her 127th birthday.

Jan. 19, 2016, Google Doodle for Taeuber-Arp.

Many museums around the world have her works in their collections, but her consideration remained lower than that of her more famous husband for several years. She began to gain substantial recognition only after World War II, and her work is now generally accepted at the forefront of abstractionism. In 1943 she was included in the Peggy Guggenheim Exhibition by 31 Women at the Art of This Century gallery in New York. An important milestone was the exhibition of her work at Documenta 1 in 1955, the first major exhibition of contemporary art in West Germany. In 1981 MoMA in New York mounted a retrospective of her work that was subsequently shown at the Museum of Contemporary Art in Chicago, the Museum of Fine Arts in Houston, and the Musée d'art contemporain in Montréal. A traveling retrospective of her work started in Switzerland in March 2021 at Kunstmuseum Basel, then moved on to Tate Modern and then MoMA. With over four hundred pieces it was the most comprehensive and her first major exhibition. On display at the 2022 Biennial was one of her small cloth handbags with embroidered glass beads forming geometric patterns that hark back to the artist's pictorial compositions.

abric handbag created by Sophie Taeuber and exhibited at Biennale 2022.

With her, upholstery becomes dance and dance becomes architecture.

 

Inger Hanmann
Virginia Mariani

Giulia Tassi

 

Inger Hanmann era nata a Stege, in Danimarca, il 7 novembre 1918, da Niels Christoffer Clausen e Dagmar Madsen. Suo padre, veterinario, fin da piccola la incoraggiò a prendere lezioni di equitazione, e in seguito la indirizzò anche verso un’altra disciplina sportiva, la boxe. Da parte sua, Inger manifestò un vivo interesse per la musica e un grande talento per il disegno e per la pittura e furono le sue passioni ad avere la meglio. Quando suo padre si trasferì a Copenaghen, Inger infatti lo seguì, intraprendendo gli studi presso la Scuola di Design per Donne (Tegne- og Kunstindustriskolen for Kvinder) che durarono dal 1935 al 1938. Durante questo periodo fu influenzata dai dipinti di Matisse e di Picasso che poté ammirare nei musei; inoltre frequentò concerti di musica contemporanea e jazz. Inizialmente lavorò come insegnante e soltanto successivamente si dedicò alla pittura. Nel 1938 sposò l’avvocato Niels Aage Hoppe, figlio del primo insegnante Anders Christian H. e di Anna Nielsen. Con lui ebbe una figlia, Marianne. Il loro matrimonio finì con il divorzio nel 1947.

Un anno prima, nel 1946, Inger frequentò la scuola di pittura di Peter Rostrup Bøyesen a Copenaghen, completando i suoi studi nel 1952. Qui conobbe Poul Hanmann, un pittore, e lo sposò. Poul, figlio del maestro pittore Johan H. e di Antonie Christensen. Vissero in un piccolo e modesto appartamento a Sydhavnen, nel sud di Copenaghen, per trent’anni. In seguito si trasferirono a Gammel Kongevej e aprirono i loro atelier individuali. Qui insegnavano disegno, beneficiando dei guadagni che ricevevano dall'insegnamento dell'arte nei corsi serali. In questa fase della sua vita Inger Hanmann presenta anche figurini di moda sui giornali di Copenaghen, sviluppando il proprio stile artistico. Con Poul ebbe una seconda figlia, Charlotte, che in seguito divenne famosa come fotografa e pittrice.

Nel corso della sua carriera Inger Hanmann incontrò Marius Schou, direttore della C. Schous Fabrikker, che le consigliò di utilizzare lo smalto industriale per il suo lavoro artistico. Questo cambiamento portò a una nuova fase creativa, in cui Inger realizzò molte opere di argenteria smaltate, alcune intarsiate con foglie d’argento e d’oro. Gli effetti di luce e colore emanati dallo smalto esercitarono una notevole influenza sui suoi dipinti. Schou, infatti, la incoraggiò a sperimentare un utilizzo artistico della tecnica di smaltatura industriale che faceva parte della produzione dell'azienda. Inger iniziò così il lavoro su un ampio e sfaccettato numero di opere decorative innovative, alcune delle quali di grande formato. I suoi esperimenti attirarono l'attenzione di altri artisti e portarono a proficue collaborazioni con gli argentieri di A. Michelsen e Georg Jensen: qui trasferì la sua esperienza pittorica in una serie di opere originali smaltate. Le ciotole e i rilievi, lisci e in seguito anche ripiegati, sono tutti pezzi unici, decorati con smalto per gioielli e talvolta anche con fili intarsiati, foglia d'oro e argento fino. Queste opere prendono il nome di holloware, vale a dire ciotoline smaltate appunto. Le tecniche dello smalto hanno avuto un effetto sulla pittura di Inger Hanmann, che gradualmente si è quasi completamente liberata della base figurativa e ha acquisito forza e tranquillità attraverso una sempre maggiore semplificazione e immersione nella luce, nel colore e nella composizione.

