Natalia Goncharova
Laura Candiani

Dongni Wei

 

Nata il 3 luglio 1881 in Russia, nelle tenute della sua nobile famiglia presso Tula, Natal'ja Sergeevna Gončarova prende il nome di una bellissima e celebre antenata, colei che fece letteralmente impazzire di gelosia il marito Alekandr Puškin, morto in seguito a un duello. A Mosca, dove si traferisce nel 1891, studia medicina e poi scultura, quindi pittura che meglio offre l'opportunità di cogliere «la fragilità commovente di un fiore o la freschezza di un fiore primaverile». Qui incontra il compagno della vita, l'artista Mikhail Larionov, con cui formerà una coppia "aperta" e si legherà in matrimonio nel 1955, solo per motivi di reciproca eredità. La loro carriera corre parallela e il loro sodalizio artistico sarà solidissimo. Insieme fanno parte degli animatori della rivista Vello d'oro, aperta alle avanguardie artistiche. Insieme sperimenteranno, viaggeranno, faranno scandalo, frequenteranno le/gli intellettuali più importanti dell'epoca e, grazie a due ricchissimi collezionisti russi, conosceranno le opere di Cezanne, Matisse, Gauguin, Picasso, a cui Natal'ja si è avvicinata fino dal 1906, quando già espone a Parigi. Nel 1910 formano un gruppo su posizioni artistiche radicali, attivo per circa sette anni, denominato Fante di quadri. Altri movimenti d'avanguardia a cui dettero vita, dai nomi assai fantasiosi, furono il Cavaliere di diamanti, il Coda d'asino, il Raggismo. Nel 1912 Natalia espose una cinquantina di opere, volutamente distanti dalle correnti occidentali, in cui riprese la tradizione russa.

Natalia Goncharova in una foto del 1916

Fatto insolito, per non dire eccezionale, per una giovane artista, e donna, nel 1913 le venne dedicata nella galleria di Klavdia Mikhailova una retrospettiva che pare ospitasse ben 700 lavori a testimonianza del suo audace eclettismo: dipinti, sculture, bozzetti, figurini, ricami, disegni per carta da parati e tessuti. La mostra ebbe un successo straordinario, fu visitata da 12000 persone e furono vendute 31 opere per 5000 rubli. Quell'anno, insieme al compagno e all'amico scrittore Ilia Zdanevich, avevano compiuto un gesto senza precedenti, che oggi inseriremmo nella body-art; si erano infatti dipinti il volto e il corpo, intanto passeggiavano per le vie di Mosca declamando versi e scandalizzando le persone con questa inedita e originalissima performance futurista. Non contenta, Natal'ja diventa attrice e compare nel primo film dell'avanguardia russa, in cui balla il tip-tap; si tratta di Dramma nel Cabaret futurista n.13. Quando le è stata dedicata a Firenze una grandiosa mostra a Palazzo Strozzi (settembre 2019-gennaio 2020) in cui era esposta una significativa selezione che spaziava nei generi che le furono congeniali, si è potuto finalmente apprezzare il suo genio, cominciando dalla pittura. Influenzata sì dalla tradizione europea, ma orgogliosa delle proprie radici culturali e artistiche, diceva:

«L'arte del mio Paese è incomparabilmente più profonda di tutto ciò che conosce l'Occidente»

Fu la prima pittrice a esporre quadri con donne nude in Russia, e fu scandalo; addirittura ci furono sequestri da parte delle autorità: per Modella su sfondo blu fu accusata di immoralità e pornografia perché il ritratto è dettagliato ed esplicito nella descrizione del corpo, mentre la posa è davvero originale, con quelle braccia sollevate e quel sesso in primo piano. Ma poi arrivò l'assoluzione. Ancora oggi su internet è un'impresa trovarlo in forma integrale. Produsse anche dipinti di argomento sacro, e così fece ugualmente scandalo perché questo genere, da sempre, era riservato agli uomini; d'altra parte era convinta che essere a immagine e somiglianza di Dio non fosse solo appannaggio dell'uomo e che l'intelligenza si manifestasse allo stesso modo in entrambi i sessi. I suoi Evangelisti vennero sequestrati perché così moderni da apparire agli occhi dei censori più tradizionalisti quasi delle parodie blasfeme, ma ancora una volta venne assolta. Al ritorno dalla Grande guerra del compagno, gravemente ferito, raffigura battaglie, trincee, soldati, cadaveri in una serie di litografie, non ne dà una visione romantica ed eroica, tutt'altro: offre invece un'immagine straziante, forte, senza abbellimenti, in cui l'esercito russo viene protetto dai due santi Giorgio di Cappadocia e Aleksandr Nevsky.

Natalia Gontcharova, Saint Alexandre Nevski, 1914, litografia. Crediti : The Ethel Morrison Van Derlip Fund

Natal'ja continuava a cambiare, a sperimentare, a utilizzare la sua inesauribile vena creatrice, quindi le furono congeniali la moda e il teatro. Veniamo dunque alla fruttuosa collaborazione con Sergej Pavlovič Djagilev, il massimo regista, coreografo, impresario che la Russia abbia avuto. Per diversi suoi balletti ideò costumi e scene e nelle fasi preparatorie, in cui non disdegnava i più faticosi lavori manuali, si vestiva da uomo, utilizzando comode tute da operaio. In mostra a Firenze si poterono ammirare, su dei manichini, alcuni complessi ed elaborati abiti per Il gallo d'oro (1913), ma erano altrettanto interessanti i bozzetti realizzati con tecniche varie: carta, collage, stoffa, mosaici, sfondi d'oro alla maniera bizantina da lei studiati per il balletto Liturgie, mai messo in scena a causa della guerra. «Il compito del costume ― diceva ― non è quello di vestire, ma piuttosto di materializzare il personaggio immaginato, il suo tipo, il suo carattere». Dal 1919 Natal'ja non tornò più in Russia e si stabilì a Parigi. Qui lavorò nel negozio di arazzi di Marie Cuttoli, la Maison Myrbor, mentre quando era ancora in patria aveva collaborato con la famosa stilista Nadejda Lamonava, unendo eleganza e materiali poveri tipici della sua terra. Viaggiò allora per l'Europa: fu in Svizzera e in Italia, sempre vicina al futurismo, di cui apprezzava quel celebrato dinamismo e quella ricerca di innovazioni e modernità, ma pure all'astrattismo e al cubismo. A Roma fu l'unica collaboratrice di sesso femminile dell'esigente Djagilev, che la stimava moltissimo, per l'allestimento di Les Contes russes, ma il loro bel rapporto proseguì con Sadko, Les noces, L'uccello di fuoco. Dalla Spagna portò un profondo influsso che trasmise alla sua arte, dipingendo figure femminili ornate con mantiglie, scialli, pèttini sui capelli raccolti, ma pure utilizzò per i balletti mai realizzati dal vivo Rapsodia española e Triana ispirati al flamenco, e come spunto per oggetti d'arredo; a Firenze si poté apprezzare per la prima volta un meraviglioso paravento del 1928 con motivi floreali, proveniente da Chicago.

Natalia Goncharova, 1913, Il ciclista, olio su tela, 78x105 cm, Museo Russo, San Pietroburgo Natalia Goncharova, Scenografia per il «Gallo d'Oro», 1914. Guazzo e olio su tela. 

Non va dimenticato in questa vicenda cosa stava accadendo in Russia e nel mondo: dal crollo della borsa alla depressione, dall'avvento di Stalin al regime sempre più autoritario; le avanguardie non erano viste affatto con benevolenza, l'arte "degenerata" non piace ai dittatori, all'Ovest come ad Est, quindi molte opere vengono distrutte, o lasciate in depositi, si va verso il disprezzo e la generale dimenticanza, con il rischio che un grande patrimonio artistico scompaia per sempre. Impossibile poi rientrare in Russia. Ecco la delusione e il rischio della miseria: Natal'ja e il marito sono costretti a vendere parecchi quadri, a vivere con poco illustrando libri e collaborando alla realizzazione di balletti; morto Djagilev e sciolta la compagnia dei Ballets Russes nel 1929, lavora per il Royal Ballet, per i Ballets Russes di Monte Carlo, per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas.

Con l'avanzare dell'età, arrivano pure i problemi di salute. Dal momento che anche la vita privata di Natal'ja fu senz'altro originale, nella coppia si era introdotto nel frattempo un terzo elemento, una donna che fu sorella, amica, amante, compagna; Alexandra Tomilina sarà, alla morte dell'artista, avvenuta a Parigi il 17 ottobre 1962, la seconda moglie di Larionov che morì a sua volta solo due anni dopo, nominandola erede. Alexandra decise di lasciare tutte le opere allo Stato sovietico che le ha disposte in una sede apposita, non essendo sufficienti le sale della Galleria Tretyakov. Significativo che i tre siano sepolti insieme, nel cimitero della cittadina francese dove vivevano: Ivry-sur-Seine, alle porte della capitale.

Natalia Goncharova, Ritratto, 1907

Traduzione francese

Lucrezia Pratesi

Née le 3 juillet 1881 en Russie, sur les terres de sa noble famille près de Toula, Natalia Sergueïevna Gontcharova doit son prénom à une aïeule célèbre et d’une grande beauté, celle-là même qui rendit son mari Alexandre Pouchkine littéralement fou de jalousie, au point de mourir à la suite d’un duel. À Moscou, où elle s’installe en 1891, elle étudie d’abord la médecine, puis la sculpture, avant de se tourner vers la peinture, qui lui semble offrir davantage la possibilité de saisir « la fragilité touchante d’une fleur ou la fraîcheur d’un bourgeon printanier ». C’est là qu’elle rencontre l’artiste Mikhaïl Larionov, compagnon de vie avec lequel elle formera un couple « ouvert » et qu’elle épousera en 1955, uniquement pour des raisons d’héritage réciproque. Leur parcours artistique est parallèle et leur union, solidement fondée sur une profonde complicité créative. Ensemble, ils participent à l’animation de la revue La Toison d’or, ouverte aux avant-gardes artistiques. Ensemble, ils expérimentent, voyagent, provoquent des scandales, fréquentent les intellectuel·le·s les plus en vue de l’époque et, grâce à deux riches collectionneurs russes, découvrent les œuvres de Cézanne, Matisse, Gauguin, Picasso, auxquels Natalia s’intéresse dès 1906, année où elle expose déjà à Paris. En 1910, ils fondent un groupe aux positions artistiques radicales, actif pendant environ sept ans, nommé Valet de carreau. D’autres mouvements d’avant-garde verront le jour sous leur impulsion, aux noms tout aussi imaginatifs, tels que Le Cavalier de diamant, La Queue d’âne ou encore Le Rayonisme. En 1912, Natalia expose une cinquantaine d’œuvres délibérément éloignées des courants occidentaux, dans lesquelles elle réinterprète la tradition russe.

Natalia Gontcharova sur une photo de 1916

Fait insolite, voire exceptionnel pour une jeune femme artiste, en 1913, une rétrospective lui est consacrée à la galerie de Klavdia Mikhailova, présentant pas moins de 700 œuvres témoignant de son audacieux éclectisme : peintures, sculptures, esquisses, croquis de mode, broderies, dessins pour papiers peints et tissus. L’exposition connaît un succès retentissant, accueillant 12 000 visiteurs et vendant 31 œuvres pour un total de 5 000 roubles. Cette même année, avec son compagnon et l’écrivain Ilia Zdanevitch, elle réalise un geste sans précédent que l’on qualifierait aujourd’hui de body art : ils peignent leur visage et leur corps, puis déambulent dans les rues de Moscou en déclamant des vers, scandalisant les passants par cette performance futuriste aussi inédite qu’originale. Mais Natalia ne s’arrête pas là : elle devient actrice et apparaît dans le premier film d’avant-garde russe, où elle danse du tap dance ; il s’agit de Drame au cabaret futuriste n° 13. Lorsque, à Florence, lui est consacrée une grande exposition au Palazzo Strozzi (septembre 2019 – janvier 2020), présentant une sélection significative d’œuvres couvrant les divers genres qui lui étaient familiers, on peut enfin apprécier l’étendue de son génie, à commencer par la peinture. Si elle est influencée par la tradition européenne, elle demeure fière de ses racines culturelles et artistiques. Elle affirme:

«L’art de mon pays est incomparablement plus profond que tout ce que connaît l’Occident»

Elle est la première femme peintre à exposer en Russie des tableaux représentant des femmes nues – et cela provoque un scandale ; certaines œuvres sont même saisies par les autorités. Pour Modèle sur fond bleu, elle est accusée d’immoralité et de pornographie, car le portrait, détaillé et explicite dans la description du corps, présente une pose tout à fait originale, avec les bras levés et le sexe au premier plan. Elle est finalement acquittée. Encore aujourd’hui, il est difficile d’en trouver une version complète sur Internet. Elle produit aussi des peintures à sujet religieux, ce qui provoque un autre scandale : ce genre, de tout temps réservé aux hommes, lui semble pourtant accessible, car elle est convaincue que l’être humain, homme ou femme, est à l’image de Dieu et que l’intelligence se manifeste de manière égale chez les deux sexes. Ses Évangélistes sont saisis par les censeurs, qui jugent ces œuvres si modernes qu’elles leur paraissent presque blasphématoires – mais là encore, elle est acquittée. Au retour de la Grande Guerre, alors que son compagnon est gravement blessé, elle réalise une série de lithographies représentant batailles, tranchées, soldats, cadavres – sans aucune vision romantique ni héroïque, bien au contraire : elle livre une image poignante, brute, sans fard, où l’armée russe est protégée par deux saints, Georges de Cappadoce et Alexandre Nevski.

Natalia Gontcharova, Saint Alexandre Nevski, 1914, lithographie. Crédit : The Ethel Morrison Van Derlip Fund

Natalia n’a jamais cessé d’évoluer, d’expérimenter, d’exploiter sa créativité inépuisable ; la mode et le théâtre deviennent pour elle des domaines tout aussi naturels. C’est ainsi qu’elle collabore avec Serge Pavlovitch Diaghilev, le plus grand metteur en scène, chorégraphe et impresario que la Russie ait connu. Elle conçoit costumes et décors pour plusieurs de ses ballets et, lors des phases préparatoires, n’hésite pas à effectuer des tâches manuelles fatigantes, vêtue d’une salopette d’ouvrier. À Florence, on a pu admirer sur des mannequins les costumes complexes et élaborés qu’elle avait conçus pour Le Coq d’or (1913), mais aussi ses esquisses, réalisées dans des techniques variées : papier, collage, tissu, mosaïque, fonds dorés dans le style byzantin qu’elle avait étudié pour le ballet Liturgies, jamais monté à cause de la guerre. « Le rôle du costume – disait-elle – n’est pas d’habiller, mais de matérialiser le personnage imaginé, son type, son caractère». À partir de 1919, Natalia ne retournera plus jamais en Russie et s’installe à Paris. Elle travaille dans la boutique de tapisseries de Marie Cuttoli, la Maison Myrbor. Lorsqu’elle était encore dans son pays natal, elle avait déjà collaboré avec la célèbre styliste Nadejda Lamonava, alliant élégance et matériaux pauvres propres à sa terre d’origine. Elle voyage ensuite en Europe : en Suisse, en Italie, restant proche du futurisme, dont elle apprécie le dynamisme exalté, la recherche de nouveauté et de modernité, mais aussi du cubisme et de l’abstraction. À Rome, elle est la seule femme à collaborer avec l’exigeant Diaghilev, qui l’estime profondément, pour la mise en scène de Les Contes russes, puis encore pour Sadko, Les Noces, L’Oiseau de feu. L’Espagne exerce sur elle une profonde influence qu’elle transmet à son art : elle peint des figures féminines ornées de mantilles, de châles, de peignes dans les cheveux relevés. Elle conçoit aussi des projets de ballets jamais montés, comme Rhapsodie espagnole ou Triana, inspirés du flamenco, ainsi que des objets décoratifs. À Florence, on a pu admirer pour la première fois un merveilleux paravent datant de 1928, orné de motifs floraux, venu de Chicago.

Natalia Goncharova, 1913, Le Cycliste, huile sur toile, 78 x 105 cm, Musée Russe, Saint-Pétersbourg Natalia Goncharova, Décor pour «Le Coq d’or», 1914. Gouache et huile sur toile. 

Il ne faut pas oublier le contexte historique : l’effondrement de la Bourse, la dépression, l’arrivée au pouvoir de Staline et l’instauration d’un régime toujours plus autoritaire. Les avant-gardes ne sont pas en odeur de sainteté, ni à l’Ouest ni à l’Est : l’art « dégénéré » n’a pas la faveur des dictateurs, et de nombreuses œuvres sont détruites ou reléguées dans des dépôts. C’est l’époque du mépris et de l’oubli, au risque de voir disparaître à jamais un immense patrimoine artistique. Il est alors impossible de rentrer en Russie. Déception et misère guettent : Natalia et son mari sont contraints de vendre nombre de leurs tableaux, vivent avec peu, illustrent des livres, collaborent à la création de ballets. Après la mort de Diaghilev et la dissolution des Ballets russes en 1929, elle travaille pour le Royal Ballet, pour les Ballets russes de Monte-Carlo, puis pour le Grand Ballet du marquis de Cuevas.

Avec l’âge, les problèmes de santé apparaissent. Et puisque la vie privée de Natalia fut elle aussi originale, un troisième personnage s’était introduit dans le couple : une femme qui fut sœur, amie, amante, compagne. Alexandra Tomilina deviendra, à la mort de l’artiste à Paris le 17 octobre 1962, la seconde épouse de Larionov, mort à son tour deux ans plus tard, en la nommant héritière. Alexandra décide de léguer toutes les œuvres à l’État soviétique, qui leur consacre un lieu spécifique, la Galerie Tretiakov ne suffisant pas à les accueillir. Fait significatif : les trois sont enterrés ensemble dans le cimetière de la ville française où ils vécurent, Ivry-sur-Seine, aux portes de la capitale.

Natalia Gontcharova, Portrait, 1907

Traduzione spagnola

Laura Cavallaro

Nacida el 3 de julio de 1881 en Rusia, en las fincas de su noble familia cerca de Tula, Natal'ja Sergeevna Gončarova toma el nombre de una hermosa y célebre antepasada, aquella que literalmente hizo enloquecer de celos a su marido Alekandr Puškin, quien murió posteriormente en un duelo. En Moscú, adonde se traslada en 1891, estudia medicina, luego escultura y, finalmente, pintura, que mejor le permite captar «la fragilidad conmovedora de una flor o la frescura de una flor primaveral». Allí conoce al compañero de su vida, el artista Mikhail Larionov, con quien formará una pareja "abierta" y con quien se casará en 1955, solo por motivos de herencia recíproca. Sus carreras artísticas corren en paralelo y su colaboración será muy sólida. Juntos forman parte de los impulsores de la revista Vello d’oro, abierta a las vanguardias artísticas. Juntos experimentarán, viajarán, escandalizarán, frecuentarán a las/os intelectuales más importantes de la época y, gracias a dos riquísimos coleccionistas rusos, conocerán las obras de Cézanne, Matisse, Gauguin, Picasso, a quienes Natal’ja ya se había acercado desde 1906, cuando ya exponía en París. En 1910 fundan un grupo de tendencias artísticas radicales, activo durante unos siete años, denominado Sota de diamantes. Otros movimientos vanguardistas que impulsaron, con nombres muy creativos, fueron El caballero de diamantes, La cola de burro, El rayonismo. En 1912 Natal’ja expuso unas cincuenta obras, deliberadamente alejadas de las corrientes occidentales, retomando la tradición rusa.

Natalia Goncharova en una foto de 1916

Hecho inusual, por no decir excepcional, para una joven artista, y además mujer, en 1913 se le dedicó una retrospectiva en la galería de Klavdia Mikhailova que al parecer albergaba unas 700 obras, testimonio de su audaz eclecticismo: pinturas, esculturas, bocetos, figurines, bordados, dibujos para papel, tapiz y telas. La muestra tuvo un éxito extraordinario, fue visitada por 12000 personas y se vendieron 31 obras por 5000 rublos. Ese mismo año, junto a su compañero y al escritor Ilia Zdanevich, realizaron un gesto sin precedentes, que hoy consideraríamos body-art: se pintaron el rostro y el cuerpo y pasearon así por las calles de Moscú recitando versos y escandalizando al público con esta performance futurista, tan original como provocadora. No conforme con todo esto, Natal’ja se convierte en actriz y aparece en la primera película de la vanguardia rusa, donde baila claqué; se trata de Drama en el cabaret futurista nº. 13. Cuando se le dedicó una gran exposición en el Palazzo Strozzi de Florencia (septiembre de 2019-enero de 2020) en la que se presentó una significativa selección de obras en los géneros que le fueron más afines, pudo por fin apreciarse su genio, empezando por la pintura. Influenciada por la tradición europea, pero orgullosa de sus raíces culturales y artísticas, afirmaba:

«El arte de mi país es incomparablemente más profundo que todo lo que conoce Occidente»

Fue la primera pintora en exhibir cuadros con mujeres desnudas en Rusia, y causó escándalo; incluso hubo confiscaciones por parte de las autoridades: por Modelo sobre fondo azul fue acusada de inmoralidad y pornografía, ya que el retrato es detallado y explícito en la descripción del cuerpo, mientras que la pose es realmente original, con los brazos levantados y los genitales en primer plano. Pero después fue absuelta. Aún hoy es difícil encontrar esa obra completa en internet. También realizó pinturas de tema religioso, lo que igualmente provocó escándalo, ya que este género, tradicionalmente, estaba reservado a los hombres; por otro lado, ella estaba convencida de que ser imagen y semejanza de Dios no era privilegio exclusivo del hombre y que la inteligencia se manifestaba por igual en ambos sexos. Sus Evangelistas fueron confiscados por ser tan modernos que, a ojos de los censores más tradicionalistas, casi parecían parodias blasfemas, pero nuevamente fue absuelta. Tras el regreso de su compañero gravemente herido en la Gran Guerra, representa batallas, trincheras, soldados, cadáveres en una serie de litografías, que no ofrecen una visión romántica ni heroica, sino más bien una imagen desgarradora, fuerte, sin adornos, en la que el ejército ruso aparece protegido por los santos Jorge de Capadocia y Aleksandr Nevski.