Una delle grandi opere d'arte smaltata di Hanmann in relazione all'architettura dell’edificio è una scultura alla Landmandsbanken successivamente confluita nella Danske Bank, che è la più grande opera in smalto del mondo, inaugurata in occasione del 100° anniversario della banca nel 1971. Per l'aeroporto di Copenaghen, inoltre, nel 1989 ha costruito un manufatto in smalto che misura 100 metri quadrati. Ha anche realizzato diversi rilievi smaltati per la Stege School, la Virum Hall e la piscina di Hørsholm. Nel 1990 ha creato un grande dipinto a timpano a Gammel Kongevej e nel 1999 una scultura mobile alta quindici metri per la nuova ambasciata danese a Berlino.

Le opere d'arte non figurative di Hanmann sono state esposte in molte mostre e musei, a livello nazionale e internazionale. Nel 1984-85 ricevette una borsa di studio dalla National Bank Anniversary Foundation della Danimarca e nel 1988 beneficiò della borsa di studio Anne Marie Telmányi. Così, numerose mostre in patria e all'estero hanno consolidato la posizione di Inger Hanmann come interessante artista non figurativa. È stata, perciò, membro dell'associazione M59, cosa che comportò l’essere ospitata in numerosi musei e l’aver ricevuto diverse sovvenzioni, tra cui il Fondo per il Giubileo della Banca Nazionale nel 1984-85 e, nel 1988, la sovvenzione Anne Marie Telmányi. Nel corso degli anni, l'arte di Inger Hanmann ha acquisito la chiarezza e la forza tranquilla che si possono trovare nella musica, nella poesia o nella semplice ricchezza espressiva dello Zen giapponese. Dopo due matrimoni, il primo con un avvocato, il secondo con un pittore, con due figlie, dal 1981 al 1995 vivrà con un coinquilino, il pianista Boris Linderud, figlio del violinista Cone Gotfred L. e della pianista Ellen Louise Larsen.

Inger Hanmann, l’artista delle piccole grandi opere di vetro smaltato, è morta il 9 giugno 2007 ed è sepolta nel cimitero di Assistens a Copenaghen.


Traduzione francese

Lucrezia Pratesi

Inger Hanmann est née à Stege, au Danemark, le 7 novembre 1918, de Niels Christoffer Clausen et Dagmar Madsen. Son père, vétérinaire, l’encouragea dès l’enfance à suivre des cours d’équitation, puis à pratiquer également la boxe. Inger, de son côté, développa très tôt un vif intérêt pour la musique ainsi qu’un grand talent pour le dessin et la peinture, passions qui finirent par l’emporter. Lorsque son père s’installa à Copenhague, elle le suivit et intégra l’École de Design pour Femmes (Tegne- og Kunstindustriskolen for Kvinder), où elle étudia de 1935 à 1938. Durant ces années, elle fut profondément marquée par les œuvres de Matisse et Picasso qu’elle découvrit dans les musées ; elle assista également à de nombreux concerts de musique contemporaine et de jazz. Elle commença sa carrière comme enseignante, avant de se consacrer pleinement à la peinture. En 1938, elle épousa l’avocat Niels Aage Hoppe, fils du premier enseignant Anders Christian H. et d’Anna Nielsen. De cette union naquit leur fille Marianne. Le couple divorça en 1947.

En 1946, un an avant son divorce, Inger fréquente l’école de peinture de Peter Rostrup Bøyesen à Copenhague, où elle achève sa formation en 1952. C’est là qu’elle rencontra le peintre Poul Hanmann, qu’elle épousa par la suite. Fils du maître peintre Johan H. et d’Antonie Christensen, Poul s'installe avec Inger dans un petit appartement modeste à Sydhavnen, au sud de Copenhague, où ils vécurent pendant trente ans. Ils déménagèrent ensuite à Gammel Kongevej, où chacun installe son propre atelier. Ils y enseignaient le dessin, tirant leurs revenus de leurs cours du soir. C’est également durant cette période que Inger présenta des croquis de mode dans des journaux copenhaguois, affinant ainsi son style artistique. De son union avec Poul naquit leur seconde fille, Charlotte, qui devint plus tard une photographe et peintre renommée.

Au fil de sa carrière, Inger Hanmann fit la rencontre de Marius Schou, directeur de la C. Schous Fabrikker, qui lui conseilla d’utiliser l’émail industriel dans son travail artistique. Ce tournant marqua une nouvelle phase créative dans laquelle elle réalisa de nombreuses œuvres émaillées en argent, certaines incrustées de feuilles d’or et d’argent. La lumière et les couleurs diffusées par l’émail influencèrent fortement sa peinture. Schou l’encouragea à explorer artistiquement la technique de l’émaillage industriel, utilisée dans l’entreprise. Inger entama alors un vaste ensemble d’œuvres décoratives novatrices, dont certaines de très grand format. Ses expérimentations attirèrent l’attention d’autres artistes et débouchèrent sur des collaborations fécondes avec les orfèvres A. Michelsen et Georg Jensen, où elle appliqua son expérience de peintre à des créations uniques en émail. Bols et reliefs, d’abord lisses puis pliés, étaient décorés d’émail à bijoux, parfois enrichis de fils incrustés, de feuilles d’or ou d’argent pur. Ces objets, appelés holloware, désignent précisément ces petits récipients émaillés. Les techniques d’émaillage influencèrent en profondeur la peinture d’Inger Hanmann, qui abandonna peu à peu toute base figurative au profit d’une force tranquille, d’une simplicité croissante et d’une immersion dans la lumière, la couleur et la composition.

L’une de ses œuvres majeures intégrant l’émail dans l’architecture est une sculpture pour la Landmandsbanken (devenue par la suite Danske Bank), considérée comme la plus grande œuvre émaillée au monde, inaugurée en 1971 à l’occasion du centenaire de la banque. En 1989, elle réalise également une œuvre en émail de 100 mètres carrés pour l’aéroport de Copenhague. Elle créa par ailleurs plusieurs reliefs émaillés pour l’école de Stege, la salle Virum et la piscine de Hørsholm. En 1990, elle peignit un grand tympan à Gammel Kongevej, et en 1999, une sculpture mobile de quinze mètres de haut pour la nouvelle ambassade du Danemark à Berlin.

L’art non figuratif d’Inger Hanmann a été exposé dans de nombreuses galeries et musées, tant au Danemark qu’à l’étranger. En 1984-1985, elle bénéficie d’une bourse de la Fondation pour l'Anniversaire de la Banque Nationale du Danemark, et en 1988, de la bourse Anne-Marie Telmányi. Ces expositions consolidèrent sa place parmi les artistes abstraits les plus intéressants de son pays. Elle fut également membre de l’association M59, ce qui lui permit d’exposer dans divers musées et d’obtenir d’autres soutiens financiers. Avec le temps, l’art d’Inger Hanmann gagne en clarté et en sérénité, évoquant parfois la musique, la poésie ou la richesse expressive simple du zen japonais. Après deux mariages – le premier avec un avocat, le second avec un peintre – et deux filles, elle vécut, de 1981 à 1995, avec le pianiste Boris Linderud, fils du violoniste Cone Gotfred L. et de la pianiste Ellen Louise Larsen.

Inger Hanmann, l’artiste des petites grandes œuvres en verre émaillé, est décédée le 9 juin 2007. Elle repose aujourd’hui au cimetière Assistens de Copenhague.


Traduzione spagnola

Alessandra Barbagallo

Inger Hanmann nació en Stege, Dinamarca, el 7 de noviembre de 1918, hija de Niels Christoffer Clausen y Dagmar Madsen. Su padre, veterinario, la animó desde pequeña a tomar clases de equitación y más adelante también la orientó hacia otra disciplina deportiva: el boxeo. Por su parte, Inger mostró un vivo interés por la música y un gran talento para el dibujo y la pintura, y fueron estas pasiones las que prevalecieron al final. Cuando su padre se trasladó a Copenhague, Inger lo siguió, comenzando sus estudios en la Escuela de Diseño para Mujeres (Tegne- og Kunstindustriskolen for Kvinder), donde cursó entre 1935 y 1938. Durante este periodo fue influenciada por las pinturas de Matisse y Picasso, que pudo admirar en los museos; además, asistió a conciertos de música contemporánea y jazz. Inicialmente trabajó como profesora, y solo posteriormente se dedicó a la pintura. En 1938 se casó con el abogado Niels Aage Hoppe, hijo del maestro Anders Christian H. y de Anna Nielsen. Con él tuvo una hija, Marianne. El matrimonio terminó en divorcio en 1947.