Natalia Goncharova, San Alejandro Nevski, 1914, litografía. Créditos: The Ethel Morrison Van Derlip Fund

 Natal’ja no paraba de cambiar, experimentando, utilizando su inagotable vena creativa, y por eso se sintió cómoda con la moda y el teatro. Llegamos así a su fructífera colaboración con Serguéi Pávlovich Diáguilev, el mayor director, coreógrafo y empresario que ha tenido Rusia. Para varios de sus ballets creó vestuarios y escenografías y, en las fases preparatorias, en las que no desdeñaba los trabajos manuales más duros, se vestía de hombre, utilizando cómodos overoles de obrero. En la exposición de Florencia pudieron admirarse, sobre maniquíes, algunos trajes complejos y elaborados para El gallo de oro (1913), pero también eran muy interesantes los bocetos realizados con técnicas varias: papel, collage, tela, mosaicos, fondos dorados al estilo bizantino que ella estudió para el ballet Liturgias, nunca representado a causa de la guerra. «La función del vestuario ―decía― no es vestir, sino materializar al personaje imaginado, su tipo, su carácter». A partir de 1919 Natal’ja no volvió más a Rusia y se estableció en París. Allí trabajó en la tienda de tapices de Marie Cuttoli, la Maison Myrbor, mientras que cuando aún estaba en su país había colaborado con la famosa diseñadora Nadezhda Lamánova, uniendo elegancia con materiales humildes típicos de su tierra. Viajó entonces por Europa: estuvo en Suiza e Italia, siempre cercana al futurismo, del que apreciaba ese celebrado dinamismo y la búsqueda de innovación y modernidad, pero también al abstraccionismo y al cubismo. En Roma fue la única colaboradora femenina del exigente Diáguilev, quien la valoraba muchísimo, en el montaje de Los cuentos rusos, y su buena relación continuó con Sadko, Las bodas, El pájaro de fuego. De España se llevó una profunda influencia que trasladó a su arte, pintando figuras femeninas adornadas con mantillas, chales, peinetas sobre moños, y también utilizó elementos inspirados en el flamenco para ballets nunca representados como Rapsodia española y Triana, así como en objetos decorativos; en Florencia pudo admirarse por primera vez un maravilloso biombo de 1928 con motivos florales, procedente de Chicago.

Natalia Goncharova, 1913, El ciclista, óleo sobre lienzo, 78 x 105 cm, Musée Russe, Saint-Pétersbourg Natalia Goncharova, Escenografía para «El gallo de oro», 1914. Gouache y óleo sobre lienzo 

No debe olvidarse lo que estaba ocurriendo en Rusia y en el mundo: desde el colapso bursátil hasta la Gran Depresión, del ascenso de Stalin al régimen cada vez más autoritario; las vanguardias no eran vistas con buenos ojos, el arte “degenerado” no agradaba a los dictadores, ni en Occidente ni en Oriente, por lo que muchas obras fueron destruidas o abandonadas en depósitos, se impuso el desprecio y el olvido generalizado, con el riesgo de que un gran patrimonio artístico desapareciera para siempre. Volver a Rusia era imposible. He aquí la decepción y el riesgo de la miseria: Natal’ja y su marido se ven obligados a vender muchas pinturas, a vivir con poco ilustrando libros y colaborando en la realización de ballets; muerto Diáguilev y disuelta la compañía de los Ballets Rusos en 1929, trabaja para el Royal Ballet, para los Ballets Rusos de Montecarlo, para el Grand Ballet du Marquis de Cuevas.

Con el paso de los años llegan también los problemas de salud. Dado que también la vida privada de Natal’ja fue ciertamente original, en la pareja se introdujo una tercera persona, una mujer que fue hermana, amiga, amante, compañera; Alexandra Tomilina será, tras la muerte de la artista, ocurrida en París el 17 de octubre de 1962, la segunda esposa de Larionov, quien murió solo dos años después, nombrándola heredera. Alexandra decidió donar todas las obras al Estado soviético, que las ubicó en una sede específica, ya que no bastaban las salas de la Galería Tretyakov. Es significativo que los tres estén enterrados juntos, en el cementerio de la pequeña ciudad francesa donde vivían: Ivry-sur-Seine, a las puertas de la capital.

Natalia Gontcharova, Retrato, 1907

Traduzione inglese

Syd Stapleton

Born on July 3, 1881 in Russia on her noble family's estate near Tula, Russia, Natalia Sergeevna Goncharova was named after a beautiful and famous ancestor - one who literally drove her husband Alexander Pushkin mad with jealousy that led to his death in a duel. In Moscow, where she moved in 1891, she studied medicine and then sculpture, then painting, which best offered the opportunity to capture "the moving fragility of a flower or the freshness of a spring blossom." Here she met her life partner, artist Mikhail Larionov, with whom she would form an "open" couple and tie the knot in marriage only in 1955, for reasons of mutual inheritance. Their careers ran parallel and their artistic partnership was very solid. Together they were part of the animators of the Golden Fleece magazine, open to the artistic avant-garde. Together they experimented, travelled, caused scandals, hung out with the most important intellectuals of the time, and, thanks to two very wealthy Russian collectors, became acquainted with the works of Cezanne, Matisse, Gauguin, and Picasso, to whom Nataliaa had been close until 1906, when she was already exhibiting in Paris. In 1910 they formed a group based on radical artistic positions, active for about seven years, called the Jack of Diamonds. Other avant-garde movements they gave birth to, with very imaginative names, were the Donkey’s Tail, and Rayonism. In 1912 Natalia exhibited about fifty works, deliberately distant from Western currents, which she related to Russian traditional art.

Natalia Goncharova in a photo from 1916

An extremely unusual, even exceptional, fact for a young artist, and woman - in 1913 a retrospective exhibition was dedicated to her in the gallery of Klavdia Mikhailova, apparently hosting as many as 700 works testifying to her daring eclecticism - paintings, sculptures, sketches, figurines, embroideries, designs for wallpaper and textiles. The exhibition was an extraordinary success, was visited by 12,000 people, and 31 works were sold for 5,000 rubles. That year she and writer friend Ilia Zdanevich, made an unprecedented gesture, which today we would include in the category “body-art.” They painted their faces and bodies, then strolled through the streets of Moscow declaiming verses and shocking people with this unprecedented and highly original futurist performance. Not content with that, Natalia became an actress and appeared in the first Russian avant-garde film, Drama in the Futurists’ Cabaret No. 13, in which she tap-danced. When a grand exhibition was dedicated to her in Florence at Palazzo Strozzi (September 2019-January 2020) in which a significant selection spanning the genres that were congenial to her was on display, one could finally appreciate her genius, beginning with painting. Influenced, yes, by European tradition, but proud of her own cultural and artistic roots, she said:

«The art of my country is incomparably deeper than anything the West knows»

She was the first painter to exhibit paintings with nude women in Russia, and it was caused a scandal - even seizures by the authorities. She was accused of immorality and pornography for Model on a Blue Background because the portrait is detailed and explicit in the portrayal of the body, while the pose is really original, with those raised arms and that sex in the foreground. But then came the acquittal. Even today on the internet it’s a effort to find the painting in full form. She also produced paintings on sacred subjects, and so she equally caused scandal because that genre had always been reserved for men. On the other hand, she was convinced that being in the image and likeness of God was not only the prerogative of man and that intelligence manifested itself equally in both sexes. Her religiously themed work The Evangelists was seized because it was so modern that in the eyes of the more traditionalist censors it appeared almost as a blasphemous parody, but once again she was acquitted. Upon the return from World War I of a severely wounded comrade, she depicted battles, trenches, soldiers, and dead bodies in a series of lithographs. She did not give a romantic, heroic vision of them - far from it. Instead, she offered a harrowing, strong, unembellished image in which the Russian army was protected by two saints - George of Cappadocia and Aleksandr Nevsky.

Natalia Goncharova, Saint Alejandro Nevski, 1914, lithograph. Credits: The Ethel Morrison Van Derlip Fund

Natalia kept changing, experimenting, and using her inexhaustible creative vein, so fashion and theater were congenial to her. Thus we come to her fruitful collaboration with Sergei Diaghilev, the greatest director, choreographer, impresario that Russia had. For several of his ballets she designed costumes and sets, and in the preparatory stages, in which she did not disdain the most strenuous manual labor, she dressed as a man, using comfortable workers' overalls. On display in Florence were some complex and elaborate outfits on mannequins for Il gallo d'oro (1913), but equally interesting were the sketches she made with various techniques: paper, collage, fabric, mosaics, and gold backgrounds in the Byzantine manner that she studied for the ballet Liturgie, which was never staged because of the war. "The task of costume," she said, "is not to dress, but rather to materialize the imagined character, her type, her character.” After 1919 Natalia did not return to Russia and settled in Paris. There she worked in Marie Cuttoli's tapestry store, Maison Myrbor. While still in her homeland she had collaborated with the famous fashion designer Nadejda Lamonava, combining elegance and the simple materials typical of her homeland. She then traveled around Europe. She was in Switzerland and Italy, always close to futurism, whose celebrated dynamism and quest for innovation and modernity she appreciated, but also to abstractionism and cubism. In Rome she was the only female collaborator of the demanding Diaghilev, who held her in high esteem, for the staging of Les Contes russes, but their beautiful relationship continued with Sadko, Les noces, and The Firebird. From Spain she brought a profound influence that she transmitted to her art, painting female figures adorned with mantillas, shawls, pèttini on their coiffed hair, but also used for the never-live-performed ballets Rapsodia española and Triana inspired by flamenco, and as a cue for decorative objects. In Florence one could appreciate for the first time a marvelous 1928 screen with floral motifs, from Chicago.

Natalia Goncharova, 1913, The Cyclist, oil on canvas, 78 x 105 cm, Russian Museum, St. Petersburg Natalia Goncharova, Set design for «The Golden Cockerel», 1914. Gouache and oil on canvas 

What was happening in Russia and around the world during her time should not be forgotten. From the stock market crash to the Depression, from the advent of Stalin in the increasingly authoritarian regime - the avant-gardes were not viewed at all with benevolence. "Degenerate" art did not please the dictators, in the West as well as in the East, so many works were destroyed, or left in storage, moving toward contempt and general forgetfulness, with the risk that a great artistic heritage would disappear forever. It was impossible for her to return to Russia. She and her companion experienced disappointment and the risk of misery. Natalia and Larionov were forced to sell several paintings, living on little by illustrating books and collaborating on ballets. When Diaghilev died and the Ballets Russes company was disbanded in 1929, she worked for the Royal Ballet, the Ballets Russes of Monte Carlo, and the Grand Ballet du Marquis de Cuevas.

With advancing age came health problems as well. Natalia's private life was undoubtedly original as well - a third element had been introduced into the couple in the meantime, a woman who was sister, friend, lover, and companion. Alexandra Tomilina was to be, upon the Natalia's death in Paris on October 17, 1962, Larionov's second wife. Larionov died less than two years after Natalia, naming Tomilina his heir. Alexandra decided to leave all the works to the Soviet state, which arranged them in a special location, the rooms of the Tretyakov Gallery not being sufficient. Significantly, the three are buried together, in the cemetery of the small French town where they lived: Ivry-sur-Seine, on the outskirts of the capital.

Natalia Gontcharova, Portrait, 1907

 

Maria Signorelli
Barbara Belotti

Dongni Wei

 

Lo spazio teatrale le fu familiare fin da piccola. Maria Signorelli aveva pochi anni quando assistette allo spettacolo del ballerino Vaslav Nijinski in tournée a Roma insieme al resto della compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djagilev. Al termine dell’esibizione Nijinski si inchinò al pubblico e la piccola, evidentemente colpita dall’atmosfera magica della serata, con brevi tratti lo immortalò tra due tendaggi rossi. Non a caso in famiglia la chiamavano affettuosamente “il pittorino”. Maria era nata a Roma il 17 novembre 1908 da Angelo, medico radiologo, tisiologo nonché cultore d’arte e fine collezionista di opere di tutti i tempi, e Olga Resnevič, anch’ella medica ‒ una delle prime in Italia ‒, appassionata di ogni forma di cultura, traduttrice, filantropa e biografa di Eleonora Duse (https://vitaminevaganti.com/2023/05/13/via-xx-settembre-n-68-qui-visseolga-resnevic-signorelli/). Olga, che nella successiva tournée dei Balletti Russi tra il 1916 e il 1917 divenne medica della compagnia di Djagilev, strinse una sincera amicizia con gli scenografi Michail Larionov e Natalia Goncharova presto habitué della sua famiglia https://vitaminevaganti.com/2023/07/08/via-xx-settembre-n68-il-salotto-internazionale-di-olga-resnevic-signorelli/).

Come ha ricordato la stessa Maria, nonostante la giovane età riuscì a seguire da vicino la realizzazione delle scenografie che i due artisti stavano realizzando per Djagilev e il ricordo rimase indelebile nella sua mente: «Ciò che più mi colpì oltre al fatto che, dipingendo, camminavano sui coloratissimi tappeti delle loro scenografie, furono gli enormi pennelli che a me piccina sembravano scope». Goncharova e Larionov donarono alla piccola e curiosa Maria alcuni barattoli di colore, gli stessi che usavano per lavorare, in modo che si cimentasse con materiali migliori rispetto a quelli per l’infanzia. Un dono prezioso che la ragazzina conservò gelosamente per anni.

Maria Signorelli è la seconda a sinistra con gli occhiali

La sua immaginazione era straordinaria: amava accompagnare con immagini disegnate i racconti e le composizioni in versi che scriveva, costruiva e decorava personaggi di carta cercando anche di renderli mobili, utilizzava quello che trovava in casa per dare corpo a piccoli pupazzi con cui intratteneva, come in un vero teatro, le sorelle più piccole e le compagne di gioco. Il suo era un destino segnato. Infatti, terminati gli studi, decise di iscriversi all’Accademia di Belle Arti, assecondata nelle sue scelte da entrambi i genitori che approvarono anche l’opportunità di seguire il corso di scenografia del Teatro Reale dell’Opera di Roma tenuto dallo scenografo russo Nicola Alexandrovich Benois e dall’italiano Camillo Parravicini, durante il quale si cimentò pure nella realizzazione dei costumi di scena. Mentre studiava, Maria ebbe modo di frequentare il Teatro degli Indipendenti, punto di riferimento delle avanguardie artistiche italiane fondato e diretto da Anton Giulio e Carlo Ludovico Bragaglia, il cui medico era il padre di Maria, Angelo Signorelli. Gli studi all’Accademia di Belle Arti e il perfezionamento al Teatro Reale dell’Opera cominciarono a rendere solida la preparazione della giovane che, già nel 1928, divenne assistente alla scenografia nel teatro di Bragaglia in via degli Avignonesi, negli ambienti di quelle che erano state le terme romane di Settimio Severo; l’anno seguente creò il suo primo lavoro per la messa in scena dello spettacolo di Francis Edward Faragoh dal titolo Ingranaggi.

Virgilio Marchi, La scena del Teatro degli Indipendenti

Per Maria Signorelli il teatro era una dimensione totale e, oltre all’impegno di scenografa e costumista, coltivò un’altra passione, quella di costruire i fantocci, un mix tra l’interesse per il corpo umano e le novità delle avanguardie artistiche. Anche i fantocci avevano un legame con l’infanzia quando, con pochi mezzi e molta fantasia e inventiva, Maria costruiva e decorava bambolette apprezzate pure da Sergej Djagilev (https://vitaminevaganti.com/2023/06/10/via-corsini-n-12-la-casa-di-maria-signorelli/). I fantocci piacquero tanto ad Anton Giulio Bragaglia che, nel ’29, le mise a disposizione gli ambienti della sua Casa d’arte per allestire la sua prima personale dal titolo Figurini plastici.

Invito per la mostra di Maria Signorelli alla Casa d’Arte Bragaglia, Roma Archivio Signorelli

Il successo della mostra romana aprì a Maria le porte di Parigi dove i suoi ingegnosi personaggi di stoffa, nastri, fili e altro materiale occasionale furono esposti nella galleria Zak e presentati da Giorgio De Chirico. Dopo la parentesi parigina, visse per un paio d’anni un’importante esperienza di formazione artistica e culturale a Berlino frequentando la scuola-teatro del regista Max Reinhardt, tra i principali innovatori del teatro e della drammaturgia tedesca che seppe aprire anche verso nuove dimensioni scenografiche. Rientrata in Italia, nel 1934 Maria partecipò con Carlo Rende alla realizzazione del Pluriscenio M, un progetto di palcoscenico in grado di presentare contemporaneamente sette ambienti, che aveva l’ardito compito di proporre in teatro la dinamicità del cinema e che ottenne lusinghieri apprezzamenti da parte di Marinetti e di Bragaglia. Negli anni a seguire nella Capitale fu impegnata in allestimenti per il Teatro dell’Università, per il Teatro delle Arti e per il Teatro dell’Opera di Roma, spostandosi in altri teatri italiani, dalla Scala di Milano al Teatro Regio di Torino, a quello sperimentale del Guf (Gruppo Universitario Fascista) di Messina.

Maria Signorelli, Roma Archivio Signorelli

Durante gli anni del Secondo conflitto mondiale decise di riunire le sue molteplici esperienze e competenze teatrali organizzando allestimenti di spettacoli di burattini, in un primo momento tenuti in casa e con i pochi mezzi che il clima di guerra metteva a disposizione. Ma la maestria e l’ingegnosità di Maria Signorelli, la sua fantasia e il desiderio di offrire un po’ di gioia e serenità alle sue figlie Giuseppina e Maria Letizia e alle/ai loro amichetti fecero veri miracoli che, nel dopoguerra, si concretizzarono nell’Opera dei Burattini, divenuta in breve tempo celebre in tutto il mondo. Non si trattava di un’esperienza avulsa da quanto fatto fino ad allora per il teatro, le rappresentazioni per piccole spettatrici e piccoli spettatori non erano forme di drammaturgia “minore”. Ogni spettacolo era pensato e realizzato come fosse un vero allestimento teatrale “d’attore”, con registe/i, coreografe/i, scenografe/i, musiciste/i. Lavorarono per lei e per la sua Opera dei Burattini personalità prestigiose come Prampolini o Toti Scialoja per i fondalini delle scene, Lina Wertmüller in alcuni spettacoli dei primi anni Cinquanta, Roman Vlad per la composizione delle musiche.

Minuetto di Boccherini, 1952, Roma Archivio Signorelli

Nella sua lunga carriera Maria Signorelli diede vita a cinquanta spettacoli di danza per burattini, facendosi aiutare da ballerini e coreografi professionisti, utilizzando musiche colte, concentrando le sue ricerche sul rapporto tra colori e ritmo, includendo nel suo pubblico anche le persone adulte e non solo il mondo dell’infanzia. Trentuno gli spettacoli con testi classici e moderni, dalla trasposizione di Re cervo di Gozzi al poema di Cesare Pascarella La scoperta dell’America, da Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni all’opera La Tempesta di Shakespeare, all’Antigone di Brecht, a Furori e poesia della Rivoluzione francese di Ceronetti.

Maria Signorelli

Per l’infanzia creò e realizzò settantotto spettacoli basati sulle favole, da quelle popolari a quelle d’invenzione, protagonisti sempre i burattini mossi dalla mano umana. Morì a Roma il 9 luglio 1992.


Traduzione francese

Paola Di Lauro

L’univers théâtral lui était familier dès son plus jeune âge. Maria Signorelli n’avait que quelques années lorsqu’elle assista, à Rome, à un spectacle du danseur Vaslav Nijinski, en tournée avec les Ballets Russes de Serge Diaghilev. À la fin de la représentation, Nijinski s'inclina devant le public. La fillette, visiblement frappée par l'atmosphère magique de la soirée, l'immortalisa en quelques traits, entre deux rideaux rouges. Ce n’est pas un hasard si, dans la famille, on l’appelait affectueusement «la petite peintre ». Née à Rome le 17 novembre 1908, Maria était la fille d'Angelo, médecin radiologue et phthisiologue, amateur d'art et fin collectionneur d'œuvres de toutes les époques, et d'Olga Resnevič, également médecin (l'une des premières en Italie), passionnée par toute forme de culture, traductrice, philanthrope et biographe d'Eleonora Duse. Lors de la tournée suivante des Ballets Russes, entre 1916 et 1917, Olga devint médecin de la compagnie de Diaghilev et noua une amitié sincère avec les scénographes Mikhaïl Larionov et Natalia Gontcharova, qui devinrent bientôt des habitués du cercle familial.

Comme elle l'a elle-même rappelé, malgré son jeune âge, elle put suivre de près la réalisation des décors que les deux artistes créaient pour Diaghilev, et ce souvenir resta gravé dans sa mémoire : «Ce qui me frappa le plus, outre le fait qu'ils marchaient sur les tapis multicolores de leurs décors en peignant, ce furent les énormes pinceaux qui, pour la petite fille que j'étais, ressemblaient à des balais.» Gontcharova et Larionov offrirent à la jeune et curieuse Maria quelques pots de peinture, les mêmes qu’ils utilisaient pour travailler, afin qu’elle s’exerce avec des matériaux de meilleure qualité que ceux réservés aux enfants. Un présent précieux que la fillette conserva jalousement pendant des années.

Maria Signorelli est la deuxième à gauche avec des lunettes

Son imagination était extraordinaire : elle aimait accompagner ses récits et poèmes de dessins, construire et décorer des personnages en papier, cherchant même à les rendre mobiles, et utilisait tout ce qu’elle trouvait à la maison pour façonner de petites marionnettes avec lesquelles elle divertissait, comme dans un véritable théâtre, ses jeunes sœurs et ses camarades de jeu. Son destin semblait tout tracé. Après ses études, elle décida de s'inscrire à l'Académie des beaux-arts, soutenue par ses deux parents qui approuvèrent également l'opportunité de suivre le cours de scénographie du Théâtre royal de l'Opéra de Rome, dirigé par le scénographe russe Nicola Alexandrovich Benois et l'Italien Camillo Parravicini. Elle s'essaya également à la réalisation de costumes de scène. Pendant ses études, Maria fréquenta le Théâtre des Indépendants, lieu de référence des avant-gardes artistiques italiennes fondé et dirigé par Anton Giulio et Carlo Ludovico Bragaglia, dont le médecin était son père, Angelo.Sa formation à l'Académie et son perfectionnement au Théâtre royal de l'Opéra consolidèrent rapidement les compétences de la jeune artiste, qui devint assistante scénographe au théâtre Bragaglia, via degli Avignonesi, installé dans les anciens thermes romains de Septime Sévère, dès 1928. L’année suivante, elle créa son premier travail pour la mise en scène d'Ingranaggi (Gears) de Francis Edward Faragoh.

Virgilio Marchi, La scène du Théâtre des Indépendants

Pour Maria Signorelli, le théâtre était une expérience totale. Outre son travail de scénographe et de costumière, elle se consacra à une autre passion : la création de marionnettes, mélange de son intérêt pour le corps humain et des innovations des avant-gardes artistiques. Ce goût remontait à l'enfance, lorsque, avec peu de moyens et beaucoup de fantaisie, elle confectionnait et décorait de petites poupées qui plaisaient même à Sergej Diaghilev. Ces marionnettes plaisaient tellement à Anton Giulio Bragaglia qu’en 1929, il mit à sa disposition les locaux de sa Casa d’Arte pour qu'elle y organise sa première exposition personnelle, intitulée «Figurini plastici».

Invitation pour l’exposition de Maria Signorelli à la Casa d’Arte Bragaglia, Rome Archives Signorelli

Le succès de cette exposition romaine lui ouvrit les portes de Paris, où ses ingénieux personnages en tissu, rubans, fils et matériaux de récupération furent exposés à la galerie Zak et présentés par Giorgio de Chirico. Après cette parenthèse parisienne, elle vécut deux années d'enrichissement artistique et culturel à Berlin, où elle fréquenta l'école de théâtre du metteur en scène Max Reinhardt, l'un des principaux rénovateurs du théâtre et de la dramaturgie allemande, ouvert aux nouvelles dimensions scénographiques. De retour en Italie en 1934, elle participa avec Carlo Rende à la réalisation du Pluriscenio M, un projet de plateau capable de présenter simultanément sept espaces scéniques. Cette audacieuse tentative d'apporter la dynamique du cinéma au théâtre obtint les éloges de Marinetti et Bragaglia. Dans les années suivantes, elle travailla pour le Théâtre de l'Université, le Théâtre des Arts et le Théâtre de l'Opéra à Rome, tout en collaborant avec d'autres théâtres italiens, de la Scala de Milan au Théâtre Royal de Turin, en passant par le théâtre expérimental du GUF (Groupe Universitaire Fasciste) de Messine.

Maria Signorelli, Rome Archives Signorelli

Pendant la Seconde Guerre mondiale, elle décida de mettre à profit ses multiples expériences et compétences théâtrales pour organiser des spectacles de marionnettes, d'abord chez elle, avec les maigres moyens dont elle disposait en temps de guerre. Mais la maîtrise, l’ingéniosité, la fantaisie et le désir de Maria Signorelli d'apporter un peu de joie et de sérénité à ses filles, Giuseppina et Maria Letizia, ainsi qu’à leurs camarades, firent des miracles. Après-guerre, ces miracles se concrétisèrent dans l’Opera dei Burattini (l’Opéra des Marionnettes), bientôt célèbre dans le monde entier. Ce n'était pas une activité détachée de son travail pour la scène : les spectacles pour enfants n'étaient pas pour elle un art mineur. Chaque spectacle était conçu et réalisé comme une véritable production théâtrale « d'acteurs », avec des metteurs en scène, des chorégraphes, des scénographes et des compositeurs. Des personnalités prestigieuses ont collaboré à son œuvre, telles que Prampolini et Toti Scialoja pour les toiles de fond, Lina Wertmüller pour certains spectacles du début des années 1950, et Roman Vlad pour la composition musicale.

Menuet de Boccherini, 1952, Rome Archives Signorelli

Au cours de sa longue carrière, Maria Signorelli a monté cinquante spectacles de danse pour marionnettes, avec l'aide de danseurs et chorégraphes professionnels, en utilisant des musiques savantes, en se concentrant sur le rapport entre couleurs et rythme, et en s'adressant aussi aux adultes. Trente-et-une de ses productions étaient basées sur des textes classiques et modernes, allant du Roi cerf de Gozzi au poème La Découverte de l'Amérique de Cesare Pascarella, en passant par Arlequin serviteur de deux maîtres de Goldoni, La Tempête de Shakespeare, Antigone de Brecht ou encore Fureurs et poésie de la Révolution française de Ceronetti.

Maria Signorelli

Pour le jeune public, elle créa soixante-dix-huit spectacles inspirés de contes populaires ou originaux, mettant toujours en scène des marionnettes animées par la main humaine. Elle est morte à Rome le 9 juillet 1992.


Traduzione spagnola

Laura Cavallaro

El espacio teatral le fue familiar desde niña. Maria Signorelli tenía pocos años cuando asistió al espectáculo del bailarín Vaslav Nijinski en una gira por Roma junto con el resto de la compañía de los Ballets Rusos de Serguéi Diáguilev. Al final de la función, Nijinski hizo una reverencia al público y la pequeña, evidentemente impresionada por la atmósfera mágica de la velada, lo inmortalizó con unos pocos trazos entre dos cortinajes rojos. No es casualidad si en su familia la llamaban cariñosamente "la pintorcita". Maria nació en Roma el 17 de noviembre de 1908, hija de Angelo, médico radiólogo y tisiólogo, así como amante del arte y refinado coleccionista de obras de todas las épocas, y de Olga Resnevič, también médica –una de las primeras en Italia–, apasionada de toda forma de cultura, traductora, filántropa y biógrafa de Eleonora Duse (https://vitaminevaganti.com/2023/05/13/via-xx-settembre-n-68-qui-visseolga-resnevic-signorelli/). Olga, quien durante una gira posterior de los Ballets Rusos entre 1916 y 1917 se convirtió en médica de la compañía de Diáguilev, entabló una sincera amistad con los escenógrafos Mijaíl Lariónov y Natalia Goncharova, que pronto se convirtieron en habituales en su hogar (https://vitaminevaganti.com/2023/07/08/via-xx-settembre-n68-il-salotto-internazionale-di-olga-resnevic-signorelli/).

Como recordaría la misma Maria, pese a su corta edad, logró seguir de cerca la realización de las escenografías que los dos artistas preparaban para Diáguilev y ese recuerdo quedó indeleble en su mente: «Lo que más me impresionó, además del hecho de que pintaban caminando sobre las coloreadísimas alfombras de sus decorados, fueron los enormes pinceles que a mí, tan pequeña, me parecían escobas». Goncharova y Lariónov regalaron a la curiosa y pequeña Maria algunos tarros de pintura, los mismos que usaban ellos, para que se ejercitara con materiales de mejor calidad que los destinados a los niños. Un regalo precioso que la niña conservó celosamente durante años.

Maria Signorelli es la segunda a la izquierda con gafas

Su imaginación era extraordinaria: le encantaba acompañar con imágenes dibujadas los cuentos y composiciones en verso que escribía, construía y decoraba personajes de papel tratando incluso de hacerlos móviles, usaba lo que encontraba en casa para dar forma a pequeños muñecos con los que entretenía, como en un auténtico teatro, a sus hermanas menores y a sus amigas de infancia. Su destino estaba marcado. De hecho, al terminar sus estudios, decidió inscribirse en la Academia de Bellas Artes, apoyada en sus elecciones por ambos padres, quienes también aprobaron la oportunidad de seguir el curso de escenografía del Teatro Real de la Ópera de Roma impartido por el escenógrafo ruso Nicola Alexandrovich Benois y el italiano Camillo Parravicini, durante el cual también se dedicó a la realización de vestuarios de escena. Mientras estudiaba, Maria tuvo la oportunidad de frecuentar el Teatro de los Independientes, referente de las vanguardias artísticas italianas fundado y dirigido por Anton Giulio y Carlo Ludovico Bragaglia, cuyo médico era el padre de Maria, Angelo Signorelli. Los estudios en la Academia de Bellas Artes y el perfeccionamiento en el Teatro Real de la Ópera comenzaron a consolidar la formación de la joven, que ya en 1928 se convirtió en asistente de escenografía en el teatro de Bragaglia en via degli Avignonesi, en los espacios de lo que habían sido las termas romanas de Septimio Severo; al año siguiente, creó su primer trabajo para la puesta en escena de la obra de Francis Edward Faragoh titulada Engranajes.

Virgilio Marchi, La escena del Teatro de los Independientes

Para Maria Signorelli, el teatro era una dimensión total y, además de su labor como escenógrafa y figurinista, cultivó otra pasión, la construcción de muñecos, una mezcla entre el interés por el cuerpo humano y las novedades de las vanguardias artísticas. También los muñecos estaban ligados a su infancia cuando, con pocos medios y mucha fantasía e inventiva, Maria construía y decoraba muñequitas que incluso fueron apreciadas por Serguéi Diáguilev (https://vitaminevaganti.com/2023/06/10/via-corsini-n-12-la-casa-di-maria-signorelli/). Los muñecos le gustaron tanto a Anton Giulio Bragaglia que, en 1929, le puso a disposición los espacios de su Casa de Arte para organizar su primera exposición individual titulada Figurines plásticos.

Invitación para la muestra de Maria Signorelli en la Casa de Arte Bragaglia, Roma - Archivo Signorelli

El éxito de la exposición romana abrió a Maria las puertas de París donde sus ingeniosos personajes hechos de tela, cintas, hilos y otros materiales ocasionales fueron expuestos en la galería Zak y presentados por Giorgio De Chirico. Tras el paréntesis parisino, vivió durante un par de años una importante experiencia de formación artística y cultural en Berlín, asistiendo a la escuela-teatro del director Max Reinhardt, uno de los principales innovadores del teatro y la dramaturgia alemana, quien supo abrirse también a nuevas dimensiones escenográficas. De regreso a Italia, en 1934 Maria participó junto a Carlo Rende en la realización del Pluriscenio M, un proyecto de escenario capaz de presentar simultáneamente siete ambientes, con la ambiciosa tarea de llevar al teatro la dinámica del cine y que obtuvo elogios de figuras como Marinetti y Bragaglia. En los años siguientes, en la capital estuvo involucrada en montajes para el Teatro de la Universidad, el Teatro de las Artes y el Teatro de la Ópera de Roma, trasladándose también a otros teatros italianos, desde La Scala de Milán hasta el Teatro Regio de Turín, y el teatro experimental del Guf (Grupo Universitario Fascista) de Mesina.

Maria Signorelli, Roma Archivo Signorelli

Durante los años de la Segunda Guerra Mundial decidió reunir sus múltiples experiencias y competencias teatrales organizando montajes de espectáculos de marionetas, inicialmente presentados en casa y con los escasos recursos que el clima bélico permitía. Pero la maestría e ingenio de Maria Signorelli, su fantasía y el deseo de ofrecer un poco de alegría y serenidad a sus hijas Giuseppina y Maria Letizia, y a sus amiguitas y amiguitos, obró verdaderos milagros que, en la posguerra, se concretaron en la Ópera de los Títeres, que pronto se volvió célebre en todo el mundo. No se trataba de una experiencia ajena a su trayectoria teatral: las representaciones para niñas y niños no eran formas de dramaturgia “menor”. Cada espectáculo era concebido y realizado como una auténtica puesta en escena con actrices y actores, dirección, coreografía, escenografía y música. Colaboraron con ella y con su Ópera de los Títeres personalidades de renombre como Prampolini o Toti Scialoja para los telones de fondo, Lina Wertmüller en algunos espectáculos de principios de los años cincuenta, Roman Vlad en la composición de la música.

Minueto de Boccherini, 1952, Roma Archivo Signorelli

Durante su larga carrera, Maria Signorelli dio vida a cincuenta espectáculos de danza para títeres, contando con la ayuda de bailarines y coreógrafos profesionales, utilizando música culta, concentrando sus investigaciones en la relación entre color y ritmo, e incluyendo también al público adulto, no solo al mundo de la infancia. Realizó treinta y un espectáculos con textos clásicos y modernos, desde la adaptación de El Rey Ciervo de Gozzi hasta el poema El descubrimiento de América de Cesare Pascarella, desde Arlequín servidor de dos amos de Goldoni hasta La tempestad de Shakespeare, Antígona de Brecht y Furor y poesía de la Revolución Francesa de Ceronetti.

Maria Signorelli

Para la infancia creó y realizó setenta y ocho espectáculos basados en cuentos de hadas, desde los populares hasta los inventados, siempre protagonizados por títeres animados por la mano humana. Falleció en Roma el 9 de julio de 1992.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Theatrical space was familiar to her from an early age. Maria Signorelli was only a few years old when she attended a performance by dancer Vaslav Nijinski on tour in Rome with the rest of Sergei Djagilev's company of Ballets Russes. At the end of the performance Nijinski bowed to the audience and the little girl, evidently struck by the magical atmosphere of the evening, with brief strokes immortalized him between two red curtains. Not surprisingly, in her family they affectionately called her "the little painter." Maria was born in Rome on Nov. 17, 1908, to Angelo, a radiologist and a specialist in tuberculosis, as well as an art connoisseur and fine collector of works from diverse times, and Olga Resnevič, also a physician - one of the first female physicians in Italy - a lover of all forms of culture, translator, philanthropist and biographer of Eleonora Duse. (https://vitaminevaganti.com/2023/05/13/via-xx-settembre-n-68-qui-visseolga-resnevic-signorelli/) Olga, who on the subsequent tour of the Ballets Russes between 1916 and 1917 became a doctor in Djagilev's company, formed a sincere friendship with set designers Michail Larionov and Natalia Goncharova soon to be regulars in her family. (https://vitaminevaganti.com/2023/07/08/via-xx-settembre-n68-il-salotto-internazionale-di-olga-resnevic-signorelli/).

As Maria herself recalled, despite her early age she was able to closely follow the making of the sets that the two artists were creating for Djagilev, and the memory remained indelible in her mind: "What struck me most besides the fact that, while painting, they walked on the colorful carpets of their sets, were the huge brushes that looked like brooms to me as a little girl." Goncharova and Larionov gave the curious little Maria a few cans of paint, the same ones they used to work with, so that she could try her hand with better materials than those for children. A precious gift that the little girl jealously preserved for years. 

Maria Signorelli is the second from the left wearing glasses

Her imagination was extraordinary. She loved to accompany with drawn images the stories and verse compositions she wrote, she built and decorated paper characters, trying also to make them mobile, she used what she found at home to create small puppets with which she entertained, as in a real theater, her younger sisters and playmates. Her fate was sealed. Having finished her studies, she decided to enroll in the Academy of Fine Arts, indulged in her choices by both her parents, who also approved of the opportunity to take a set design course at the Teatro Reale dell'Opera in Rome taught by Russian set designer Nicola Alexandrovich Benois and Italian Camillo Parravicini, during which she also tried her hand at making stage costumes. While studying, Maria had the opportunity to attend the Teatro degli Indipendenti, a landmark of the Italian artistic avant-garde founded and directed by Anton Giulio and Carlo Ludovico Bragaglia, whose doctor was Maria's father, Angelo Signorelli. Studies at the Academy of Fine Arts and further training at the Teatro Reale dell'Opera began to solidify the young woman's preparation, who, as early as 1928, became assistant set designer at Bragaglia's theater on Via degli Avignonesi, in the rooms of what had been the Roman baths of Septimius Severus. The following year she created her first work for the staging of Francis Edward Faragoh's play entitled Pinwheels.

Virgilio Marchi, The Stage of the Theatre of the Independents

For Maria Signorelli, theater was a total dimension, and in addition to her commitment as a set and costume designer, she cultivated another passion, that of building puppets, a mix between her interest in the human body and the novelties of the artistic avant-garde. Puppets also had a connection to her childhood when, with few means and a lot of imagination and inventiveness, Maria built and decorated dolls that were appreciated even by Sergei Djagilev. (https://vitaminevaganti.com/2023/06/10/via-corsini-n-12-la-casa-di-maria-signorelli/) The puppets pleased Anton Giulio Bragaglia so much that, in '29, he put the rooms of his Casa d'arte at her disposal to set up her first solo exhibition entitled Figurini plastici.

Invitation for Maria Signorelli's exhibition at the Casa d'Arte Bragaglia, Rome Signorelli Archive

The success of the Roman exhibition opened to Maria the doors of Paris where her ingenious figures made of cloth, ribbons, threads and other occasional material were exhibited in the Zak Gallery and presented by Giorgio De Chirico. After the Parisian interlude, she lived, for a couple of years, an important experience of artistic and cultural training in Berlin, attending the theater-school of director Max Reinhardt, among the main innovators of German theater and dramaturgy who also knew how to open up to new scenographic dimensions. Returning to Italy, in 1934 Maria participated with Carlo Rende in the creation of Pluriscenio M, a stage project capable of presenting seven environments at once, which had the daring task of proposing in the theater the dynamism of cinema and which won flattering praise from Marinetti and Bragaglia. In the years to follow in the capital she was engaged in productions for the Teatro dell'Università, the Teatro delle Arti and the Teatro dell'Opera in Rome, moving on to other Italian theaters, from La Scala in Milan to the Teatro Regio in Turin and the experimental Gruppo Universitario Fascista in Messina.

Maria Signorelli, Rome Signorelli Archive

During the years of World War II, she decided to bring together her many theatrical experiences and skills by organizing stagings of puppet shows, at first held at home and with the few means that the wartime climate made available. But Maria Signorelli's skill and ingenuity, her imagination, and her desire to offer some joy and serenity to her daughters Giuseppina and Maria Letizia and their little friends worked real miracles that, after the war, materialized in the Puppet Opera, which quickly became world-famous. This was not an experience divorced from what had been done up to that time for the theater - performances for small audiences were not "minor" forms of dramaturgy. Each performance was conceived and realized as if it were a true "actor's" theater production, with directors, choreographers, set designers, and musicians. Prestigious personalities such as Prampolini or Toti Scialoja worked for her and her Opera dei Burattini for the backdrops of the scenes, Lina Wertmüller in some shows in the early 1950s, and Roman Vlad for the composition of the music.

Boccherini's Minuetto, 1952, Rome Signorelli Archive

In her long career Maria Signorelli gave life to fifty dance shows for puppets, getting help from professional dancers and choreographers, using cultured music, focusing her research on the relationship between colors and rhythm, including in her audience also adults and not only the world of childhood. Thirty-one performances with classic and modern texts, from Gozzi's adaptation of Re Cervo to Cesare Pascarella's poem The Discovery of America, from Goldoni's Harlequin Servant of Two Masters to Shakespeare's The Tempest, Brecht's Antigone, and Ceronetti's Fury and Poetry of the French Revolution.

Maria Signorelli

For children she created and performed seventy-eight shows based on fairy tales, from popular to fictional, always starring puppets moved by the human hand. She died in Rome on July 9, 1992.

 

Lila De Nobili di Vezzano
Sara Marsico

Dongni Wei

 

Ciò che colpisce immediatamente a teatro è la scenografia, così come l’illustrazione all’interno di un articolo o sulla copertina di una rivista e l’immagine su una cartolina illustrata catturano per prime lo sguardo del lettore o della lettrice. Si sarebbe indotte/i a pensare che chi si occupa di scenografia si senta a suo agio sotto le luci della ribalta. Niente di più lontano dal temperamento e dalla vita di Lila De Nobili di Vezzano, disegnatrice, illustratrice, scenografa e costumista, scopritrice di talenti e, nella parte finale della sua esistenza, pittrice. Sembra quasi che nella sua vita da privilegiata discendente di un’antica famiglia aristocratica, questa donna dalla personalità complessa abbia cercato di rendersi invisibile, sfuggente per sua stessa volontà, per lasciar parlare le sue creazioni. Definita «l’ultima grande rappresentante della scena teatrale dipinta», vicina a registi come Visconti e Zeffirelli, e soprattutto Raymond Rouleau, cui la unì un sodalizio durato quasi 30 anni, De Nobili seppe muoversi con passo felpato nel mondo del teatro, fermamente determinata a rimanere lontana dai riflettori.

Nata il 3 settembre 1916 in Svizzera, a Castagnola, una frazione di Lugano, dal padre Prospero De Nobili di Vezzano, imprenditore e politico discendente da una famiglia della nobiltà ligure, e dalla madre Dola Vertès, con ascendenze ebree e ungheresi, trascorse la sua infanzia tra Nizza e Roma, intraprendendo ben presto con la mamma numerosissimi viaggi, anche all’estero. Parigi, Budapest e New York la stimolarono non solo ad apprendere e parlare diverse lingue, ma anche a sviluppare una curiosità intellettuale e un amore per il sapere che ne favorirono la grande apertura mentale. Lo zio Marcel Vertès, pittore e illustratore molto noto, scoprì ben presto, insieme al padre, le doti artistiche della nipote e lo stile sintetico e libero della sua pittura fu per Lila un modello importante. Grazie all’amicizia del padre con Aristide Sartorio, che le dedicò un ritratto, la futura scenografa riuscì a entrare all’Accademia di Belle Arti di Roma, in via di Ripetta, dove conobbe Ferruccio Ferrazzi, allievo di Sartorio, che divenne suo maestro e col quale si diplomò in decorazione nel 1939. Lila De Nobili non smise mai di studiare, con una volontà di apprendere, perfezionarsi e mettersi alla prova che la caratterizzò per tutta la vita. A Roma, dove in quegli anni si respirava un clima internazionale, conobbe persone molto stimolanti, tra cui Filippo De Pisis da cui avrebbe ricevuto suggerimenti assai utili alla sua crescita artistica. Il suo punto di riferimento restò comunque lo zio Marcel Vertès, costumista, disegnatore, illustratore e scenografo, dal tratto disinvolto e ironico. Fu lui a introdurre nella redazione di Vogue France le illustrazioni di Lila De Nobili, che aveva già collaborato con la rivista di moda Bellezza, diretta da Gio Ponti. Fu questo il periodo in cui le sue opere per le copertine di Vogue raggiunsero grande successo.