Un año antes, en 1946, Inger asistió a la escuela de pintura de Peter Rostrup Bøyesen en Copenhague, completando sus estudios en 1952. Allí conoció al pintor Poul Hanmann, con quien se casó. Poul era hijo del maestro pintor Johan H. y de Antonie Christensen. Vivieron durante treinta años en un pequeño y modesto apartamento en Sydhavnen, al sur de Copenhague. Más adelante se mudaron a Gammel Kongevej y abrieron sus propios estudios. Enseñaban dibujo, beneficiándose de los ingresos obtenidos al impartir clases nocturnas de arte. En esta etapa de su vida, Inger Hanmann también presentaba figurines de moda en periódicos de Copenhague, desarrollando su estilo artístico personal. Con Poul tuvo una segunda hija, Charlotte, quien más adelante se haría famosa como fotógrafa y pintora.

Durante su carrera, Inger Hanmann conoció a Marius Schou, director de la fábrica C. Schous Fabrikker, quien le aconsejó utilizar esmalte industrial en su trabajo artístico. Este consejo marcó el inicio de una nueva fase creativa, durante la cual Inger realizó muchas obras de platería esmaltadas, algunas incrustadas con hojas de oro y plata. Los efectos de luz y color del esmalte influyeron notablemente en su pintura. De hecho Schou la animó a experimentar con un uso artístico de la técnica de esmaltado industrial, que formaba parte de la producción de la empresa. Así Inger empezó su trabajo en una amplia y variada serie de obras decorativas innovadoras, algunas de gran formato. Sus experimentaciones llamaron la atención de otros artistas y dieron lugar a fructíferas colaboraciones con los plateros A. Michelsen y Georg Jensen y trasladó su experiencia pictórica a una serie de obras originales esmaltadas. Los cuencos y los relieves, lisos y más tarde también rugosos, son piezas únicas, decoradas con esmalte para joyería y, a veces, con hilos incrustados, hojas de oro y plata fina. Estas obras se conocen como holloware, es decir, pequeños cuencos esmaltados. Las técnicas del esmalte influyeron también en la pintura de Inger Hanmann, quien poco a poco se alejó casi completamente de la base figurativa, alcanzando una fuerza y serenidad mediante una siempre más creciente simplificación e inmersión en la luz, en el color y en la composición.

Una de las grandes obras esmaltadas de Hanmann en relación con la arquitectura es una escultura en el edificio de Landmandsbanken, posteriormente integrada en Danske Bank, se trata de la mayor obra de esmalte del mundo, inaugurada con motivo del centenario del banco en 1971. Para el aeropuerto de Copenhague, además, en 1989 construyó una obra esmaltada de 100 metros cuadrados. También realizó varios relieves esmaltados para la escuela de Stege, el pabellón Virum y la piscina de Hørsholm. En 1990 creó una gran pintura en tímpano en Gammel Kongevej y en 1999 una escultura móvil de quince metros de altura para la nueva embajada danesa en Berlín.

Las obras de arte no figurativas de Hanmann han sido expuestas en muchas exposiciones y museos, tanto a nivel nacional como internacional. En 1984-85 recibió una beca de la Fundación del Aniversario del Banco Nacional de Dinamarca y en 1988 benefició de la beca Anne Marie Telmányi. Numerosas exposiciones en su país y en el extranjero consolidaron la posición de Inger Hanmann como una artista no figurativa de gran interés. Fue, por ello, miembro de la asociación M59, lo que le permitió estar presente en numerosos museos y recibir distintas subvenciones, entre ellas la del Fondo del Jubileo del Banco Nacional en 1984-85 y, en 1988, la subvención Anne Marie Telmányi. A lo largo de los años, el arte de Inger Hanmann adquirió la claridad y la fuerza serena que pueden encontrarse en la música, la poesía o en la expresiva sencillez del Zen japonés. Tras dos matrimonios, el primero con un abogado y el segundo con un pintor, y con dos hijas, vivió desde 1981 hasta 1995 con un compañero de piso, el pianista Boris Linderud, hijo del violinista Cone Gotfred L. y de la pianista Ellen Louise Larsen.