Nel 1946, dopo la morte del padre, si trasferì a Parigi con la madre Dola, stabilendosi nel Quartiere Latino. Furono anni di notevoli malinconie e di difficoltà economiche. Ben presto però Vertès le presentò alcune personalità del mondo artistico parigino, tra cui Christian Berard, che diventò un altro suo punto di riferimento. Purtroppo, egli morì presto, nel 1949, e fu Cocteau a riconoscerla come l’erede del grande Berard. Sempre grazie a Vertès, in questo periodo si avvicinò al teatro e alla mondanità parigina, per la quale non nutriva grande simpatia. In seguito all’incontro con l’attore e regista Raymond Rouleau, marito di una sua compagna di studi, nacque un rapporto professionale intensissimo, con collaborazioni come scenografa e costumista in più di 20 spettacoli teatrali e un film. Sono poche le notizie attorno a De Nobili. Dobbiamo molto al libro di Vittoria Crespi Morbio Lila De Nobili, pubblicato nel 2014, per le edizioni Grafica Step nella Collana Amici della Scala, nel quale sono raccolti disegni, bozzetti e illustrazioni di grande valore e una serie di fotografie. Particolarmente convincente anche la conferenza dedicatale da Irene Fineschi il 27 novembre 2023 per la serie Il genio della donna nella Sala dello Zodiaco di Palazzo Malvezzi di Bologna. Fineschi ha avuto accesso, per la sua tesi di laurea magistrale, grazie alla disponibilità di allievi/e e amicizie di De Nobili, a carteggi, bozzetti, disegni, illustrazioni e fotografie fino ad allora inaccessibili, a causa della consegna del silenzio, sempre rispettata, imposta dalla stessa scenografa.

Lila De Nobili non ha mai voluto essere definita artista. Le piaceva l’idea di praticare mestieri, come quello della scenografa e della costumista, perché in una certa misura si avvicinavano a quello dell’artigiana, impegnata con le mani e con il corpo. Non ha mai voluto essere intervistata e ha rifuggito il mondo delle mostre e della pittura che «sapeva di soldi». Questa sua idea del lavoro ci è stata raccontata da Renzo Mongiardino, architetto e amico d’infanzia, nel corso di una intervista rilasciata a Rossana Biason, autrice di una tesi di laurea dal titolo Cominciando dalla fine. Alla ricerca di Lila De Nobili, per il corso di Scenografia, dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Avrebbe riferito a Mongiardino le seguenti parole:

«La pittura in questo modo è disgustosa, sa di soldi, sa di mercato, sa di mostre orrende, tutto quello che è questo mondo non mi piace, non lo voglio vedere. Mi piace la gente che lavora a ore, che lavora perché lì c’è bisogno di quella determinata cosa e ci si mette dentro».

Lila De Nobili si avvicinò al teatro come scenografa, portando dentro la scena dipinta tutto il suo sapere, frutto di numerosissime letture, di film, di spettacoli di lirica e di prosa, della profonda cultura e della interdisciplinarità che la contraddistinguevano. Con le sue opere, per la cui realizzazione spesso lavorava instancabilmente e senza assistenti, contribuiva al racconto portato in scena mettendo a disposizione tutto ciò che conosceva e che aveva appreso negli anni. La collaborazione con Rouleau, esperto di illuminotecnica, la influenzò e ne fece emergere la grande abilità, ancora oggi non pienamente valorizzata. Le sue scenografie, che hanno alla base i bozzetti, rivelano un sapiente uso delle luci, attraverso cui dare un effetto magico, di sogno, realizzato con veli di garza e tulle applicati sulla scena. Visconti desiderò conoscerla dopo avere assistito a Parigi alla rappresentazione di Anna Karenina, regia di Raymond Rouleau, e la volle con sé come scenografa e costumista in Come le foglie di Giuseppe Giacosa nel 1954 e, l’anno successivo, per la realizzazione dell’opera La Traviata di Giuseppe Verdi. De Nobili suggerì a Visconti di spostare l’ambientazione delle vicende a fine Ottocento, proponendo Maria Callas per il ruolo della protagonista Violetta Valery, in modo da poter consentire alcune scelte di regia non convenzionali, come far sciogliere in scena a Violetta i lunghi capelli prima dell’incontro con Alfredo, o farle togliere le scarpe lanciandole poi in aria e restando a piedi scalzi per parte dell’opera. Furono soluzioni sceniche rivoluzionarie per l’epoca, che consentirono a questo allestimento di entrare a pieno titolo nella storia della lirica. Pur essendo esperta in ambientazioni fin de siecle, De Nobili partecipò a messe in scena di opere inserite in epoche storiche diverse, da quelle shakespeariane rappresentate a Stratford on Avon a quelle di Tennessee Williams, da quelle di Rostand a quelle di Giraudoux. Ogni rappresentazione era per lei occasione di studi filologici accurati e approfonditi, con una ricerca dell’autentico che la accomunava a Visconti.

Un incontro fondamentale fu anche quello col costumista e collezionista di abiti Tirelli, che avrebbe poi aperto la famosa omonima sartoria di Roma. Insieme si recavano al mercato delle pulci di Parigi, come ricorda Fineschi, alla ricerca di abiti d’epoca che diventavano oggetto di studio oppure, se in buono stato, direttamente costumi di scena. De Nobili fu pure una grande talent scout. Proprio lei, insieme alla scrittrice e a Rouleau, volle una giovanissima Audrey Hepburn per la parte di Gigi nella commedia tratta dal romanzo di Colette, rappresentata per ben 17 repliche, dal 1951 al 1953, mentre una debuttante Carla Fracci fu scoperta da lei e poi suggerita a Visconti per interpretare Silvestra in Mario e il mago.

Dal 1961 Lila De Nobili si trasferì in un nuovo appartamento del Quartiere Latino in rue de Verneuil, una mansarda al quinto piano, in compagnia di molti gatti, raccolti dalla strada e divenuti soggetti di dipinti e illustrazioni. Nel 2018 Francesca Simone e Claudie Gastine hanno realizzato una pubblicazione, Gatti di Parigi, per Officina libraria, in cui hanno raccolto gli schizzi e i disegni di quelli che possiamo definire i suoi modelli più cari. A farle compagnia nella sua vita ci furono sempre molti amici e amiche, allievi e allieve di ogni età che godevano della sua conversazione raffinata e delle sue notevoli doti empatiche. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, spesso la condizione di nubile è quella che, a qualsiasi età, apre al dono dell’amicizia, fortuna non sempre riservata alle donne che si sposano e che devono dedicarsi, per convenzione sociale, a marito, figli e figlie. Aperta e colta, De Nobili si relazionava con chiunque, anche con i bambini e le bambine, e le piaceva insegnare ritenendola un’occasione per perfezionare il proprio metodo e continuare a esercitarsi. Nonostante i suoi viaggi, Parigi rimase sempre il luogo a cui tornare, soprattutto per l’amore per la madre alla quale la unì un rapporto profondo. Fondamentale per De Nobili fu la partecipazione a cinque edizioni del Festival dei due mondi di Spoleto, per una delle quali curò la realizzazione della locandina; per l’edizione del 1973 si occupò, anche se a distanza, a causa della malattia della madre, della scenografia di Manon Lescaut di Puccini, l’ultima regia di Luchino Visconti nel mondo della lirica. Creò costumi per Ingrid Bergman, Maria Callas, Edith Piaf, Simone Signoret, Lawrence Olivier e Michel Piccoli e molte altre artiste. Lila De Nobili fu assai impegnata civilmente e politicamente; a fianco della gioventù nelle proteste del maggio ’68, prese posizione in difesa della libertà di stampa con Simone De Beauvoir e Jean Paul Sartre.

Ritiratasi dal teatro nel 1970, si dedicò alla pittura e periodicamente frequentava il Museo del Louvre per eseguire copie delle opere dei grandi maestri, così come aveva sempre fatto anche prima della guerra. Girava con un taccuino e dei fogli da disegno, tenuti in un cestino di vimini, su cui realizzava schizzi dei soggetti più vari. Fondò anche una piccola scuola di disegno, l’Academie, con Yannis Tsarouchis, pittore e scenografo greco, di cui invidiò il metodo e da cui continuò a imparare. Gli innumerevoli disegni, le cartoline illustrate per gli amici e le amiche e i suoi bozzetti hanno incantato molti artisti, tra cui Robert Wilson e David Hockney. Zeffirelli disse di lei che era «la più grande scenografa e costumista del XX secolo, la maestra di tutti noi». In uno degli articoli scritti pochi giorni dopo la morte, avvenuta il 19 febbraio del 2002, fu definita «piccolo e geniale elfo della scenografia dipinta», per sottolineare il modo discreto e silenzioso di lavorare, come un elfo nell’ombra, di questa donna che, anche per sua stessa volontà, è poco conosciuta e che meriterebbe di essere riscoperta pure per le sue doti di pittrice.

Dopo la morte, le sono state dedicate alcune mostre, le più importanti delle quali a Milano, al Museo del Teatro alla Scala, e a Roma, all’Accademia di Francia a Villa Medici. La consegna del silenzio da lei imposta sulla sua vita è stata infranta, per nostra fortuna, da alcuni e alcune amiche e allieve che hanno consentito l’accesso alla sua vasta produzione e ai carteggi, rendendo possibili in parte la ricostruzione della personalità di un'artista tanto riservata e il godimento della bellezza dei suoi lavori.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

Ce qui frappe immédiatement au théâtre, c’est la scénographie, tout comme une illustration à l’intérieur d’un article ou sur la couverture d’une revue, ou encore l’image d’une carte postale illustrée, captent d’abord le regard du lecteur ou de la lectrice. On serait porté à penser que ceux qui s’occupent de scénographie se sentent à l’aise sous les feux de la rampe. Rien n’était pourtant plus éloigné du tempérament et de la vie de Lila De Nobili de Vezzano: dessinatrice, illustratrice, scénographe et costumière, découvreuse de talents et, vers la fin de son existence, peintre. On dirait presque que, dans sa vie de descendante privilégiée d’une ancienne famille aristocratique, cette femme à la personnalité complexe avait cherché à se rendre invisible, insaisissable par sa propre volonté, afin de laisser parler ses créations. Définie comme “la dernière grande représentante de la scène théâtrale peinte”, proche de metteurs en scène tels que Visconti et Zeffirelli, et surtout Raymond Rouleau, avec qui elle a entretenu un compagnonnage de près de trente ans, De Nobili a su évoluer à pas feutrés dans le monde du théâtre, fermement déterminée à rester loin des projecteurs.

Née le 3 septembre 1916 en Suisse, à Castagnola, un hameau de Lugano, de son père Prospero De Nobili de Vezzano, entrepreneur et homme politique issu d’une famille de la noblesse ligure, et de sa mère Dola Vertès, d’ascendance juive et hongroise, elle a passé son enfance entre Nice et Rome, entreprenant très tôt, avec sa mère, de nombreux voyages, y compris à l’étranger. Paris, Budapest et New York l’ont stimulée non seulement à apprendre et à parler plusieurs langues, mais aussi à développer une curiosité intellectuelle et un amour du savoir qui ont favorisé sa grande ouverture d’esprit. Son oncle Marcel Vertès, peintre et illustrateur très connu, a rapidement découvert, avec le père, les dons artistiques de sa nièce, et le style synthétique et libre de sa peinture a constitué pour Lila un modèle important. Grâce à l’amitié de son père avec Aristide Sartorio, qui lui a consacré un portrait, la future scénographe a pu entrer à l’Académie des Beaux-Arts de Rome, via di Ripetta, où elle a rencontré Ferruccio Ferrazzi, élève de Sartorio, qui est devenu son maître et avec qui elle a obtenu son diplôme de décoration en 1939.

En 1946, après la mort de son père, elle s'installe à Paris avec sa mère Dola, dans le Quartier Latin. Ce sont des années marquées par de profondes mélancolies et par des difficultés économiques. Très vite cependant, Vertès lui a présenté certaines personnalités du monde artistique parisien, parmi lesquelles Christian Bérard, qui est devenu un autre de ses points de référence. Malheureusement, il meurt prématurément en 1949, et ce fut Cocteau qui l’a reconnue comme l’héritière du grand Bérard. Toujours grâce à Vertès, elle s’est alors rapprochée du théâtre et de la vie mondaine parisienne, pour laquelle elle n’avait pourtant que peu de sympathie. La rencontre avec l’acteur et metteur en scène Raymond Rouleau, mari d’une de ses camarades d’études, a marqué un tournant décisif: une relation professionnelle d’une intensité exceptionnelle est née, donnant lieu à des collaborations où elle a exercé en tant que scénographe et costumière pour plus de vingt spectacles théâtraux et un film. Peu d’informations circulent autour de De Nobili. Nous devons beaucoup au livre de Maria Crespi Morbio, Lila De Nobili, publié en 2014 par les éditions Grafica Step dans la collection Amici della Scala, où sont rassemblés des dessins, des esquisses et des illustrations de grande valeur ainsi qu’une série de photographies. La conférence qui lui a été dédiée par Irene Fineschi le 27 novembre 2023, pour la série Le génie de la femme dans la Salle du Zodiaque de Palazzo Malvezzi à Bologne, a également été particulièrement convaincante. Pour sa thèse de master, Fineschi a eu accès, grâce à la disponibilité des élèves et des amitiés de De Nobili, à des correspondances, des esquisses, des dessins, des illustrations et des photographies jusque-là inaccessibles, en raison du silence imposé et toujours respecté par la scénographe elle-même.

Lila De Nobili n’a jamais voulu être définie comme artiste. Elle aimait l’idée de pratiquer des métiers, comme ceux de scénographe et de costumière, car ils se rapprochaient, d’une certaine manière, de l’artisanat, engageant le corps et les mains. Elle n’a jamais voulu donner d’interviews et a évité le monde des expositions et de la peinture, qu’elle jugeait “empreints d’argent”. Cette conception de son travail nous a été racontée par Renzo Mongiardino, architecte et ami d’enfance, lors d’une interview accordée à Rossana Biason, auteure d’une thèse intitulée Commençant par la fin. À la recherche de Lila De Nobili, pour le cours de scénographie de l’Académie des Beaux-Arts de Venise. Mongiardino a rapporté ses paroles:

««La peinture de cette façon est dégoûtante, elle sent l’argent, elle sent le marché, elle sent les expositions horribles. Tout ce monde ne me plaît pas, je ne veux pas le voir. J’aime les gens qui travaillent à l’heure, qui travaillent parce qu’il y a besoin de cette chose précise et qui s’y mettent entièrement.»».

De Nobili a également été une grande découvreuse de talents. C’est elle, avec l’écrivaine et Rouleau, qui a voulu une toute jeune Audrey Hepburn pour le rôle de Gigi dans la comédie adaptée du roman de Colette, représentée pendant dix-sept représentations, de 1951 à 1953. Une débutante, Carla Fracci, a également été découverte par elle et ensuite suggérée à Visconti pour interpréter Silvestra dans Mario e il mago.

À partir de 1961, Lila De Nobili s’installe dans un nouvel appartement du Quartier Latin, rue de Verneuil, un grenier au cinquième étage, en compagnie de nombreux chats recueillis dans la rue, qui sont devenus sujets de ses peintures et illustrations. En 2018, Francesca Simone et Claudie Gastine ont publié Gatti di Parigi chez Officina Libraria, rassemblant les croquis et dessins de ce que l’on peut considérer comme ses modèles les plus chers. Tout au long de sa vie, elle a été entourée de nombreux amis, élèves de tous âges, qui appréciaient sa conversation raffinée et ses grandes qualités empathiques. Contrairement à ce que l’on pourrait penser, son statut de célibataire a souvent favorisé l’amitié, un privilège parfois moins accessible aux femmes mariées, contraintes par la convention sociale à se consacrer à leur mari et à leurs enfants. Ouverte et cultivée, De Nobili se liait avec tous, y compris les enfants, et elle aimait enseigner, qu’elle considérait comme une occasion de perfectionner sa méthode et de continuer à s’exercer. Malgré ses nombreux voyages, Paris est restée son point de retour, surtout par amour pour sa mère, avec qui elle entretenait un lien profond.

Zeffirelli a dit d’elle qu’elle était «la plus grande scénographe et costumière du XXᵉ siècle, la maîtresse de nous tous». Dans l’un des articles publiés quelques jours après sa mort, survenue le 19 février 2002, elle a été qualifiée de «petit et génial elfe de la scénographie peinte», pour souligner sa manière discrète et silencieuse de travailler, comme un elfe dans l’ombre, de cette femme qui, par sa propre volonté, est peu connue et qui mériterait d’être redécouverte également pour ses qualités de peintre. Après sa mort, plusieurs expositions lui ont été consacrées, les plus importantes ayant eu lieu à Milan, au Musée du Théâtre alla Scala, et à Rome, à l’Académie de France à Villa Médicis. Le silence imposé par De Nobili sur sa vie a été, par chance, brisé par certains amis et élèves, qui ont permis l’accès à sa vaste production et à sa correspondance, rendant possible en partie la reconstruction de la personnalité d’une artiste très réservée et la jouissance de la beauté de ses œuvres.


Traduzione spagnola

Gabriela Zappulla

Lo que llama inmediatamente la atención en el teatro es la escenografía, así como ocurre con la ilustración dentro de un artículo, en la portada de una revista o en una postal ilustrada: todas ellas captan primero la mirada del lector o de la lectora. Podría pensarse que quienes se dedica de la escenografía se sienten cómodos bajo los focos. Nada más lejos del temperamento y la vida de Lila de Nobili di Vezzano, dibujante, ilustradora, escenógrafa y diseñadora de vestuario, descubridora de talentos y, en la última etapa de su vida, pintora. Parece casi que, en su vida como descendiente privilegiada de una antigua familia aristocrática, esta mujer de personalidad compleja intentó hacerse invisible, deliberadamente esquiva, para dejar que sus creaciones hablaran por sí solas. Definida como “la última gran representante de la escena teatral pintada”, cercana a directores de cine como Visconti y Zeffirelli, y sobre todo Raymond Rouleau, con quien mantuvo un vínculo profesional que duró casi 30 años, De Nobili supo moverse con paso sigiloso en el mundo del teatro, firmemente decidida a mantenerse alejada del foco de atención.

Nacida el 3 de septiembre de 1916 en Suiza, en Castagnola, una aldea de Lugano, hija de Prospero de Nobili di Vezzano, empresario y político descendiente de una familia de la nobleza de Liguria, y de Dola Vartès, con ascendencia judía y húngara, pasó su infancia entre Niza y Roma, emprendiendo desde muy joven numerosos viajes con su madre, también al extranjero. París, Budapest y Nueva York la estimularon no solo a aprender y hablar diferentes idiomas, sino también a desarrollar una curiosidad intelectual y un amor por el conocimiento que favorecieron su gran apertura mental. Su tío Marcel Vertès, pintor e ilustrador muy conocido, descubrió muy pronto, junto con su padre, las dotes artísticas de su sobrina y el estilo sintético y libre de su pintura se convirtió para Lila en un modelo fundamental. Gracias a la amistad de su padre con Aristide Sartorio, quien le dedicó un retrato, la futura escenógrafa logró ingresar en la Academia de Bellas Artes de Roma, en via di Ripetta, donde conoció a Ferruccio Ferrazzi, alumno de Sartorio, que se convirtió en su maestro y con quien se graduó en decoración en el 1939. Lila de Nobili nunca dejó de estudiar, con una voluntad de aprender, de perfeccionarse y de ponerse a prueba que la caracterizó durante toda su vida. En Roma, donde en aquellos años se respiraba un ambiente internacional, conoció a personas muy estimulantes, entre ellas Filippo de Pisis, de quien recibirá consejos muy útiles para su crecimiento artístico. Sin embargo, su punto de referencia siguió siendo su tío Marcel Vertès, diseñador de vestuario, dibujante, ilustrador y escenógrafo, de trazo desenfadado e irónico. Fue él quien introdujo en la redacción de Vogue France las ilustraciones de Lila de Nobili, que ya había colaborado con la revista de moda Bellezza, dirigida por Gio Ponti. Este fue un periodo en que sus obras para las portadas de Vogue alcanzaron un gran éxito.

En 1946, tras la muerte de su padre, se trasladó a París con su madre Dola y se instaló en el Barrio Latino. Fueron años de gran melancolía y dificultades económicas. Sin embargo, Vertès pronto le presentó a algunas personalidades del mundo artístico parisino, entre ellas Christian Berard, quien se convirtió en otro de sus referentes fundamentales. Lamentablemente, murió muy pronto, en 1949, y fue Cocteau quien la reconoció como la heredera del gran Berard. Fue también gracias a Vertès que, en ese periodo, se acercó al teatro y a la vida social parisina, por la que no sentía gran simpatía. Tras conocer al actor y director Raymond Rouleau, esposo de una compañera de estudios, nació una intensa relación profesional, con colaboraciones como escenógrafa y diseñadora de vestuario en más de veinte obras de teatro y una película. Se sabe poco sobre De Nobili. Le debemos mucho al libro de Maria Crespi Lila De Nobili, publicado en 2014, por la editorial Grafica Step en la colección «Amici della Scala», donde se recogen dibujos, bocetos e ilustraciones de gran valor junto con una serie de fotografías. También resulta destacable la conferencia que Irene Fineschi le dedicó el 27 de noviembre de 2023 dentro del ciclo Il genio della donna en la Sala del Zodíaco del Palazzo Malvezzi de Bolonia. Para su tesis de máster, Fineschi tuvo acceso – gracias a la disponibilidad de alumnos, alumnas y amistades de De Nobili – a correspondencia, bocetos, dibujos, ilustraciones y fotografía hasta entonces inaccesibles, debido al silencio, siempre respetado, impuesto por la propia escenógrafa.

Lila de Nobili nunca quiso ser considerada artista. Le gustaba la idea de ejercer oficios, como el de escenógrafa y diseñadora de vestuario, porque, en cierta medida se acercaban al trabajo artesanal, comprometido con las manos y con el cuerpo. Nunca quiso conceder entrevistas y evitó el mundo de las exposiciones y de la pintura que “olía a dinero”. Esta concepción del trabajo nos la transmitió Renzo Mongiardino, arquitecto y amigo suyo de la infancia, en una entrevista concedida a Rossana Biason, autora de una tesis titulada Cominciando dalla fine. Alla ricerca di Lila de Nobili, para el Curso de Escenografía de la Academia de Bellas Artes de Venecia.

Visconti quiso conocerla después de presenciar en París la representación de Anna Karienina, dirigida por Raymond Rouleau, e inmediatamente la incorporó como escenógrafa y diseñadora de vestuario en Come le foglie de Giuseppe Giacosa en 1954 y, al año siguiente, en la ópera La Traviata de Giuseppe Verdi. De Nobili le sugirió a Visconti que trasladara la ambientación de los acontecimientos a finales del siglo XIX, proponiendo a Maria Callas para el papel de la protagonista Violetta Valery, con el fin de introducir algunas decisiones de puesta en escena poco convencionales, como soltarle el largo cabello a Violetta justo antes de encontrarse con Alfredo, o hacerle lanzar los zapatos al aire para quedarse descalza durante buena parte de la ópera. Fueron soluciones escénicas revolucionarias para la época, que consagraron este montaje como histórico en la ópera. A pesar de ser experta en ambientaciones fin de siècle, De Nobili trabajó en puestas en escena de obras ambientadas en periodos muy diversos, desde obras de Shakespeare representadas en Stratford upon Avon hasta piezas de Tennessee Williams, Rostand y Giradoux. Cada montaje suponía una ocasión para llevar a cabo estudios filológicos cuidadosos y profundos, en búsqueda de autenticidad compartida con Visconti.

Otro encuentro fundamental fue el que tuvo con el diseñador de vestuario y coleccionista de trajes Tirelli, quien más adelante fundaría la famosa sastrería homónima en Roma. Según recuerda Fineschi, ambos acudían al mercadillo parisino en busca de trajes de época, que luego utilizaban como objetos de estudio o incluso directamente como vestuario escénico, siempre que estuvieran en buen estado. De Nobili fue también una gran descubridora de talentos. Fue ella, junto con la escritora y Rouleau, quien eligió a una joven Audrey Hepburn para el papel de Gigi en la comedia basada en la novela de Colette (representada 17 veces, entre 1951 y 1953) mientras que la debutante Carla Fracci fue descubierta por ella y luego recomendada a Visconti para encarnar a Silvestra en Mario e il mago.

Desde 1961 Lila de Nobili se instaló en un ático del Barrio Latino, en la rue de Verneuil, rodeada de numerosos gatos rescatados de la calle, que se convirtieron en protagonistas de sus pinturas e ilustraciones. En 2018 Francesca Simone y Claudie Gastine publicaron, Gatti di Parigi, para Officina libraria, un volumen en el que recopilaron bocetos y dibujos de sus modelos más queridos. A lo largo de su vida, siempre estuvo rodeada de amigos y amigas, alumnos y alumnas de todas las edades que disfrutaban de su conversación refinada y de su notable empatía. Contrariamente a lo que podría pensarse, a menudo la condición de soltera –a cualquier edad– abre las puertas al don de la amistad, una suerte que no siempre se reserva a las mujeres que se casan y que, por convención social, deben dedicarse al marido, hijos e hijas. Abierta y cultivada, De Nobili se relacionaba con todo el mundo, incluso niños y niñas, y le gustaba enseñar, ya que lo consideraba una oportunidad para perfeccionar su propio método y seguir practicando. A pesar de sus viajes, París siempre fue el lugar al que volver, impulsada por el profundo amor que la unía a su madre. La participación de De Nobili en cinco ediciones del Festival dei Due Mondi de Spoleto fue fundamental: en una de ellas se encargó del diseño del cartel, y en la edición de 1973 realizó, aunque a distancia por la enfermedad de su madre, la escenografía de Manon Lescaut de Puccini, que fue la última dirección operística de Luchino Visconti. También diseñó vestuario para artistas como Ingrid Bergman, Maria Callas, Édith Piaf, Simone Signoret, Laurence Olivier, Michel Piccoli y muchas más. Lila de Nobili se comprometió profundamente en lo civil y lo político: junto a la juventud del mayo del 68, defendió la libertad de prensa al lado de Simone de Beauvoir y Jean-Paul Sartre.

Tras retirarse del teatro en 1970, se dedicó a la pintura y visitaba con regularidad el Museo de Louvre para copiar obras de los grandes maestros, tal como había hecho desde antes de la guerra. Llevaba consigo un cuaderno y hojas de dibujo, que guardaba en un cesto de mimbre, en los que realizaba bocetos muy variados. También fundó una pequeña escuela de dibujo, la Academie, junto al pintor y escenógrafo griego Yannis Tsarouchis, cuya técnica admiraba y de quien siguió aprendiendo. Sus innumerables dibujos, las postales ilustradas para amigos y amigas y sus bocetos cautivaron a muchos artistas, entre ellos a Robert Wilson y David Hockney. Zeffirelli la definió como “la mayor escenógrafa y diseñadora de vestuario del siglo XX, la maestra de todos nosotros”. En un artículo publicado pocos días después de su muerte, el 19 de febrero de 2002, fue descrita como “pequeño y genial elfo de la escenografía pintada”, para destacar su manera discreta y silenciosa de trabajar, como un elfo en la sombra, de esta mujer que, por su propia voluntad, es poco conocida y que merece ser redescubierta también por sus cualidades como pintora.

Tras su muerte, se le dedicaron varias exposiciones, entre las más importantes las celebradas en Milán, en el Museo del Teatro alla Scala, y en Roma, en la Academia de Francia en Villa Medici. El silencio que ella misma impuso sobre su vida fue quebrado, por suerte para nosotros, por sus amistades y parte de su alumnado , quienes permitieron el acceso a su vasta producción y a su correspondencia, lo cual permitió reconstruir en parte la personalidad de una artista tan reservada y disfrutar de la belleza de sus creaciones.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

What is immediately striking in the theater is the set design, just as the illustration within an article or on the cover of a magazine and the image on an illustrated postcard first catch the reader's eye. One would be inclined to think that those who do set design feel comfortable in the limelight. Nothing could be further from the temperament and life of Lila De Nobili di Vezzano, designer, illustrator, set and costume designer, talent discoverer and, in the final part of her existence, painter. It almost seems that in her life as a privileged descendant of an ancient aristocratic family, this woman with a complex personality tried to make herself invisible, elusive by her own will, to let her creations speak for themselves. Described as "the last great representative of the painted theater scene," close to directors such as Visconti and Zeffirelli, and especially Raymond Rouleau, with whom she was united in an association that lasted nearly 30 years, De Nobili knew how to move with a soft step in the world of theater, firmly determined to stay out of the spotlight.

Born Sept. 3, 1916, in Switzerland, in Castagnola, a suburb of Lugano, to her father Prospero De Nobili di Vezzano, an entrepreneur and politician descended from a family of Ligurian nobility, and her mother Dola Vertès, with Jewish and Hungarian ancestry, she spent her childhood between Nice and Rome, soon embarking with her mother on numerous trips, including abroad. Paris, Budapest and New York stimulated her not only to learn and speak several languages, but also to develop an intellectual curiosity and love of knowledge that fostered her great open-mindedness. Her uncle Marcel Vertès, a well-known painter and illustrator, soon discovered, along with her father, his niece's artistic talents, and the synthetic and free style of his painting was an important model for Lila. Thanks to her father's friendship with Aristide Sartorio, who dedicated a portrait to her, the future set designer was able to enter the Academy of Fine Arts in Rome, in Via di Ripetta, where she met Ferruccio Ferrazzi, a student of Sartorio, who became her teacher, and with whom she graduated with honors in 1939. Lila De Nobili never stopped studying, with a desire to learn, perfect herself and test herself that characterized her throughout her life. In Rome, where in those years there was an international climate, she met very stimulating people, including Filippo De Pisis from whom she would receive very useful suggestions for her artistic growth. Her point of reference, however, remained her uncle Marcel Vertès, a costume designer, draughtsman, illustrator and set designer with a casual and ironic stroke. It was he who introduced into the editorial staff of Vogue France the illustrations of Lila De Nobili, who had already collaborated with the fashion magazine Bellezza, directed by Gio Ponti. This was the period when her work for the covers of Vogue achieved great success.

In 1946, after the death of her father, she moved to Paris with her mother Dola, settling in the Latin Quarter. These were years of considerable melancholy and economic hardship. Soon, however, Vertès introduced her to a number of personalities in the Parisian art world, including Christian Berard, who became another reference point of hers. Unfortunately, he soon died in 1949, and it was Cocteau who recognized her as the heir to the great Berard. Again thanks to Vertès, during this period she became acquainted with the theater and Parisian social life, for which she had little sympathy. Following her meeting with actor and director Raymond Rouleau, the husband of one of her fellow students, a very intense professional relationship was born, with collaborations as set and costume designer on more than 20 plays and one film. There is little information around De Nobili. We owe much to Maria Crespi Morbio's book Lila De Nobili, published in 2014, for Grafica Step editions in the Amici della Scala Series, in which are collected drawings, sketches and illustrations of great value and a series of photographs. Also particularly compelling was the lecture dedicated to her by Irene Fineschi on November 27, 2023 for the series The Genius of Woman in the Sala dello Zodiaco of Bologna's Palazzo Malvezzi. Fineschi had access, for her master's thesis, thanks to the willingness of De Nobili's students and friends, to papers, sketches, drawings, illustrations and photographs that were hitherto inaccessible due to the ever-observed stipulation of silence imposed by the stage designer herself.

Lila De Nobili never wanted to be called an artist. She liked the idea of practicing crafts, such as that of the set and costume designer, because to some extent they approached that of the artisan, engaged with her hands and body. She never wanted to be interviewed and shunned the world of exhibitions and painting that tasted like money. This idea of her work was told to us by Renzo Mongiardino, architect and childhood friend, during an interview with Rossana Biason, author of a dissertation entitled Beginning from the End, In search of Lila De Nobili, for the course of Scenography, from the Academy of Fine Arts in Venice. She allegedly reported the following words to Mongiardino:

"Painting in this way is disgusting, it tastes like money, it tastes like the market, it tastes like horrible exhibitions, all that is this world I don't like, I don't want to see it. I like people who work by the hour, who work because there is a need for that certain thing there and they get into it."

Lila De Nobili approached theater as a set designer, bringing into the painted scene all her knowledge, the fruit of countless readings, films, opera and prose performances, the deep culture and interdisciplinarity that distinguished her. With her plays, for the realization of which she often worked tirelessly and without assistants, she contributed to the narrative brought to the stage by making available all that she knew and had learned over the years. Her collaboration with Rouleau, an expert in lighting engineering, influenced her and brought out her great skill, still not fully appreciated today. Her set designs, which are based on sketches, reveal a skillful use of lighting, through which to give a magical, dreamlike effect, achieved with gauze and tulle veils applied to the scene. Visconti wished to meet her after attending a performance in Paris of Anna Karenina, directed by Raymond Rouleau, and wanted her with him as set and costume designer in Giuseppe Giacosa's Come le foglie in 1954 and, the following year, for the production of Giuseppe Verdi's opera La Traviata. De Nobili suggested to Visconti that he move the setting of the events to the late nineteenth century, proposing Maria Callas for the title role of Violetta Valery, so that he could allow for some unconventional directing choices, such as having Violetta let down her long hair on stage before her encounter with Alfredo, or having her remove her shoes by throwing them in the air and then remaining barefoot for part of the opera. These were revolutionary stage solutions for the time, allowing this staging to go down in its own right in operatic history. Although an expert in fin de siecle settings, De Nobili participated in staging of operas placed in different historical eras, from Shakespeare's plays performed at Stratford on Avon to those of Tennessee Williams, from Rostand to Giraudoux. Each performance was for her an occasion for careful and thorough philological studies, with a search for the authentic that united her with Visconti.

A key meeting was also with costume designer and dress collector Tirelli, who would later open the famous tailor shop of the same name in Rome. Together they would go to the flea market in Paris, as Fineschi recalls, in search of period clothes that would either become the object of study or, if in good condition, directly stage costumes. De Nobili was also a great talent scout. It was she, together with the writer and Rouleau, who wanted a very young Audrey Hepburn for the part of Gigi in the play based on Colette's novel, performed for no less than 17 performances, from 1951 to 1953, while a debutante Carla Fracci was discovered by her and then suggested to Visconti to play Silvestra in Mario e il mago.

From 1961 Lila De Nobili moved to a new apartment in the Latin Quarter on the rue de Verneuil, an attic on the fifth floor, in the company of many cats, collected from the street and becoming the subjects of paintings and illustrations. In 2018 Francesca Simone and Claudie Gastine produced a publication, Cats of Paris, for Officina libraria, in which they collected the sketches and drawings of what we can call her most cherished models. Keeping her company in her life were always many friends, pupils and students of all ages who enjoyed her refined conversation and remarkable empathic gifts. Contrary to what one might think, unmarried status is often one that, at any age, opens one up to the gift of friendship, a fortune not always reserved for women who marry and must devote themselves, by social convention, to husbands, sons and daughters. Open-minded and cultured, De Nobili related to anyone, even boys and girls, and she enjoyed teaching believing it to be an opportunity to perfect her method and continue practicing. Despite her travels, Paris always remained the place to return to, especially because of her love for her mother to whom she was united by a deep relationship. Fundamental for De Nobili was her participation in five editions of the Festival of Two Worlds in Spoleto, for one of which she oversaw the creation of the playbill. For the 1973 edition she was in charge, albeit from a distance because of her mother's illness, of the set design for Puccini's Manon Lescaut, Luchino Visconti's last direction in the world of opera. She created costumes for Ingrid Bergman, Maria Callas, Edith Piaf, Simone Signoret, Lawrence Olivier and Michel Piccoli and many other artists. Lila De Nobili was highly civically and politically engaged. Alongside the youth in the May '68 protests, she took a stand in defense of freedom of the press with Simone De Beauvoir and Jean Paul Sartre.

Retiring from the theater in 1970, she devoted herself to painting and periodically visited the Louvre Museum to make copies of the works of the great masters, as she had always done even before the war. She went around with a notebook and drawing sheets, kept in a wicker basket, on which she made sketches of the most varied subjects. She also founded a small drawing school, l’Academie, with Yannis Tsarouchis, a Greek painter and stage designer, whose method she envied and from whom she continued to learn. Her countless drawings, picture postcards for friends, and sketches have enchanted many artists, including Robert Wilson and David Hockney. Zeffirelli said of her that she was "the greatest set and costume designer of the 20th century, the teacher of us all." In one of the articles written a few days after her death on Feb. 19, 2002, she was called a "small and brilliant elf of painted set design," to emphasize the discreet and silent way of working, like an elf in the shadows, of this woman who, even by her own will, is little known and who deserves to be rediscovered as well for her skills as a painter.

After her death, a number of exhibitions were dedicated to her, the most important of which were in Milan, at the Museo del Teatro alla Scala, and in Rome, at the French Academy in the Villa Medici. The silence she imposed on her life has been broken, fortunately for us, by some and a few friends and pupils who have allowed access to her vast production and correspondence, making possible in part the reconstruction of the personality of such a reserved artist and the enjoyment of the beauty of her works.

Maria Bjönson
Gabriella Milia

Dongni Wei

 

Maria Björnson è stata uno dei maggiori talenti del teatro e dell'opera del Ventesimo secolo. Progettando sia le scene che i costumi, ha attuato importanti trasformazioni nel teatro shakespeariano, nel musical e nella produzione operistica. I suoi disegni erano sontuosi e inquietanti, i suoi set, che spesso funzionavano come gabbie magnificamente popolate, furono acclamati in Gran Bretagna e non solo. Maria Björnson è cresciuta come Maria Prodan, soprannominata Nini. Era figlia di una brillante donna rumena: Mia Prodan de Kisbunn, discendente da una famiglia nobile, e di un norvegese di nome Bjorn Björnson, nipote del Premio Nobel per la Letteratura Bjornstjeme Björnson, che non la riconobbe subito. Nacque il 16 febbraio del 1949 a Parigi dove si era trasferita la madre per studiare francese e fonetica alla Sorbona dopo il passaggio della Romania sotto l’influenza sovietica. Soltanto in età adulta, Maria seppe che era stata registrata con il cognome della famiglia paterna, quindi iniziò a utilizzarlo. Mia arrivò a Londra nel giugno del 1950, gravemente malata di tubercolosi e senza soldi, con la bambina, e andò da un parente, che la prese come domestica e abusò di lei. Trovò poi ospitalità da un altro rifugiato, Ion Ratiu, che insieme alla moglie Elisabeth accudì la piccola per due anni, mentre lei era in cura. Dopo essere guarita, Mia prese Maria di nuovo con sé. La separazione dalla madre e l’abbandono del padre che non incontrò fino a trent’anni segnarono la giovane profondamente; soffrì di insicurezze e ansie per tutta la vita. Inoltre, essere figlia illegittima in un'epoca in cui ciò era ancora motivo di emarginazione sociale e gli abusi subiti da parte di un uomo più anziano di cui lei si fidava, hanno contribuito a rendere molto difficili i suoi rapporti con gli uomini.

Come rifugiate, madre e figlia vivevano un’esistenza isolata, avevano poche amicizie e dovevano impegnarsi per procurarsi da mangiare. Si legarono tra di loro intensamente, si definivano "la coppia senza paura" che lottava contro il mondo per sopravvivere. Mia era un'intellettuale indipendente, parlava diverse lingue e non si sposò mai. Maria si sentiva in colpa, pensava di essere un peso per sua madre. Era nata con una palatoschisi che le conferiva una voce nasale, e fino all'età adulta fu affetta da balbuzie. La solitudine e l’isolamento in cui era vissuta da bambina l'avevano spinta a crearsi una esistenza interiore popolata da amiche e amici immaginari ed esotici che inserirà nelle sue scenografie. Già da piccola, disegnava pagine e pagine di persone dai costumi vivaci, ognuna con la propria storia. Ogni volto era diverso, ogni espressione esprimeva un'emozione specifica. Era un mondo pieno di colori, tessuti preziosi, gioielli e piume. Le prime scenografie di Maria furono gli interni di una grande casa delle bambole. Mia portò la figlia quattordicenne dall'artista Cecil Collins per avere un consiglio sulle sue capacità. Collins, che insegnava alla Central School of Art di Londra, capì subito che la ragazza aveva un talento geniale e suggerì alla madre di incoraggiarla a diventare scenografa piuttosto che pittrice. Così Maria Björnson entrò alla Central Saint Martin School of Art.

Dalla povertà totale, Björnson divenne benestante grazie al suo lavoro e alla tardiva eredità paterna, ma odiava il denaro e donava quanto più poteva. Ha elargito una consistente somma a un ente di beneficenza rumeno, ha sostenuto un orfanotrofio rumeno e ha finanziato sceneggiatori e autori rumeni; ha offerto sussidi per lo sviluppo della logopedia in Sri Lanka e per le/gli operatori sanitari in Gran Bretagna. Si è anche dedicata molto alle/agli studenti della Central School of Art, dove era professoressa onoraria, dando loro insegnamenti e consigli per la carriera. Era molto amata per il suo genio creativo, per la generosità e per il suo spiccato senso dell’umorismo. Nel 1987 Maria Björnson divenne cittadina britannica, nonostante la madre avesse desiderato che rimanessero entrambe apolidi come protesta contro la tirannia di Ceausescu in Romania, dove sperava che un giorno potessero tornare come libere cittadine rumene. Maria non poté mai, né lo desiderava, liberarsi dal legame intenso che aveva con la figura materna. La donna, quando ebbe un ictus, sebbene cosciente, non fu più in grado di parlare né di scrivere e la figlia andava a trovarla spesso, le teneva la mano e le raccontava ogni evento della sua giornata. Legata in modo tanto esclusivo alla madre, ebbe difficoltà nei rapporti affettivi personali. Sette anni prima di morire iniziò una relazione con l'artista Malcolm Key, che fu suo amorevole partner fino alla fine, sebbene vivessero separati; diventò più serena, meno ansiosa e capì finalmente che poteva essere amata da qualcuno che non fosse sua madre. Quell'affetto le portò la pace e la felicità che non aveva mai conosciuto prima. Maria Björnson è morta prematuramente nella sua casa di Londra il 13 dicembre del 2002 a 53 anni.

Björnson aveva iniziato la carriera al Citizens Theatre di Glasgow all'inizio degli anni Settanta con il regista Philip Prowse il cui intenso rigore si accordava con il suo. Ha messo in scena: Nella giungla delle città, Cenerentola, La vita di Galileo, Il gatto con gli stivali, Il crogiolo, Le tre sorelle, L'opera da tre soldi e Tiny Alice. Ha lavorato anche alla Scottish Opera e al Wexford Festival. Ma il suo progetto più rivoluzionario è stato La Tempesta (1982) presso la Royal Shakespeare Company. In esso la scena è dominata dallo scheletro della nave sulla quale Prospero e la figlia erano arrivati 12 anni prima. In questa versione, Prospero è coinvolto in un'angosciante lotta interiore con le sue emozioni e i suoi desideri. Il suo costume era quello di un mago rinascimentale, decorato con segni occulti, e il suo bastone finemente modellato era sormontato da una mano appuntita. Con questa opera la fantasiosa creatrice ottenne un grande successo e attirò l'attenzione del produttore Cameron Mackintosh, che le offrì di lavorare alla messa in scena di Il Fantasma dell’Opera. La genesi dello spettacolo risale ai primi anni Ottanta, quando Lloyd Webber e Mackintosh progettano la realizzazione del musical, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Gaston Leroux. Racconta l'amore disperato di un geniale musicista dal volto sfigurato, che vive nei sotterranei dell'Opéra di Parigi, per la soprano Christine Daaé. Maria Björnson disegnò personalmente gli oltre 230 costumi e le ventidue scenografie, di cui è diventato particolarmente celebre il gigantesco lampadario che ogni sera levitava in aria durante l'ouverture e crollava sul palco al termine del primo atto. Sottolineò inoltre l’opulenza dell'Opéra di Parigi con pesanti tendaggi ondulati, cariatidi dorate e con una spettacolare discesa agli inferi attraverso un ponte inclinato che conduceva a un lago sotterraneo pieno di candele. «Abbiamo usato tende che si piegavano verso il basso e verso l'alto», ha scritto, «angoli turchi oscuri che non portano da nessuna parte e candele che spuntavano dal pavimento attraverso la nebbia». Le scenografie, che includevano oltre al lampadario che cade, una gondola che scivola sul lago sotterraneo e un’ampia scalinata, insieme ai sontuosi costumi, sono diventati parte della leggenda del teatro che pochissime/i hanno uguagliato. Dopo aver debuttato a Londra nel 1986, nel 1988 Il Fantasma dell’Opera approdò al Majestic Theatre di New York dove è stato rappresentato fino al 2023. Il musical è stato pure in tournée in tutto il mondo. Con questo lavoro formidabile la creatrice ha vinto il Tony Award per i migliori costumi e per le migliori scenografie.