Inger Hanmann, la artista de las pequeñas grandes obras en vidrio esmaltado, murió el 9 de junio de 2007 y está enterrada en el cementerio de Assistens, en Copenhague.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Inger Hanmann was born in Stege, Denmark, on November 7, 1918, to Niels Christoffer Clausen and Dagmar Madsen. Her father, a veterinarian, encouraged her to take riding lessons from an early age, and later also directed her toward another sport, boxing. For her part, Inger manifested a keen interest in music and a great talent for drawing and painting, and it was those passions that prevailed. When her father moved to Copenhagen, Inger followed him, undertaking studies at the School of Design for Women (Tegne- og Kunstindustriskolen for Kvinder) that lasted from 1935 to 1938. During that period she was influenced by the paintings of Matisse and Picasso that she could admire in museums. She also attended contemporary music and jazz concerts. Initially she worked as a teacher and only later devoted herself to painting. In 1938 she married lawyer Niels Aage Hoppe, son of her first teacher Anders Christian H. and Anna Nielsen. With him she had a daughter, Marianne. Their marriage ended in divorce in 1947.

A year earlier, in 1946, Inger attended Peter Rostrup Bøyesen's painting school in Copenhagen, completing his studies in 1952. There she met Poul Hanmann, a painter, and married him. Poul was the son of master painter Johan H. and Antonie Christensen. They lived in a small, modest apartment in Sydhavnen, south Copenhagen, for 30 years. Later they moved to Gammel Kongevej and opened their individual studios. There they taught drawing, benefiting from the income they received from teaching art in evening classes. At this stage of her life Inger Hanmann also presented fashion sketches in Copenhagen newspapers, developing her own artistic style. With Poul she had a second daughter, Charlotte, who later became famous as a photographer and painter.

During her career Inger Hanmann met Marius Schou, director of C. Schous Fabrikker, who advised her to use industrial enamel for her artwork. This change led to a new creative phase, in which Inger produced many enameled silver works, some inlaid with silver and gold leaf. The effects of light and color emanating from the enamel exerted a considerable influence on her paintings. Schou encouraged her to experiment with an artistic use of the industrial enameling technique that was part of the company's production. Inger thus began work on a large and multifaceted number of innovative decorative works, some of them large-scale. Her experiments attracted the attention of other artists and led to fruitful collaborations with the silversmiths of A. Michelsen and Georg Jensen. There she transferred her pictorial experience to a series of original enameled works. The bowls and reliefs, plain and later also folded, are all unique pieces, decorated with jewelry enamel and sometimes also with inlaid threads, gold leaf and fine silver. These works are called holloware, meaning enameled bowls. Enamel techniques had an effect on Inger Hanmann's painting, which gradually became almost completely free of its figurative basis and gained strength and tranquility through an increasing simplification and immersion in light, color and composition.

One of Hanmann's great works of enamel art in relation to the architecture of a building is a sculpture at Landmandsbanken later merged into Danske Bank, which is the largest enamel work in the world, opened on the occasion of the bank's 100th anniversary in 1971. For Copenhagen Airport, she also built an enamel artifact measuring 100 square meters in 1989. She also made several enamel reliefs for the Stege School, Virum Hall, and the Hørsholm swimming pool. In 1990 she created a large gable painting at Gammel Kongevej and in 1999 a fifteen-meter-tall mobile sculpture for the new Danish Embassy in Berlin.

Hanmann's nonrepresentational artworks have been shown in many exhibitions and museums, nationally and internationally. In 1984-85 she received a fellowship from the National Bank Anniversary Foundation of Denmark, and in 1988 she benefited from the Anne Marie Telmányi Fellowship. Thus, numerous exhibitions at home and abroad solidified Inger Hanmann's position as an interesting non-figurative artist. She was, therefore, a member of the M59 association, which involved being hosted in numerous museums and receiving several grants, including the National Bank's Jubilee Fund in 1984-85 and, in 1988, the Anne Marie Telmányi grant. Over the years, Inger Hanmann's art has acquired the clarity and quiet strength that can be found in music, poetry or the simple expressive richness of Japanese Zen. After two marriages, the first to a lawyer, the second to a painter, with two daughters, from 1981 to 1995 she lived with a roommate, pianist Boris Linderud, son of violinist Cone Gotfred L. and pianist Ellen Louise Larsen.

Inger Hanmann, the artist of small and large enameled glass works, died June 9, 2007, and is buried in Assistens Cemetery in Copenhagen.

 

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