Dopo quel successo, Maria Björnson ha lavorato ad Aspects Of Love di Lloyd Webber e al revival di Follies di Sondheim (1987), con ragazze vestite come lampadari e altre con torte nuziali o arpe sul capo. Dopo una controversa edizione della Bella addormentata alla Royal Opera House nel 1994, si dedicò nuovamente alla prosa nella stagione dell'Almeida Theatre di Londra nel biennio 1998-1999, disegnando i costumi di attrici come Diana Rigg e Cate Blanchett. Inoltre, furono particolarmente apprezzate le sue scenografie di Fedra e Britannico. Nel 2000 realizzò la scenografia e disegnò i costumi per la rappresentazione del testo di Anton Čecov Il giardino dei ciliegi in scena al Royal National Theatre con Vanessa Redgrave protagonista. Quando improvvisamente morì, Maria Björnson stava lavorando a diverse opere e aveva da poco consegnato il progetto completo per la messa in scena dello spettacolo Il Piccolo Principe, diretto da Francesca Zambello, che debuttò a Houston.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

Maria Bjornson a été un des plus grands talents du théâtre et de l’Opéra du vingtième siècle. En projetant soit les scènes que les costumes, elle a mis en place des tranformations importantes au sein du théâtre de Shakespeare, de la comédie musicale et dans la production de l’Opéra. Ses dessins étaient somptueux et troublants; ses décors, souvent organisés comme des cages magnifiquement peuplées, ont été acclamés en Grande Bretagne et aux Etats Unis. Maria Bjornson croît sous le nom de Maria Prodan, dite Nini. Elle est fille d’une roumaine géniale, Mia Prodan de Kisbunn (descendante d’une famille noble), et du norvégien Bjorn Björnson, neveu du Prix Nobel pour la Litérature Bjornstjeme Björnson, lequel ne la reconnaît pas dès la naissance. Maria naît le 16 février 1949 à Paris, où sa mère s’est installée pour étudier à la Sorbonne le Français et la phonétique, à la suite du passage de la Roumanie sous l’influence soviétique. C’est seulement dans l’âge adulte que Maria découvre d’avoir été enregistrée avec le nom de famille de son père, et elle commence à l’utiliser. La mère de Maria, Mia, arrive avec sa fille à Londres au mois de juin 1950, affectée par une tuberculose sévère et sans moyens: elle s’installe chez un parent qui lui donne un travail de domestique tout en abusant d’elle. Successivement elle trouve aide chez un couple de réfugiés, Ion Ratiu et sa femme Elisabeth, qui s’occupent de la petite Maria pendant deux ans, le temps que Marie se soigne. Une fois guérie, Mia et Maria recommencent leur vie ensemble. Cependant, la vie de Maria est fortement marquée par la séparation de sa mère et l’abandon de la part de son père, qu’elle rencontre seulement dans l’âge adulte. Tout au long de sa vie elle souffrira d’incertitudes et d’anxiété. En plus, ses rapports avec les hommes ont été troublés soit par sa condition de fille illégitime (qui porte à cette époque à une véritable émargination sociale), soit par les abus subis par un homme plus agé qu’elle, auquel elle pourtant faisait confiance.

A cause del leur contition de réfugiées, mère et fille mènent une vie isolée, elles ont peu d’amis et doivent se débrouiller pour manger. Cette situation les pousse à ses lier profondément, tant qu’elles se nomment “le couple sans peur” qui lutte contre le Monde entier pour survivre. Mia est une intellectuelle indépendante, elle parle plusieurs langues et ne se mariera jamais. Maria craint d’ être un pois pour sa mère et se sent coupable: elle naît avec une fente palatine qui lui donne une voix nasale et elle bégaye tout au long de sa jeunesse. Pour échapper à la solitude et à l’isolement de son enfance, elle se construit toute une existence intérieure, peuplée par des amis et amies imaginaires et exotiques, lesquels par la suite vont trouver une place dans ses scénographies. Toute petite, elle remplit pages sur pages d’étranges personnages aux costumes flamboyants, chacun aves sa propre histoire. Les visages sont tous différents, les expressions faciales renvoient à une émotion précise: il s’agit d’un monde plein de couleurs, de tissus précieux, de bijoux et de plumes. Maria crée ses prémiers décors pour une grande maison de poupées, à l’âge de quatorze ans sa mère la conduit chez l’artiste Cecil Collins pour avoir un conseil sur son talent. Collins enseigne à la Central School of Art de Londres et comprend tout de suite le don génial de Maria: elle propose à la mère de l’adresser vers la scénographie plutôt que vers la peinture. C’est ainsi que Maria Bjornson entre à la Central Saint Martin School of Art.

 

Grâce à son travail et à l’héritage paternel, qu’elle réçoit une fois adulte, Maria passe d’une situation de pauvreté totale à la prosperité, cependant elle déteste l’argent et pendant toute sa vie fait des dons au délà de ses possibilités. Elle aide surtout son Pays d’origine: elle offre des contributions importantes à une organisation caritative, soutien un orphelinat, finance des scénaristes et des acteurs roumains. En plus, elle fait des donations pour le développement de la logopedie au Sri Lanka et pour les professionnels de la santé en Grande Bretagne. Maria se dédie aussi aux étudiants de la Central School of Art, dont elle est professeur honoraire, en leur donnant des conseils pour la carrière à suivre. Les jeunes l’aiment beaucoup et apprécient surtout son génie créateur, sa générosité et son sens de l’ironie. En 1987 Maria Bjornson devient citoyenne britannique, bien que sa mère aurait voulu garder pour les deux la condition d’apatrides, en tant que démonstration de proteste contre la tyrannie de Ceaucescu en Roumanie. Elle confiait de pouvoir un jour rentrer dans le Pays d’origine sous le statut de libres citoyennes roumaines. Maria n’a jamais réussi, ni a voulu, couper son lien étroit avec la figure maternelle. Lorsque Mia est frappée par une apoplexie et n’arrive plus ni à parler ni à ecrire, tout en étant consciente, Maria lui rend visite souvent et lui raconte sa journée dans les moindres détails, lui tenant la main. Ce lien exclusif avec la mère lui empêche de tisser des relaxions affectives personnelles. C’est seulement sept ans avant sa mort qu’elle noue une relation avec l’artiste Malcolm Key qui devient son partenaire aimant jusqu’à la fin, même s’ils ne vivent pas ensemble. Dans cette période Maria est plus sereine, moins anxieuse, ayant pris conscience que quelqu’un d’autre que sa mère peut l’aimer. Cette relation lui donne une paix et un bonheur qu’elle n’a jamais connu auparavant. Le 13 décembre 2002, âgée de 53 ans, elle meurt prématurément dans sa maison de Londres.

La carrière de Maria Bjornson démarre au Citizens Theatre de Glasgow au débuts des années soixante à côté du metteur en scène Philip Prowse, dont elle partage et admire la profonde rigueur,. A Glasgow elle mets sur scènes: Dans la jungle des villes, Cendrillon,La vie de Galileo, Le chat botté, Le creuset, Les trois sœurs, l’Opéra de quat’sous et Tiny Alice. Elle travaille aussi pour la Scottish Opera et le Wexford Festival, mais son projet le plus innovatif c’est La tempête en 1982 pour la Royal Shakespeare Company. Ici la scène est dominée par l’épave du navire qui a conduit sur l’île Prospère et sa fille douze ans auparavant. Dans cette version, Prospère est pris par une angoissante lutte intérieure entre ses émotions et ses désirs. Le personnage porte sur scène un costume de magicien au temps de la Rénaissance, décoré par des motifs occultes et tient un bâton finement cisélé surmonté par une main pointue. Grâce au succès immense de cette œuvre, la géniale artiste se fait remarquer par le producteur Cameron Mackintosh qui lui propose de s’occuper de la mise en scène de la pièce Le Phantôme de l’Opéra. La prémière idée du spectacle remonte au début des années quatre-vingts, lorsque Lloyd Webber et Mackintosh projettent la réalisation d’une comédie musicale librement inspirée au roman de Gaston Leroux. La pièce raconte d’un musicien génial au visage défiguré qui se cache dans les tunnels de l’Opéra de Paris et qui prouve un amour fou pour la soprano Christine Daaé. Maria Björnson dessine elle même plus que 230 costumes et 22 scénarios, parmi lesquels est devenu iconique le lustre géant qui chaque soir s’élévait dans le vide pendant l’ouverture et s’écroulait sur la scène à la fin du premier acte. Pour rendre l’opulence de l'Opéra de Paris, elle utilise des lourds rideaux ondulés, des cariatides dorées et réalise une spectaculaire descente aux enfers à travers un pont qui mène à un lac souterrain rempli de bougies. Elle écrit: ”Nous avons fait recours à des rideaux qui pouvaient se plier vers le haut aussi bien que vers le bas, à des coins obscurs qui ne menaient nulle part, à des bougies qui poussaient du plancher parmi le brouillard”. Ces scénarios, comprenant en outre un lustre qui tombe, une gondole qui glisse sur un lac souterrain, un grand escalier et des costumes somptueux, sont devenus une légende du Théâtre qui seulement un trés petit nombre de scénaristes a su égaler. Après son début à Londres en 1986, en 1988 Le Phantôme de l’Opéra arrive sur les scènes du Majestic Theatre de New York et reste en programmation jusqu’au 2023. Au même temps la comédie musicale part en tournée dans le monde entier et fait gagner à Maria Björnson le prix Tony Award pur les meilleurs costumes et scénarios.

Après cet immense succès Maria travaille sur Aspects Of Love de Lloyd Webber et au revival de Follies de Sondheim (1987), avec des filles habillées comme des lustres ou bien avec des gâteaux de mariage ou des harpes sur la tête. En 1994 elle met sur scène à la Royal Opera House une édition discutable de La belle au bois dormant; par la suite elle revient à la prose au sein de l'Almeida Theatre de Londres dans la saison 1998-1999, s’occupant de dessiner les costumes de scène d’actrices célèbres telles que Diana Rigg et Cate Blanchett. Dans cette période, ses scénarios pour Phédre et Britannique sont fortément appréciés. En 2020 Maria réalise les décors et les costumes pour la pièce La cerisaie de Anton Čecov au Royal National Theatre, avec Vanessa Redgrave comme protagoniste. Maria Björnson est en train de travailler sur plusieurs pièces et vient de terminer un projet pour la mise en scène de Le Petit Prince lorsqu’elle est atteinte par une mort prématurée. Son dernier spectacle débute à Houston sous la direction artistique de Francesca Zambello.


Traduzione spagnola

Gabriela Zappulla

Maria Björnson fue uno de los mayores talentos del teatro y la ópera del siglo XX. Diseñando tanto escenografías como vestuario, llevó a cabo importantes transformaciones en el teatro shakespeariano, los musicales y la producción operística. Sus diseños eran suntuosos e inquietantes, y sus decorados, que a menudo funcionaban como jaulas magníficamente pobladas, fueron aclamados en Gran Bretaña y más allá. Maria Björnson nació como Maria Prodan, apodada Nini. Era hija de una brillante mujer rumana: Mia Prodan de Kisbunn, descendiente de una familia noble, y de un noruego llamado Bjorn Björnson, nieto del Premio Nobel de Literatura Bjornstjeme Björnson, quien no la reconoció inmediatamente. Nació el 16 de febrero de 1949 en París, donde su madre se había trasladado para estudiar francés y fonética en la Sorbona después de que Rumanía pasara a estar bajo la influencia soviética. Solo en la adultez, Maria supo que había sido registrada con el apellido paterno, por lo que empezó a utilizarlo. Mia llegó a Londres en junio de 1950, gravemente enferma de tuberculosis y sin dinero, con la niña, y fue a vivir con un pariente quien la tomó como empleada doméstica y abusó de ella. Luego, encontró alojamiento con otro refugiado, Jon Ratiu, quien junto con su mujer Elisabeth, cuidó de la niña durante dos años, mientras ella estaba en tratamiento. Después de recuperarse, Mia volvió a llevarse a Maria con ella. La separación de la madre y el abandono del padre, a quien no volvió a ver hasta los treinta años, marcaron profundamente a la joven, quien sufrió inseguridad y ansiedad durante toda su vida. Además, el hecho de ser hija ilegítima en una época en que eso todavía era motivo de marginación social y los abusos que sufrió por parte de un hombre mayor en quien confiaba, contribuyeron a que sus relaciones con los hombres fueran muy difíciles.

Como refugiadas, madre e hija vivían una existencia aislada, tenían pocas amistades y debían esforzarse para conseguir comida. Se unieron mucho entre ellas, se definían como “la pareja sin miedo” que luchaba contra el mundo para sobrevivir. Mia era una intelectual independiente, hablaba varios idiomas y nunca se casó. María se sentía culpable y pensaba que era una carga para su madre. Nació con un paladar hendido que le daba una voz nasal y, hasta la edad adulta, padeció tartamudez. La soledad y el aislamiento que vivió de niña la llevaron a crear un mundo interior poblado de amistades imaginarias y exóticas que luego incluiría en sus escenografías. Desde pequeña ya dibujaba páginas y páginas de personas con trajes llamativos, cada una con su propia historia. Cada rostro era diferente, cada expresión transmitía una emoción específica. Era un mundo lleno de colores, tejidos preciosos, joyas y plumas. Las primeras escenografías de Maria fueron los interiores de una gran casa de muñecas. Mia presentó su hija de catorce años a la artista Cecil Collins para que la aconsejara sobre sus habilidades. Collins, que enseñaba en la Central School of Art de Londres, se dio cuenta inmediatamente de que la chica tenía un talento prodigioso y le sugirió a su madre que la animara a convertirse en escenógrafa en lugar de pintora. Así fue como Maria Björnson ingresó en la Central Saint Martins School of Art.

 

De la pobreza absoluta, Björnson pasó a ser rica gracias a su trabajo y a la tardía herencia paterna, sin embargo, odiaba el dinero y donaba todo lo que podía. Donó una suma importante a una organización benéfica rumana, apoyó un orfanato rumano y financió a guionistas y autores rumanos; ofreció subvenciones para el desarrollo de la logopedia en Sri Lanka y para profesionales sanitarios en Gran Bretaña. También se dedicó mucho a sus estudiantes de la Central School of Art, donde era profesora honoraria, impartiendo clases y dando consejos sobre su carrera. Era muy querida por su talento creativo, por su generosidad y por su agudo sentido del humor. En 1987 Maria Björnson se convirtió en ciudadana británica, a pesar de que su madre deseaba que ambas permanecieran apátridas como protesta contra la tiranía de Ceausescu en Rumania, donde esperaba que un día podrían regresar como ciudadanas rumanas libres. Maria nunca pudo, ni quiso, librarse del vínculo intenso que tenía con su figura materna. Cuando la mujer sufrió un derrame cerebral, aunque estaba consciente, ya no podía hablar ni escribir y la hija la visitaba a menudo, le cogía la mano y le contaba todo lo que había hecho durante el día. Al estar tan unida a su madre, le costaba entablar relaciones afectivas personales. Siete años antes de morir, empezó una relación con el artista Malcolm Key, que fue su amoroso compañero hasta el final, aunque vivían separados; se volvió más serena y menos ansiosa y finalmente comprendió que podía ser amada por alguien que no fuera su madre. Ese afecto le aportó la paz y la felicidad que nunca había conocido antes. Maria Björnson murió prematuramente en su casa de Londres el 13 de diciembre de 2002 a los 53 años.

Björnson empezó su carrera en el Citizens Theatre de Glasgow al comienzo de los años Setenta con el director Philip Prowse, cuya intensa rigurosidad encajaba con la suya. Puso en escena: En la jungla de las ciudades, Cenicienta, La vida de Galileo, El gato con botas, El crisol, Las tres hermanas, La ópera de los tres centavos y Tiny Alice. Trabajó también en la Scottish Opera y en el Wexford Festival. Sin embargo, su proyecto más revolucionario fue La tempestad (1982) en la Royal Shakespeare Company. En ella, la escena está dominada por el esqueleto del barco en el que Prospero y su hija habían llegado 12 años antes. En esta versión, Prospero está se ve envuelto en una angustiosa lucha interior con sus emociones y sus deseos. Su vestuario era el de un mago renacentista, decorado con símbolos ocultos, y su bastón finamente tallado estaba rematado por una mano puntiaguda. Con esta obra la imaginativa creadora tuvo un gran éxito y llamó la atención del productor Cameron Mackintosh, quien le ofreció trabajar en la puesta en escena de El fantasma de la ópera. El origen del espectáculo se remonta a los primeros años ochenta, cuando Lloyd Webber y Mackintosh planearon la realización de un musical, libremente inspirado en la novela homónima de Gaston Leroux. Cuenta la historia del amor desesperado de un genial músico de rostro desfigurado, que vive en los subterráneos de la Ópera de París, por la soprano Christine Daaé. Maria Björnson diseñó personalmente más de 230 vestuarios y 22 escenografías, entre las que destaca el gigantesco candelabro que cada noche se elevaba en el aire durante la obertura y se precipitaba sobre el escenario al final del primer acto. Además, subrayó la opulencia de la Ópera de París con pesadas cortinas onduladas, cariátides doradas y un espectacular descenso a los infiernos por un puente inclinado que llevaba a un vasto subterráneo lleno de velas. “utilizamos cortinas que se doblan hacia abajo y hacia arriba” escribió, “oscuros rincones ‘a la turca' que no llevan a ninguna parte y velas que emergían del suelo entre la niebla”. La escenografía, que incluía, el candelabro que caía, una góndola que se deslizaba por un lago subterráneo y una amplia escalinata, junto con los suntuosos trajes, se convirtió en parte de la leyenda del teatro que pocos han igualado. Tras su estreno en Londres en 1986, en 1988 El Fantasma de la Ópera llegó al Majestic Theatre de Nueva York, donde se representó hasta 2023. El musical también ha viajado por todo el mundo. Con esta obra formidable la creadora ganó el Tony Award al mejor vestuario y la mejor escenografía.

Tras ese éxito, Maria Björnson trabajó en Aspects of Love de Lloyd Weber y en el revival de Follies de Sondheim (1987), con chicas vestidas como candelabros y otras con pasteles de boda o arpas sobre la cabeza. Tras una controvertida edición de la Bella durmiente en la Royal Opera House en 1994, volvió a dedicarse al teatro de texto en la temporada del Almeida Theatre de Londres en el bienio 1998-1999, diseñando los vestuarios de actrices como Diana Rigg y Cate Blanchett. Además, fueron especialmente apreciadas sus escenografías para Fedra y Britanico. En 2000 realizó la escenografía y diseñó el vestuario para la representación de la obra de Anton Čecov El jardín de los cerezos en escena en el Royal National Theatre con Vanessa Redgrave como protagonista. Cuando falleció repentinamente, Maria Björnson trabajaba en varias obras y acababa de entregar un proyecto completo para la puesta en escena del espectáculo El Principito, dirigido por Francesca Zambello, que se estrenó en Houston.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Maria Björnson was one of the greatest theater and opera talents of the 20th century. Designing both sets and costumes, she implemented major transformations in Shakespearean theater, musicals and opera productions. Her designs were lavish and eerie, and her sets, which often functioned as magnificently populated cages, were acclaimed in Britain and beyond. Maria Björnson grew up as Maria Prodan, nicknamed Nini. She was the daughter of a brilliant Romanian woman - Mia Prodan de Kisbunn, descended from a noble family, and a Norwegian named Bjorn Björnson, grandson of Nobel Laureate in Literature Bjornstjeme Björnson, who did not immediately recognize her. She was born Feb. 16, 1949, in Paris, where her mother had moved to study French and phonetics at the Sorbonne after Romania came under Soviet influence. Only in adulthood did Maria learn that she had been registered under her father's family surname, so she began using it. Mia arrived in London in June 1950, seriously ill with tuberculosis and penniless, with the child, and went to a relative, who took her in as a maid and abused her. She then found hospitality with another refugee, Ion Ratiu, who together with his wife Elisabeth cared for the little girl for two years while she was in treatment. After recovering, Mia took Maria back with her. The separation from her mother and the abandonment by her father, whom she did not meet until she was 30 years old, marked the young girl deeply. She suffered from insecurities and anxieties all her life. In addition, being an illegitimate daughter at a time when this was still a cause for social marginalization, and the abuse she suffered from an older man whom she trusted, contributed to her very difficult relationships with men.

As refugees, mother and daughter lived an isolated existence, had few friendships, and had to work hard to get food. They bonded intensely with each other, calling themselves "the fearless couple" who struggled against the world to survive. Mia was an independent intellectual, spoke several languages and never married. Maria felt guilty, thought she was a burden to her mother. She was born with a cleft palate that gave her a nasal voice, and until adulthood she suffered from a stutter. The loneliness and isolation in which she had lived as a child had prompted her to create for herself an inner existence populated by imaginary and exotic friends and acquaintances whom she would include in her settings. Even as a child, she drew pages and pages of brightly costumed people, each with their own story. Each face was different, each expression expressed a specific emotion. It was a world full of colors, precious fabrics, jewelry and feathers. Maria's first sets were the interior of a large dollhouse. Mia took her 14-year-old daughter to artist Cecil Collins for advice on her skills. Collins, who was teaching at the Central School of Art in London, quickly realized that the girl had brilliant talent and suggested to her mother that she encourage her to become a set designer rather than a painter. Thus Maria Björnson entered Central Saint Martin School of Art.

 

From abject poverty, Björnson became wealthy through her work and her late father's inheritance, but she hated money and donated as much as she could. She gave a substantial sum to a Romanian charity, supported a Romanian orphanage and funded Romanian screenwriters and authors. She offered grants for the development of speech therapy in Sri Lanka and for health workers in Britain. She was also very dedicated to the students of the Central School of Art, where she was an honorary professor, giving them teaching and career advice. She was much loved for her creative genius, generosity, and keen sense of humor. In 1987 Maria Björnson became a British citizen, despite the fact that her mother had wished for them both to remain stateless as a protest against Ceausescu's tyranny in Romania, where she hoped they might one day return as free Romanian citizens. Maria could never, nor did she wish to, free herself from the intense bond she had with her mother. When her mother suffered a stroke, although conscious, she was no longer able to speak or write, and her daughter visited her often, held her hand and told her every event of her day. Bound so exclusively to her mother, she had difficulty in personal emotional relationships. Seven years before her death, she began a relationship with artist Malcolm Key, who was her loving partner until the end, although they lived apart. She became more serene, less anxious, and finally realized that she could be loved by someone other than her mother. That affection brought her peace and happiness she had never known before. Maria Björnson died prematurely at her home in London on December 13, 2002, at the age of 53.

Björnson had begun her career at the Citizens Theatre in Glasgow in the early 1970s with director Philip Prowse whose intense rigor matched her own. She staged In the Jungle of Cities, Cinderella, The Life of Galileo, Puss in Boots, The Crucible, The Three Sisters, The Threepenny Opera, and Tiny Alice. She also worked at the Scottish Opera and the Wexford Festival. But her most revolutionary project was The Tempest (1982) at the Royal Shakespeare Company. In it the scene is dominated by the skeleton of the ship on which Prospero and his daughter had arrived 12 years earlier. In this version, Prospero is involved in an agonizing inner struggle with his emotions and desires. His costume was that of a Renaissance magician, decorated with occult signs, and his finely fashioned staff was surmounted by a pointed hand. With this play the imaginative creator achieved great success and attracted the attention of producer Cameron Mackintosh, who offered her to work on staging The Phantom of the Opera. The genesis of the show dates back to the early 1980s, when Lloyd Webber and Mackintosh planned to produce the musical, loosely based on Gaston Leroux's novel of the same name. It tells of the desperate love of a genius musician with a disfigured face, living in the basement of the Paris Opera, for soprano Christine Daaé. Maria Björnson personally designed the more than 230 costumes and twenty-two sets, of which the giant chandelier that levitated in the air each night during the overture and collapsed onstage at the end of the first act became particularly famous. She also emphasized the opulence of the Paris Opéra with heavy wavy curtains, gilded caryatids and a spectacular descent into the underworld via a sloping bridge leading to an underground lake filled with candles. "We used curtains that bent downward and upward," she wrote, "dark Turkish corners leading nowhere and candles poking out of the floor through the fog." The sets, which included in addition to the falling chandelier, a gondola gliding over the underground lake and a sweeping staircase, along with the lavish costumes, became part of theater legend that very few have matched. After debuting in London in 1986, in 1988 The Phantom of the Opera landed at New York's Majestic Theatre where it was performed until 2023. The musical has also toured around the world. With this formidable work, the creator won the Tony Award for best costumes and best sets.

After that success, Maria Björnson worked on Lloyd Webber's Aspects Of Love and Sondheim's revival of Follies (1987), with girls dressed as chandeliers and others with wedding cakes or harps on their heads. After a controversial revival of Sleeping Beauty at the Royal Opera House in 1994, she turned her attention back to prose in London's Almeida Theatre season in 1998-1999, designing costumes for actresses such as Diana Rigg and Cate Blanchett. In addition, her set designs for Phaedra and Britannicus were particularly appreciated. In 2000 she created the set design and designed the costumes for a performance of Anton Chekhov's The Cherry Orchard staged at the Royal National Theatre with Vanessa Redgrave in the lead role. When she suddenly died, Maria Björnson was working on several operas and had recently delivered the complete design for the staging of The Little Prince, directed by Francesca Zambello, which premiered in Houston.

Natacha Rambova
Laura Candiani

Giulia Capponi

 

Traduzione francese

Rachele Stanchina

Malgré que le nom d’art renvoie à la Mer Baltique ou bien au bords de la Moskova, Natacha naît dans le Utah à Salt Lake City le 19 janvier 1897, est américaine et porte un nom moins poétique: Winifred Kimball Shaughnessy. Signe particulier: une beauté éclatante. Cependant, la Rambova est aussi douée d’une grande inventive et elle est capable de se faire remarquer dans n’importe quel domaine du spectacle: elle est tour à tour danseuse, actrice, scénographe, costumiste, metteur en scènes, designer, collectionniste et même égyptologue experte. Elle connaît un surplus de notoriété grâce au mariage avec Rodolphe Valentino pendant les années rougissantes: Natacha devient son épouse en 1922 et forme avec lui un couple au charmes sans égales jusqu’au 1925, date de leur divorce.

La petite Winifred-Natacha vient d’une famille chrétienne qui fait partie de l’Eglise Mormone, qui voit le jour aux Etats Unis en 1830 mais n’a jamais étée officiellement réconnue. Elle porte les noms de famille de ses parents, mais succéssivement la mère divorce de son époux à cause de la passion de celui-ci pour l’alcool et le jeu. Elles s’installent à San Fransisco , la jeune fille vient adoptée par le quatrième mari de sa mère, un riche industriel, et elle en prends le nom Winifred Hudnut. Bientôt elle part en Grande Bretagne pour étudier, à Paris elle assiste à une exhibition de Anna Pavlova, dive de la danse. Elle l’admire à tel point qu’elle veut devenir danseuse à tout prix et rejoint la Russie, le Pays de ses rêves. La jeune fille devient membre du Ballet Impérial Russe, mais pendant une tournée en Amérique la révolution éclate. Gwinifred est donc obligée de rester dans son Pays et commence à s’occuper des scénarios et des costumes à côté de metteurs en scènes renommés, même si son nom au départ n’est jamais mentionné.

Son début date 1917, lorsqu’elle dessine les costumes pour le film La dernière des Montezuma, dont elle est aussi interprète; suivent en 1920 Pourquoi changer de femme? et Something to Think About, du célèbre Cecil B. DeMille, avec lequel l’année suivante elle travaille à la reprise de Forbidden Fruit. En 1920 elle s’occupe des décors de Billions, ouvrage du metteur en scènes Ray Smalwood. Dans cette période Gwinifred tombe amoureuse du danseur et acteur russe naturalisé Américain Theodore Kosloff, mais c’est une liaison courte et tourmentée. Bientôt commence une collaboration fructueuse avec l’actrice Alla Nazimova (1879-1945) originaire de la Crimée. Alla est belle, intelligente,son influence dans le milieu de Hollywood est réconnue, et surtout elle est capable de profiter de l’amitié avec Gwinifred pour renforcer sa propre célébrité. Pour elle, Natacha-Gwinifred en 1921 dessine les costumes et le décor de La dame aux camélias (Titre original Camille) tout en s’inspirant à l’expressionnisme Allemand. La pellicule, qui voit parmi les acteurs aussi Rodolphe Valentino, est sans doute la meilleure intérpretation de Alla Nazimova.

Deux ans après, c’est le tour de Salomé, hommage évident à Oscar Wilde, sous la direction de Charles Bryant qui est l’époux de la Nazimova: Natacha fait encore une fois montre de tout son génie. Grâce à ces rélations et à la fréquentation sur les scènes, Natacha et Rodolphe tombent amoureux et se marient peu après, le 14 mars 1922. Cependant, l’époux vient emprisonné avec l’accuse de bigamie car son divorce n’a encore été enregistré. Ils restent forcément éloignés pendant un an jusqu’au mariage officiel, qui a lieu le 14 mars 1923. Entre temps la carrière de Natacha poursuit avec des nouvelles collaborations pour les films A Doll's House, Le jeune Rajah, Monsieur Beaucaire (une comédie qui voit comme protagoniste Valentino dans le rôle d’un aristocratique faisant semblant d’ être un coiffeur). Le 1925 voit un tournant professionnel: pour la prémière fois elle produit et s’occupe des décors d’une pellicule, le film muet What Price Beauty? où débute la célèbre actrice Myrna Loy. La même année elle travaille au scénario de Cobra, où joue un petit rôle de danseuse, tandis que Valentino est protagoniste dans la peau d’un comte italien au centre d’une histoire tragique qui se déroule à New York. Le caractère de Natacha s’affiche clairement après le mariage: elle impose à son époux des choix de carrière audacieux, qui le mènent à une rupture avec la Paramount. Elle est convaincue que les rôles qui lui propose la compagnie soient banaux et repétitifs et qu’ils ne réussissent pas à le valoriser totalement. Cependant, le contrat interdit Valentino d’accepter des films avec d’autres productions, et c’est pour ça qu’ il revient à sa prémière profession de danseur, faisant couple avec sa magnifique et volitive épouse.

Leurs spectacles ont un succès énorme: comme dans un délire collectif, des foules d’admirateurs attendent le couple à la sortie des théâtres, ce qui devient utile à la compagnie qui les sponsorise, la Mineraleva, appartenante au beau-père de Natacha. Face à la situation, la Paramount est forcée à accepter la supervision de Natacha sur les pellicules interprétées par son époux. Cependant, peu de temps après la Paramount laisse la place à la United Artists, qui n’accepte plus le pouvoir de Natacha. On arrive rapidement au divorce, à cause non seulement des désaccords professionnels, mais aussi d’une différente vision de la vie et du travail concernant le monde féminin. Rodolphe Valentino conserve un point de vue traditionnel face au mariage, il aurait voulu des enfants et une épouse soumise, moins entreprenante et soucieuse de son succès. La mort de Valentino arrive soudainement, le 23 août 1926, à cause d’une péritonite et d’une ulcère de l’estomac mal soignée. Sa dernière pellicule, Le fils du Sheik, sort après sa mort et livre l’acteur au mythe. Natacha continue à s’occuper de son époux même après sa mort: en 1928 elle réunit ses souvenirs dans le livre All That Glitters: A Play in Three Acts, où elle parle de beaucoup de personnages du panorama artistique américain.

Par la suite elle s’installe en Europe, en 1934 se marie une deuxième fois avec le comte Alvaro de Urzaiz, un noble espagnol en compagnie duquel elle vit une situation très dangereuse. A cause de la fois franchiste de son époux, pendant la Guerre Civile ils risquent la fusillade. La liaison termine avec un autre divorce, dans la même période Natacha se passionne profondément aux sciences occultes et aux études historiques et artistiques qui la mènent, à partir du 1946, à prendre part à une série de voyages en Egypte. Elle devient une collectionniste, egyptologue et archéologue renommée. A la suite de l’aggravation d’une maladie auto-immune qui l’affectait depuis beaucoup de temps, la sclérodermie, elle meurt à Pasadena, près de Los Angeles, le 5 juin 1966. Elle nous laisse un manuscript d’un milliers de pages environs, en partie dedié à ses recherches sur la pyramide de Unas, qui pourrait non réserver bien de surprises et qui n’a pas encore été édité.

Le personnage de Natacha est présent dans le film biographique La Légende de Valentino (1975) avec Franco Nero aussi bien que dans Valentino (1977), sous la direction de Ken Russel et qui voit Rudolf Nureyev dans le rôle du mhyte. En 2015 le personnage de Natacha Rambova voit un retour sur scène grâce à la série télévisée American Horror Story, où l’actrice Alexandra Anna D’Addario interprète l’artiste à côté de Winn Wittrock dans le rôle de Valentino.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

A pesar del nombre artístico que nos llevaría a las orillas del Báltico o del Moscova, era estadounidense con un nombre menos poético: Winifred Kimball Shaughhnessy. Nació en Salt Lake City (Utah) el 19 de enero de 1897. Características distintivas: era guapísima. Por supuesto, tenía inventiva y habilidades para darse a conocer en casi todos los aspectos del espectáculo: de hecho, fue bailarina, actriz, escenógrafa, vestuarista y guionista, así como diseñadora y coleccionista e incluso experta egiptóloga. Obtuvo mayor fama aún por su matrimonio: fue, por un breve periodo, la esposa de la gran estrella de los «felices años veinte», Rodolfo Valentino, con quien formó una pareja fascinante sin igual.

De pequeña, Winifred era de familia cristiana, perteneciente a la iglesia de Jesucristo de los Santos de los Últimos Días, que surgió en los EEUU en 1830, nunca reconocida oficialmente y más conocida como Iglesia Mormona. Cuando nació, recibió los apellidos de sus padres, pero luego su madre se divorció por la afición de su marido por el alcohol y el juego. Se mudaron entonces a San Francisco y la joven fue adoptada por el cuarto marido de su madre, un rico empresario convirti éndose en Winifred Hudnut. Desde Gran Bretaña, a donde la enviaron a estudiar, logró llegar a Rusia, el país de sus sueños, ya que quería convertirse a toda costa en bailarina, más aún después de haber admirado en París la actuación de la estrella de la danza Anna Pavlova. Formó parte del Ballet Imperial Ruso, pero justo mientras estaba de gira en América estalló la revolución. Tuvo entonces que quedarse en su país natal y dedicarse a la escenografía y a la creación de vestuario, trabajando con grandes directores de cine, aunque al principio su nombre casi nunca se mencionaba.

En 1917, comenzó diseñando vestuarios para la película The whoman God forgot (La mujer que Dios olvidó) de la que fue también intérprete; en 1920, siguieron Why Change your Wife? Y Something to Think About, las tres del famoso Cecil B. DeMille, con quién también trabajó el año siguiente en la adaptación de Forbidden Fruit. En 1920, se encargó de la escenografía de la producción de Billions, dirigida por Ray Smalwood. En aquel momento, se enamoró de un bailarín y actor ruso naturalizado estadounidense, Theodore Kosloff, pero fue una historia breve y tormentosa; poco después, comenzó una fructífera colaboración con la actriz Alla Nazimova (1879-1945), originaria de Crimea. Fue una mujer influyente en Hollywood, hermosa e inteligente, que supo aprovechar la contribución de su amiga para aumentar su propia fama. Para ella, Natacha creó los vestuarios y las escenas para la película muda Camille (La dama de las camelias, 1921), inspirándose en el expresionismo alemán; en el reparto también estaba Rodolfo Valentino y, probablemente, fue la mejor actuación de Nazimova.

Dos años después, fue el turno de Salomé, un homenaje declarado a Oscar Wilde, dirigido por el marido de Nazimova, Charles Bryant, donde otra vez Natacha demostró su talento. Gracias a estas amistades y a su presencia en el plató se enamoró del actor italiano. La boda se celebró poco después, el 14 de marzo de 1922, pero arrestaron al novio bajo la acusación de bigamia, ya que su divorcio aún no se había registrado. Se vieron obligados a una separación forzada durante un año y pudieron casarse oficialmente el 14 de marzo de 1923. Mientras tanto, la carrera de Natacha continuaba con nuevas colaboraciones en películas: A Doll’s House, El Rajah de Dharmagar, Monsieur Beaucaire (una comedia con Valentino en el papel de un aristócrata que se hace pasar por un barbero). Un cambio profesional ocurrió cuando ella misma escenificó y produjo la película muda What Price Beauty?, debut de la célebre actriz Myrna Loy, en 1925. Ese mismo año trabajó en el guión de Cobra, película en la que tuvo un papel menor como bailarina, mientras que Valentino era el protagonista, un conde italiano en medio de una trágica historia ambientada en Nueva York. Tras la boda, Natacha mostró su verdadero carácter e impuso a su marido decisiones profesionales audaces , lo que lo llevó a romper con Paramount, culpable, para ella, de asignarle papeles triviales y repetitivos y de no saber cómo valorarlo al máximo. Pero, según el contrato, Valentino no podía aceptar películas con otras producciones, por lo tanto, volvió a su profesión anterior de bailarín, en pareja con su hermosa y volitiva esposa.

Sus espectáculos tuvieron un éxito rotundo, multitudes de admiradoras les esperaban fuera de los teatros, fue una especie de delirio colectivo que resultaba muy conveniente para la empresa patrocinadora, Mineraleva, perteneciente al padrastro de Natacha. Dadas las circunstancias, Paramount tuvo que ceder y aceptar la supervisión de su mujer en las películas interpretadas por la estrella. Sin embargo, poco después Paramount fue reemplazada por United Artists, donde el papel de Natacha ya no fue tolerado. En definitiva, llegó el divorcio causado por desacuerdos profesionales, pero también por una visión diferente de la vida y del trabajo femenino; en esto Valentino era bastante tradicional y habría querido tener hijos y una mujer menos emprendedora y menos interesada en su propio éxito. Como ya se sabe, Rodolfo Valentino murió con tan solo 31 años el 23 de agosto de 1926 a causa de una peritonitis y una úlcera gástrica no tratada. Su última película El Hijo del Jeque se estrenó póstumamente y lo entregó a la leyenda. De su excompañero, Natacha continuó ocupándose incluso después, de hecho, incluyó sus recuerdos en un volumen publicado en 1928, titulado All That Glitters: A Play in Three Acts, en el que describía muchas figuras del panorama artístico estadounidense.

Más tarde se mudó a Europa y en 1934 contrajo un segundo matrimonio con el conde Álvaro de Urzaiz, un noble español, con quien vivió una experiencia dramática, arriesgando el fusilamiento durante la Guerra civil debido a la fe franquista de él. Se divorció nuevamente, mientras nacía en ella una verdadera pasión por el ocultismo y los los estudios históricos y artísticos, alimentada por una serie de viajes en Egipto, desde el 1946. Se convirtió en experta coleccionista, arqueóloga y egiptóloga. Murió en Pasadena, cerca de Los Ángeles, el 5 de junio de 1966, a causa del empeoramiento de la esclerodermia, una enfermad autoinmune que padecía desde hacía tiempo. Dejó inacabado un manuscrito de unas mil páginas que no se ha publicado, dedicado en parte a sus investigaciones sobre la Pirámide de Unas, que tal vez podría habernos deparado quién sabe cuántas sorpresas.

Su figura fue incluída en la película biográfica La Leyenda de Valentino (1975), con Franco Nero, y en la subsiguiente Valentino (1977), dirigida por Ken Russel e interpretada por Rudolf Nureyev. En 2015, Natacha Rambova volvió a estar en el candelero gracias a una serie de televisión American Horror Story, interpretada por la actriz Alexandra Anna Daddario junto a Winn Wittrock en el papel de Valentino.

Edith Head
Loretta Junck

Giulia Capponi

 

Ha disegnato gli abiti di scena delle più famose star di Hollywood, da Audrey Hepburn a Kim Novak, da Grace Kelly a Paul Newman e Robert Redford, ha collaborato con registi prestigiosi, ha lavorato in più di mille film ottenendo 35 Nomination e vincendo ben 8 Oscar, ha dimostrato quanto sia determinante un abito per creare un personaggio e dargli carattere. Spirito libero, audace e originale, ha creato modelli e stili che hanno fatto sognare le donne di tutto il mondo ed è diventata una leggenda nell’ambiente del cinema internazionale. Sull’ambitissima Walk of Fame di Los Angeles c’è una stella dedicata a lei.

Stiamo parlando di Edith Head, la più grande costumista della storia di Hollywood, una professionista che ha scolpito nell’immaginario di milioni di persone la figura di centinaia di attrici e attori, iniziando a lavorare nel cinema quando ancora non esisteva il sonoro, e continuando ininterrottamente per quasi sessant’anni fino al 1981, l’anno della sua morte. Autrice di due libri sulla sua carriera professionale e sulla filosofia del suo design (The Dress Doctor e How To Dress For Success), è un’icona negli Stati Uniti, dove ha avuto parecchi riconoscimenti, oltre agli Oscar e alle Nomination. Per l’eccellenza del suo lavoro le è stato dedicato un francobollo ed è ricordata in molti documentari. A lei si ispira il personaggio di Edna Mode, la stilista dei supereroi nella serie di film di animazione Gli Incredibili, che ha il suo volto e, come lei, porta occhiali dalla spessa montatura. 

È opera sua il famoso abito di Grace Kelly nel film La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock (1954) in tulle bianco e chiffon nero, noto come Paris Dress; sua la sontuosa mise da ballo color oro – il costume di scena più costoso da lei realizzato – che “ghiaccio bollente” sfoggia in Caccia al ladro (1955). Per Hitchcock, con il quale si creò un fortissimo legame professionale, curò anche i costumi di Notorius, Marnie, Gli uccelli, Complotto di famiglia, contribuendo a creare personaggi la cui immagine corrispondeva per il regista a un radicato ideale di bellezza femminile. Un’eleganza ricercata e misurata, glamour ma tradizionale e mai troppo sexy, a esaltare il fascino talora inquietante delle sue algide muse bionde: ampie gonne midi, tailleur dalle giacche avvitate con grazia e maniche a tre quarti negli anni Cinquanta, sofisticati completi con giacche a sacchetto e abiti elegantemente scivolati negli anni Sessanta. Gonne sempre rigorosamente sotto il ginocchio. Aveva lavorato per la prima volta con Hitchcock nel film Notorius (1946), una intrigante storia di spionaggio con Ingrid Bergman; il regista e la costumista avevano le stesse idee e si erano immediatamente compresi. Contrariamente a gran parte dei propri colleghi e colleghe, Head infatti tendeva a progettare abiti che riflettessero il personaggio, non il proprio stile, e per questo nessuno e nessuna come lei seppe declinare alla perfezione l’immagine femminile prediletta dal regista inglese.

E come dimenticare gli abiti indossati da Audrey Hepburn in Vacanze romane (1953), la favola della principessa in incognito che scorrazza in Vespa insieme a un fascinoso Gregory Peck in una meravigliosa Roma degli anni Cinquanta? Oppure i costumi di Sabrina, del 1954, con la stessa attrice al fianco di Humphrey Bogart e William Holden, o di Colazione da Tiffany, il film che, tratto da un romanzo di Truman Capote e diretto da Blake Edwards, consacrò definitivamente il successo di Audrey Hepburn nel 1961?

Edith Claire Posenor, questo il cognome di nascita, vede la luce a San Bernardino (California) nel 1897, da padre e madre ebrei di lingua tedesca. Il matrimonio dei genitori non dura, i due si separano e la madre si risposa con un ingegnere minerario cattolico. Per il lavoro di lui la famiglia cambia spesso residenza e Edith viene allevata nella religione del padre. Laureatasi in letteratura francese a Berkeley, inizia la sua carriera lavorativa come insegnante di lingue, ma il suo interesse profondo va al design. Così, mentre insegna, frequenta dei corsi serali presso l’Otis College of Art e il Chouinard Art Institute di Los Angeles. Nel 1923 sposa Charles Head. Conserverà il cognome del marito, con il quale presto sarà conosciuta professionalmente, anche dopo il divorzio, nel 1938, e il secondo matrimonio con il direttore artistico Wiard Ihnen, che, al contrario del primo, durerà fino alla morte di lui, nel 1979.

Nel 1924, a ventisei anni, risponde a un annuncio pubblicitario della Paramount Pictures, che cerca maestranze da inserire nel dipartimento costume. È l’occasione che segna la svolta fondamentale nella sua vita. Dopo essere stata assunta come disegnatrice di schizzi, inizia a realizzare costumi per i/le protagonisti/e di film muti – l’avvento del sonoro è del 1927 – e da allora in avanti dimostra quale talento stia dietro alla sua instancabile dedizione al lavoro. Negli anni Trenta è già una costumista affermata. Lavora alla Paramount per 43 anni, ininterrottamente, per passare nel 1967, a settant’anni, a un’altra storica casa di produzione hollywoodiana: la Universal, forse convinta da Alfred Hitchcock, che vi si è trasferito qualche anno prima. Nel 1949 viene istituito l’Oscar per i migliori costumi e a partire da questa data quello di Edith Head diventa un nome ricorrente nelle candidature, premio che ottiene per ben otto volte, dal 1949 fino al ’74. Adorata dalle attrici, che a differenza dei suoi colleghi maschi lei consulta sempre – e questo le frutta parecchie amicizie personali a Hollywood – lavora per gli abiti di scena di molte famose dive degli anni Quaranta e Cinquanta: Ginger Rogers, Bette Davis, Barbara Stanwyck, Jane Wyman, Rita Hayworth, Shyrley McLaine, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Elizabeth Taylor e tante altre.

Alla fine degli anni Sessanta Head rivolge il suo interesse alla televisione: Hollywood sta rapidamente cambiando e molte delle attrici con cui ha lavorato si sono ritirate o compaiono meno nei nuovi film. Disegna gli abiti di Endora nella serie per la Tv Vita da strega e nel 1973 fa un cameo nella serie poliziesca Colombo, interpretando sé stessa. Nel 1974 vince l’ultimo Oscar per il suo lavoro nel notissimo film La stangata, con Paul Newman e Robert Redford nei panni di due truffatori. Nel 1978 le chiedono di disegnare una uniforme femminile per la Guardia Costiera degli Stati Uniti, dal momento che sono in aumento le donne in questa carriera. Il suo ultimo impegno è per una commedia in bianco e nero, Dead men don’t wear plaid, ambientata negli anni Quaranta: lei viene scelta a motivo della sua esperienza nel campo della moda proprio di quegli anni. Il film esce nel 1982, subito dopo la sua morte, avvenuta nell’ottobre dell’anno precedente, e viene dedicato alla sua memoria. Le spoglie di Edith Head riposano nel Forest Lawn Memorial Park di Glendale, California.


Traduzione francese

Angela Incorvaia

Elle a déssiné des costumes de scène aux plus fameuses stars d'Hollywood, d’Audrey Hepburn à Kim Novak, de Grace Kelly à Paul Newman et Robert Redford; elle a collaboré avec de prestigieux réalisateurs de cinéma, elle a travaillé dans plus d’un millier de films obtenant 35 Nominations et en remportant bien huit Oscars. Elle a démontré à quel point est crucial le costume pour créer un personnage et lui donner de la personnalité. Libre d’esprit, audacieuse et originale, elle a créé des modèles et des styles qui ont fait rêver les femmes du monde entier et elle est devenue une vraie légende dans le monde du cinéma international. Sur le très convoité "Walk of Fame" de Los Angeles il y a une étoile qui lui est dédiée.

Nous parlons d’Edith Head, la plus grande créatrice de costumes de l’histoire d’Hollywood, une femme professionnelle qui a façonné l’imagination de millions de personnes, la silhouette de centaines d’acteurs et attrice, en commençant a travaillé dans le cinéma quand il n’existait pas encore le son et elle a continué sans interruption pendant presque soixante ans jusqu’en 1981, l’année de son décés. Auteur de deux livres sur sa carrière professionnelle et sur la philosophie de sa concessionaria de design (The Dress Doctor et How to Dress For Success), elle représente une icône aux Etats Unis, où elle a reçu plusieurs prix en plus des Oscars et des Nominations. Pour l’excellence de son travail un timbre lui a été dédié et elle est commémorée dans de nombreux documentaires. Elle est l’inspiration d’Edna Mode, la styliste des supérieurs dans la série de films d’animation. Les Incroyables avec son visage et comme elle, porte des lunettes avec une monture épaisse.

La célèbre robe de Grace Kelly représente son oeuvre dans le film La Fenêtre sur la cour de Alfred Hitchcock (1954 ), en tulle blanc et mousseline noire, connue sous le nom de Robe de Paris; la sompteuse robe de bal dorée est aussi son oeuvre _ "glace bouillante" montre dans le film La main au collet (1955 ). Pour Hitchcock, avec lequel un lien professionnel très fort a été créé, elle a pris soin aussi des costumes de Notorius, Marnie, Les oiseaux, Complot familial aidant à créer des personnages dont l’image correspondait pour la réalisatrice à un ideal profond de la beauté féminine. Une élégance raffinée et mesurée, glamour mais traditionnelle et jamais trop sexy, pour réhausser le charme parfois dérangeant de ses muses blondes froides: des jupes midi larges, des tailleurs avec des vestes gracieusement ajustées et des manches trois-quarts dans les années cinquante, des costumes sophistiqués avec des vestes "sac" et des robes également fluides des années soixante. Des jupes toujours rigoureusement en dessous du genou. Elle avait travaillé pour la première fois avec Hitchcock dans le film Notorius (1946), une histoire intrigante d'espionnage avec Ingrid Bergman; le réalisateur et la créatrice de costumes avaient les mêmes idées et ils se sont tout de suite compris. Contrairement à la plupart de ses collèghes, elle avait tendance à créer des vêtements qui reflètaient le personnage, et non pas son propre style; et pour cela personne comme elle n'était capable d’exprimer parfaitement l’image féminine chère au réalisateur anglais.

C’est comme oublier les vêtements portés par Audrey Hepburn dans le film Vacances Romaines (1953 ) l’histoire de la princesse déguisée qui se promène sur une Vespa en compagnie d’un charmant Gregory Peck dans une merveilleuse Rome des années cinquante? Ou les costumes de scène de Sabrina en 1954, avec la même actrice auprès de Humphrey Bogard et William Holden, ou encore de Diamants sur canapé, le film inspiré du roman de Truman Capote et dirigé par Black Edwards, ce qui a définitivement consacré le succés d’Audrey Hepburn en 1961?

Son nom de naissance est Edith Claire Posenor; elle est née à San Bernardino (Californie) en 1897, d’un père et d’une mère juifs germanophones. Le mariage des parents ne dure pas; les deux se séparent et la mère se remarie avec un ingénieur des mines catholique. A cause du travail de son mari, la famille change souvent de residence et Edith est élevée dans la religion de son père. Elle obtient sa licence en littérature française à Berkeley et elle commence sa carrière professionnelle comme professeur de langues mais son intérêt profond est pour le design. Ainsi, tout en enseignant, elle fréquente des cous du soir à l’Oris Collège of Art et Chouivard Art Institute de Los Angeles. En 1923 elle épouse Charles Head. Elle gardera le nom de son mari, avec lequel elle sera bientôt connue professionnellement même après son divorce en 1938. Au contraire, son deuxième mariage avec le directeur artistique Wiard Ihen durera jusqu’en 1979, à la mort de ce dernier. 

En 1924, à 26 ans, elle répond à une annonce publicitaire de la Paramont Pictures; qui cherche du personnel pour travailler dans le bureau de style des créateurs de costumes de scènes. C’est l’opportunité qui marque le tournant fondamental de sa vie. Après avoir été embauchée comme déssinatrice de croquis, elle commence à réaliser des costumes de scènes pour tous les protagonistes du cinéma muet _ l’avènement du son est né en 1927 _ et à partir de là, elle démontre tout son talent derrière son dévouement inlassable au travail. Dans les années 30 elle est déjà une créatrice de costumes de scènes très fameuse. Elle a travaillé à la Paramount pendant 43 ans, sans interruption pour passer en 1967, à 70 ans, à une autre maison historique de production Hollywoodienne: la "Universal", peut être convaincue par Alfred Hitchcock, qui s’y était installé quelques années plus tôt. En 1949, l’Oscar des meilleurs créateurs de scènes fut créé et à partir de cette date, le nom d’Edith Head devint un nom récurrent dans les Nominations, un prix qu’elle remporta exactement 8 fois, de 1949 à 1974. Elle était adorée par les actrices qu’elle consultait toujours, contrairement à ses collègues masculins _ et cela lui a permis d‘obtenir de nombreuses amitiés personnelles à Hollywood _ elle a travaillé aux costumes de scènes de nombreuses "divas " célèbres des années ‘40 et ‘50: Gingers Rogers, Bette Davis, Barbara Stanwyck, Jane Wyman, Rita Hayworth, Shyrley McLaine, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Elisabeth Taylor et bien d’autres.

C’est à la fin des annêes 70 qu’Edith Head commence à s’intéresser à la télévision: Hollywood êtait en pleine mutation et de nombreuses actrices avec lesquelles elle a travaillé ont pris leur retraite et donc elles apparaissent moins dans les films. Elle dessine les costumes d Endora dans la série pour la télé Vie de Sorcière et en 1973 ele fait son apparition dans la série policière Colombo, en interprétant elle-même. En 1974 elle a remporté son dernier Oscar pour son travail dans le fameux film L’Arnaque avec Paul Newman et Robert Redford dans le rôle de deux escrocs. En 1978, on lui demande de dessiner un uniforme féminin pour les Garde-Côtes des Etats Unis, du fait que le nombre de femmes dans cette carrière augmentait.Son dernier engagement est pour une comédie en noir et blanc Dead men don’t wear plaid, fixé dans les années 40: elle a été choisie en raison de son expèrience dans le domaine de la mode au cours de ces années. Le film est sorti en 1982, tout de suite après son décés survenu en octobre de l'année précédente, et tout cela est dédié à sa mémoire. Sa dépouille mortelle repose dans le cimetière Forest Lawn Memorial Park de Glendale en Califonie.


Traduzione spagnola

Noemi Bertani

Diseñó los vestuarios de las estrellas más famosas de Hollywood, desde Audrey Hepburn hasta Kim Novak pasando por Grace Kelly, Paul Newman y Robert Redford; colaboró con directores prestigiosos y trabajó en más de mil películas obteniendo 35 nominaciones y ganando 8 premios Óscar demostrando cuán determinante puede ser un traje para crear un personaje y darle carácter. Espíritu libre, audaz y original, creó modelos y estilos que hicieron soñar a las mujeres de todo el mundo y se convirtió en una leyenda del cine internacional. En el Paseo de la Fama de Los Ángeles, hay una estrella dedicada a ella.

Estamos hablando de Edith Head, la diseñadora de vestuario más grande de la historia de Hollywood, una profesional que esculpió en el imaginario de millones de personas la figura de cientos de actrices y actores, comenzando a trabajar en el cine cuando todavía no existía el sonido, y continuando sin parar durante casi sesenta años hasta 1981, el año de su muerte. Autora de dos libros sobre su carrera profesional y sobre la filosofía de su diseño (The Dress Doctor y How to Dress for Success), es un icono en Estados Unidos, donde obtuvo numerosos reconocimientos, además de los Óscar y de las nominaciones. Por la excelencia de su trabajo le dedicaron un sello postal y es recordada en muchos documentales. En ella se inspira el personaje de Edna Moda, la diseñadora de superhéroes en la serie de películas de animación Los Increíbles, que tiene su rostro y, como ella, lleva gafas de gruesa montura.

Es obra suya el famoso vestido de Grace Kelly en la película La ventana indiscreta de Alfred Hitchcock (1954) en tul blanco y gasa negra, conocido como Paris Dress; suyo es el suntuoso vestido de baile de color dorado – el traje de escena más costoso que realizó – que “hielo ardiente” luce en Atrapa a un ladrón (1955). Para Hitchcock, con quien estableció una relación profesional muy estrecha, se ocupó también de los vestuarios de Encadenados, Marnie, la ladrona, Los pájaros, La trama, contribuyendo a crear unos personajes cuya imagen correspondía para el director a un arraigado ideal de belleza femenina. Una elegancia sofisticada y medida, glamurosa pero tradicional y nunca demasiado sexy, que exaltaba el encanto a veces inquietante de sus álgidas musas rubias: amplias faldas midi, trajes sastre con chaquetas entalladas con gracia y mangas tres cuartos en los años Cincuenta, sofisticados conjuntos con chaquetas rectas y vestidos elegantemente fluidos en los años Sesenta. Faldas siempre rigurosamente debajo de la rodilla. Había trabajado por primera vez con Hitchcock en la película Encadenados (1946), una historia de espionaje intrigante con Ingrid Bergman; el director y la diseñadora de vestuario tenían las mismas ideas y se comprendieron de inmediato. En efecto, contrariamente a la mayoría de sus colegas, Head solía diseñar vestidos que reflejaran al personaje, no su propio estilo, y por esto nadie como ella supo plasmar a la perfección la imagen femenina predilecta del director inglés.

¿Y cómo olvidar la ropa usada por Audrey Hepburn en Vacaciones en Roma (1953), el cuento de la princesa de incógnito que recorre en Vespa junto a un encantador Gregory Peck la maravillosa Roma de los años cincuenta? O el vestuario de Sabrina, del 1954, con la misma actriz al lado de Humphrey Bogart y William Holden, o de Desayuno con diamantes, la película que, basada en una novela de Truman Capote y dirigida por Blake Edwards, consagró definitivamente el éxito de Audrey Hepburn en 1961?

Edith Claire Posenor, este es su apellido de nacimiento, ve la luz en San Bernardino (California) en 1897, de padre y madre judíos de lengua alemana. El matrimonio de sus padres no dura, se separan y la madre vuelve a casarse con un ingeniero de minas católico. Por el trabajo de él, la familia cambia a menudo de residencia y Edith se cría en la religión de su padre. Tras licenciarse en literatura francesa en Berkeley, empieza su carrera laboral como profesora de idiomas, pero su interés profundo se dirige al diseño. Así, mientras enseña, asiste a los cursos nocturnos en el Otis College of Art y el Chouinard Art Institute de Los Ángeles. En 1923 se casa con Charles Head. Conservará el apellido de su marido, con el cual pronto será conocida profesionalmente, incluso después del divorcio, en 1938, y del segundo matrimonio con el director artístico Wiard Ihnen que, al contrario del primero, durará hasta la muerte de él en 1979.

En 1924, a los veintiséis años, responde a un anuncio publicitario de Paramount Pictures, que busca profesionales para el departamento de vestuario. Es la ocasión que marca un cambio fundamental en su vida. Tras ser contratada como figurinista, empieza a realizar el vestuario para los y las protagonistas de las películas mudas – el sonoro llega en 1927 – y desde entonces demuestra el talento que hay detrás de su incansable dedicación al trabajo. En los años treinta ya es una diseñadora de vestuario reconocida. Trabaja en Paramount durante 43 años ininterrumpidamente, para pasar en 1967, a los setenta años, a otra histórica productora hollywoodense: Universal, quizás convencida por Alfred Hitchcock, que se había trasladado allí unos años antes. En 1949 se instituye el Óscar al mejor vestuario y a partir de esa fecha el de Edith Head se convierte en un nombre recurrente en las candidaturas, premio que obtiene ocho veces, desde 1949 hasta 1974. Adorada por las actrices, a quienes a diferencia de sus colegas varones, ella siempre consulta – y esto le rinde muchas amistades personales en Hollywood – trabaja en el vestuario de muchas divas famosas de los años cuarenta y cincuenta: Ginger Rogers, Bette Davis, Barbara Stanwyck, Jane Wyman, Rita Hayworth, Shirley McLaine, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Elizabeth Taylor y muchas más.

A finales de los años sesenta, Head dirige su interés hacia la televisión: Hollywood está cambiando rápidamente y muchas de las actrices con las que ha trabajado se han retirado o aparecen menos en nuevas películas. Diseña los vestidos de Endora en la serie de televisión Embrujada y en 1973 hace un cameo en la serie policiaca Columbo, interpretándose a sí misma. En 1974 gana su último Óscar por su trabajo en la conocidísima película El golpe, con Paul Newman y Robert Redford interpretando a dos estafadores. En 1978 le piden que diseñe un uniforme femenino para la Guardia Costera de Estados Unidos, ya que aumentan las mujeres en esa carrera. Su último trabajo es para una comedia en blanco y negro, Dead men don’t wear plaid, ambientada en los años Cuarenta: a ella la eligen por su experiencia en la moda de aquella época. La película sale en 1982, inmediatamente después de su muerte, ocurrida en octubre del año anterior, y se dedica a su memoria. Los restos de Edith Head descansan en el Forest Lawn Memorial Park de Glendale, California.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

She designed the stage clothes of Hollywood's most famous stars, from Audrey Hepburn to Kim Novak, from Grace Kelly to Paul Newman and Robert Redford, collaborated with prestigious directors, worked on more than a thousand films earning 35 nominations and winning 8 Oscars, and demonstrated how crucial a costume is in creating a character. Free-spirited, daring and original, she created designs and styles that have made women around the world dream, and has become a legend in international film circles. On the coveted “Walk of Fame” in Los Angeles there is a star dedicated to her.

We are talking about Edith Head, the greatest costume designer in the history of Hollywood, a professional who sculpted the figure of hundreds of actresses and actors in the imagination of millions, starting work in cinema when sound did not yet exist, and continuing uninterruptedly for almost sixty years until 1981, the year of her death. The author of two books about her professional career and her design philosophy (The Dress Doctor and How To Dress For Success), she is an icon in the United States, where she has had several awards, as well as Oscars and Nominations. For the excellence of her work she has been dedicated a postage stamp and is remembered in many documentaries. She is the inspiration for the character of Edna Mode, the superhero stylist in the animated film series The Incredibles, who has her face and, like her, wears thick-framed glasses.

Grace Kelly's famous gown in Alfred Hitchcock's The Rear Window (1954) in white tulle and black chiffon, known as the Paris Dress, is her work. Hers also is the sumptuous gold-colored ball gown - the most expensive stage costume she made - that "hot ice" shows off in To Catch aThief (1955). For Hitchcock, with whom she forged a very strong professional bond, she also curated the costumes for Notorious, Marnie, The Birds, and The Family Plot, helping to create characters whose image corresponded for the director to a deep-rooted ideal of feminine beauty. A refined and measured elegance, glamorous but traditional and never too sexy, to enhance the sometimes disturbing charm of his icy blond muses. Wide midi skirts, suits with gracefully sagging jackets and three-quarter length sleeves in the 1950s, sophisticated suits with baggy jackets and elegantly slipped dresses in the 1960s. Skirts always strictly below the knee. She had first worked with Hichcock on the film Notorious (1946), an intriguing spy story starring Ingrid Bergman. The director and costume designer had the same ideas and immediately understood each other. Contrary to most of her colleagues and peers, Head in fact tended to design clothes that reflected the character, not her own style, and because of this, no one like her was able to perfectly design the female image favored by the British director.

And how can we forget the gowns worn by Audrey Hepburn in Roman Holiday (1953), the fairy tale of the incognito princess frolicking on a Vespa together with a charming Gregory Peck in a marvelous 1950s Rome? Or the costumes of Sabrina, from 1954, with the same actress alongside Humphrey Bogart and William Holden, or Breakfast at Tiffany's, the film that, based on a novel by Truman Capote and directed by Blake Edwards, definitively consecrated Audrey Hepburn's success in 1961?

Edith Claire Posenor - that's her birth name - saw the light of day in San Bernardino, California, in 1897, to a German-speaking Jewish father and mother. Her parents' marriage did not last, the two separated, and her mother remarried a Catholic mining engineer. Because of his work, the family frequently changed residence, and Edith was raised in her father's religion. After graduating from Berkeley with a degree in French literature, she began her working career as a language teacher, but her deep interest went to design. So, while teaching, she took evening classes at Otis College of Art and the Chouinard Art Institute in Los Angeles. In 1923 she married Charles Head. She retained the surname of her husband, with which she was soon to be known professionally, even after her divorce in 1938 and her second marriage to art director Wiard Ihnen, which, unlike the first, lasted until his death in 1979.

In 1924, at the age of twenty-six, she responded to an advertisement from Paramount Pictures, which was looking for workers to join its costume department. It was the opportunity that marked the fundamental turning point in her life. After being hired as a sketch artist, she began to make costumes for the leading players in silent films - the advent of sound was in 1927 - and from then on she demonstrated what talent lay behind her tireless dedication to her work. By the 1930s she was already an established costume designer. She worked at Paramount for 43 years, without interruption, only to move in 1967, at the age of 70, to another historic Hollywood production company, Universal, perhaps persuaded by Alfred Hitchcock, who had moved there a few years earlier. In 1949 the Academy Award for Best Costume Design was established, and from that date Edith Head became a recurring name in nominations, an award she won eight times, from 1949 until '74. Adored by actresses, whom, unlike her male colleagues, she always consulted - and this earns her several personal friendships in Hollywood - she worked on the stage gowns of many famous divas of the 1940s and 1950s: Ginger Rogers, Bette Davis, Barbara Stanwyck, Jane Wyman, Rita Hayworth, Shirley McLaine, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Elizabeth Taylor, and many others.

In the late 1960s Head turned her interest to television. Hollywood was rapidly changing, and many of the actresses she worked with had retired or were appearing less in new films. She designed Endora's clothes in the TV series Bewitched and in 1973 made a cameo in the detective series Columbo, playing herself. In 1974 she won the last Oscar for her work in the well-known film The Sting, starring Paul Newman and Robert Redford as two con men. In 1978 she was asked to design a women's uniform for the U.S. Coast Guard, since women were on the rise in that career. Her last engagement was for a black-and-white comedy, Dead Men Don't Wear Plaid, set in the 1940s. She was chosen because of her experience in fashion from those very years. The film was released in 1982, soon after her death in October of the previous year, and was dedicated to her memory. Edith Head's remains rest in Forest Lawn Memorial Park in Glendale, California.

 

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia