Olga Tokarczuck
Sara Marsico






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la letteratura 2019 «Per la sua immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita ma anche per aver costruito i suoi romanzi con una tensione tra aspetti culturali opposti: natura versus cultura, ragione versus follia, uomini versus donne»

Olga Tokarczuk nasce a Sulechów, in Polonia, nel 1962 da genitori abituati a viaggiare d’estate col carrello tenda. Cresce in modo libero, con la voglia di viaggiare molto di più. Studia psicologia a Varsavia e per un po’ di tempo pratica, come psicologa junghiana, la professione di psicoterapeuta; poi l’abbandona perché si accorge, come dichiarerà in un’intervista, di avere molti più problemi dei suoi e delle sue pazienti. Fino al 1989 non ha un passaporto e dopo il crollo del Muro di Berlino si trasferisce a Londra, dove si forma su testi femministi. Fa del viaggio uno strumento di conoscenza non tanto dei luoghi quanto delle persone che viaggiano. Dal 1998 vive in un piccolo villaggio nei Sudeti, vicino al confine polacco-ceco, dove fonda Ruta, la sua piccola casa editrice e organizza festival letterari. Aderisce al partito dei Verdi polacchi, ed è vicina alla sinistra. Affascinata fin da piccola dalla figura di Maria Słodowska, sviluppa una coscienza femminista e contrasta il patriarcato sia con la sua scrittura, sia con la scelta di un marito che si prende cura di lei, seguendola devotamente nella sua carriera.

Tokarczuk esordisce come poeta ma presto passa alla narrativa, inventando un nuovo genere di romanzo, a lei più congeniale, definito “romanzo costellazione”, senza una trama chiara e definita, a metà tra mémoire, autobiografia, saggio, estremamente frammentato, con un insieme di voci, punti di vista e linguaggi, un po’ come il mondo contemporaneo con le sue sollecitazioni. Attratta dai confini, ritiene che attraversarli sia la condizione fondamentale dell’essere umano e mette in pratica questa sua idea anche nella scelta delle sue case, l’ultima delle quali si trova tra Polonia e Repubblica ceca. Un’esperienza fatta da bambina, la scoperta del fiume Oder, la convince che «è sempre meglio ciò che è in movimento rispetto a ciò che sta fermo; che il cambiamento è sempre più nobile della stabilità. Ciò che non si muove è soggetto alla disintegrazione e a ridursi in cenere, mentre ciò che si muove potrebbe durare per sempre…» Scrittrice polacca tra le più amate e popolari della sua generazione dal pubblico e dalla critica è stata insignita di numerosi premi letterari, tradotta in diciannove lingue e vincitrice per tre volte del Premio letterario Nike.

Nel 1993 scrive Il viaggio del libro-popolo, che ha per tema la ricerca di due amanti per il “segreto del libro” (metafora del senso della vita) ambientato nella Francia del XVII secolo. Con questo libro vince il premio dell’Associazione degli editori polacchi come migliore opera prima di narrativa.

Continua con E. E., nel 1996, che nel titolo fa riferimento alle iniziali della protagonista, Erna Eltzner, che sviluppa capacità psichiche. Più volte Tokarczuk cita la psicologia junghiana come un’ispirazione per il suo lavoro letterario e racconta come le origini della sua passione per la scrittura siano da ritrovare negli stimoli suscitati in lei da una fotografia che ritraeva sua madre poco prima del parto. Osservando da piccola il profilo in bianco e nero di quella donna un po’ malinconica, immaginava che stesse cercando di mettersi in contatto con lei non ancora nata, girando le manopole di un ingombrante apparecchio radiofonico che occupava il resto dell’inquadratura. La sua scrittura ha un timbro mistico.

Nel 2003 pubblica Casa di giorno, casa di notte, un mosaico di racconti, saggi e personaggi legati alla storia di Nova Ruta in cui attualmente vive. Particolarmente originale e interessante è Bieguni, romanzo-costellazione pluripremiato, pubblicato nel 2007, edito da Bompiani con il titolo I vagabondi, (in inglese Flight) romanzo scritto come un patchwork, dedicato al viaggio ma che non ha nulla in comune con il genere della letteratura di viaggio, piuttosto una serie di ritratti di nomadi di ogni tipo, scritto prevalentemente in quei non luoghi che sono gli aeroporti e le stazioni della metropolitana, in cui si alternano riflessioni dell’autrice, mosaici di storie, vicende strane, punti di vista diversi, pubblicità, considerazioni filosofiche, parti autobiografiche, racconti storici e inserti di biologia, scienza e medicina, con un’attenzione particolare alla sorte dei corpi dopo la morte, alla plastinazione, alle sale delle meraviglie. La scrittura è lieve e briosa, fa spesso ricorso all’umorismo, non vi si intravede un Io ma un Noi, una coralità di voci tutte ugualmente importanti. «Io credo in una letteratura che unisce la gente e ci dimostra quanto siamo simili, che ci rende consapevoli del fatto che siamo tutti uniti da fili invisibili. Che racconta la storia del mondo come se fosse un tutt’uno vivo e unificato, che si sviluppa di continuo davanti al nostro sguardo: noi ne siamo solo una piccola parte, eppure al tempo stesso siamo una parte potente», dirà in una intervista.

Oltre a testi e saggi brevi di prosa nel 2009 pubblica un giallo, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (edito in italiano da Nottetempo), in cui il personaggio principale, un’anziana astrologa eccentrica, attribuisce una serie di morti in una zona rurale della Polonia alla vendetta degli animali selvatici contro i cacciatori, affrontando in tal modo il tema della responsabilità degli esseri umani verso la natura.«Noi abbiamo una concezione del mondo ma gli Animali hanno una percezione del mondo, lo sai?»

Secondo la scrittrice Nobel per la Letteratura l’essere umano si è dimenticato di fare parte della natura: «Riconoscerlo implicherebbe un radicale processo di cambiamento, mentre i più hanno paura di dovere cambiare». Tokarczuk è impegnata per i diritti delle persone lgbtq+ in un Paese omofobo e antiabortista, androcentrico anche nel linguaggio, come l’italiano. Sul punto la scrittrice afferma: «L’esperienza dice che ogni rivoluzione passa attraverso la lingua, che è lo strumento con cui creiamo la realtà. Perciò sono molto favorevole alla femminilizzazione delle lingue, perché proprio lì è annidata la violenza patriarcale di genere». Nel 2014 esce I libri di Jacob, con cui Tokarczuk vince un premio Nike ma che viene osteggiato da alcuni circoli nazionalisti e diventa l’oggetto di una campagna di insulti da parte di haters. Riceve il premio internazionale del ponte tedesco-polacco, assegnato ad attivisti e attiviste per la promozione della pace, per lo sviluppo democratico e per la reciproca comprensione tra i popoli e le nazioni dell’Europa. In quasi tutti i suoi libri apprendiamo che la storia di ogni luogo è potenzialmente infinita, che se si scava alle radici di una vita, di una casa, di un quartiere o anche solo di un oggetto, si possono trovare tutte le connessioni che fanno la storia. La scrittrice polacca, da quando ha capito che dopo i cinquanta una donna diventa invisibile, ha scelto un’antica acconciatura polacca, la plica polonica, d’epoca cinquecentesca.

L’ultimo libro, scritto nel 2014, è L’anima perduta, pubblicato da poco negli Stati Uniti. Un uomo, a furia di correre troppo, si perde l’anima. Per recuperarla, deve stare fermo per due, tre anni. A chi le chiede se la trama del libro sia una metafora del lockdown risponde di averlo scritto prima ma che oggi tutti sentiamo che «la produzione di oggetti monouso, il consumo di carne, viaggiare in aereo ovunque, non è normale; è una realtà mostruosa, iperstimolata, eccessiva. Forse questa pandemia è il Cigno Nero che ci aiuterà a cambiare». «Lo scopo di ogni mio pellegrinaggio è un altro pellegrino» scrive nel suo libro I vagabondi, una miniera di storie e riflessioni da assaporare a poco a poco, in ciò denunciando la sua grande curiosità per le persone e per le storie che portano con sé e la sua natura di cittadina di un mondo in continua evoluzione. «Vai. Muoviti. Beato è colui che si muove».


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de littérature 2019 «Par son imagination narrative qui, avec passion encyclopédique, représente la traversée des frontières comme forme de vie mais aussi pour avoir écrit ses romans avec une tension entre aspects culturels opposés : nature contre culture, raison contre folie, hommes contre femmes »

Olga Tokarczuk est née à Sulechów, en Pologne, en 1962 de parents habitués à voyager en été avec le chariot de tente. Elle grandit librement, avec l’envie de voyager encore plus. Elle étudie la psychologie à Varsovie et pendant un certain temps elle pratique, en tant que psychologue jungienne, la profession de psychothérapeute; puis elle abandonne parce qu’elle se rend compte, comme elle le déclarera dans une interview, qu’elle a beaucoup plus de problèmes que ses parents et ses patients. Jusqu’en 1989, elle n’a pas de passeport et après la chute du mur de Berlin, elle s’installe à Londres, où elle se forme sur des textes féministes. Elle fait du voyage un instrument de connaissance, pas autant sur lieux que sur les personnes qui voyagent. Depuis 1998, elle vit dans un petit village dans les Sudètes, près de la frontière entre la Pologne et la République tchèque, où elle fonde Ruta, sa petite maison d’édition et organise des festivals littéraires. Elle adhère au parti des Verts polonais, et elle est proche de la gauche. Fascinée dès son plus jeune âge par la figure de Marie Słodowska, elle développe une conscience féministe et contraste le patriarcat à la fois avec son écriture et avec le choix d’un mari qui prend soin d’elle, la suivant avec dévouement dans sa carrière.

Tokarczuk commence en tant que poète mais passe rapidement à la fiction, inventant un nouveau genre de roman, plus sympathique, appelé "roman constellation", sans une intrigue claire et définie, à mi-chemin entre mémoire, autobiographie et essai, extrêmement fragmenté, avec un ensemble de voix, points de vue et langages, un peu comme le monde contemporain avec ses sollicitations. Attirée par les frontières, elle considère que les traverser est la condition fondamentale de l’être humain et met en pratique cette idée même dans le choix de ses maisons, dont la dernière se trouve entre la Pologne et la République tchèque. Une expérience réalisée en étant enfant, la découverte de l’Oder, la convainc que « ce qui est en mouvement est toujours mieux que ce qui est immobile ; que le changement est toujours plus noble que la stabilité. Ce qui ne bouge pas est sujet à la désintégration et à la cendre, tandis que ce qui bouge pourrait durer pour toujours…» Elle est l’écrivain polonaise parmi les plus aimées et les plus populaires de sa génération par le public et la critique, elle a reçu de nombreux prix littéraires, traduits en dix-neuf langues et lauréats à trois reprises du Prix littéraire Nike.

En 1993, elle écrit Il viaggio del libro-popolo, qui a pour thème la recherche de deux amants pour le "secret du livre" (métaphore du sens de la vie) situé dans la France du XVIIe siècle. Avec ce livre, elle remporte le prix de l’Association des éditeurs polonais comme meilleur premier long-métrage de fiction.

Elle continue avec E. E., en 1996, qui dans le titre fait référence aux initiales de la protagoniste, Erna Eltzner, qui développe des capacités psychiques. Tokarczuk cite plusieurs fois la psychologie jungienne comme une inspiration pour son travail littéraire et raconte comment les origines de sa passion pour l’écriture se retrouvent dans les encouragements suscités en elle par une photographie qui dépeint sa mère peu avant l’accouchement. En observant le profil noir et blanc de cette femme un peu mélancolique, elle imaginait qu’elle essayait d’entrer en contact avec elle à sa naissance, en tournant les boutons d’un appareil radio encombrant qui occupait le reste du cadre. Son écriture a une intonation mystique.

En 2003, elle publie Casa di giorno, casa di notte, une mosaïque de récits, d’essais et de personnages liés à l’histoire de Nova Ruta dans laquelle elle vit actuellement. Bieguni est particulièrement original et intéressant, un roman-constellation primé, publié en 2007, édité par Bompiani avec le titre I vagabondi, (en anglais Flight) un roman écrit comme un patchwork, dédié au voyage mais qui n’a rien en commun avec le genre de la littérature de voyage, plutôt une série de portraits de nomades de toutes sortes, écrit principalement dans ces lieux qui ne sont ni aéroports ni stations de métro, où s’alternent des réflexions de l’auteur, des mosaïques d’histoires, des événements étranges, des points de vue divers, de la publicité, des considérations philosophiques, des parties autobiographiques, des récits historiques et des insertions de biologie, de la science et de la médecine, avec une attention particulière au sort des corps après la mort, à la plastination, et aux salles des merveilles. L’écriture est légère et vive, elle a souvent recours à l’humour, on n’y entrevoit pas un Moi mais un Nous, une choralité de voix toutes aussi importantes. «Je crois en une littérature qui unit les gens et nous montre combien nous sommes semblables, qui nous rend conscients du fait que nous sommes tous unis par des fils invisibles. Qui raconte l’histoire du monde comme s’il était un tout vivant et unifié, qui se développe continuellement devant notre regard : nous n’en sommes qu’une petite partie, et pourtant en même temps nous sommes une partie puissante», dira-t-elle dans une interview.

En plus de ses textes et ses essais courts de prose en 2009, elle publie un roman policier, Guidez votre char sur les os des morts (publié en italien par Nottetempo), dans lequel le personnage principal, une astrologue excentrique âgée, attribue une série de morts dans une zone rurale de la Pologne à la vengeance des animaux sauvages contre les chasseurs, abordant ainsi la question de la responsabilité des êtres humains envers la nature. «Nous avons une conception du monde mais les Animaux ont une perception du monde, vous le saviez?»

Selon l’écrivain Nobel de littérature, l’être humain a oublié de faire partie de la nature : «Le reconnaître impliquerait un processus radical de changement, alors que la plupart ont peur de devoir changer». Tokarczuk s’engage pour les droits des personnes LGBTQ+ dans un pays homophobe et anti-avortement, androcentrique aussi dans le langage, comme l’italien. Sur ce point, l’écrivain affirme : «L’expérience dit que chaque révolution passe par la langue, qui est l’instrument avec lequel nous créons la réalité. C’est pourquoi je suis très favorable à la féminisation des langues, parce que c’est précisément là que se niche la violence patriarcale de genre». En 2014 sort Les Livres de Jacob, avec lequel Tokarczuk remporte un prix Nike mais qui est combattu par certains cercles nationalistes et devient l’objet d’une campagne d’insultes de la part de haters. Elle reçoit le prix international du pont germano-polonais, décerné aux activistes et militants pour la promotion de la paix, pour le développement démocratique et pour la compréhension mutuelle entre les peuples et les nations d’Europe. Dans presque tous ses livres, nous apprenons que l’histoire de chaque lieu est potentiellement infinie, que si vous creusez les racines d’une vie, d’une maison, d’un quartier ou même d’un objet, vous pouvez trouver toutes les liens qui font l’histoire. L’écrivain polonais, depuis qu’elle a compris qu’après cinquante ans une femme devient invisible, a choisi une ancienne voie polonaise, la plique polonica, d’époque du XVIe siècle.

Le dernier livre, écrit en 2014, est The Lost Soul, publié récemment aux États-Unis. Un homme, à force de trop courir, perd son âme. Pour la récupérer, il doit rester immobile pendant deux, trois ans. Elle répond à celui qui lui demande si l’intrigue du livre est une métaphore du confinement, qu’elle l’a écrit avant mais qu’aujourd’hui nous entendons tous que «la production d’objets jetables, la consommation de viande, voyager en avion partout, n’est pas normale ; c’est une réalité monstrueuse, hyperstimulée, excessive. Peut-être que cette pandémie est le Cygne Noir qui nous aidera à changer ». «Le but de chacun de mes pèlerinages est un autre pèlerin» elle écrit dans son livre Les vagabonds, une mine d’histoires et de réflexions à savourer petit à petit, en dénonçant sa grande curiosité pour les gens et les histoires qu’ils apportent avec eux et sa nature de petite ville d’un monde en constante évolution. «Vas-y. Bouge. Bienheureux est celui qui se meut».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Awarded "For her narrative imagination that, with encyclopedic passion, depicts the crossing of borders as a form of life but also for constructing her novels with a tension between opposing cultural aspects: nature versus culture, reason versus madness, men versus women."

Olga Tokarczuk was born in Sulechów, Poland, in 1962 to parents accustomed to traveling in the summer with a camper trailer. She grew up free-wheeling, wanting to travel much more. She studied psychology in Warsaw and for a while practiced, as a Jungian psychologist, as a psychotherapist. She then abandoned it because she realized, as she would state in an interview, that she had many more problems than her patients. She did not have a passport until 1989. After the collapse of the Berlin Wall she moved to London, where she became familiar with feminist writings. She made travel a tool for getting to know not so much the places but the people she encountered. Since 1998 she has lived in a small village in the Sudetenland, near the Polish-Czech border, where she founded Ruta, her small publishing house, and organizes literary festivals. She adheres to the Polish Green Party, and is close to the left. Fascinated from an early age by the figure of Maria Słodowska, she developed a feminist consciousness and countered patriarchy both through her writing and by choosing a husband who cared for her and devotedly followed her in her career.

Tokarczuk began as a poet but soon switched to fiction, inventing a new genre of novel, more congenial to her, called the "constellation novel," without a clear and defined plot, somewhere between mémoire, autobiography, and essay, extremely fragmented, with a mix of voices, points of view, and languages, somewhat like the contemporary world with its stresses. Attracted by borders, she believes that crossing them is the fundamental condition of being human, and puts this idea into practice even in the choice of her homes, the last of which is located near the border between Poland and the Czech Republic. An experience she had as a child, the discovery of the Oder River, convinced her that "what is moving is always better than what is standing still; that change is always more noble than stability. That which does not move is subject to disintegration and being reduced to ashes, while that which moves may last forever..." One of the best-loved and most popular Polish writers of her generation, by audiences and critics alike, she has been the recipient of numerous literary awards, is translated into nineteen languages, and is a three-time winner of the Nike Literary Prize.

In 1993 she wrote Podróż ludzi księgi (The Journey of the People of the Book), her first novel, which has as its theme two lovers' search for the "secret of the book" (a metaphor for the meaning of life) set in 17th-century France. With this book she won the Polish Publishers' Association award for best first work of fiction.

She continued with E. E., in 1996, which refers in the title to the initials of the main character, Erna Eltzner, who develops psychic abilities. On several occasions, Tokarczuk has cited Jungian psychology as an inspiration for her literary work, and relates how the origins of her passion for writing can be found in the stimuli aroused in her by a photograph depicting her mother shortly before giving birth. As a child, observing the black-and-white portrait of that somewhat melancholy woman, she imagined that her mother was trying to get in touch with her unborn child by turning the knobs of a bulky radio set that occupied the rest of the frame. Her writing has a mystical stamp.

In 2003 she published House of Day, House of Night, a mosaic of short stories, essays and characters related to the history of Nova Ruta where she currently lives. Particularly original and interesting is Bieguni (translated into English as Flights), an award-winning novel-constellation, published in 2007, is a novel written as a patchwork, dedicated to travel but having nothing in common with the genre of travel literature, rather a series of portraits of nomads of all kinds, written mostly in the non-places that are airports and subway stations, in which the author's reflections, mosaics of stories, strange happenings, different points of view, advertisements, philosophical considerations, autobiographical parts, historical accounts, and inserts of biology, science, and medicine, with a focus on the fate of bodies after death, plastination, and halls of wonder, alternate. The writing is light and brisk, it often resorts to humor, there is no glimpse of an I but a We, a chorus of voices all equally important. "I believe in a literature that unites people and shows us how similar we are, that makes us aware that we are all united by invisible threads. That tells the story of the world as if it were a living, unified whole, constantly unfolding before our eyes: we are only a small part of it, yet at the same time we are a powerful part of it," she said in an interview.

In addition to short prose texts and essays, in 2009 she published a detective story, Drive Your Plow Over the Bones of the Dead (published in English in 2019) in which the main character, an eccentric elderly astrologer, attributes a series of deaths in a rural area of Poland to the vengeance of wild animals against hunters, thus addressing the theme of the responsibility of human beings toward nature. "We have a conception of the world but animals have a perception of the world, you know?"

According to the Nobel Prize-winning writer for, human beings have forgotten that they are part of nature: "Recognizing this would imply a radical process of change, while most are afraid that they would have to change." Tokarczuk is committed to the rights of LGBTQ+ people in a country as homophobic and anti-abortion and male-centered, even in language, as Italy. On that point, the writer says, "Experience says that every revolution passes through language, which is the tool with which we create reality. So I am very much in favor of the feminization of languages, because that is precisely where patriarchal gender violence is nested." In 2014, The Books of Jacob was released, with which Tokarczuk won a Nike Prize, but was opposed by some nationalist circles and became the subject of a campaign of name-calling by haters. She received the International German-Polish Bridge Award, given to activists for promoting peace, democratic development and mutual understanding among the peoples and nations of Europe. In almost all of her books we learn that the history of any place is potentially infinite, that if you dig down to the roots of a life, a house, a neighborhood or even just an object, you can find all the connections that make history. The Polish writer, since realizing that after fifty a woman becomes invisible, has chosen an ancient Polish hairstyle, the plica polonica, from the sixteenth-century era.

Her most recently translated book, written in 2014, is The Lost Soul, was published in the United States in 2021. A man, moving too fast, loses his soul. To recover it, he has to sit still for two to three years. To those who ask her if the plot of the book is a metaphor for the lockdown, she replies that she had written it before Covid, but that today we all feel that "the production of disposable items, the consumption of meat, traveling by plane everywhere, is not normal; it is a monstrous, overstimulated, excessive reality. Perhaps this pandemic is the Black Swan that will help us change." "The purpose of each of my pilgrimages is another pilgrim," she writes in her book Flights, a goldmine of stories and reflections to be savored bit by bit, in which she declares her great curiosity about people and the stories they bring with them, and her nature as a citizen of an ever-changing world. "Go. Move. Blessed are they who move."


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Premio Nobel de literatura en 2019 “Por su imaginación narradora que, con pasión enciclopédica, representa el cruce de fronteras como formas de vida, y por haber escrito sus novelas con una tensión entre los aspectos culturales opuestos: la naturaleza frente a la cultura, la razón frente a la locura, los hombres frente a las mujeres”.

Olga Tokarczuk nació en Sulechów, Polonia, en 1962 de padres acostumbrados a viajar en verano con un remolque tienda. Creció libremente, con ganas de viajar mucho más. Estudió psicología en Varsovia y durante algunos años ejerció la profesión de psicoterapeuta como psicóloga junguiana, que luego abandonó porque se dio cuenta, como declaró en una entrevista, de que tenía muchos más problemas que sus padres y sus pacientes. Hasta 1989 no tuvo pasaporte y tras la caída del Muro de Berlín se trasladó a Londres, donde se formó leyendo textos feministas. Ve el viaje como una herramienta para conocer los lugares e incluso a los viajeros. Desde 1998 vive en un pueblecito en los Sudètes, cerca de la frontera polaco-checa, donde ha fundado Ruta, su pequeña editorial, y donde organiza festivales literarios. Se une al partido polaco de los Verdes y se considera cercana a la izquierda. Fascinada por la figura de Maria Slodowska, desde muy joven, desarrolló una conciencia feminista y se opuso al patriarcado, tanto a través de sus escritos, como eligiendo un marido que la cuida y la sigue con devoción en su carrera.

Tokarczuk debutó como poetisa, pero pronto pasó a la ficción, inventando un nuevo género de novelas, más afín a ella, llamado “novela constelación”, sin una trama clara y definida, a medio camino entre las memorias, la autobiografía y el ensayo, extremadamente fragmentado, con una mezcla de voces, puntos de vista y lenguajes, tanto como el mundo contemporáneo con sus tensiones. Atraída por las fronteras, cree que cruzarlas es la condición fundamental del ser humano y también pone en práctica esta idea en la elección de sus casas, la última de las cuales se encuentra entre Polonia y la República Checa. Una experiencia que vivió de niña, el descubrimiento del río Óder, la convenció de que “es mejor lo que está en movimiento que lo que está inmóvil; el cambio siempre es más noble que la estabilidad. Lo que no se mueve se puede desintegrar y arder hasta convertirse en cenizas, mientras que lo que se mueve puede durar para siempre…”. Es una de las escritoras polacas de su generación más amadas y populares por el público y la crítica; Tokarczuk ha sido galardonada con numerosos premios literarios, traducida a diecinueve idiomas y tres veces ganadora del Premio literario Nike.

En el 1993 escribió El viaje de los hombres del Libro –ambientado en la Francia del siglo XVII–cuyo tema es la búsqueda del “secreto del libro” por dos amantes (metáfora del sentido de la vida). El libro recibe el Premio de la Asociación Polaca de Editores de Libros como Mejor primera obra de ficción.

Continúa con E.E. (1995), cuyo título hace referencia a las iniciales de la protagonista, Erna Eltzner, que desarrolla habilidades psíquicas. En varias ocasiones, Tokarczuk cita la psicología junguiana como inspiración para su obra literaria y cuenta como el origen de su pasión por la escritura se halla en los estímulos que despertó en ella una fotografía de su madre poco antes de dar a la luz. Observando el perfil en blanco y negro de aquella mujer, algo melancólica, de niña, imaginó que intentaba ponerse en contacto con su hija nonata, girando los mandos de un voluminoso aparato de radio que ocupaba el resto del encuadre. Su escritura tiene un sello místico.

En el 1998 publica Casa diurna, casa nocturna, una mezcla de relatos, ensayos y personajes relacionados con la historia de Nowa Ruda, donde vive actualmente. Especialmente original e interesante Bieguni (Los errantes), premiada novela-constelación que se publica en 2007, aún sin traducción al español; es una novela escrita como un retazo, dedicada a los viajes pero que no tiene nada en común con el género de literatura de viajes, más bien hay una serie de retratos de nómadas de toda clase; escrita principalmente en esos no-lugares que son los aeropuertos y las estaciones de metro, donde se alternan las reflexiones de la autora, la mezcla de historias, los sucesos extraños, los diferentes puntos de vista, los anuncios, las consideraciones filosóficas, las partes autobiográficas, los relatos históricos y los insertos sobre biología, ciencia y medicina, poniendo especial atención al destino de los cuerpos después de la muerte, a la plastificación y a los salones del asombro. Su escritura es ligera y vivaz, a menudo recorre al humor, no hay un Yo sino un Nosotros, un coro de voces todas ellas de igual importancia. “Yo creo en una literatura que une a las personas y nos muestra lo parecidos que somos, que nos hace conscientes de que estamos unidos por hilos invisibles. Una literatura que cuenta la historia del mundo como si fuera un todo vivo y unificado, que se desarrolla constantemente ante nuestros ojos: solo somos una pequeña parte de él, pero al mismo tiempo, somos una parte poderosa”, ha declarado en una entrevista.

Además de textos y ensayos breves en prosa, en 2009 sacó una novela policiaca: Sobre los huesos de los muertos (publicada en español por océano y Siruela) cuya protagonista, una astróloga excéntrica mayor, atribuye una serie de muertos en una zona rural de Polonia a la venganza de los animales salvajes contra a los cazadores, abordando así el tema de la responsabilidad de los seres humanos frente a la naturaleza. “Nosotros tenemos una concepción del mundo, pero los Animales tienen una percepción del mundo ¿sabes?”

Según la Nobel de Literatura, los seres humanos se olvidaron de que forman parte del mundo de la naturaleza. “Reconocerlo implicaría un proceso radical de cambio, y la mayoría de ellos tiene medio a cambiar”. Tokarczuk está comprometida con los derechos de las personas Lgbtiq+ en un país homófobo y contrario al aborto, androcéntrico incluso en el idioma, como el italiano y el español. Respecto al idioma, la autora afirma que: “Cada revolución, por experiencia, pasa por el lenguaje con el que creamos la realidad. Por lo tanto, estoy muy a favor de la feminización de las lenguas, ya que es ahí donde se esconde la violencia de género patriarcal”. En 2014 publica Los libros de Jacob, obra con la que Tokarczuk gana el Premio Nike, a pesar de la oposición de algunos círculos nacionalistas y de una campaña de insultos iniciada por algunos odiadores. Recibe el Premio internacional del Puente (The Bridge International Prize) alemán-polaco, concedido a activistas que fomentan la paz, el desarrollo democrático y la comprensión mutua entre las poblaciones y las naciones de Europa. En casi todos sus libros aprendemos que la historia de cualquier lugar es potencialmente infinita, que si escarbas hasta las raíces de una vida, de una casa, de un barrio o incluso de un solo objeto, puedes reconstruir las conexiones en la historia. Como la escritora polaca se dio cuenta de que a partir de los cincuenta años la mujer se vuelve invisible, eligió un antiguo peinado polaco, la plica polaca del siglo XVI.

Sus tres últimos libros son El alma perdida (de 2017, publicado en español en 2019), Opowiadania bizarne (2018, Relatos bizarros) y Czuły narrator (2020, Tierno narrador), aún sin traducir al español. Un hombre, corriendo demasiado rápido, pierde el alma. Para recuperarla, tiene que estar parado durante dos o tres años. A quienes le preguntan si el argumento del libro es una metáfora del confinamiento causado por la pandemia de Covid, ella responde que lo escribió antes, pero que hoy en día todos sentimos que “la producción de objetos desechables, el consumo de carne, viajar en avión a todas partes, no es normal; es una realidad monstruosa, sobreestimulada y excesiva. Quizá esta pandemia es el Cisne Negro que nos ayude a cambiar” “El propósito de cada una de mi peregrinaciones es otro peregrino” escribió en Los Errantes, un sin fin de historias y reflexiones que hay que saborear poco a poco, en las que denuncia su gran curiosidad por las personas y las historias que llevan consigo yasí como su naturaleza de ciudadana de un mundo en constante evolución. “Ve. Muévete. Feliz es aquel que se mueve”


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з літератури 2019 року. «За її оповідальну уяву, яка з енциклопедичною пристрастю представляє перетин кордонів як форму життя, а також за те, що вона будувала свої романи з напруженням між протилежними культурними аспектами: природа проти культури, розум проти божевілля, чоловіки проти жінок».

Ольга Токарчук народилася в Сулехуві, Польща, у 1962 році в сім’ї батьків, які звикли подорожувати влітку з тентовими причепами. Вона росте вільно, з бажанням подорожувати все більше і більше. Вона вивчала психологію у Варшаві і деякий час практикувала професію психотерапевта як юнгіанський психолог; потім вона залишає професію, тому що усвідомлює, як вона заявить в інтерв'ю, що у неї набагато більше проблем, ніж у її пацієнток та пацієнтів. До 1989 року вона не мала паспорта, а після падіння Берлінської стіни переїхала до Лондона, де вивчала феміністичні тексти. Вона робить подорож інструментом пізнання не стільки місць, скільки людей, які подорожують. З 1998 року вона живе в маленькому селі в Судетах, поблизу польсько-чеського кордону, де заснувала своє невелике видавництво Рута та організовувала літературні фестивалі. Входить до Польської партії зелених, близька до лівих. Захоплюючись постаттю Марії Слодовської з раннього дитинства, вона розвиває феміністичне сумління та протиставляє патріархат як своїми творами, так і вибором чоловіка, який піклується про неї, віддано слідуючи їй у її кар’єрі.

Токарчук дебютувала як поетеса, але незабаром перейшла до художньої літератури, винайшовши новий жанр роману, більш близький для неї, визначений як «роман-сузір’я», без чіткого й визначеного сюжету, на півдорозі між мемуарами, автобіографією, есе, надзвичайно фрагментований, із цілим набором голосів, точок зору та мов, трохи схожий на сучасний світ із його клопотаннями. Приваблена кордонами, вона вірить, що їх перетин є фундаментальним станом людини, і реалізує цю ідею на практиці також у виборі своїх будинків, останній з яких розташований між Польщею та Чехією. Досвід дитинства, відкриття річки Одер, переконує її, що «завжди краще те, що в русі, ніж те, що нерухомо; що зміни завжди благородніші за стабільність.Те, що не рухається, підлягає розпаду і перетворюється на попіл, а те, що рухається, може тривати вічно...» Одна з найулюбленіших і популярних польських письменниць свого покоління, вона була нагороджена численними літературними преміями, перекладена дев’ятнадцятьма мовами та тричі лауреатом літературної премії Ніке.

У 1993 році вона написала книгу Мандрівка людей Книги (Podróż ludzi Księgi), тема якої пошуки двох закоханих «таємниці книги» (метафора сенсу життя), дія книги відбувається у Франції XVII століття.

З цією книгою вона отримує премію Польського товариства книговидавців як найкращий художній перший твір. Потім у 1996 році вона написала книгу E. E., у назві якої вказано ініціали головної героїні Ерни Ельцнер, яка розвиває психічні здібності. Токарчук неодноразово цитує юнгіанську психологію як джерело натхнення для своєї літературної творчості та розповідає, як витоки її пристрасті до письма слід шукати в стимулах, викликаних у ній фотографією, на якій зображена її мати незадовго до пологів.

У 2003 році вона опублікувала Дім денний, дім нічний (Dom dzienny, dom nocny), мозаїку оповідань, есе та персонажів, пов’язаних з історією Нової Руди, в якій вона зараз живе. Особливо оригінальним і цікавим є роман-сузір’я Бігуни (Biegun), перекладена Дженніфер Крофт англійською під назвою Flights (Польоти), відзначений нагородами, написаний як клаптик, присвячений подорожам, але який не має нічого спільного з жанром літератури подорожей, скоріше це серія портретів кочівників усіх видів, і це роман написаний переважно в тих не-місцях, якими є аеропорти та станції метро, ​​у яких роздуми автора, мозаїка історій, дивні події, вислови різних поглядів, реклама , філософські міркування, автобіографічні частини, історичні історії та вставки з біології, науки та медицини, з особливою увагою до долі тіл після смерті, до пластинації, до залів чудес. Текст легкий і жвавий, у ньому часто використовується гумор, немає Я, а Ми, хор голосів однаково важливий. «Я вірю в літературу, яка об’єднує людей і показує, наскільки ми схожі, яка дає нам зрозуміти, що ми всі об’єднані невидимими нитками. Яка розповідає історію світу, ніби він є живим і єдиним цілим, яке безперервно розвивається перед нашим поглядом: ми є лише маленькою частиною цього, але водночас ми є могутньою частиною», - скаже вона в інтерв'ю.

Крім текстів і коротких прозових нарисів, у 2009 році вона публікує детектив Веди свій плуг понад кістками мертвих (Prowadź swój pług przez kości umarłych), в якому головний герой, літній ексцентричний астролог, який приписує низку смертей у сільській місцевості Польщі до помсти диких тварин мисливцям, таким чином торкаючись питання відповідальності людини перед природою. « У нас є концепція світу, але Тварини мають сприйняття світу, розумієте?»

На думку письменниці, люди забули, що вони є частиною природи: «Визнання цього означало б радикальний процес змін, у той час як більшість боїться змін». Токарчук, вона віддана правам ЛГБТК+ людей у ​​гомофобній та антиабортній країні, андроцентричній навіть у мові, як італійська. З цього приводу письменниця зазначає: «Досвід говорить, що кожна революція відбувається через мову, яка є інструментом, за допомогою якого ми створюємо реальність. Тому я дуже підтримую фемінізацію мов, оскільки там закладено патріархальне гендерне насильство». У 2014 році вона випустила Книги Якова (Księgi Jakubowe), з якою Токарчук отримала нагороду Ніке, але зустріла опір деяких націоналістичних кіл і стала об'єктом образи з боку ненависників. Отримує міжнародну німецько-польську нагороду, яка присуджується активістам за сприяння миру, за демократичний розвиток і взаєморозуміння між народами та націями Європи. Майже з усіх її книжок ми дізнаємося, що історія кожного місця потенційно нескінченна, що якщо ви докопаєтеся до коренів життя, будинку, району чи навіть однієї речі, ви можете знайти всі зв’язки, які творять історію. З тих пір, як польська письменниця зрозуміла, що після п’ятдесяти жінка стає непомітною, вона обрала старовинну польську зачіску, ковтун з XVI століття.

Остання книга, написана в 2014 році, Загублена душа, нещодавно видана в США. Чоловік, який надто багато бігає, втрачає свою душу. Щоб її відновити, йому доводиться два-три роки сидіти нерухомо. На тих, хто запитує її, чи сюжет книжки є метафорою карантину, вона відповідає, що писала її раніше, але сьогодні ми всі відчуваємо, що «виробництво одноразових речей, споживання м’яса, подорожі літаком куди завгодно – це не нормально; це жахлива реальність. Можливо, ця пандемія є тим Чорним лебедем, який допоможе нам змінитися». «Мета кожного з моїх паломництв — інший паломник», — пише вона у своїй книзі Бігуни (Biegun), копальня історій і роздумів, якими слід насолоджуватися потроху. Вона засуджує свою велику цікавість до людей та історій, які вони приносять із собою, а також її характер громадянина світу, що постійно розвивається. «Іди. рухатися. Блаженний той, хто рухається».

 

Esther Duflo
Sara Marsico






Giada Ionà

 

 Motivazione del Premio Nobel per l'Economia:«Perché i suoi studi hanno sensibilmente migliorato la nostra capacità di combattere la povertà nella pratica e per il suo approccio sperimentale a ridurre la povertà globale».

Esther Duflo, economista franco-americana, nasce a Parigi il 25 ottobre del 1972 da madre pediatra, impegnata nel volontariato per l’aiuto all'infanzia vittima di guerra, e padre professore di matematica. Attratta fin da piccola dalle figure di madre Teresa di Calcutta e Albert Schweitzer, si interroga assai presto sulle ragioni della sua fortuna di ragazza che può dedicarsi a sviluppare i propri talenti, mentre a molte altre persone nel mondo, comprese alcune a lei vicine, il sistema economico non dà le stesse opportunità. Studia storia ed economia alla École Normale Superieure di Parigi, completando il dottorato in Economia al Mit nel 1999, dopo averne conseguito uno a Parigi e avere insegnato all’Università di Princeton. Il suo curriculum è ricchissimo di pubblicazioni, relazioni e dottorati honoris causa presso le più prestigiose università, tra cui Oxford, Yale, Harvard e London School of Economics. È la più giovane vincitrice, a 46 anni, nel 2019, del Premio Nobel per l'Economia e la seconda donna, dopo Elinor Ostrom, a riceverlo, anche se condiviso con il marito e collega universitario Abhijit Banerjee e con Michael Kremer. Dopo il Master al Mit decide di rimanere nel tempio dell’economia statunitense, dove oggi ricopre l’incarico di professoressa di Economia dello sviluppo e per la riduzione della povertà nella facoltà intitolata a Abdul Latif Jameel, a coronamento di una carriera iniziata come associata a soli 29 anni.

Il merito più grande di Esther Duflo e del suo gruppo di ricerca è di avere fatto apprezzare al Mit l’importanza di un tema, considerato per molto tempo marginale: la riduzione della povertà in una facoltà di Economia. Questo è potuto avvenire, oltre che per la grande determinazione e autorevolezza di Duflo, definita da Forbes nel 2007 una delle dieci persone in grado di cambiare il mondo e dall’Economist una delle più influenti, per l’approccio nuovo della studiosa e del suo movimento diretto a ottenere risposte affidabili, perché riferite a temi e casi specifici, sulle vie migliori per combattere la povertà globale. L’economista che parla l’americano con un gradevolissimo accento francese e che da piccola era considerata un maschiaccio ha lanciato un nuovo modello per la ricerca economica, applicando un rigoroso metodo scientifico ai progetti di sviluppo nei Paesi poveri, metodo fondato sulle indagini del Pal, Poverty Action Lab, di cui è stata cofondatrice ed è tuttora Presidente, una rete internazionale di ricerca per combattere la povertà. Come lei stessa ha affermato: «La povertà si può combattere, ma i modelli teorici non bastano. Non abbiamo bisogno di previsioni oracolari. Lavoriamo sul campo». E Duflo sul campo c’è stata davvero, soprattutto in Africa e in India. «Cerchiamo di creare un legame tra scienza e azione – continua – e abbiamo preso in prestito dalla medicina il metodo di valutazione random, confrontando gli effetti di iniziative contro la povertà su un gruppo sperimentale e su un gruppo di controllo». Si tratta di un «laboratorio di esperimenti empirici», che adotta un approccio pragmatico volto a testare su basi concrete l'impatto delle strategie elaborate attraverso l’analisi controfattuale (randomized controlled trial), per andare a fondo ed individuare i meccanismi che generano la povertà, il sottosviluppo e le disuguaglianze economiche.

Donna di grande semplicità, dotata di un notevole senso dell’umorismo e di umiltà, emersa anche nel suo discorso in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel, in cui ha riconosciuto che i suoi studi sono il frutto di uno sforzo collettivo a cui hanno preso parte moltissime persone, dice di sé di essere stata una studente “tuttofare” e senza inclinazioni particolari. Quando ha scoperto l’economia ha compreso che poteva rappresentare la chance di fare qualcosa per i temi che le stavano a cuore. Una volta approdata al Mit ha seguito i seminari di quello che sarebbe diventato suo marito e in due decenni ha trasformato insieme a lui e ad altri/e l’Economia dello sviluppo, che oggi è un fiorente campo di ricerca. Secondo Duflo gli studi di Economia dello sviluppo si sono fatti sfuggire negli anni passati alcuni dettagli e gli interventi proposti non sono stati sempre in grado di raggiungere i risultati sperati, con grande dispendio di risorse e investimenti e politiche economiche sbagliate. Il metodo di Duflo si differenzia sia da quello di chi propone imponenti trasferimenti alle Nazioni povere, sia da quello di chi rifiuta tale aiuto ritenendolo una forma di paternalismo del mondo ricco e si applica a molte tematiche all’interno della povertà globale, come la sanità, l’istruzione, l’agricoltura e le questioni di genere. Il metodo si basa su una sperimentazione molto simile a quella clinica usata per testare un nuovo farmaco. Quando si sperimenta un nuovo farmaco, il campione è scelto a caso, somministrando a un certo numero di persone dei placebo e ad altre il farmaco sperimentale con i suoi principi attivi. La valutazione aleatoria utilizzata da Duflo funziona esattamente nello stesso modo.

Tra i tanti esempi di nuove politiche per la mitigazione della povertà è da ricordare quello adottato per superare le difficoltà di vaccinazione di bambini e bambine nel Rajasthan secondo il programma governativo. «I genitori avevano l’impressione che non si trattasse di qualcosa di urgente. Il vaccino era una prevenzione, non una risposta ad una crisi immediata. Questione di mentalità». Di qui la proposta, estremamente semplice: regalare un chilogrammo di lenticchie a chi si presentava per effettuare i vaccini. Dai risultati è emerso che il gruppo a cui era stato assegnato un chilo di lenticchie aveva triplicato il tasso di vaccinazione. Nel gruppo a cui l’incentivo non era stato dato il tasso di vaccinazione era rimasto invariato. L’approccio innovativo di Duflo e di colleghi e colleghe consiste nel suddividere la povertà globale in questioni più piccole, affrontabili più facilmente, come ad esempio escogitare interventi più efficaci per migliorare i risultati dell’istruzione della gioventù o la sua igiene, come combattere la malaria o come ridurre la dispersione scolastica in alcuni Paesi.

Debellare i vermi e quindi migliorare la salute dei bambini e delle bambine può essere un approccio vincente per aumentare la partecipazione alla didattica, come acquistare un’uniforme scolastica per le e gli studenti che non frequentano perché non se la possono permettere. Essere sul campo, raccogliere dati, cercare di capire direttamente per essere utili nell’immediato, questo lo spirito del nuovo modo di affrontare le «trappole di povertà», toccando i tasti giusti, smontando il luogo comune, sperimentato sul campo, che le persone povere sarebbero indolenti. Duflo si rammarica della scarsa presenza delle donne in tutte le professioni, ma soprattutto in campo economico e ne ravvisa la causa nei temi troppo aridi e tecnici affrontati da economisti maschi e bianchi, che rendono l’economia poco interessante. L’economia deve essere umana e mettersi al servizio della collettività, individuando strumenti in grado di affrontare le sfide di oggi: riscaldamento globale, lavoro e giustizia sociale. E le donne devono essere incoraggiate a effettuare questi studi, anche seguendo il suo esempio.

Tra i libri scritti da Duflo, oltre alle numerose pubblicazioni, ricordiamo Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, con Abhijit V. Banerjee e nel 2019, sempre con il marito, Una buona economia per tempi difficili, edito in Italia da Laterza. Tra i tanti riconoscimenti vanno citati quello di Commendatrice dell'ordine della Legion d'onore (2020-Francia) e Ufficiale dell’Ordine nazionale al Merito (2013- Francia). Come Marie Curie anche Esther Duflo ha destinato la somma ricevuta per il Premio Nobel alla ricerca.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Motivation du Prix Nobel d’économie : «Parce que ses études ont sensiblement amélioré notre capacité à combattre la pauvreté dans la pratique et son approche expérimentale pour réduire la pauvreté globale».

Esther Duflo, économiste franco-américaine, est née à Paris le 25 octobre 1972 en tant que mère pédiatre, bénévole dans l’aide aux enfants victimes de la guerre, et père professeur de mathématiques. Attirée dès son plus jeune âge par les figures de Mère Teresa de Calcutta et Albert Schweitzer, elle s’interroge très tôt sur les raisons de sa fortune de jeune fille qui peut se consacrer à développer ses talents, tandis que de nombreuses autres personnes dans le monde, y compris certaines proches d’elle, le système économique ne donne pas les mêmes chances. Elle étudie l’histoire et l’économie à l’École supérieure de Paris, obtenant son doctorat en économie au MIT en 1999, après en avoir obtenu un à Paris et avoir enseigné à l’université de Princeton. Son parcours est riche en publications, rapports et doctorats honoris dans les universités les plus prestigieuses, y compris Oxford, Yale, Harvard et London School of Economics. Elle est la plus jeune lauréate, à 46 ans, du Prix Nobel d’économie et la deuxième femme, après Elinor Ostrom, à le recevoir, bien qu’elle ait été partagée avec son mari et collègue universitaire Abhijit Banerjee et avec Michael Kremer. Après sa maîtrise au MIT, elle décide de rester dans le temple de l’économie américaine, où elle occupe aujourd’hui le poste de professeur d’économie du développement et de réduction de la pauvreté dans la faculté intitulée à Abdul Latif Jameel, elle a terminé sa carrière comme associée à seulement 29 ans.

Le plus grand mérite d’Esther Duflo et de son groupe de recherche est d’avoir fait apprécier au MIT l’importance d’un thème longtemps considéré comme marginal : la réduction de la pauvreté dans une faculté d’économie. Ceci a pu se produire, en plus de la grande détermination et autorité de Duflo, définie par Forbes en 2007 comme l’une des dix personnes capables de changer le monde et par The Economist l’une des plus influentes, pour la nouvelle approche de la chercheuse et de son mouvement visant à obtenir des réponses fiables, parce qu’elles se réfèrent à des thèmes et des cas spécifiques, sur les meilleures voies pour combattre la pauvreté mondiale. L’économiste qui parle l’américain avec un accent français très agréable et qui était considéré comme un garçon manqué a lancé un nouveau modèle pour la recherche économique, en appliquant une méthode scientifique rigoureuse aux projets de développement dans les pays pauvres, La méthode fondée sur les enquêtes du Pal, Poverty Action Lab, dont elle a été cofondatrice et est toujours présidente, un réseau international de recherche pour combattre la pauvreté. Comme elle l’a dit elle-même : «La pauvreté peut être combattue, mais les modèles théoriques ne suffisent pas. Nous n’avons pas besoin de prévisions oraculaires. Nous travaillons sur le terrain ». Et Duflo sur le terrain a vraiment existé, surtout en Afrique et en Inde. «Nous essayons de créer un lien entre science et action - poursuit-elle - et nous avons emprunté à la médecine la méthode d’évaluation aléatoire, en comparant les effets d’initiatives contre la pauvreté sur un groupe expérimental et sur un groupe témoin». Il s’agit d’un «laboratoire d’expériences empiriques» qui adopte une approche pragmatique visant à tester sur des bases concrètes l’impact des stratégies élaborées à travers l’analyse contre-factuelle (randomisé controlled trial) pour aller au fond et identifier les mécanismes qui engendrent la pauvreté, le sous-développement et les inégalités économiques.

Femme d’une grande simplicité, dotée d’un remarquable sens de l’humour et d’humilité, qui a également émergé dans son discours lors de l’attribution du Prix Nobel, dans lequel elle a reconnu que ses études sont le fruit d’un effort collectif auquel ont participé de très nombreuses personnes, elle dit qu’elle a été une élève "polyvalente" et sans inclination particulière. Quand elle a découvert l’économie, elle a compris qu’elle pouvait être l’occasion de faire quelque chose pour les sujets qui lui tenaient à cœur. Une fois arrivée au MIT, elle a suivi les séminaires de ce qui allait devenir son mari et en deux décennies, elle a transformé avec lui et d’autres l’économie du développement, qui est aujourd’hui un domaine de recherche florissant. Selon Duflo, les études d’économie du développement ont échappé dans les années passées à quelques détails et les interventions proposées n’ont pas toujours été en mesure d’atteindre les résultats escomptés, avec une grande dépense de ressources et d’investissements et de politiques économiques erronées. La méthode de Duflo diffère à la fois de celle de ceux qui proposent d’importants transferts aux nations pauvres et de ceux qui refusent cette aide en la considérant comme une forme de paternalisme du monde riche et s’applique à de nombreux thèmes au sein de la pauvreté mondiale, comme la santé, l’éducation, l’agriculture et les questions de genre. La méthode est basée sur un essai très similaire à celui clinique utilisé pour tester un nouveau médicament. Lors de l’essai d’un nouveau médicament, l’échantillon est choisi au hasard, en administrant à un certain nombre de personnes un placebo et à d’autres le médicament expérimental avec ses principes actifs. L’évaluation aléatoire utilisée par Duflo fonctionne exactement de la même manière.

Parmi les nombreux exemples de nouvelles politiques d’atténuation de la pauvreté figure celui adopté pour surmonter les difficultés de vaccination des enfants au Rajasthan selon le programme gouvernemental. «Les parents avaient l’impression que ce n’était pas urgent. Le vaccin était une prévention, pas une réponse à une crise immédiate. Question de mentalité». D’où la proposition, extrêmement simple : donner un kilogramme de lentilles à ceux qui se présentaient pour effectuer les vaccins. Les résultats ont montré que le groupe ayant reçu un kilo de lentilles avait triplé le taux de vaccination. Le taux de vaccination est resté inchangé dans le groupe auquel l’incitation n’a pas été accordée. L’approche novatrice de Duflo et de ses collègues consiste à diviser la pauvreté mondiale en des questions plus petites et plus faciles à traiter, comme par exemple concevoir des interventions plus efficaces pour améliorer les résultats de l’éducation de la jeunesse ou son hygiène, comment lutter contre le paludisme ou comment réduire le décrochage scolaire dans certains pays.

Éradiquer les vers et améliorer ainsi la santé des garçons et des filles peut être une approche gagnante pour augmenter la participation à l’enseignement, comme acheter un uniforme scolaire pour les étudiants qui ne fréquentent pas parce qu’ils ne peuvent pas se le permettre. Être sur le terrain, recueillir des données, essayer de comprendre directement pour être utile dans l’immédiat, c’est l’esprit de la nouvelle façon d’affronter les « pièges de pauvreté », en touchant les bons boutons, en démontant le cliché, expérimenté sur le terrain, les pauvres seraient paresseux. Duflo regrette la faible présence des femmes dans toutes les professions, mais surtout dans le domaine économique et en voit la cause dans les thèmes trop arides et techniques affrontés par des économistes masculins et blancs, qui rendent l’économie peu intéressante. L’économie doit être humaine et se mettre au service de la collectivité, en identifiant des instruments capables de relever les défis d’aujourd’hui: réchauffement climatique, travail et justice sociale. Et les femmes doivent être encouragées à mener ces études, même en suivant son exemple.

Parmi les livres écrits par Duflo, en plus des nombreuses publications, citons Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, avec Abhijit V. Banerjee et en 2019, toujours avec son mari, Une bonne économie pour les temps difficiles, édité en Italie par Laterza. Parmi les nombreuses distinctions, il faut citer celle de Commandeuse de l’ordre de la Légion d’honneur (2020-France) et Officier de l’Ordre national du Mérite (2013-France). Comme Marie Curie, Esther Duflo a consacré la somme reçue pour le prix Nobel à la recherche.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Awarded the Nobel Prize in Economics, «Because her studies have significantly improved our ability to fight poverty in practice and for her experimental approach to reducing global poverty».

Esther Duflo, a French-American economist, was born in Paris on Oct. 25, 1972, to a pediatrician mother, involved in volunteer work to help war-affected children, and a mathematics professor father. Drawn as a child to the figures of Mother Teresa of Calcutta and Albert Schweitzer, at a very early age she questioned the reasons for her good fortune as a girl who could devote herself to developing her talents, while many other people in the world, including some close to her, were not given the same opportunities by the economic system. She studied history and economics at the École Normale Superieure in Paris, completing her Ph.D. in economics at MIT in 1999, and has been a professor at MIT ever since, aside from one year at Princeton University, and time at the Paris School of Economics. Her resume is replete with publications, reports and honorary doctorates from the most prestigious universities, including Oxford, Yale, Harvard and the London School of Economics. She is the youngest winner, at age 46, in 2019, of the Nobel Prize in Economics and the second woman, after Elinor Ostrom, to receive it, although she shared it with her husband (and thesis advisor) Abhijit Banerjee and with Michael Kremer. After her Ph.D. degree at MIT, she decided to remain there, where she now holds the position of professor of Development and Poverty Reduction Economics, crowning a career that began as a tenured associate professor at only 29 years old.

One of the greatest accomplishments of Esther Duflo and her research team is that they have made MIT appreciate the importance to an economics faculty of a topic long considered marginal, namely poverty reduction. This was been able to happen not only because of the great determination and authority of Duflo, named by Forbes in 2007 as one of the ten people who can change the world and by the Economist as one of the most influential, but also because of her fresh approach as a scholar. Her work has been directed at obtaining reliable answers, relating to specific issues and cases, on the best ways to combat global poverty. The economist, who speaks American English with a pleasant French accent, she was considered a tomboy as a child. She has launched a new model for economic research, applying a rigorous scientific method to development projects in poor countries, a method based on the investigations of PAL (Poverty Action Lab), of which she was co-founder and is still president, an international research network to combat poverty. As she put it, «Poverty can be fought, but theoretical models are not enough. We don't need oracular predictions. We need work in the field». And Duflo has indeed been in the field, especially in Africa and India. "We try to create a link between science and action," she continued, «and we borrowed the random evaluation method from medicine, comparing the effects of anti-poverty initiatives on an experimental group and a control group.» It has been a «laboratory of empirical experiments», adopting a pragmatic approach aimed at testing the impact of strategies developed through randomized controlled trials on a practical basis, to get to the bottom of and identify the mechanisms that generate poverty, underdevelopment and economic inequality.

A woman of great simplicity, endowed with a remarkable sense of humor and humility, which emerged in her speech at the awarding of the Nobel Prize, when she acknowledged that her studies were the result of a collective effort in which many people took part. She says of herself that she was an "all-hands-on-deck" student with no particular inclinations. When she discovered economics, she realized that it could represent a chance to do something about the issues she cared about. Once she landed at MIT, she attended the seminars of Banerjee, would become her husband, and in two decades she and he and others transformed Development Economics, which is now a thriving field of research. According to Duflo, Development Economics studies missed some critical details in past years, and its proposed interventions have not always been able to achieve the desired results, resulting in a waste of resources and investment and misguided economic policies. Duflo's method differs both from those who propose massive transfers to poor nations and from those who reject such aid, deeming it a form of paternalism by the rich world, and applies to many issues within global poverty, such as health, education, agriculture and gender issues. The method is based on a trial very similar to the clinical trial used to test a new drug. When testing a new drug, the sample is evaluated by randomly giving some people placebos and others the experimental drug with its active ingredients. The random evaluations used by Duflo work in exactly the same way.

Among the many examples of new policies for poverty mitigation is the one adopted to overcome difficulties in vaccinating boys and girls in Rajasthan under a government program. «Parents were under the impression that this was not something urgent. The vaccine was a prevention, not a response to an immediate crisis. It was a matter of mindset». Hence an extremely simple proposal was made - to give a kilogram of lentils to those who showed up for vaccines. The results showed that the group given a kilogram of lentils had tripled the vaccination rate. In the group that was not given the incentive, the vaccination rate had remained unchanged. Duflo and her colleagues' innovative approach is to break down global poverty into smaller, more easily addressed issues, such as devising more effective interventions to improve youth education outcomes or hygiene, or ways to combat malaria or to reduce school dropout rates.

Eradicating worms and thus improving the health of boys and girls can be a winning approach to increasing participation in education, as can buying a school uniform for the students who do not attend because they cannot afford one. Being in the field, collecting data, trying to understand directly in order to be useful in the immediate, that is the spirit of the new way of addressing "poverty traps," touching the right buttons, dismantling the cliché that poor people are indolent. Duflo regrets the underrepresentation of women in all professions, but especially in the field of economics, and sees the cause in the too dry and technical topics addressed by male and white economists, which make economics uninteresting. Economics must be humane and put itself at the service of the community, identifying tools that can address today's challenges: global warming, jobs and social justice. And women must be encouraged to carry out these studies, including following her example.

Books written by Duflo, in addition to numerous publications, include Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, with Abhijit V. Banerjee, and in 2019, again with her husband, Good Economics for Hard Times: Better Answers to Our Biggest Problems. Among her many awards are those of Commander of the French Legion of Honor (2020) and Officer of the French National Order of Merit (2013). Like Marie Curie, Esther Duflo earmarked the sum she received for the Nobel Prize for research.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Motivación del Premio Nobel de Economía: «Porque sus estudios han mejorado considerablemente nuestra capacidad para combatir la pobreza en la práctica y por su enfoque experimental para aliviar la pobreza global».

Esther Duflo, economista franco-estadounidense, nació en París el 25 de octubre de 1972 de madre pediatra, dedicada al voluntariado para la ayuda a la infancia víctima de guerra, y de padre profesor de matemáticas. Atraída desde pequeña por las figuras de madre Teresa de Calcuta y Albert Schweitzer, se cuestiona muy pronto por qué tiene la suerte de poder desarrollar sus talentos, cuando, a muchas otras personas en el mundo –incluidas algunas cercanas a ella–, el sistema económico no les ofrece las mismas oportunidades. Estudia historia y economía en la École Normale Superieure de París, completando su doctorado en Economía en el MIT en 1999, después de obtener uno en París y haber enseñado en la Universidad de Princeton. Su currículum es rico en publicaciones, informes y doctorados honoris causa en las universidades más prestigiosas, como Oxford, Yale, Harvard y la London School of Economics. Es la ganadora más joven, a los 46 años, en 2019, del Premio Nobel de Economía y la segunda mujer, después de Elinor Ostrom, en recibirlo, aunque compartido con su esposo y colega universitario Abhijit Banerjee y con Michael Kremer. Después de su máster en el MIT, decide permanecer en el templo de la economía estadounidense, donde hoy ocupa el cargo de profesora de Economía del Desarrollo y Reducción de la Pobreza en la facultad que lleva el nombre de Abdul Latif Jameel, coronando una carrera que comenzó como profesora con solo 29 años.

El mayor mérito de Esther Duflo y su grupo de investigación es haber hecho apreciar al MIT la importancia de un tema que durante mucho tiempo se había considerado marginal: la reducción de la pobreza en una facultad de Economía. Esto pudo ocurrir, más allá de su gran determinación y la estimación del entorno –definida por Forbes en 2007 como una de las diez personas capaces de cambiar el mundo y por el Economist como una de las más influyentes–, gracias al nuevo enfoque de la estudiosa y su movimiento dirigido a obtener respuestas confiables, porque se refieren a temas y casos específicos, sobre las mejores vías para combatir la pobreza global. La economista lanzó un nuevo modelo para la investigación económica, aplicando un riguroso método científico a los proyectos de desarrollo en los países pobres, método basado en las investigaciones del PAL, Poverty Action Lab, que cofundó y cuya presidenta sigue siendo, una red internacional de investigación para combatir la pobreza. Como ella misma dijo: «La pobreza se puede encarar, pero los modelos teóricos no son suficientes. No necesitamos predicciones oraculares. Trabajamos sobre el terreno». Y Duflo realmente conoce el terreno, especialmente el de África e India. «Intentamos crear un vínculo entre la ciencia y la acción –continúa– y hemos tomado prestado de la medicina el método de evaluación aleatoria, comparando los efectos de las iniciativas contra la pobreza en un grupo experimental y en un grupo de control». Se trata de un “laboratorio de experimentos empíricos”, que adopta un enfoque pragmático destinado a probar sobre una base concreta el impacto de las estrategias elaboradas a través del análisis contrafáctico (randomized controlled trial), para profundizar e identificar los mecanismos que generan la pobreza, el subdesarrollo y las desigualdades económicas.

Mujer de gran sencillez, dotada de un notable sentido del humor, su gran humildad se pudo apreciar durante su discurso al recibir el Premio Nobel, donde reconoció que sus estudios son el fruto de un esfuerzo colectivo en el que participaron muchas personas; dice de sí misma que fue una estudiante “todoterreno” y sin inclinaciones particulares. Cuando descubrió la economía, se dio cuenta de que podía representar la oportunidad de hacer algo por los temas que la preocupaban. Una vez que llegó al MIT, siguió los seminarios de quien se convertiría en su marido y en dos décadas transformó, junto con él y su equipo, la Economía del Desarrollo, que hoy es un próspero campo de investigación. Según Duflo, los estudios de Economía del Desarrollo se han dejado escapar en los últimos años algunos detalles y las intervenciones propuestas no siempre han sido capaces de lograr los resultados esperados, con un gran dispendio de recursos e inversiones y con políticas económicas equivocadas. El método de Duflo se diferencia tanto del de quienes proponen imponentes transferencias a las naciones pobres, como del de quienes rechazan dicha ayuda considerándola una forma de paternalismo del mundo rico y se aplica a muchos temas dentro de la pobreza global, como la salud, la educación, la agricultura y las cuestiones de género. El método se basa en una experimentación muy similar a la clínica utilizada para probar un nuevo fármaco. Cuando se experimenta un nuevo fármaco, la muestra se elige al azar, administrando a varias personas placebos y a otras el fármaco experimental con sus principios activos. La evaluación aleatoria utilizada por Duflo funciona exactamente de la misma forma.

Entre los muchos ejemplos de nuevas políticas de mitigación de la pobreza, cabe recordar la adoptada para superar las dificultades de vacunación de niños y niñas según el programa gubernamental de Rajastán. «Los padres tenían la impresión de que no era algo urgente. La vacuna era una prevención, no una respuesta a una crisis inmediata. Cuestión de mentalidad». De ahí la propuesta, extremadamente sencilla: regalar un kilo de lentejas a los que se presentaban para vacunarse. Los resultados mostraron que el grupo al que se le había asignado un kilo de lentejas había triplicado la tasa de vacunación. En el grupo al que no se le había dado el incentivo, la tasa de vacunación se había mantenido inalterada. El enfoque innovador de Duflo y sus colegas consiste en dividir la pobreza global en cuestiones más pequeñas, más fáciles de abordar, como idear intervenciones más efectivas para mejorar los resultados de la educación de la juventud o su higiene, como combatir la malaria o como reducir el abandono escolar en algunos países.

Erradicar los gusanos y así mejorar la salud de niños y niñas puede ser una estrategia fructuosa para aumentar la participación en la enseñanza, como comprar un uniforme escolar para aquellos/as estudiantes que no asisten porque no se lo pueden permitir. Conocer el contexto, recoger datos, tratar de entender directamente para ser útil en lo inmediato, este es el espíritu de la nueva forma de lidiar con las “trampas de la pobreza”, tocando las teclas correctas, desmontando el tópico, experimentado realmente, de que los pobres son indolentes. Duflo lamenta la escasa presencia de mujeres en todas las profesiones, pero sobre todo en el ámbito económico, y reconoce la causa en los temas demasiado áridos y técnicos abordados por economistas varones y blancos, que hacen que la economía sea poco interesante. La economía debe ser humana y ponerse al servicio de la colectividad, identificando herramientas capaces de afrontar los retos de hoy: calentamiento global, trabajo y justicia social. Y hay que animar a las mujeres a realizar dichos estudios, incluso siguiendo su ejemplo.

Entre los libros escritos por Duflo, además de las numerosas publicaciones, recordamos Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, con Abhijit V. Banerjee (2011) y en 2019, otra vez con su esposo, La buena economía para tiempos difíciles, publicado en España por Taurus (2020). Entre los muchos reconocimientos recibidos cabe mencionar el de Comendadora de la Orden de la Legión de Honor (2020- Francia) y el de Oficial de la Orden Nacional al Mérito (2013- Francia). Al igual que Marie Curie, Esther Duflo también destinó la suma recibida por el Premio Nobel a la investigación.

 

Louise Gluck
Giulia Basile






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la letteratura 2020 «Per la sua inconfondibile voce poetica, che con la sua austera bellezza, rende universale l’esistenza individuale».

Nata a New York il 22 aprile del 1943 da una famiglia di origini ebreo-ungheresi, è cresciuta in un ambiente culturalmente attivo. Lei stessa ricorda che da bambina il suo gioco preferito con la nonna era quello di far gareggiare e confrontare tra loro libri diversi. E fu proprio in famiglia che si innamorò della bellezza delle favole e della mitologia greca, ma è anche la famiglia, il conflitto con sua madre e l’anoressia, a segnare la sua vita, tanto da essere costretta ad abbandonare il liceo e, in seguito, anche gli studi alla Columbia University.

Alternando periodi di fermento a depressione, grazie alla psicoanalisi, superò quei conflitti e quando il suo secondo marito, John Dranow, investì denaro in una scuola di chef, lei disse: «Mia madre era una cuoca spettacolare! Mi mancava il cibo e sono stata felice di riaccoglierlo nella mia vita». Divenne madre single, attenta e generosa col figlio Noha (che le ha dato due nipotine gemelle) rimasto l’unico, anche dopo un ventennio di vita col marito da cui poi ha divorziato. Oggi insegna Poesia all’Università Yale di New Haven, Connecticut.

Autrice da tempo molto apprezzata in patria e all’estero, ha un cursus honorum singolare: Premio Pulitzer per la poesia (1993), Premio Bollingen per la poesia (2001), National Book Award (2014), poeta laureata degli Stati Uniti nel 2003, Nobel nel 2020. Oggi viene collocata in una illustre e nobile stirpe di poeti e poete, tra le donne più grandi, accanto a Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton e Anne Carson. Dal 1968 a oggi ha pubblicato quattordici libri di poesia e alcuni saggi.

Il presidente Barack Obama consegna la National Humanities Medal alla poetessa Louise Gluck durante una cerimonia nella East Room alla Casa Bianca il 22 settembre 2016 a Washington, DC 

L’ultimo, Ottobre, edito durante la pandemia in corso, contiene riferimenti alla tragedia dell’11 settembre a New York perché – lei dice – è normale che la scrittura risenta dei drammi che abbiamo vissuto e ci scaraventano nel buio del dolore, ma è importante il come sappiamo uscirne. Fin dalla prima lettura, la poesia di Louise Glück porta a interrogarsi sul senso dello stare al mondo. In pochi versi raccomanda: «finché non si fa esperienza non si può raccontare nulla, per scrivere devi soffrire». E aggiunge, nel saggio Contro la sincerità, che il lettore è come Psiche: giace ogni notte con l’amato ma non lo conosce e una notte accende una candela per vedere chi c’è. Così chi legge si avvicina alla poesia con la candela in mano per scoprire chi c’è dall’altra parte. La sua scrittura si nutre molto della mitologia classica e dei personaggi biblici, che sono per lei i pilastri a cui afferrarsi nel caos della vita e da cui attingere. Ad esempio, la figura di Achille nella silloge Il trionfo di Achille è un personaggio di grande umanità, che comprende la propria caducità di fronte agli Dei dell’Olimpo, e non si dispera.

I temi di fondo della sua scrittura sono quelli che nascono dalla vita realmente vissuta e, in specie, dal fallimento delle relazioni. Anche la forma presenta ripetizioni quasi ossessive, frasi spezzate, sincopate, segno della ricerca di profondità ed essenzialità espressiva. La silloge Iris selvatico ci trasporta in un giardino dove, mentre l’autrice dialoga coi fiori (l’iris, la rosa, il papavero rosso, il trifoglio, le margherite), ci racconta della sua famiglia e delle sue esperienze. Spesso il suo soliloquio col suo Io poi diventa dialogo con un Dio intimo, astratto, alcune volte severo, altre generoso.

Nel riferirsi a Adamo e Eva, «Quando vi ho fatti, vi amavo. / Ora vi compatisco» dice Dio. Alla fine è Louise che cerca un dialogo con il padre irraggiungibile fino alla sua risposta appena percettibile, in Tramonto. È come se parlando attraverso l’iris mettesse in luce la materia del suo poetare per darsi una nuova possibilità: ciò che torna dalla dimenticanza serve a ritrovare qualcosa. Altra silloge tradotta in italiano è Averno (2006), in cui troviamo molti degli elementi già citati, ma centrale diventa il racconto dell’Ade e di Demetra con la figlia Persefone, e delle tante allegorie. Averno è un viaggio agli inferi, un percorso costellato da ciò che non è, caratterizzato da una costante sottrazione per giungere al nulla: «forse già il non essere basta del tutto, / per quanto sia difficile da immaginare». Qui c’è la vera poeta, nello scrivere ciò che è difficile da immaginare, ciò che è passato, presente e futuro, quel che resterà dopo la morte. Il percorso negli inferi è pieno di blu, di spazi neri, e in esso Louise fissa le tappe della propria esistenza e quella della sua famiglia: invoca il buio, del «non vedere» che è al contempo richiamo alla luce; il “ghiaccio”, emblema del «non sentire» per cercare di difendersi: «Cielo blu, ghiaccio blu, / strada come un fiume ghiacciato / stai parlando / della mia vita / lei mi disse».

Averno è dunque un viaggio nel buio delle dimenticanze e nel blu della cancellazione, descritto con frasi e punteggiatura sincopate, essenziali, cosa che si accorda con il continuo togliere dell’autrice in cerca dell’anima. Offre così un modello di comprensione per gli innumerevoli cambiamenti che costellano l’esistenza di ognuno di noi.

Con molta naturalezza e senza drammatizzare scrive: «la morte non può farmi male / più di quanto mi abbia fatto male tu /amata vita mia». La silloge forse più nota è Ararat (1990). Nella Bibbia, Ararat è il monte della salvezza di Noè. Qui Glück ripercorre con lucidità e durezza le relazioni che secondo Freud sono all’origine di tutti i traumi: quelle familiari. La vicenda che narra è quella di una famiglia, ma i protagonisti in realtà sono i membri della sua famiglia. Si trovano qui tutti i temi essenziali del poetare di Glück: l’esistenza, le ferite prodotte da sentimenti incoerenti, i grandi misteri, la vita, la morte, ma anche le prove da affrontare, il desiderio di amore e attenzioni.

Dallo sguardo d’insieme della sua opera (che include, oltre queste tre sillogi trattate, altre 11 pubblicazioni fino all’ultima Ottobre edita a marzo 2021) è palese che Louise Glück è veramente una grande Maestra nel raccontare l’animo umano e una grande poeta. In una intervista fatta subito dopo aver vinto il Nobel ci regala la sua idea di poesia: «Quello che tento di fare nelle poesie è stupire me stessa e – mi auguro – anche il lettore» e aggiunge che quando si accorge che il lettore potrebbe procedere verso un finale immaginabile, lei cambia rotta, perché vuole che chi legge sia destabilizzato e provi meraviglia». «La scrittura serve per mantenere lo stupore. La prima regola che insegno ai miei studenti di poesia è dividere le parti vive da quelle morte (che sarebbero i versi prevedibili), perché la poesia “viva” è quella che ti porta in un posto che prima non conoscevi».

Tordo

… per me penso che il mio senso di colpa significhi

che non ho vissuto tanto bene.

Qualcuno con me non evade.

Penso che per un po’ dormi.

Poi scendi nel terrore dell’altra vita

solo che

l’anima assume qualche forma diversa,

più o meno cosciente di prima,

più o meno avida.

Dopo molte vite, forse qualcosa cambia.

Penso che alla fine quello che vuoi

sarai in grado di vederlo.

Allora non hai più bisogno

di morire e ritornare ancora.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de littérature 2020 «Par sa voix poétique incomparable, qui, avec son austère beauté, rend universelle l’existence individuelle».

Née à New York le 22 avril 1943 d’une famille d’origine juive-hongroise, elle a grandi dans un environnement culturellement actif. Elle se souvient elle-même que quand elle était petite, son jeu préféré avec sa grand-mère était de faire une compétition et de comparer entre eux différents livres. Et c’est dans sa famille qu’elle est tombée amoureuse de la beauté des fables et de la mythologie grecque, mais c’est aussi la famille, le conflit avec sa mère et l’anorexie, qui a marqué sa vie, au point d’être forcée d’abandonner le lycée et, ensuite, elle a étudié à l’Université Columbia.

Alternant périodes de troubles et dépression, grâce à la psychanalyse, elle a surmonté ces conflits et quand son second mari, John Dranow, a investi de l’argent dans une école de chef, elle a dit : «Ma mère était une cuisinière spectaculaire! La nourriture me manquait et j’ai été heureuse de la retrouver dans ma vie». Elle est devenue mère célibataire, attentive et généreuse avec son fils Noha (qui lui a donné deux petites-filles jumelles) resté le seul, même après vingt ans de vie avec son mari dont elle a ensuite divorcé. Aujourd’hui, elle enseigne la poésie à l’Université Yale de New Haven, Connecticut.

Auteur depuis longtemps très appréciée dans son pays et à l’étranger, elle a un cursus honorum singulier : Prix Pulitzer pour la poésie (1993), Prix Bollingen pour la poésie (2001), National Book Award (2014), poète diplômée des États-Unis en 2003, Nobel en 2020. Aujourd’hui, elle est placée dans une noble lignée de poètes, parmi les femmes les plus âgées, aux côtés d’Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton et Anne Carson. De 1968 à aujourd’hui, elle a publié quatorze livres de poésie et quelques essais.

Le 22 septembre 2016 à Washington, DC, le président Barack Obama a remis la Médaille nationale des sciences humaines à la poète Louise Gluck lors d'une cérémonie dans la salle Est de la Maison Blanche.

Le dernier, Octobre, publié pendant la pandémie en cours, contient des références à la tragédie du 11 septembre à New York parce que - dit-elle - il est normal que l’écriture souffre des drames que nous avons vécus et nous plonge dans l’obscurité de la douleur, mais il est important de savoir comment nous en sortons. Dès la première lecture, la poésie de Louise Glück amène à s’interroger sur le sens d’être au monde. Dans quelques vers, elle recommande : «tant qu’on ne fait pas l’expérience, on ne peut rien raconter, pour écrire, il faut souffrir». Et elle ajoute, dans l’essai Contre la sincérité, que le lecteur est comme Psyché : il dort chaque nuit avec le bien-aimé mais ne le connaît pas et une nuit il allume une bougie pour voir qui est là. Ainsi, celui qui lit s’approche du poème avec la bougie à la main pour découvrir qui est de l’autre côté. Son écriture se nourrit beaucoup de la mythologie classique et des personnages bibliques, qui sont pour elle les piliers auxquels s’accrocher dans le chaos de la vie et où puiser. Par exemple, la figure d’Achille dans la syllabe Le triomphe d’Achille est un personnage de grande humanité, qui comprend sa propre caducité face aux Dieux de l’Olympe, et ne désespère pas.

Les thèmes de fond de son écriture sont ceux qui naissent de la vie réellement vécue et, en particulier, de l’échec des relations. Même la forme présente des répétitions presque obsessionnelles, des phrases brisées, syncopées, signe de la recherche de profondeur et de l’essentialité expressive. La syllabe sauvage Iris nous transporte dans un jardin où, tandis que l’auteur dialogue avec les fleurs (l’iris, la rose, le coquelicot rouge, le trèfle, et les marguerites), nous parle de sa famille et de ses expériences. Souvent son soliloque avec son Moi devient ensuite dialogue avec un Dieu intime, abstrait, parfois sévère, et d’autres généreux.

En se référant à Adam et Ève, « Quand je vous ai faits, je vous ai aimés. / Maintenant je vous plains » dit Dieu. Finalement, c’est Louise qui cherche un dialogue avec son père inaccessible jusqu’à sa réponse à peine perceptible, dans Sunset. C’est comme si en parlant à travers l’iris elle mettait en lumière la matière de son poète pour se donner une nouvelle possibilité : ce qui revient de l’oubli sert à retrouver quelque chose. Une autre syllabe traduite en italien est Averno (2006), dans laquelle nous trouvons beaucoup d’éléments déjà cités, mais central devient le récit de l’Hadès et de Déméter avec sa fille Perséphone, et des nombreuses allégories. Averno est un voyage aux enfers, un parcours constellé par ce qu’il n’est pas, caractérisé par une soustraction constante pour arriver au néant : « peut-être déjà le fait de ne pas être suffisant du tout, / aussi difficile à imaginer ». Voici le vrai poète, en écrivant ce qui est difficile à imaginer, ce qui est passé, présent et futur, ce qui restera après la mort. Le parcours dans les enfers est plein de bleu, d’espaces noirs, et Louise y fixe les étapes de son existence et celle de sa famille : elle invoque l’obscurité, du « ne pas voir » qui est en même temps un appel à la lumière ; la "glace", emblème du « ne pas sentir » pour chercher à se défendre : « Ciel bleu, glace bleue, / route comme une rivière glacée / tu parles / de ma vie / elle me dit ».

Averno est donc un voyage dans l’obscurité des oublis et dans le bleu de l’effacement, décrit avec des phrases et des ponctuations syncopées, essentielles, ce qui s’accorde avec le fait de retirer continuellement de l’auteur à la recherche de l’âme. Elle offre ainsi un modèle de compréhension pour les innombrables changements qui jalonnent l’existence de chacun de nous.

Avec beaucoup de naturel et sans dramatiser, elle écrit : «la mort ne peut pas me faire mal / plus que ce que tu m’as fait mal / ma vie bien-aimée». La syllabe la plus connue est Ararat (1990). Dans la Bible, Ararat est la montagne du salut de Noé. Ici, Glück retrace avec lucidité et dureté les relations qui, selon Freud, sont à l’origine de tous les traumatismes : les relations familiales. L’histoire qu’elle raconte est celle d’une famille, mais les protagonistes sont en réalité les membres de sa famille. On trouve ici tous les thèmes essentiels du poète de Glück : l’existence, les blessures produites par des sentiments incohérents, les grands mystères, la vie, la mort, mais aussi les épreuves à affronter, le désir d’amour et d’attention.

D’après le regard d’ensemble de son œuvre (qui inclut, outre ces trois syllabes traitées, 11 autres publications jusqu’à la dernière Octobre publiée en mars 2021), il est évident que Louise Glück est vraiment une grande Maîtresse pour raconter l’âme humaine et une grande poète. Dans une interview faite immédiatement après avoir gagné le prix Nobel, elle nous donne son idée de poésie : «Ce que j’essaie de faire dans les poèmes, c’est m’étonner moi-même et - je l’espère - le lecteur aussi» et ajoute que lorsqu’elle s’aperçoit que le lecteur pourrait avancer vers une fin imaginable, Elle change de cap, parce qu’elle veut que celui qui lit soit déstabilisé et éprouve de l’émerveillement». « L’écriture sert à maintenir l’émerveillement. La première règle que j’enseigne à mes étudiants en poésie est de diviser les parties vivantes de ces morts (qui seraient les vers prévisibles), car la poésie "vivante" est celle qui vous emmène dans un endroit que vous ne connaissiez pas auparavant».

Muguet

... Je pense que ma culpabilité signifie

que je n’ai pas si bien vécu.

Quelqu’un ne s’évade pas avec moi.

Je crois que tu dors.

Puis tu descends dans la terreur de l’autre vie

seulement que

l’âme prend une forme différente,

plus ou moins consciente qu’avant,

plus ou moins gourmande.

Après de nombreuses vies, peut-être que quelque chose change.

Je pense qu’à la fin ce que tu veux

Tu pourras le voir.

Alors tu n’as plus besoin

de mourir et de revenir.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

2020 Nobel Prize in Literature Awarded for “… her unmistakable poetic voice, that with austere beauty makes individual existence universal."

Born in New York City on April 22, 1943 to a family of Jewish-Hungarian descent, she grew up in a culturally active environment. She recalls that as a child her favorite game with her grandmother was to contrast and compare different books. And it was in her family that she fell in love with the beauty of fairy tales and Greek mythology, but it was also her family, her conflict with her mother and her anorexia, that marked her life, so much so that she was forced to drop out of high school and, later, even her studies at Columbia University.

Alternating between periods of turmoil and depression, she overcame those conflicts thanks to psychoanalysis. When her second husband, John Dranow, invested money in a cooking school, she said, "My mother was a spectacular cook! I missed food and was happy to welcome it back into my life." She became a single, caring and generous mother to her son Noha (who gave her twin granddaughters) who remained her only child, even after a 20-year stint with her husband from whom she later divorced. Today she teaches poetry at Yale University in New Haven, Connecticut.

A longtime highly regarded author at home and abroad, she has a long and remarkable list of awards, including the Pulitzer Prize for Poetry (1993), Bollingen Prize for Poetry (2001), National Book Award (2014), Poet Laureate of the United States in 2003, and the Nobel Prize in 2020. Today she is placed in a distinguished and noble lineage of poets, among the greatest women, alongside Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton and Anne Carson. From 1968 to the present, she has published fourteen books of poetry and many essays.

On September 22, 2016 in Washington, DC, President Barack Obama presented the National Humanities Medal to poet Louise Gluck during a ceremony in the East Room of the White House.

Winter Recipes from the Collective, published during the current pandemic, contains references to the 9/11 tragedy in New York City because, she says, it is normal for writing to be affected by the dramas we have lived through and that hurl us into the darkness of grief, but knowing how to get out of it is most important. From the first reading, Louise Glück's poetry leads one to question the meaning of being in the world. In just a few lines she sums up, "until you have experience you have nothing to tell, to write you must suffer." She adds, in the essay Against Sincerity, that the reader is like Psyche: she lies every night with her beloved but does not know him, and one night she lights a candle to see who is there. Thus the reader approaches the poem with a candle in hand to find out who is on the other side. Her writing leans heavily on classical mythology and biblical characters, which are for her the pillars to grasp onto in the chaos of life and to draw from. For example, the figure of Achilles in The Triumph of Achilles is a character of great humanity, who understands his own transience in the face of the Olympian gods, and does not despair.

The underlying themes of her writing are those that arise from fully lived life and, especially, from the failure of relationships. Even the form presents almost obsessive repetitions, broken, syncopated sentences, a sign of the search for expressive depth and essentiality. The collection The Wild Iris transports us to a garden where, as the author converses with flowers (the iris, rose, red poppy, clover, daisies), she tells us about her family and her experiences. Often her soliloquy with her ego then becomes a dialogue with an intimate, abstract God, sometimes stern, sometimes generous.

In referring to Adam and Eve, God says, "When I made you, I loved you, / Now I pity you". In the end, it is Louise who seeks a dialogue with her unreachable father until his barely perceptible response in Sunset. It is as if speaking through the iris she sheds light on the material of her poetry to give herself a new possibility: what comes back from forgetfulness serves to find something again. Another collection is Averno (2006), in which we find many of the elements already mentioned, but the tale of Hades and Demeter with her daughter Persephone, and the many allegories, become central. Averno is a journey into the underworld, a path studded with what is not, characterized by a constant subtraction in order to arrive at nothingness: "perhaps already not being is enough of the whole, / however hard it is to imagine." Here is the true poet, in writing what is hard to imagine, what is past, present and future, what will remain after death. The journey into the underworld is full of blue and black spaces, and in them Louise fixes the stages of her own and her family's existence: she invokes the dark, of "not seeing" that is at the same time a call to light; the "ice," emblem of "not feeling" to try to defend herself: "Blue sky, blue ice, / road like a frozen river / you're talking / about my life / she told me."

Averno is thus a journey into the darkness of forgetfulness and the blue of erasure, described with syncopated, essential sentences and punctuation, which is in keeping with the author's continual soul-searching. She thus offers a model of understanding for the innumerable changes that dot the existence of each of us.

Very naturally and without dramatizing, she writes, "death cannot harm me / more than you have harmed me / my beloved life." Perhaps the best known collection is Ararat (1990). In the Bible, Ararat is the mountain of Noah's salvation. Here Glück lucidly and harshly traces the relationships that according to Freud are at the root of all trauma: family relationships. The story she tells is that of an anonymous family, but the protagonists are actually members of her own family. One finds here all the essential themes of Glück's poetry: existence, the wounds produced by inconsistent feelings, the great mysteries, life, death, but also the trials to be faced, the desire for love and attention.

From an overall look at her work (which includes, in addition to these three covered collections, 11 other publications up to the last - Winter Recipes from the Collective published in March 2021) it is obvious that Louise Glück is truly a great master in narrating the human soul, and a great poet. In an interview done immediately after winning the Nobel Prize she gives us her idea of poetry: "What I try to do in the poems is to amaze myself and - I hope - the reader as well," and she adds that when she realizes that the reader might be proceeding toward an imaginable ending, she changes course, because she wants the reader to be destabilized and feel wonder. "Writing is about maintaining wonder. The first rule I teach my poetry students is to divide the living parts from the dead parts (which would be the predictable verses), because the 'living' poem is the one that takes you to a place you didn't know before."

Thrush

… But for me — I think the guilt I feel must mean
I haven’t lived well.

Someone like me doesn’t escape. I think you sleep awhile,
then you descend into the terror of the next life
except

the soul is in some different form,
more or less conscious than it was before,
more or less covetous.

After many lives, maybe something changes.
I think in the end what you want
you’ll be able to see–

Then you don’t need anymore
to die and come back again.


Traduzione spagnola

Maria Carreras Goicoechea

Premio Nobel de Literatura 2020 “Por su inconfundible voz poética que, con su austera belleza, hace universal la existencia individual”.

Nacida en Nueva York el 22 de abril de 1943 en el seno de una familia de ascendencia judeo-húngara, creció en un entorno culturalmente activo. Ella misma recuerda que de niña le gustaba mucho jugar con su abuela era competir y comparar diferentes libros entre ellas. Y fue en su familia donde se enamoró de la belleza de los cuentos de hadas y de la mitología griega. Pero también fue su familia, el conflicto con su madre y su anorexia lo que marcó su vida, hasta el punto de verse obligada a abandonar el instituto y, más tarde, sus estudios en la Universidad de Columbia.

Alternando periodos de agitación y depresión, gracias al psicoanálisis superó esos conflictos y cuando su segundo marido, John Dranow, invirtió dinero en una escuela de chefs, dijo: “¡Mi madre era una cocinera espectacular! Echaba de menos la comida y me alegro de volver a acogerla en mi vida”. Se convirtió en madre soltera, atenta y generosa con su hijo Noha (que le ha dado dos nietas gemelas), su único hijo, incluso después de veinte años con su marido, del que se divorció más tarde. Actualmente enseña poesía en la Universidad de Yale, en New Haven (Connecticut).

Autora muy apreciada en su país y en el extranjero, posee un singular cursus honorum: Premio Pulitzer de Poesía (1993), Premio Bollingen de Poesía (2001), National Book Award (2014), Poeta Laureada de Estados Unidos en 2003, Premio Nobel en 2020. Hoy se la sitúa en una ilustre y noble estirpe de poetas y poetisas, entre las más grandes mujeres, junto a Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton y Anne Carson. Desde 1968 ha publicado catorce libros de poesía y varios ensayos.

El 22 de septiembre de 2016 en Washington, DC, el presidente Barack Obama entregó la Medalla Nacional de Humanidades a la poeta Louise Gluck durante una ceremonia en el Salón Este de la Casa Blanca.

El más reciente, Octubre, publicado durante la pandemia, contiene referencias a la tragedia del 11-S en Nueva York, porque -dice- es normal que la escritura se vea afectada por los dramas vividos y nos arroje a la oscuridad del dolor, pero es importante que sepamos salir de ella. Desde su primera lectura, la poesía de Louise Glück lleva a cuestionarse el sentido de estar en el mundo. En pocas líneas, recomienda: “hasta que no se experimenta, no se puede contar nada, hay que sufrir para escribir”. Y añade, en el ensayo Contra la sinceridad, que el lector es como Psique: se acuesta cada noche con su amado pero no lo conoce, y una noche enciende una vela para ver quién está presente. Así, el lector se acerca a la poesía con la vela en la mano para averiguar quién está al otro lado. Su escritura se nutre en gran medida de la mitología clásica y de los personajes bíblicos, que son para ella los pilares a los que agarrarse en el caos de la vida y en los que inspirarse. Por ejemplo, la figura de Aquiles en poemario El triunfo de Aquiles es un personaje de gran humanidad, que comprende su propia fugacidad frente a los dioses del Olimpo y no desespera.

Los temas subyacentes de su escritura son los que surgen de la vida real y, en particular, del fracaso de las relaciones. Incluso la forma presenta repeticiones casi obsesivas, frases entrecortadas, sincopadas, signo de la búsqueda de la profundidad expresiva y la esencialidad. El poemario The Wild Iris (1992, en español El iris salvaje 2006, El iris silvestre 2021) nos transporta a un jardín donde, mientras la autora conversa con las flores (el iris, la rosa, la amapola roja, el trébol, las margaritas), nos habla de su familia y de sus vivencias. A menudo, el soliloquio con su Yo se convierte en un diálogo con un Dios íntimo y abstracto, a veces severo, a veces generoso.

Al referirse a Adán y Eva, “Cuando os hice, os amaba. / Ahora os compadezco”, dice Dios. Al final, es Louise quien busca un diálogo con su padre inalcanzable hasta su respuesta apenas perceptible, en Atardecer. Es como si, hablando a través del iris, arrojara luz sobre la materia de su poema para darse una nueva oportunidad: lo que vuelve del olvido sirve para reencontrar algo. Otro poemario traducido al español en 2011 es Averno, de 2006, en el que encontramos muchos de los elementos ya mencionados, donde la historia de Hades y Deméter con su hija Perséfone, y las numerosas alegorías, asume la centralidad de la obra. Averno es un viaje a los infiernos, un viaje salpicado de lo que no es, caracterizado por una constante sustracción para llegar a la nada: “quizá no ser ya sea bastante del todo, / por difícil que sea imaginarlo”. He aquí a la verdadera poeta, al escribir lo que es difícil de imaginar, lo que es pasado, presente y futuro, lo que quedará después de la muerte. El camino hacia el inframundo está lleno de azul, de espacios negros, y en él Louise fija las etapas de su propia existencia y de la de su familia: invoca la oscuridad, del “no ver” que es al mismo tiempo una llamada a la luz; el “hielo”, emblema del “no sentir”, para intentar defenderse: “Cielo azul, hielo azul, / carretera como un río helado / estás hablando / de mi vida / me dijo ella”.

Averno es, pues, un viaje a la oscuridad del olvido y al azul de lo borrado, descrito con frases y signos de puntuación sincopados y esenciales, acordes con la constante “eliminar” de la autora en búsqueda del alma. Ofrece así un modelo de comprensión para los innumerables cambios que salpican la existencia de todos.

Con gran naturalidad y sin dramatismos, escribe: “la muerte no puede herirme / más de lo que tú me has herido / amada vida mía”. Quizá el poemario más conocido sea Ararat (1990, en español Ararat 2008). En la Biblia, Ararat es el monte de la salvación de Noé. Aquí, Glück traza con lucidez y dureza las relaciones que, según Freud, son la raíz de todo trauma: las relaciones familiares. La historia que narra es la de una familia, pero los protagonistas son en realidad miembros de su propia familia. Encontramos aquí todos los temas esenciales de la poesía de Glück: la existencia, las heridas producidas por sentimientos incoherentes, los grandes misterios, la vida, la muerte, pero también las pruebas que hay que afrontar, el deseo de amor y de atención.

Desde una visión global de su obra (que incluye, además de estos tres poemarios tratados, otras 11 publicaciones hasta la última, publicada en marzo de 2021), queda claro que Louise Glück es verdaderamente una gran maestra del alma humana y una gran poeta. En una entrevista inmediatamente después de ganar el Premio Nobel, nos ofrece su idea de la poesía: “Lo que intento hacer en los poemas es asombrarme a mí misma y -espero- también al lector” y añade que, cuando se da cuenta de que el lector puede estar avanzando hacia un final imaginable, cambia de rumbo, porque quiere que el lector se desestabilice y sienta asombro. “Escribir consiste en mantener el asombro. La primera regla que enseño a mis alumnos de poesía es dividir las partes vivas de las muertas (que serían los versos predecibles), porque el poema 'vivo' es el que te lleva a algún lugar que antes no conocías.”

Tordo

... para mí creo que mi sentido de culpa significa

que no he vivido tan bien.

Alguien conmigo no escapa.

Creo que durante un tiempo duermes.

Luego desciendes al terror de la otra vida

sólo que

el alma toma alguna forma distinta,

más o menos consciente que antes,

más o menos codiciosa.

Después de muchas vidas, tal vez algo cambie.

Creo que al final lo que quieres

serás capaz de verlo.

Entonces ya no necesitas

morir y volver de nuevo.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з літератури 2020 «За її безпомилковий поетичний голос, який своєю суворою красою робить індивідуальне існування універсальним».

Народилася в Нью-Йорку 22 квітня 1943 року в родині єврейсько-угорського походження, вона виросла в культурно активному середовищі. Сама згадує, що в дитинстві з бабусею любила гратися і порівнювати різні книжки між собою. І саме в сім’ї вона закохалася в красу казок і грецької міфології, але також сім’я, конфлікт з матір’ю та анорексія позначили її життя настільки, що вона була змушена кинути середню школу, a згодом також навчання в університеті Колумбії.

Переживаючи періоди хвилювання і депресії, завдяки психоаналізу вона долала ці конфлікти, і коли її другий чоловік Джон Драноу вклав гроші в школу кухарів, вона сказала: «Моя мама була чудовим кухарем! Я сумувала за їжею, і я була рада, що їжа повернулася в моє життя». Вона стала матір’ю-одиначкою, уважною та щедрою до свого сина Ноя (який подарував їй двох онучок-близнючок), який залишився єдиною дитиною в родині, навіть після двадцяти років життя з чоловіком, з яким вона пізніше розлучилася. Нині вона викладає поезію в Єльському університеті в Нью-Гейвені, штат Коннектикут.

Вона вже давно є високоповажним автором у своїй країні та за кордоном, і має неповторний cursus honorum: Пулітцерівську премію за поезію (1993), премію Боллінгена за поезію (2001), National Book Award (2014), поетеса, випускниця Сполучених Штатів у 2003 році, Нобелівська премія у 2020 році. Її поміщають у славетний і благородний рід поетів і поетів, серед найвідоміших жінок, поряд з Емілі Дікінсон, Елізабет Бішоп, Сільвією Плат, Енн Секстон і Енн Карсон. З 1968 року вона опублікувала чотирнадцять книжок віршів і кілька есеїстичних творів.

22 вересня 2016 року у Вашингтоні, округ Колумбія, президент Барак Обама вручив Національну гуманітарну медаль поетесі Луїзі Глюк під час церемонії в Східній кімнаті Білого дому.

Останній, Жовтень, опублікований під час пандемії, містить згадки про трагедію 11 вересня в Нью-Йорку, тому що - каже вона - це нормально, коли драми, які ми пережили, впливають на письменство, і кидають нас у темряву болю, але важливо, як нам вдається звідти вибратися. З першого прочитання, поезія Луїзи Ґлік спонукає нас замислитися над сенсом буття у світі. У кількох віршах вона рекомендує: «поки не маєш досвіду, не можеш нічого розповісти, щоб писати, треба страждати». І в есе Against Sincerity вона каже, що читач подібний до Психеї: вона лежить щовечора зі своїм коханим, але не знає його, і одного вечора запалює свічку, щоб побачити, хто там. Тож читач наближається до поезії зі свічкою в руці, щоб дізнатися, хто по той бік. Її твори значною мірою спираються на класичну міфологію та біблійних персонажів, які є для неї стовпами, за які вона може вхопитися в хаосі життя та з яких черпати. Наприклад, постать Ахілла у збірці Тріумф Ахілла— персонаж великої людяності, який розуміє власну швидкоплинність перед Богами Олімпу і не впадає у відчай.

Її твори значною мірою спираються на класичну міфологію та біблійних персонажів, які є для неї стовпами, за які вона може вхопитися в хаосі життя та з яких черпати. Наприклад, постать Ахілла у збірці Тріумф Ахілла— персонаж великої людяності, який розуміє власну швидкоплинність перед Богами Олімпу і не впадає у відчай. Основні теми її творів – це теми, які виникають із реального життя, зокрема, з невдалих стосунків. Навіть у формі присутні майже нав’язливі повтори, уривчасті, синкоповані фрази, ознака пошуку глибини та експресивної істотності. Колекція Дикий ірис переносить нас у сад, де, розмовляючи з квітами (ірис, троянда, червоний мак, конюшина, ромашки), авторка розповідає нам про свою сім’ю та свій досвід. Часто її монолог з її его перетворюється на діалог із інтимним, абстрактним Богом, іноді суворим, іноді щедрим.

Говорячи про Адама і Єву, «Коли Я створив вас, Я полюбив вас. / Тепер я співчуваю вам», — каже Бог. Зрештою Луїза шукає діалогу зі своїм недосяжним батьком, поки не отримує ледь помітної відповіді в Sunset. Неначе вона, говорячи через Айріс, висвітлює матеріал своєї поезії, щоб дати собі нову можливість: те, що повертається із забуття, служить для того, щоб щось заново відкрити. Інша збірка, перекладена італійською, — Аверно (2006), у якій ми знаходимо багато вже згаданих елементів, але центральною стає історія про Аїда та Деметру з їхньою дочкою Персефоною, а також багато алегорій. Аверно — це подорож до підземного світу, шлях, усіяний тим, чого немає, характеризується постійним відніманням, щоб нічого не досягти: «можливо небуття достатньо / наскільки це важко уявити». Тут ми бачимо справжню поетесу, яка пише те, що важко уявити, те, що є минулим, теперішнім і майбутнім, що залишиться після смерті. Шлях у підземний світ сповнений блакиті, чорних просторів, і в ньому Луїза фіксує етапи свого власного існування та існування своєї родини: вона закликає темряву, «не бачення», що водночас є закликом до світла; «лід», емблема «не чуття», щоб спробувати захиститися: «Синє небо, синій лід, / дорога, як замерзла ріка / ти говориш / про моє життя / вона мені сказала».

Таким чином, Аверно — це подорож у темряву забуття, описана синкопованими, основними реченнями та пунктуацією, що узгоджується з безперервним видаленням авторки у пошуках душі. Таким чином, вона пропонує модель розуміння незліченних змін, які вкраплюють існування кожного з нас.

Спонтанно і без драматизації вона пише: «смерть не може завдати мені болю / більше, ніж ти / моє кохане життя ». Мабуть, найвідомішою колекцією є Арарат (1990). У Біблії Арарат це гора спасіння Ноя. Тут Ґлік чітко й твердо повторює стосунки, які, згідно з Фрейдом, є джерелом усіх травм: сімейні. Історія, яку вона розповідає, є сімейною, але герої насправді є членами її родини. Тут ви знайдете всі основні теми поезії авторки: існування, рани спричинені незв’язними почуттями, великі таємниці, життя, смерть, а також випробування, з якими людині доводиться зіткнутися, бажання любові та уваги.

Вивчаючи її роботу (яка включає, окрім цих трьох силогів, 11 інших публікацій, з останньою публікацією Жовтень, опублікованою в березні 2021 року) стає зрозумілим, що Луїза Ґлік дуже вправно розповідає про людську душу і є чудовою поетесою. В інтерв’ю, яке дало відразу після отримання Нобелівської премії, вона розповідає нам про своє уявлення про поезію: «Те, що я намагаюся зробити у віршах, — це вразити себе і — я сподіваюся — читача також», і додає, що коли вона розуміє, що читач може йти до уявного кінця, вона змінює курс, бо хоче, щоб читач був дестабілізований і спробуй чудо. «Письмо важливо для збереження подиву. Перше правило, якому я навчаю своїх студентів поезії, — це відокремити живі частини від мертвих (передбачувані рядки), адже «жива» поезія – це те, що переносить вас у місце, яке ви раніше не знали».

Дрізд

… Я думаю, що моя провина означає

що я не так добре жила.

Зі мною хтось не втече.

Я думаю, ти трохи поспиш.

Тоді ти опускаєшся в жах потойбічного життя

тільки це

душа приймає іншу форму,

більш-менш свідома, ніж раніше,

більш-менш жадібна.

Через багато життів, можливо, щось зміниться.

Я думаю в кінці кінців, що ти хочеш

ти зможеш це побачити.

Тоді тобі більше не потрібно буде

померти і повернутися знову.

 

Andrea Ghez
Laura Candiani






Giada Ionà

 

Nel 2020 è la quarta donna a ottenere il Premio Nobel per la Fisica, dopo Marie Sklodowska Curie, Maria Goeppert Mayer e Donna Strickland; insieme a Reinhard Genzel e Roger Penrose ha infatti scoperto «un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia», che in base alle attuali conoscenze costituisce un cosiddetto "buco nero".

La scienziata è nata il 16 giugno 1965 a New York; il padre Gilbert era di religione ebraica e nato a Roma, ma di ascendenza tunisina e tedesca; la madre Susanne era una cattolica americana di origine irlandese. Presto la famiglia si trasferì a Chicago dove Andrea frequentò le scuole e si appassionò all'astronomia, dopo la celebre missione Apollo, influenzata anche dalla sua insegnante di chimica. Al college iniziò la facoltà di Matematica, per passare poi a Fisica. Si è laureata nel 1987 presso il Massachusetts Institute of Technology e si è specializzata nel 1992 al California Institute of Technology. Sposata con il geologo Tom LaTourrette ha due figli e insegna all'Ucla, l'Università della California, con sede a Los Angeles, dividendo il suo tempo libero con una grande passione per il nuoto.

Un articolo molto interessante della rivista Le Scienze (12 ottobre 2020) riferisce che la studiosa da ben 25 anni aveva in mente l'idea geniale che poi le ha dato ragione: era infatti convinta che nella Via Lattea fosse presente un buco nero. Si era quindi recata, giovane e ancora sconosciuta, dal docente che dirigeva il Keck Observatory, situato sulla sommità del vulcano Mauna Kea nelle Hawaii, chiedendogli di darle accesso a strumenti delicati e costosi; sembrava una pretesa assurda. Ma, collaborando con il collega Genzel, ce l'ha fatta ad analizzare le immagini relative al Sagittarius A* (l'asterisco si legge "star") grazie all'altissima risoluzione dei telescopi e quindi a dimostrare con successo la propria tesi. Nelle sue ricerche la scienziata oggi si avvale anche di nuove tecniche d'immagine come l'ottica adattiva, che, insieme allo speckle imaging, aiuta a contrastare l'effetto della turbolenza atmosferica che degrada le immagini visibili al telescopio.

Riconoscimenti prestigiosi le sono arrivati fino da giovanissima, iniziando con l'Annie Cannon Award in Astronomy (1994); l'American Astronomical Society l'ha premiata nel 1998, seguita dall'American Physical Society l'anno dopo; nel 2000 la rivista Discover la inserì fra le 20 giovani personalità emergenti in campo scientifico, negli Usa; nel 2004 è la volta del Sackler Prize, quindi del MacArthur Fellowship nel 2008 e del Crafoord Prize nel 2012. L'Accademia delle scienze svedese l'aveva premiata nello stesso anno, precedendo il Nobel, ma pure l'Università di Oxford, mentre l'Accademia nazionale delle scienze degli Usa l'ha ammessa fino dal 2004, l'American Philosophical Society dal 2012 e la Società astronomica americana l'ha eletta membro ufficiale nel 2019. È stata definita come "eroina della scienza" dal My Hero Projet, progetto americano non profit che valorizza i modelli di riferimento in tutto il mondo. Fra le sue molteplici attività, si segnala la partecipazione a un episodio della serie televisiva Nova, noto programma di divulgazione scientifica della Pbs. La scienziata, che si presenta come una persona disponibile, spigliata e cordiale, compare in alcuni documentari realizzati dalla Bbc, da Discovery Channel e History Channel, ma la si può trovare pure protagonista di vari filmati sul web in cui si racconta con semplicità e informa sulle proprie ricerche. Nel 2009, la vediamo giovanile e allegramente vestita di rosso mentre spiega il suo impegno come una moderna detective, fiduciosa nelle proprie capacità e ignara di cosa il futuro le avrebbe riserbato. La si può ascoltare in diverse interviste (assai ampia e interessante: 37 Questions with Andrea Ghez) e assistere mentre riceve il Premio, non a Stoccolma, a causa della pandemia, ma direttamente a Los Angeles, grazie al rappresentante del Consolato svedese; assai seria e compresa nel proprio ruolo, fa un ampio discorso ufficiale l'8 dicembre 2020. Il suo pensiero va spesso alle future generazioni e alle tante studiose che aspirano a una carriera in ambito scientifico; saputo del Premio Nobel ha detto: «Spero di ispirare altre giovani donne a dedicarsi a questo campo del sapere. La fisica è uno studio che può regalare così tante soddisfazioni e, se si è appassionati di scienza, c'è veramente molto da fare».

Per far conoscere i propri inizi e il proprio lavoro ha scritto nel 2006 un libro, insieme a Judith Love Cohen, dal titolo significativo You Can Be a Woman Astronomer, non tradotto in Italia, in cui ancora una volta asserisce che anche il lavoro più impegnativo è conciliabile con il ruolo di moglie e madre, come accade a lei, e che le giovani devono insistere nel perseguire i propri obiettivi. Tante sono pure le sue pubblicazioni su riviste specializzate, soprattutto l'Astronomical Journal e l'Astrophysical Journal. Altre informazioni di prima mano si possono ricavare da una intervista rilasciata al giornalista Carlo Crosato per il settimanale L'Espresso (11 aprile 2021) intitolata"La scienza ha sempre ragione" in cui ha rievocato i lunghi anni all'Ucla, osservando oltre 3000 stelle, per studiarne i cicli e le interazioni. Presto trovò chi le dette fiducia, tuttavia ― ha spiegato ― quello che conta spesso non sono solo i calcoli e l'osservazione, ma la capacità di rinnovare i metodi e la ricerca stessa.

Essenziale è «il nostro sapere relativo alla realtà che ci ospita, nella quale siamo integrati e con la quale intratteniamo un così fragile equilibrio. Che si tratti di ricerca mirata a un obiettivo concreto e immediato, come quella che qui sulla Terra è impegnata nello sviluppo di vaccini e farmaci, o che si tratti di ricerca pura, la scienza rimane la migliore espressione dell’intelligenza umana: essa accompagna i primi passi dell’essere umano fin dai primissimi anni di vita, in cui il bambino sperimenta gli oggetti che lo circondano e le espressioni degli altri umani che lo accudiscono; e conserva la propria importanza come versione metodica della curiosità per la realtà più complessa e misteriosa». «È il metodo ciò che ci permette di affidarci alla scienza: mescolando competizione e collaborazione, critica e osservazione empirica, la scienza unisce nell’impresa di indagare e capire».

La scienziata non nega le difficoltà che ancora incontrano le donne nell'intraprendere carriere tradizionalmente riservate agli uomini, pur essendo ottimista e fiduciosa nell'affermazione femminile in ogni campo; ricorda con affetto e gratitudine la lettura da ragazzina delle biografie di illustri figure esemplari, come Marie Curie, che hanno intrapreso la strada da vere pioniere e le hanno indicato il percorso. Ribadisce che è essenziale guardare al futuro senza timore e al nostro mondo (e al nostro cielo) sempre con curiosità: «Fidatevi: il metodo scientifico è il miglior modo per aprire le vie del sapere».


Traduzione francese

Guenoah Mroue

En 2020, elle est la quatrième femme à recevoir le prix Nobel de physique, après Marie Sklodowska Curie, Maria Goeppert Mayer et Donna Strickland; avec Reinhard Genzel et Roger Penrose, elle a en effet découvert «un objet compact supermassif au centre de notre galaxie»qui, selon les connaissances actuelles, constitue un "trou noir".

La scientifique est née le 16 juin 1965 à New York; son père Gilbert était de religion juive et il est né à Rome mais d’ascendance tunisienne et allemande; sa mère Susanne était une catholique américaine d’origine irlandaise. Très vite, la famille déménagea à Chicago où Andrea fréquenta les écoles et se passionna pour l’astronomie, après la célèbre mission Apollo, influencée également par son professeur de chimie. À l’université, elle commence la faculté de mathématiques, puis celle de physique. Elle est diplômée en 1987 du Massachusetts Institute of Technology et s’est spécialisée en 1992 au California Institute of Technology. Mariée au géologue Tom LaTourrette, elle a deux enfants et enseigne à l’Université de Californie à Los Angeles, partageant son temps libre avec une grande passion pour la natation.

Un article très intéressant du magazine Le Scienze (12 octobre 2020) indique que la chercheuse avait en tête depuis 25 ans l’idée géniale qui lui a ensuite donné raison : elle était en effet convaincue qu’il y avait un trou noir dans la Voie Lactée. Jeune et encore inconnue, elle s’était alors rendue chez le professeur qui dirigeait l’Observatoire Keck, situé au sommet du volcan Mauna Kea à Hawaï, lui demandant de lui donner accès à des instruments délicats et coûteux; cela semblait d’une prétention absurde. Mais, en collaborant avec son collègue Genzel, elle a réussi à analyser les images relatives au Sagittarius A* (l’astérisque se lit "star") grâce à la très haute résolution des télescopes et donc à démontrer avec succès sa thèse. Dans ses recherches, la scientifique utilise également de nouvelles techniques d’imagerie telles que l’optique adaptative, qui, avec l’imagerie visuelle, aide à contrer l’effet de la turbulence atmosphérique qui dégrade les images visibles par le télescope.

Des prix prestigieux lui sont parvenus jusqu’à très jeune, en commençant par l’Annie Cannon Award in Astronomy (1994); l’American Astronomical Society l’a récompensé en 1998, suivie par l’American Physical Society l’année suivante; En 2000, la revue Discover l’a classée parmi les 20 jeunes personnalités émergeant dans le domaine scientifique, aux États-Unis ; en 2004, elle reçoit le Sackler Prize, puis le MacArthur Fellowship en 2008 et le Crafoord Prize en 2012. L’Académie des sciences suédoise l’avait récompensée la même année, avant le prix Nobel, mais aussi l’Université d’Oxford, tandis que l’Académie nationale des sciences des États-Unis l’a admise jusqu’en 2004, l’American Philosophical Society depuis 2012 et la Société astronomique américaine l’a élue membre officiel en 2019. Elle a été défini comme "l’héroïne de la science" par le My Hero Projet, un projet américain à but non lucratif qui valorise les modèles de référence dans le monde entier. Parmi ses multiples activités, on peut citer la participation à un épisode de la série télévisée Nova, programme de vulgarisation scientifique bien connu de Pbs. La scientifique, qui se présente comme une personne disponible, facile et sympathique, apparaît dans certains documentaires réalisés par la BBC, Discovery Channel et History Channel, mais on peut aussi la trouver protagoniste de divers films sur le web où elle se raconte avec simplicité et informe sur ses propres recherches. En 2009, nous la voyons jeune et joyeusement vêtue de rouge tout en expliquant son engagement en tant que détective moderne, confiante dans ses capacités et ignorante de ce que l’avenir lui réserve. On peut l’écouter dans plusieurs interviews (très large et intéressante : 37 Questions avec Andrea Ghez) et assister à la réception du Prix, non pas à Stockholm, en raison de la pandémie, mais directement à Los Angeles, grâce au représentant du Consulat suédois; Très sérieuse et comprise dans son rôle, elle fait un long discours officiel le 8 décembre 2020. Sa pensée va souvent aux générations futures et aux nombreuses chercheurs qui aspirent à une carrière dans le domaine scientifique; ses paroles après le Prix Nobel : «J’espère inspirer d’autres jeunes femmes à se consacrer à ce domaine du savoir. La physique est une étude qui peut donner tant de satisfactions et, si on est passionné de science, il y a vraiment beaucoup à faire ».

Pour faire connaître ses débuts et son travail, elle a écrit en 2006 un livre, avec Judith Love Cohen, intitulé significatif You Can Be a Woman Astronomer, non traduit en Italie, une fois de plus, elle affirme que même le travail le plus exigeant est compatible avec le rôle d’épouse et de mère, comme elle, et que les jeunes filles doivent insister pour atteindre leurs objectifs. Elle publie également de nombreuses publications dans des revues spécialisées, notamment le Astronomical Journal et l’Astrophysical Journal. D’autres informations de première main peuvent être tirées d’une interview accordée au journaliste Carlo Crosato pour l’hebdomadaire L’Espresso (11 avril 2021) intitulée "La science a toujours raison" dans lequel elle a évoqué les longues années à Ucla, en observant plus de 3000 étoiles, pour étudier leurs cycles et leurs interactions. Elle a rapidement trouvé quelqu’un qui lui faisait confiance, mais elle a expliqué ce qui compte souvent ce ne sont pas seulement les calculs et l’observation, mais la capacité de renouveler les méthodes et la recherche elle-même.

Notre savoir relatif à la réalité qui nous accueille, dans laquelle nous sommes intégrés et avec laquelle nous entretenons un équilibre si fragile, est essentiel. Qu’il s’agisse de recherche ciblée sur un objectif concret et immédiat, comme celui qui, sur Terre, est engagé dans le développement de vaccins et de médicaments, ou qu’il s’agisse de recherche pure, la science reste la meilleure expression de l’intelligence humaine: elle accompagne les premiers pas de l’être humain dès les toutes premières années de sa vie, au cours desquelles l’enfant expérimente les objets qui l’entourent et les expressions des autres humains qui s’en occupent; et conserve son importance en tant que version méthodique de la curiosité pour la réalité la plus complexe et mystérieuse». «C’est la méthode qui nous permet de nous fier à la science: en mélangeant compétition et collaboration, critique et observation empirique, la science unit dans l’exploit d’enquêter et de comprendre».

La scientifique ne nie pas les difficultés que rencontrent encore les femmes à entreprendre des carrières traditionnellement réservées aux hommes, tout en étant optimiste et confiante dans l’affirmation féminine dans tous les domaines; elle se souvient avec affection et gratitude de la lecture, en tant que jeune fille, des biographies de personnalités illustres, comme Marie Curie, qui ont pris la voie d’un véritable pionnier et lui ont montré le chemin. Elle réaffirme qu’il est essentiel de regarder l’avenir sans crainte et notre monde (et notre ciel) toujours avec curiosité : «Croyez-moi : la méthode scientifique est la meilleure façon d’ouvrir les voies du savoir».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

In 2020, Andrea Mia Ghez was the fourth woman to be awarded the Nobel Prize in Physics, after Marie Sklodowska Curie, Maria Goeppert Mayer and Donna Strickland. She discovered, together with Reinhard Genzel and Roger Penrose, "a compact supermassive object at the center of our galaxy," which according to current knowledge constitutes a so-called "black hole."

The scientist was born June 16, 1965, in New York City. Her father Gilbert was Jewish and born in Rome, but of Tunisian and German ancestry, and her mother, Susanne, was an American Catholic of Irish descent. Soon the family moved to Chicago where Andrea attended school and became interested in astronomy after the famous Apollo mission, also influenced by her chemistry teacher. In college she started mathematics and then switched to physics. She graduated in 1987 from the Massachusetts Institute of Technology and in 1992 went on to specialize at the California Institute of Technology. Married to geologist Tom LaTourrette, she has two children and teaches at UCLA, the University of California, Los Angeles. In her spare time she indulges her great passion for swimming.

An interesting article in the journal Le Scienze (Oct. 12, 2020) reports that the scholar had in her mind, for a good 25 years, the brilliant idea that later was proven right - she was convinced that there was a black hole in the center of the Milky Way. She had gone, young and still unknown, to the professor who headed the Keck Observatory, located on top of the Mauna Kea volcano in Hawaii, asking him to give her access to delicate and expensive instruments. It seemed an absurd request. But, collaborating with her colleague Reinhard Genzel, she succeeded in analyzing the images related to the star Sagittarius A. Thanks to the telescopes' very high resolution she was successfully able to prove her claim. In her research, the scientist now also makes use of new imaging techniques such as adaptive optics, which, along with speckle imaging, help counteract the effect of the atmospheric turbulence that degrades telescope-visible images.

Prestigious awards have come to her from a very young age, starting with the Annie Cannon Award in Astronomy (1994). The American Astronomical Society honored her in 1998, followed by the American Physical Society the following year, and in 2000 Discover magazine included her among the 20 young emerging personalities in science in the U.S. In 2004 she won the Sackler Prize, then a MacArthur Fellowship in 2008 and the Crafoord Prize in 2012. She received a Swedish Academy of Sciences award in the same year, preceding the Nobel, and also one from Oxford University. The U.S. National Academy of Sciences admitted her in 2004, the American Philosophical Society in 2012, and the American Astronomical Society elected her an official member in 2019. She has been designated as a "Science Hero" by the My Hero Project, an American nonprofit project that celebrates role models around the world. Among her many activities is her participation in an episode of the TV series Nova, a well-known PBS science popularization program. The scientist, who comes across as helpful, easygoing and friendly, has appeared in a number of documentaries made by the BBC, the Discovery Channel and the History Channel, but she can also be found starring in various web clips in which she speaks simply and informatively about her research. In 2009, she appeared youthfully and cheerfully dressed in red as she explained her efforts as a modern detective, confident in her abilities and unaware of what the future would hold for her. She can be heard in several interviews (an excellent one is 37 Questions with Andrea Ghez). She received the Nobel Prize, not in Stockholm, due to the pandemic, but in Los Angeles, thanks to the Swedish Consular representative. Very serious and conscious of her role, she gave an extensive official speech regarding the Nobel Prize on December 8, 2020. Her thoughts often go to future generations and the many female scholars who aspire to a career in science. Learning of the Nobel Prize she said, "I hope to inspire other young women to devote themselves to this field of knowledge. Physics is a study that can bring so much satisfaction, and if you are passionate about science, there is really a lot to be done."

Reflecting her own beginnings and work, she wrote a book in 2006, together with Judith Love Cohen, with the title You Can Be a Woman Astronomer (not translated into Italian) in which she again asserts that even the most demanding work can be reconciled with the role of wife and mother, as she does, and that young women should insist on pursuing their goals. She has also written many articles for publication in peer-reviewed journals, especially the Astronomical Journal and the Astrophysical Journal. Other first-hand information can be gleaned from an interview she gave to journalist Carlo Crosato for the weekly L'Espresso (April 11, 2021) entitled "Science is Always Right" in which she recalled her long years at UCLA, observing more than 3,000 stars to study their cycles and interactions. She soon found trust in her work, however, she explained that what often matters is not just calculations and observation, but the ability to renew methods and the research itself.

The essential thing is "our knowledge relative to the reality that we live in, in which we are integrated and with which we entertain such a fragile balance. Whether it is research aimed at a concrete and immediate goal, such as that which is engaged in the development of vaccines and drugs here on Earth, or whether it is pure research, science remains the best expression of human intelligence. It accompanies the first steps of human beings from the very first years of life, in which the child experiences the objects around him and the actions of the other humans who care for him, and it retains its importance as a methodical version of curiosity about the most complex and mysterious reality. It is he method that allows us to rely on science: mixing competition and collaboration, critique and empirical observation, science unites us in the enterprise of inquiry and understanding."

She does not deny the difficulties still faced by women in pursuing careers traditionally reserved for men, although she is optimistic and hopeful about female accomplishments in every field. She recalls with affection and gratitude reading as a young girl the biographies of illustrious exemplary figures, such as Marie Curie, who set out as true pioneers and showed her the way. She reiterates that it is essential to look to the future without fear and to our world (and our sky), always with curiosity: "Trust me: the scientific method is the best way to open the path to knowledge."


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Es la cuarta mujer galardonada con el Premio Nobel de Física en el 2020, tras Marie Sklodwska Curie, Maria Goeppert Mayer y Donna Strickland; en efecto, junto con Reinhard Gemzel y Roger Penrose descubrió “un objeto supermasivo compacto en el centro de nuestra galaxia” que, según los conocimientos actuales, constituye lo que denominamos “agujero negro”.

La científica nació el 16 de junio de 1965 en Nueva York; su padre Gilbert, nacido en Roma, era judío de ascendencia tunecina y alemana; su madre Susanne era católica estadounidense de origen irlandés. Pronto su familia se trasladó a Chicago donde Andrea estudió y, tras la famosa misión Apolo e influida también por su profesora de química, se interesó por la astronomía. En la universidad se matriculó en Matemática, y más tarde cambió a Física. Se licenció en el 1987 en el Instituto Tecnológico de Massachussets y se especializó en el 1992 en el Instituto Tecnológico de California. Casada con el geólogo Tom LaTourette, tiene dos hijos y da clases en la CalTech, la Universidad de California, con sede en Los Ángeles, y divide su tiempo libre con su pasión por la natación.

Un artículo muy interesante de la revista “Le Scienze” (12 de octubre de 2020) informa de que la científica llevaba 25 años con la ingeniosa idea en la cabeza que finalmente le dio la razón: estaba convencida de que había un agujero negro en la Vía Láctea. Por eso acudió, joven y aún desconocida, al profesor que dirigía el Observatorio Keck, situado en la cima del volcán Mauna Kea, en Hawai, para pedirle que le diera acceso a unos instrumentos delicados y caros; parecía una petición absurda. Pero, en colaboración con la compañera Genzel, consiguió analizar las imágenes de Sagitario A* (el asterisco indica la estrella) gracias a la altísima resolución de los telescopios y demostrar así con éxito su tesi. Ahora, en sus investigaciones, la científica utiliza también nuevas técnicas de imagen, como la óptica adaptiva, la cual, junto con la interferometría del moteado, ayuda a contrarrestar el efecto de las turbolencias atmosféricas que degradan las imágenes visibles a través del telescopio.

Desde joven recibió varios premios y distinciones, empezando por el Annie Cannon Award de Astronomía (1994), el American Astronomical Society la premió en el 1998, seguida de la American Physical Society el año siguiente; en el 2000 la revista Discover la incluyó en la lista de las veinte jóvenes personalidades científicas emergentes en los Estados Unidos; en el 2004 recibió el Sackler Prize, luego el MacArthur Fellowship en el 2008 y el Crafoord Prize en el 2012. La academia Sueca de las Ciencias la había premiado ese mismo año, precediendo el Nobel, al igual que la Universidad de Oxford; por su cuenta, la Academia Nacional de Ciencias estadounidense la había admitió en 2004, la Sociedad Filosófica Estadounidense en 2012 y la Sociedad astronómica estadounidense la eligió miembro oficial en 2019. Ha sido definida como “heroína de ciencia” por el My Hero Project, un proyecto estadounidense sin ánimo de lucro que valoriza los modelos de referencia en todo el mundo. Entre las varias actividades, destaca su participación en un episodio de la serie televisiva Nova, un famoso programa de divulgación científica de Pbs. La científica, que se presenta como una persona servicial, alegre y amable, aparece en varios documentales de la BBC, entre Discovery Channel y History Channel, pero también es protagonista de varias películas del Web en las que se presenta con sencillez y cuenta de sus investigaciones. En 2009, la vemos juvenil y con un alegre vestido rojo mientras explica su compromiso como detective moderna, segura de sus capacidades e inconsciente de lo que le está preparando el futuroel futuro. Se la puede escuchar en varias entrevistas (muy amplias e interesantes: 37 Questions with Andrea Ghez) y se puede ver ecibe el premio Nobel en Los Ángeles, debido a la pandemia, en lugar de Estocolmo, cuando recibe el Premio, gracias al representante del Consulado Sueco; muy seria y comprensiva en su papel, pronuncia un amplio discurso oficial el 8 de diciembre de 2020. Su pensamiento se dirige a las generaciones futuras y a las muchas estudiosas que aspiran a una carrera científica, y al recibir el Premio Nobel declara: “Espero inspirar a otras jóvenes para que se dediquen a este campo de conocimiento. La física es un estudio que puede aportar muchas satisfacciones y, si os apasiona la ciencia, hay realmente mucho que hacer”.

Para dar a conocer sus inicios y su trabajo, escribió un libro en 2006, junto con Judith Love Coben, con el significativo título You Can Be a Woman Astronomer, no traducido en español, en el que vuelve a afirmar que incluso el trabajo más exigente puede conciliarse con el papel de esposa y madre, como hace ella, y que las jóvenes deben insistir en perseguir sus objetivos. Varias son también las publicaciones en revistas especializadas, sobre todo, el Astronomical Journal y el Astrophysical Journal. Se puede obtener más información directa en numerosas entrevistas que se encuentran en la red . En Italia se publicó una entrevista del periodista Carlo Crosato en el semanario L’espresso (11 de abril de 2021) titulada “La ciencia siempre tiene razón” en la que recordaba sus largos años en la CalTech, observando más de 3000 estrellas, para estudiar sus ciclos e interacciones. Pronto encontró quienes le dieron confianza, pero –explicó– lo que a menudo cuenta no son solo el cálculo y las observaciones, sino la capacidad de renovar los métodos y la propia investigación.

Es esencial “nuestro conocimiento de la realidad que nos acoge, en la que estamos integrados y con la cual mantenemos un muy frágil equilibrio. Ya sea una investigación orientada a un objetivo concreto e inmediato, como la que se dedica al desarrollo de vacunas y medicamentos en la Tierra, o pura investigación, la ciencia sigue siendo la mejor expresión de la inteligencia humana: acompaña los primeros pasos del ser humanos desde su infancia , cuando experimenta los objetos que le rodean y las expresiones de otros seres humanos que lo cuidan; mantiene su importancia como versión metódica de la compleja y misteriosa realidad”. “El método es lo que nos permite confiar en la ciencia: al mezclar competición y colaboración, cítica y observación empírica, la ciencia une en la investigación y la comprensión”.

La científica no niega las dificultades que aún encuentran las mujeres al seguir carreras tradicionalmente reservadas a los hombres, a pesar de ser optimista y confiar en la afirmación femenina en todos los campos; recuerda con afecto y gratitud haber sido inspirada de niña por las biografías de figuras ejemplares, como Marie Curie, que partieron como auténticas pioneras y le mostraron el camino. Reitera que es esencial mirar al futuro sin miedo y a nuestro mundo (y nuestro cielo) siempre con curiosidad: “Créame: el método científico es la mejor manera de abrirse a los caminos del conocimiento”.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

У 2020 році вона стала четвертою жінкою, удостоєною Нобелівської премії з фізики, після Марії Склодовської-Кюрі, Марії Гепперт Майєр і Донни Стрікленд. Разом з Райнхардом Гензелем і Роджером Пенроузом вона відкрила "компактний надмасивний об'єкт в центрі нашої галактики", який за сучасними уявленнями є так званою "чорною дірою".

Вчена народилася 16 червня 1965 року в Нью-Йорку; її батько Гілберт був євреєм, який народився в Римі, але мав туніське і німецьке походження; мати Сюзанна була американською католичкою ірландського походження. Незабаром сім'я переїхала до Чикаго, де Андреа відвідувала школу і зацікавилася астрономією після знаменитої місії "Аполлон", також під впливом свого вчителя хімії. У коледжі вивчала математику, пізніше перейшла на фізику. У 1987 році закінчила Массачусетський технологічний інститут, у 1992 році - Каліфорнійський технологічний інститут. Вона одружена з геологом Томом ЛаТурретом, має двох дітей і викладає в Каліфорнійському університеті в Лос-Анджелесі, а у вільний час з великою пристрастю займається плаванням.

У дуже цікавій статті в журналі Le Scienze (12 жовтня 2020 року) повідомляється, що вчена 25 років виношувала в голові геніальну ідею, яка врешті-решт довела її правоту: вона була переконана, що в Чумацькому Шляху є чорна діра. Тому вона пішла, молода і ще нікому не відома, до професора, який керував обсерваторією Кека, розташованою на вершині вулкана Мауна-Кеа на Гаваях, з проханням надати їй доступ до делікатних і дорогих інструментів; це здавалося абсурдною вимогою. Але, працюючи разом зі своїм колегою Гензелем, їй вдалося проаналізувати зображення Стрільця А* (зірочка - зірка) завдяки дуже високій роздільній здатності телескопів і таким чином успішно довести свою тезу. У своїх дослідженнях науковець тепер також використовує нові методи отримання зображень, такі як адаптивна оптика, яка разом із спекл-зображенням допомагає протидіяти впливу атмосферної турбулентності, що погіршує зображення, видимі через телескоп.

Престижні нагороди були присуджені їй з юних років, починаючи з премії Енні Кеннон з астрономії (1994); Американське астрономічне товариство відзначило її у 1998 році, а наступного року - Американське фізичне товариство; у 2000 році журнал Discover включив її до числа 20 молодих наукових діячів США; у 2004 році вона була нагороджена премією Саклера, потім стипендією Макартура у 2008 році та премією Крафорда у 2012 році. Шведська академія наук нагородила її в тому ж році, що передував Нобелівській премії, як і Оксфордський університет, а Національна академія наук США прийняла її з 2004 року, Американське філософське товариство - з 2012 року, а Американське астрономічне товариство обрало її своїм офіційним членом у 2019 році. Вона була названа "героїнею науки" американським некомерційним проектом "Мій герой", який просуває рольові моделі по всьому світу. Серед її численних активностей, вона була показана в одному з епізодів телесеріалу "Нова", науково-популярної програми на каналі Pbs. Науковець, яка представляє себе як корисну, легку і доброзичливу людину, з'являється у низці документальних фільмів, знятих BBC, Discovery Channel та History Channel, але її також можна знайти як героїню різноманітних веб-кліпів, в яких вона просто розповідає свою історію та надає інформацію про свої дослідження. У 2009 році ми бачимо її молодою і веселою, одягненою в червоне, коли вона пояснює свою прихильність до роботи сучасного детектива, впевненою у своїх силах і не знаючи, що чекає на неї в майбутньому. Її можна почути в кількох інтерв'ю (дуже широких і цікавих: "37 питань з Андреа Гез") і бути свідком отримання Премії, не в Стокгольмі, через пандемію, а безпосередньо в Лос-Анджелесі, завдяки представнику шведського консульства; дуже серйозна і розуміюча свою роль, вона виступає з розлогою офіційною промовою 8 грудня 2020 року. Її думки часто звертаються до майбутніх поколінь та багатьох жінок-науковців, які прагнуть зробити кар'єру в науці. Про Нобелівську премію вона сказала: "Я сподіваюся надихнути інших молодих жінок присвятити себе цій галузі знань". Фізика - це наука, яка може принести стільки задоволення, і якщо ви захоплені наукою, то тут дійсно є чим зайнятися".

З метою популяризації власних починань і своєї роботи, у 2006 році вона разом з Джудіт Лав Коен написала книгу з промовистою назвою "Ти можеш бути жінкою-астрономом", яка не перекладена італійською мовою, в якій ще раз стверджує, що навіть найвідповідальнішу роботу можна поєднувати з роллю дружини і матері, як це робить вона, і що молоді жінки повинні наполягати на досягненні своїх цілей. Також є багато її публікацій у фахових журналах, особливо в "Астрономічному журналі" та "Астрофізичному журналі". Іншу інформацію з перших рук можна почерпнути з інтерв'ю, яке вона дала журналісту Карло Кросато для щотижневого журналу L'Espresso (11 квітня 2021 року) під назвою "Наука завжди права", в якому вона згадує свої довгі роки в Каліфорнійському університеті в Лос-Анджелесі, де вона спостерігала понад 3000 зірок, вивчаючи їхні цикли і взаємодії. Незабаром вона знайшла тих, хто надав їй впевненості, однак, - пояснила вона, - часто важливими є не лише розрахунки та спостереження, але й здатність оновлювати методи та самі дослідження.

Важливим є "наше знання про реальність, яка нас приймає, в яку ми інтегровані і з якою ми підтримуємо таку крихку рівновагу". Незалежно від того, чи це дослідження, спрямовані на конкретну і безпосередню мету, як, наприклад, дослідження, що займаються розробкою вакцин і ліків тут, на Землі, чи це чисті дослідження, наука залишається найкращим вираженням людського інтелекту: вона супроводжує перші кроки людини з перших років життя, в яких дитина пізнає предмети, що її оточують, і вирази інших людей, які піклуються про неї; і вона зберігає своє значення як методична версія цікавості до найскладнішої і найзагадковішої дійсності". "Метод - це те, що дозволяє нам покладатися на науку: поєднуючи конкуренцію і співпрацю, критику і емпіричне спостереження, наука об'єднується в підприємстві дослідження і розуміння".

Науковець не заперечує труднощів, з якими досі стикаються жінки в кар'єрі, традиційно закріпленій за чоловіками, проте налаштована оптимістично і впевнено в утвердженні жінок у кожній сфері, з любов'ю і вдячністю згадує, як юною дівчиною читала біографії взірцевих постатей, таких як Марія Кюрі, які стали на шлях справжніх першопрохідців і вказали їй дорогу. Вона вкотре наголошує на необхідності дивитися в майбутнє без страху, а на наш світ (і наше небо) завжди з цікавістю: "Повірте мені: науковий метод - це найкращий спосіб відкрити шляхи пізнання".

Emmanuelle Charpentier
Alessia Carofiglio






Giada Ionà

 

 Emmanuelle Charpentier è coautrice di una grande scoperta scientifica: il sistema CRISPR/Cas9, che permette di modificare con precisione il Dna di animali, piante e altri microorganismi. Nel 2020, insieme alla collega Jennifer Doudna, è stata insignita del Premio Nobel per la Chimica «per lo sviluppo di un metodo per l’editing del genoma». Primo team al 100% femminile.

Emmanuelle Charpentier è nata l’11 dicembre del 1968 a Juvisy-Sur-Orge, in Francia. Ha studiato biochimica, microbiologia e genetica presso l’Università Pierre e Marie Curie (oggi l’Istituto è stato fuso insieme alla Sorbonne, nella nuova Sorbonne Université). Nel 1995 ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Institut Pasteur. Dal 1996 ha proseguito la carriera scientifica a New York, presso la Rockefeller University, l'University Medical Center e allo Skirball Institute of Biomolecular Medicine. Nel 2002 è tornata in Europa ed è stata nominata professoressa associata nel laboratorio Max F. Perutz presso l’Università di Vienna. Nel 2009 si trasferisce in Svezia dove diviene docente associata all'Università di Umeå ed inizia la collaborazione con la chimica Jennifer Doudna nella reingegnerizzazione della endonucleasi Cas9. Le due ricercatrici hanno pubblicato sulla rivista Science uno studio che dimostra che CRISPR-Cas9, definite come ‘’le forbici genetiche’’, possono tagliare pezzi specifici di Dna in vitro. Con questa rivoluzionaria scoperta nel campo della mediazione e regolazione dell’Rna, Emmanuelle Charpentier ha gettato le basi per lo sviluppo di una nuova tecnologia di ingegneria del genoma. Nel 2015 è stata nominata Scientific Fellow della Max Panck Society di Berlino. Dal 2015 al 2018 è stata direttrice del dipartimento di Regolazione delle infezioni biologiche dello stesso Istituto. Nel 2018, in collaborazione con il Max Planck Institut, ha fondato l’Unità per la Scienza dei Patogeni.

Per la prima volta nella storia dei Nobel dedicati alla scienza, due donne, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, dividono esclusivamente il premio. Dalla sua istituzione, nel 1901, è stato assegnato finora a 5 donne. Si uniscono così a Marie Curie e a sua figlia Irène Joliot-Curie nella breve lista delle vincitrici del Premio Nobel per la Chimica. Nel 2009 Elizabeth Blackburn e Carol Greider furono premiate per lo studio sui telomeri, però dovettero condividere l’onorificenza con il biologo Jack Szostak. Le due chimiche hanno pure condotto una lunga battaglia legale per il riconoscimento dell'essere arrivate prime nella scoperta e nella realizzazione della tecnica, in quanto un altro gruppo di ricerca americano aveva rivendicato il primato nell'applicazione del sistema per modificare il Dna. Il Nobel sembra sancire il loro merito definitivamente.

La ricerca è partita dallo studio dei batteri patogeni, in particolare è stata studiata l’aggressività di certi tipi di batteri, e della loro conseguente resistenza agli antibiotici con lo scopo di trovare nuove terapie per fermarne la diffusione. In primo luogo, Charpentier si è dedicata allo studio dello Streptococcus pyogenes, noto anche come batterio ‘’mangia carne’’ per la sua capacità di indurre una pericolosa sepsi e di degradare i tessuti umani, a seguito della scoperta di un frammento del patrimonio genetico usato dal batterio per combattere i virus. L’acronimo CRISPR sta per clustered regularly interspaced short palindromic repeats, un modello nel Dna dei batteri notato per la prima volta nel 1987. Per lungo tempo questo meccanismo è stato poco chiaro, ma dagli anni Duemila sono emersi indizi che suggerivano che fosse un sistema specializzato nel difendere i batteri dalle invasioni di virus. Poco dopo, Charpentier ha iniziato la sua collaborazione con Jennifer Doudna per ricostruire in provetta l'arma dello Streptococcus pyogenes, semplificandola e trasformandola come tecnica da utilizzare. In poco più di un anno le due chimiche hanno ottenuto delle forbici molecolari capaci di tagliare il Dna.

La tecnica CRISPR/Cas9 permette di fare un copia-incolla di segmenti di Dna di microorganismi, piante e animali con un’accurata precisione. Gli/le scienziati/e possono utilizzare queste forbici molecolari per “tagliare” e studiare le funzioni dei diversi geni, conseguendo la possibilità di un miglioramento delle piante o di studiare i geni colpevoli di malattie ereditarie e di tumori, realizzando nuovi tipi di terapie personalizzate. A seguito del taglio introdotto da Cas9 è possibile eliminare sequenze di Dna dannose dal genoma bersaglio oppure è possibile sostituire delle sequenze, correggendo in tal modo delle mutazioni che causano malattie. Nel campo medico, queste forbici genetiche hanno avviato sperimentazioni per innovative terapie anticancro e la possibilità di curare malattie genetiche ereditarie sta diventando sempre più concreta. Questa scoperta ha rivoluzionato la genetica, ma se da un lato c’è la possibilità di trovare cure a malattie altrimenti fatali, dall’altro offre la possibilità di creare embrioni geneticamente modificati, sollevando questioni etiche e legislative di difficile soluzione. Infatti, probabilmente Emmanuelle Charpentier non è tornata in Francia per continuare i suoi studi poiché la paura degli Ogm e di tutto ciò che riguarda le mutazioni genetiche frena la ricerca. Tali tecniche possono intervenire sui geni umani, modificarli e rendere ereditabili tali modifiche. In Europa le tecniche di editing genetico sono classificate e regolamentate come Ogm e quindi al momento vietate.

Charpentier, a seguito della sua scoperta, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali da parte di accademie scientifiche nazionali e internazionali. Tra i premi più prestigiosi vi sono il Japan Prize, il Kavli Prize in Nanosciences, il Wolf Prize, il Tang Prize for Biopharmaceutical Science, il Breakthrough Prize in Life Sciences, il Canada Gairdner International Prize, il Massry Prize e tanti altri. In particolare, nel 2016, ha ottenuto un dottorato honoris causa dal Politecnico federale di Losanna (Epfl), una delle istituzioni più prestigiose d’Europa. «Io spero che questo dia anche l'immagine di una scienza più moderna, una scienza in cui anche le ragazze e le giovani scienziate capiscano che nulla è impossibile e che anche loro possono andare avanti con la carriera... Ottenere grandi risultati, fare grandi scoperte che possono avere un impatto e questo indipendentemente dal genere» ha affermato Charpentier. Nonostante i numerosi progressi compiuti negli ultimi anni, il settore della ricerca resta ancora in prevalenza maschile, con una presenza femminile marginale. In passato è stato alimentato lo stereotipo che le donne fossero meno portate per le materie scientifiche e raramente è stato concesso loro di ricevere un’istruzione pari a quella degli uomini, ma, come dimostrano questo caso e svariati altri successi, i pregiudizi maschilisti in ambito tecnico-scientifico si stanno indebolendo sempre di più.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Emmanuelle Charpentier est co-auteur d’une grande découverte scientifique : le système CRISPR/Cas9, qui permet de modifier avec précision l’ADN des animaux, des plantes et d’autres micro-organismes. En 2020, elle et sa collègue Jennifer Doudna, elles ont reçu le prix Nobel de chimie « pour le développement d’une méthode d’édition du génome ». C’est la première équipe 100% féminine.

Emmanuelle Charpentier est née le 11 décembre 1968 à Juvisy-Sur-Orge, en France. Elle a étudié la biochimie, la microbiologie et la génétique à l’Université Pierre et Marie Curie (aujourd’hui l’Institut a été fusionné avec la Sorbonne, dans la nouvelle Université de la Sorbonne). En 1995, elle a obtenu son doctorat à l’Institut Pasteur. Depuis 1996, elle a poursuivi sa carrière scientifique à New York, à l’Université Rockefeller, au Centre médical universitaire et au Skirball Institute of Biomolecular Medicine. En 2002, elle est retournée en Europe et a été nommée professeur associée au laboratoire Max F. Perutz de l’Université de Vienne. En 2009, elle s’installe en Suède où elle devient professeur associée à l’Université d’Umeå et commence la collaboration avec la chimiste Jennifer Doudna dans la réingénierie de l’endonucléase Cas9. Les deux chercheuses ont publié dans la revue Science une étude démontrant que CRISPR-Cas9, défini comme des 'ciseaux génétiques', peut couper des morceaux spécifiques d’ADN in vitro. Avec cette découverte révolutionnaire dans le domaine de la médiation et de la régulation de l’ARN, Emmanuelle Charpentier a posé les bases du développement d’une nouvelle technologie d’ingénierie du génome. En 2015, elle a été nommée Scientific Fellow de la Max Panck Society de Berlin. De 2015 à 2018, elle a été directrice du département de Régulation des infections biologiques du même Institut. En 2018, elle a fondé l’Unité pour la Science des Pathogènes en collaboration avec le Max Planck Institut.

Pour la première fois dans l’histoire des Nobel de la science, deux femmes, Emmanuelle Charpentier et Jennifer Doudna, partagent exclusivement le prix. Depuis sa création en 1901, il a été attribué jusqu’à présent à 5 femmes. Elles rejoignent ainsi Marie Curie et sa fille Irène Joliot-Curie sur la courte liste des lauréates du prix Nobel de chimie. En 2009, Elizabeth Blackburn et Carol Greider ont été récompensées pour l’étude des télomères, mais elles ont dû partager la distinction avec le biologiste Jack Szostak. Les deux chimistes ont également mené une longue bataille juridique pour la reconnaissance du fait qu’elles sont arrivées premières dans la découverte et la réalisation de la technique, parce qu’un autre groupe de recherche américain a revendiqué la primauté dans l’application du système de modification de l’Adn. Le prix Nobel semble définitivement confirmer leur mérite.

La recherche a commencé par l’étude des bactéries pathogènes, en particulier l’agressivité de certains types de bactéries, et leur résistance aux antibiotiques qui en résulte dans le but de trouver de nouvelles thérapies pour arrêter leur propagation. Tout d’abord, Charpentier s’est consacrée à l’étude du Streptococcus pyogenes, également connu sous le nom de bactérie “mangeur de viande'' pour sa capacité à induire une septicémie dangereuse et à dégrader les tissus humains, suite à la découverte d’un fragment du patrimoine génétique utilisé par la bactérie pour lutter contre les virus. L’acronyme CRISPR signifie clustered regularly interspaced short palindromic repeats, un modèle dans l’ADN des bactéries decouvert pour la première fois en 1987. Pendant longtemps, ce mécanisme n’a pas été clair, mais depuis les années 2000, il existe des indices suggérant qu’il s’agissait d’un système spécialisé dans la défense des bactéries contre les invasions de virus. Peu après, Charpentier a commencé sa collaboration avec Jennifer Doudna pour reconstruire en éprouvette l’arme du Streptococcus pyogenes, en la simplifiant et en la transformant en technique à utiliser. En un peu plus d’un an, les deux chimistes ont obtenu des ciseaux moléculaires capables de couper l’Adn.

La technique CRISPR/Cas9 permet de faire un copier-coller de segments d’ADN de micro-organismes, de plantes et d’animaux avec grande précision. Les scientifiques peuvent utiliser ces ciseaux moléculaires pour "couper" et étudier les fonctions des différents gènes, ce qui permet d’améliorer les plantes ou d’étudier les gènes responsables de maladies héréditaires et de tumeurs, en mettant au point de nouveaux types de thérapies sur mesure pour rendre les choses plus concrètes. Cette découverte a révolutionné la génétique, mais si d’une part il y a la possibilité de trouver des remèdes à des maladies autrement fatales, d’autre part elle offre la possibilité de créer des embryons génétiquement modifiés, soulevant des questions éthiques et législatives difficiles à résoudre. En effet, Emmanuelle Charpentier n’est probablement pas revenue en France pour poursuivre ses études car la peur des OGM et de tout ce qui touche aux mutations génétiques freine la recherche. Ces techniques peuvent intervenir sur les gènes humains, les modifier et les rendre héréditaires. En Europe, les techniques d’édition génétique sont classées et réglementées comme OGM et sont donc actuellement interdites.

Charpentier a reçu après sa découverte de nombreuses récompenses internationales de la part d’académies scientifiques nationales et internationales. Parmi les prix les plus prestigieux figurent le Japan Prize, le Kavli Prize in Nanosciences, le Wolf Prize, le Tang Prize for Biopharmaceutical Science, le Breakthrough Prize in Life Sciences, le Canada Gairdner Prize, le Massry et bien d’autres. Plus précisément, en 2016, elle a obtenu un doctorat honoris causa de l’École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL), l’une des institutions les plus prestigieuses d’Europe. «J’espère que cela donnera aussi l’image d’une science plus moderne, une science dans laquelle même les filles et les jeunes scientifiques comprennent que rien n’est impossible et qu’eux aussi peuvent aller de l’avant avec la carrière... Obtenir de grands résultats, faire de grandes découvertes qui peuvent avoir un impact et ce quel que soit le genre» a déclaré Charpentier. Malgré les nombreux progrès accomplis ces dernières années, le secteur de la recherche reste encore majoritairement masculin, avec une présence féminine marginale. Dans le passé, le stéréotype selon lequel les femmes étaient moins douées pour les sciences a été alimenté et elles ont rarement reçu une éducation égale à celle des hommes, mais comme le montrent ce cas et plusieurs autres réussites, les préjugés masculinistes dans le domaine technico-scientifique s’affaiblissent de plus en plus.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Emmanuelle Charpentier is coauthor of a major scientific breakthrough - the CRISPR/Cas9 system, which enables precise editing of the DNA of animals, plants and other microorganisms. In 2020, together with colleague Jennifer Doudna, she was awarded the Nobel Prize in Chemistry "for the development of a method for genome editing." They were the first entirely female team to win a Nobel Prize.

Emmanuelle Charpentier was born on December 11, 1968, in Juvisy-Sur-Orge, France. She studied biochemistry, microbiology and genetics at Pierre and Marie Curie University (today the institute has been merged with the Sorbonne, into the new Sorbonne Université). In 1995 she received her PhD from the Institut Pasteur. From 1996 she pursued a scientific career in New York, at Rockefeller University, University Medical Center and the Skirball Institute of Biomolecular Medicine. In 2002 she returned to Europe and was appointed associate professor in the Max F. Perutz Laboratory at the University of Vienna. In 2009, she moved to Sweden where she became an associate professor at Umeå University and began collaborating with chemist Jennifer Doudna in the reengineering of the endonuclease Cas9. The two researchers published a study in the journal Science showing that CRISPR-Cas9, referred to as ''the genetic scissors,'' can cut specific pieces of DNA in vitro. With this revolutionary discovery in the field of RNA mediation and regulation, Emmanuelle Charpentier laid the groundwork for the development of a new genome engineering technology. In 2015, she was appointed a Scientific Fellow of the Max Planck Society in Berlin. From 2015 to 2018, she was director of the Department of Biological Infection Regulation at the same institute. In 2018, in collaboration with the Max Planck Institute, she founded the Pathogen Science Unit.

For the first time in the history of Nobel Prizes dedicated to science, two women, Emmanuelle Charpentier and Jennifer Doudna, exclusively shared the prize. Since inception of the prizes in 1901, they have so far been awarded to five women. Thus, Charpentier and Doudna join Marie Curie and her daughter Irène Joliot-Curie on the short list of winners of the Nobel Prize in Chemistry. In 2009 Elizabeth Blackburn and Carol Greider were awarded a Nobel for their study of telomeres, however, they shared the honor with biologist Jack Szostak. Charpentier and Doudna waged a long legal battle for recognition of having come first in the discovery and implementation of the technique, as an American research group had claimed primacy in applying the system to modify DNA. The Nobel seems a definitive confirmation of the merit of their work.

The research started with the study of pathogenic bacteria, specifically the aggressiveness of certain types of bacteria, and their subsequent resistance to antibiotics, with the aim of finding new therapies to stop their spread. First, Charpentier devoted herself to the study of Streptococcus pyogenes, also known as the ''flesh-eating'' bacterium because of its ability to induce dangerous sepsis and degrade human tissue, following the discovery of a fragment of the genetic makeup used by the bacterium to fight viruses. The acronym CRISPR stands for clustered regularly interspaced short palindromic repeats, a pattern in the DNA of bacteria first noticed in 1987. For a long time this mechanism was unclear, but by the 2000s clues emerged that suggested it was a specialized system for defending bacteria from virus invasions. Soon after, Charpentier began her collaboration with Jennifer Doudna to reconstruct the Streptococcus pyogenes weapon in a test tube, simplifying and transforming it as a technique to be used. In a little more than a year, the two chemists achieved a molecular scissors capable of cutting DNA.

The CRISPR/Cas9 technique makes it possible to copy and paste DNA segments from microorganisms, plants and animals with a high degree of precision. Scientists can use these molecular scissors to "cut" and study the functions of different genes, achieving the possibility of plant improvement or studying genes that are guilty of hereditary diseases and cancers, making possible new types of personalized therapies. As a result of the cutting introduced by Cas9, harmful DNA sequences can be removed from the target genome or sequences can be replaced, thereby correcting disease-causing mutations. In the medical field, these genetic scissors have initiated trials for innovative anticancer therapies, and the possibility of curing inherited genetic diseases is becoming increasingly real. This discovery has revolutionized genetics, but while there is the possibility of finding cures for otherwise fatal diseases, it also offers the possibility of creating genetically modified embryos, raising ethical and legislative issues that are difficult to resolve. In fact, Emmanuelle Charpentier has probably not returned to France to continue her studies because fear of GMOs (genetically modified organisms) and everything related to genetic mutations is holding back research. Such techniques can intervene in human genes, modify them and make those changes heritable. In Europe, gene editing techniques are classified and regulated as GMOs and therefore currently banned.

Charpentier, as a result of her discovery, has received numerous international awards from national and international scientific academies. Among the most prestigious awards are the Japan Prize, the Kavli Prize in Nanosciences, the Wolf Prize, the Tang Prize for Biopharmaceutical Science, the Breakthrough Prize in Life Sciences, the Canada Gairdner International Prize, the Massry Prize, and many others. Notably, in 2016, she was awarded an honorary doctorate from the Swiss Federal Institute of Technology in Lausanne (EPFL), one of the most prestigious institutions in Europe. "I hope this also provides an image of a more modern science, a science in which girls and young female scientists understand that nothing is impossible and that they, too, can move forward with their careers... Get great results, make great discoveries that can have an impact, and that's regardless of gender," Charpentier said. Despite many advances in recent years, the research field still remains male-dominated, with a marginal female presence. In the past, the stereotype existed that women were less well-suited for scientific subjects and were thus rarely allowed to receive an education equal to that of men, but as this case and a variety of other successes show, macho biases in scientific-technical fields are increasingly weakening and untenable.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Emmanuelle Charpentier es coautora de un gran descubrimiento científico: el sistema CRISPR/Cas9, que permite modificar con precisión el ADN de animales, plantas y otros microorganismos. En 2020, junto con su colega Jennifer Doudna, fue galardonada con el Premio Nobel de Química “por el desarrollo de un método para edición genética”. Primer equipo 100% femenino.

Emmanuelle Charpentier nació el 11 de diciembre de 1968 en Juvisy-Sur-Orge, Francia. Estudió bioquímica, microbiología y genética en la Universidad Pierre y Marie Curie (hoy el Instituto se fusionó con la Sorbona, en la nueva Sorbonne Université). En 1995 obtuvo su doctorado en el Institut Pasteur. Desde 1996 ha continuado su carrera científica en Nueva York, en la Universidad Rockefeller, en el Centro Médico Universitario y en el Instituto Skirball de Medicina molecular. En 2002 regresó a Europa y fue nombrada profesora asociada en el laboratorio Max F. Perutz de la Universidad de Viena. En 2009 se trasladó a Suecia, donde se convirtió en profesora titular en la Universidad de Umeå y comenzó a colaborar con la química Jennifer Doudna en la reingeniería de la endonucleasa Cas9. Las dos investigadoras han publicado en la revista «Science» un estudio que demuestra que CRISPR-Cas9, definidas como “las tijeras genéticas”, pueden cortar piezas específicas de ADN in vitro. Con este revolucionario descubrimiento en el campo de la mediación y regulación de la ARN, Emmanuelle Charpentier sentó las bases para el desarrollo de una nueva tecnología de ingeniería del genoma. En 2015 fue nombrada miembro científico de la Sociedad Max Planck de Berlín. De 2015 a 2018 fue directora del departamento de Regulación de Infecciones Biológicas del mismo Instituto. En 2018, en colaboración con el Max Planck Institut, fundó la Unidad de Ciencia de los Patógenos.

Por primera vez en la historia de los Nobel dedicados a la ciencia, dos mujeres, Emmanuelle Charpentier y Jennifer Doudna, dividen exclusivamente el premio. Desde su creación, en 1901, se ha otorgado hasta ahora a 5 mujeres. Se unen así a Marie Curie y a su hija Irène Joliot-Curie en la breve lista de ganadoras del Premio Nobel de Química. En 2009, Elizabeth Blackburn y Carol Greider fueron premiadas por el estudio de los telómeros, pero tuvieron que compartir la distinción con el biólogo Jack Szostak. Las dos químicas también llevaron a cabo una larga batalla legal por el reconocimiento de haber llegado primeras en el descubrimiento y la realización de esta técnica, ya que otro grupo de investigación estadounidense había reivindicado la primacía en la aplicación del sistema para modificar el ADN. El Nobel parece consagrar su mérito definitivamente.

La investigación partió del estudio de las bacterias patógenas, en particular se estudió la agresividad de ciertos tipos de bacterias, y su consiguiente resistencia a los antibióticos con miras a encontrar nuevas terapias para detener su propagación. En primer lugar, Charpentier se dedicó al estudio del Streptococcus pyogenes, también conocido como bacteria “come carne” por su capacidad de inducir una sepsis peligrosa y degradar los tejidos humanos, tras el descubrimiento de un fragmento del patrimonio genético utilizado por la bacteria para combatir los virus. El acrónimo CRISPR significa clustered regularly interspaced short palindromic repeats, un modelo en el ADN de las bacterias notado por primera vez en 1987. Durante mucho tiempo este mecanismo fue poco claro, pero desde los años dos mil surgieron indicios que sugerían que era un sistema especializado en la defensa de las bacterias contra las invasiones de virus. Poco después, Charpentier comenzó su colaboración con Jennifer Doudna con vistas a reconstruir en tubo de ensayo el arma del Streptococcus pyogenes, simplificándola y transformándola como técnica a utilizar. En poco más de un año, las dos químicas obtuvieron ‘tijeras moleculares’ capaces de cortar el ADN.

La técnica CRISPR/Cas9 permite copiar y pegar segmentos de ADN de microorganismos, plantas y animales con una precisión cuidadosa. Los/as científicos/as pueden utilizar estas tijeras moleculares para “cortar” y estudiar las funciones de los diferentes genes, logrando la posibilidad de una mejora de las plantas o de estudiar los genes culpables de enfermedades hereditarias y de tumores, realizando nuevos tipos de terapias personalizadas. Tras el corte introducido por Cas9 es posible eliminar secuencias de ADN dañinas del genoma objetivo o es posible sustituir secuencias corrigiendo, de esta manera, algunas mutaciones que causan enfermedades. En el campo médico, estas tijeras genéticas han iniciado experimentaciones para innovadoras terapias anticancerígenas y la posibilidad de curar enfermedades genéticas hereditarias es cada vez más concreta. Este descubrimiento revolucionó la genética, pero si bien existe la posibilidad de encontrar tratamientos para enfermedades que de otro modo serían fatales, por otro lado ofrece la posibilidad de crear embriones genéticamente modificados, planteando cuestiones éticas y legislativas difíciles de resolver. De hecho, probablemente Emmanuelle Charpentier no ha vuelto a Francia para continuar sus estudios, pues el miedo a los OMG y a todo lo relacionado con las mutaciones genéticas frena la investigación. Estas técnicas pueden intervenir en los genes humanos, modificarlos y hacer que dichas modificaciones sean heredables. En Europa, las técnicas de edición genética están clasificadas y reguladas como OMG y, por tanto, actualmente están prohibidas.

Charpentier, después de su descubrimiento, ha recibido numerosos reconocimientos internacionales de las academias científicas nacionales e internacionales. Entre los premios más prestigiosos se encuentran el Japan Prize, el Kavli Prize in Nanosciences, el Wolf Prize, el Tang Prize for Biopharmaceutical Science, el Breakthrough Prize in Life Sciences, el Canada Gairdner International Prize, el Massry Prize y muchos otros. En concreto, en 2016, obtuvo un doctorado honoris causa del Politécnico Federal de Lausana (Epfl), una de las instituciones más prestigiosas de Europa. "Espero que esto también dé la imagen de una ciencia más moderna, una ciencia en la que incluso las niñas y jóvenes científicas entiendan que nada es imposible y que ellas también pueden seguir adelante con su carrera ... Obtener grandes resultados, hacer grandes descubrimientos que puedan tener un impacto y esto independientemente del género", dijo Charpentier. A pesar de los numerosos avances realizados en los últimos años, el sector de la investigación sigue siendo predominantemente masculino, con una presencia femenina marginal. En el pasado se alimentó el estereotipo de que las mujeres tenían menos inclinación hacia las materias científicas y rara vez se les permitió recibir una educación igual a la de los hombres, pero, como demuestran este caso y varios otros éxitos, los prejuicios machistas en el ámbito técnico-científico se están debilitando cada vez más.

 

Jennifer Doudna
Annamaria Vicini






Giada Ionà

 

Doudna ha ricevuto il Premio Nobel per la Chimica nel 2020 insieme alla collega francese Emmanuelle Charpentier. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato alle due scienziate «per lo sviluppo di un metodo per l'editing del genoma». «In questo strumento c’è un potenziale enorme che ci riguarda tutti», ha dichiarato Claes Gustafsson, a capo del comitato Nobel per la Chimica. «Non solo ha rivoluzionato la scienza di base ma ha permesso di ottenere colture innovative e ci porterà a nuovi trattamenti medici d’avanguardia». È la prima volta nella storia che il Nobel viene condiviso da due donne: un segnale importante e un significativo incoraggiamento per le scienziate del futuro.

Jennifer Doudna (Washington, 19 febbraio 1964) trascorse buona parte della sua infanzia a Hilo, una cittadina della Grande Isola di Hawaii. Un’infanzia difficile perché il fatto che fosse bionda, con gli occhi azzurri e magra la rendeva facile bersaglio per gli altri ragazzi e ragazze. La definivano una haole, termine con cui venivano chiamate le persone non native ma nel suo caso utilizzato in modo dispregiativo. Il senso di estraniazione che provava contribuì a farle sviluppare una curiosità ad ampio raggio, favorita anche dalla natura lussureggiante da cui era circondata. Un influsso positivo ebbe poi il padre Martin, che lavorava come autore di discorsi per il Dipartimento della Difesa e in seguito divenne professore di Letteratura inglese. Jennifer era tra le sue tre figlie quella preferita e lui la incoraggiava molto nella lettura anche di testi a carattere scientifico. Superati i problemi infantili grazie alla sua innata curiosità e agli interessi culturali, Jennifer intraprese una brillante carriera. Dopo aver conseguito la laurea in Chimica presso il Pomona College in California, si trasferì ad Harvard dove lavorò nel laboratorio del biochimico e genetista Jack W. Szostack (Premio Nobel nel 2009 per la Medicina) e dove conseguì il dottorato in Biochimica. Proseguì gli studi del post-dottorato presso l’Università del Colorado sotto la direzione del Premio Nobel per la Chimica Thomas R. Cech e divenne poi docente associata presso l’Università di Yale. Nel 2002 prese servizio presso l’Università di Berkeley in California dove ancora oggi insegna Biochimica e Biologia Molecolare.

L’interesse scientifico di Jennifer Doudna si concentrò inizialmente, e grazie all’influsso di Thomas R. Cech, sull’Rna (acido ribonucleico), una molecola presente nelle cellule viventi che è simile al Dna (acido desossiribonucleico) ma ha un atomo di ossigeno in più nel suo supporto di zucchero-fosfato e una differenza in una delle sue quattro basi. Cech, contemporaneamente a Sidney Altman, scoprì che alcune forme di Rna potevano a loro volta agire come enzimi e in particolare che alcune molecole di Rna possono scindersi innescando una reazione chimica. Le scoperte di Cech e Altman colpirono Jack Szostak, che decise di spostare dunque la propria attenzione e le sue ricerche dal Dna all’Rna che, a suo parere, poteva rivelare dei segreti sul più grande di tutti i misteri in campo biologico, ovvero le origini della vita. Doudna fu contagiata dal suo entusiasmo e accettò di essere la prima specializzanda a lavorare in questo campo nel suo laboratorio. Le ricerche diedero alla giovane ricercatrice soddisfazioni professionali e anche una certa fama. Lo studio della struttura dell’Rna la portò a entrare in un campo che sarebbe diventato rilevante in uno stadio successivo della sua carriera: i virus. In particolare era interessata al modo in cui l’Rna in certi virus, come i coronavirus, consente loro di dirottare il meccanismo cellulare di produzione delle proteine. Con il suo gruppo di lavoro fece una scoperta interessante che permetteva ai ricercatori di utilizzare l’”interferenza” dell’Rna per spegnere un’ampia varietà di geni, sia per scoprire che cosa fa ciascun gene sia per regolare la sua attività per scopi medici. Ma nell’era dei coronavirus c’è un altro ruolo che l’”interferenza” dell’Rna può svolgere: scoprire come servirsene per proteggere gli esseri umani dalle infezioni.

Il sistema Crispr (Cluster Reguraly Interspaced Short Palindromic Repeats), usato dai batteri per difendersi dal Dna dei virus che li attaccano, fu scoperto dallo spagnolo Francisco Mojica, specializzando dell’Università di Alicante sulla costa mediterranea della Spagna. Jennifer Doudna ne venne a conoscenza grazie a Jillian Banfield, una microbiologa australiana che, come Mojica, si interessava a minuscoli organismi che si trovavano in ambienti estremi. Era tra quanti supponevano che il sistema Crispr funzionasse utilizzando l’interferenza dell’Rna. Facendo una ricerca su Google il nome di Doudna apparve al primo posto per tali studi e Banfield decise così di contattarla. Convinta dall’entusiasmo di alcuni collaboratori e collaboratrici, Doudna decise di concentrare le ricerche sulla dissezione del sistema Crispr nei suoi componenti chimici e sullo studio di come ciascuno di essi operava, riuscendo a spiegare un meccanismo Crispr basandosi su un’analisi strutturale dei suoi componenti. Mentre Doudna e il suo gruppo cominciavano a lavorare su Crispr, due giovani specialisti dell’alimentazione stavano studiando il sistema in diversi continenti con l’obiettivo di migliorare i procedimenti per la produzione di yogurt e formaggi. I risultati delle loro ricerche contribuirono a far aumentare l’interesse della comunità scientifica intorno a queste tematiche e portarono a una scoperta clamorosa da parte di alcuni scienziati della Northwestern University di Chicago: Crispr non operava attraverso l’interferenza dell’Rna ma al contrario prendeva di mira il Dna del virus invasore. Restava però da capire come questo avvenisse. Ma era dunque necessaria una diversa impostazione, che non fosse quella della biologia molecolare ma della biochimica, che lavorava con le molecole in vitro e non con cellule viventi.

«Affrontare tali questioni significava andare oltre la ricerca genetica e affrontare un’impostazione più marcatamente biochimica», scrisse Jennifer Doudna, «un’impostazione che ci avrebbe consentito di isolare le molecole componenti e di studiarne il comportamento». L’incontro, che si rivelerà determinante per la conquista del Nobel, con la biologa francese Emmanuelle Charpentier avvenne a Portorico nel marzo 2011. Da quel momento iniziò una collaborazione tra i gruppi di ricerca delle due scienziate che si proponeva di far funzionare Crispr nell’editing dei geni umani. Il riconoscimento, arrivato in piena pandemia da Covid 19, è particolarmente significativo per due motivi: perché per la prima volta a vincerlo sono state due donne e perché ha dimostrato che la ricerca di base può arrivare ad avere applicazioni pratiche. In un articolo pubblicato sull’Economist Doudna scrisse: «Come accade in questi giorni a molti altri aspetti della vita, la scienza e la sua pratica sembrano subire mutamenti rapidi e forse permanenti. Tali mutamenti andranno in direzione positiva».


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Doudna a reçu le prix Nobel de chimie en 2020 avec sa collègue française Emmanuelle Charpentier. Le prestigieux prix a été attribué aux deux scientifiques «pour le développement d’une méthode pour éditer le génome». «Dans cet instrument, il y a un énorme potentiel qui nous concerne tous», a déclaré Claes Gustafsson, à la tête du comité Nobel de chimie. «Non seulement il a révolutionné la science fondamentale mais il a permis d’obtenir des cultures innovantes et il nous mènera à de nouveaux traitements médicaux de pointe». C’est la première fois dans l’histoire que le prix Nobel est partagé par deux femmes: un signal important et un encouragement significatif pour les scientifiques du futur.

Jennifer Doudna (née le 19 février 1964 à Washington) a passé une grande partie de son enfance à Hilo, une petite ville de la grande île d’Hawaï. Une enfance difficile car le fait qu’elle soit blonde, aux yeux bleus et mince la rendait facile à cibler pour les autres garçons et filles. Ils la définissaient comme un haole, terme par lequel on appelait les personnes non natives mais dans son cas utilisé de manière péjorative. Le sentiment d’éloignement qu’elle éprouvait lui a permis de développer une curiosité à grande échelle, favorisée aussi par la nature luxuriante dont elle était entourée. Son père Martin, qui travaillait comme auteur de discours pour le Département de la Défense, devint plus tard professeur de littérature anglaise. Jennifer était l’une de ses trois filles préférées et il l’encourageait à lire des textes à caractère scientifique. Surmontant les problèmes de l’enfance grâce à sa curiosité innée et à ses intérêts culturels, Jennifer entreprit une brillante carrière. Après avoir obtenu son diplôme en chimie au Pomona College en Californie, elle a déménagé à Harvard où elle a travaillé au laboratoire de biochimie et généticien Jack W. Szostack (prix Nobel de médecine de 2009) et où elle a obtenu son doctorat en biochimie. Elle poursuit ses études de post-doctorat à l’Université du Colorado sous la direction du prix Nobel de chimie Thomas R. Cech et devient ensuite professeur associé à l’Université de Yale. En 2002, elle rejoint l’université de Berkeley en Californie où elle enseigne encore la biochimie et la biologie moléculaire.

L’intérêt scientifique de Jennifer Doudna s’est d’abord concentré, et grâce à l’influence de Thomas R. Cech, sur l’Arn (acide ribonucléique), une molécule présente dans les cellules vivantes qui est semblable à l’Adn (acide désoxyribonucléique) mais il a un atome d’oxygène supplémentaire dans son support de sucre-phosphate et une différence dans l’une de ses quatre bases. Cech, en même temps que Sidney Altman, découvrit que certaines formes d’Arn pouvaient à leur tour agir comme enzymes et en particulier que certaines molécules d’Arn peuvent se scinder en déclenchant une réaction chimique. Les découvertes de Cech et Altman touchèrent Jack Szostak, qui décida de déplacer son attention et ses recherches de l’Adn vers l’Arn qui, à son avis, pouvait révéler des secrets sur le plus grand de tous les mystères biologiques, c’est-à-dire les origines de la vie. Doudna a été infectée par son enthousiasme et a accepté d’être la première résidente à travailler dans ce domaine dans son laboratoire. Les recherches ont donné à la jeune chercheuse des satisfactions professionnelles et une certaine renommée. L’étude de la structure de l’Arn l’amena à entrer dans un domaine qui allait devenir pertinent à un stade ultérieur de sa carrière : les virus. Elle s’intéressait en particulier à la façon dont l’ARN dans certains virus, comme les coronavirus, leur permet de détourner le mécanisme cellulaire de production des protéines. Avec son groupe de travail, elle fit une découverte intéressante qui permettait aux chercheurs d’utiliser l'"interférence" de l’ARN pour éteindre une grande variété de gènes, à la fois pour découvrir ce que fait chaque gène et pour réguler son activité à des fins médicales. Mais à l’ère des coronavirus, il y a un autre rôle que l'"interférence" de l’ARN peut jouer: découvrir comment l’utiliser pour protéger les humains des infections.

Le système Crispr (Cluster Reguraly Interspaced Short Palindromic Repeats), utilisé par les bactéries pour se défendre contre l’ADN des virus qui les attaquent, a été découvert par l’Espagnol Francisco Mojica, spécialiste de l’Université d’Alicante sur la côte méditerranéenne de l’Espagne. Jennifer Doudna en a eu connaissance grâce à Jillian Banfield, une microbiologiste australienne qui, comme Mojica, s’intéressait à de minuscules organismes se trouvant dans des environnements extrêmes. Elle était parmi ceux qui supposaient que le système Crispr fonctionnait en utilisant l’interférence de l’ARN. En faisant une recherche sur Google, le nom de Doudna est apparu en première place pour ces études et Banfield a décidé de la contacter. Convaincue par l’enthousiasme de quelques collaborateurs et collaboratrices, Doudna décida de concentrer ses recherches sur la dissection du système Crispr dans ses composants chimiques et sur l’étude de leur fonctionnement, en réussissant à expliquer un mécanisme Crispr basé sur une analyse structurelle de ses composants. Alors que Doudna et son équipe commençaient à travailler sur Crispr, deux jeunes spécialistes de l’alimentation étudiaient le système sur différents continents dans le but d’améliorer les procédés de production de yaourts et de fromages. Les résultats de leurs recherches ont contribué à accroître l’intérêt de la communauté scientifique pour ces questions et ont conduit à une découverte retentissante par des scientifiques de l’Université Northwestern de Chicago : Crispr n’opérait pas à travers l’interférence de l’ARN mais visait l’ADN du virus envahisseur. Mais il restait à comprendre comment cela se produisait. Mais une autre approche était donc nécessaire, qui n’était pas celle de la biologie moléculaire mais de la biochimie, qui travaillait avec les molécules sous verre et non avec des cellules vivantes.

«Aborder ces questions signifiait aller au-delà de la recherche génétique et aborder une approche plus nettement biochimique», écrivait Jennifer Doudna, «une approche qui nous permettrait d’isoler les molécules composantes et d’étudier leur comportement». La rencontre avec la biologiste française Emmanuelle Charpentier a eu lieu à Porto Rico en mars 2011. Dès lors, une collaboration entre les équipes de recherche des deux scientifiques a commencé, visant à faire fonctionner Crispr dans l’édition des gènes humains. La reconnaissance, arrivée en pleine pandémie de Covid 19, est particulièrement significative pour deux raisons : parce que pour la première fois, ce sont deux femmes qui l’ont remporté et parce qu’elle a montré que la recherche fondamentale peut arriver à des applications pratiques. Dans un article publié dans l’Economist Doudna, elle écrit: «Comme cela arrive ces jours-ci à beaucoup d’autres aspects de la vie, la science et sa pratique semblent subir des changements rapides et peut-être permanents. De tels changements iront en direction positive».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 Jennifer Doudna received the 2020 Nobel Prize in Chemistry along with fellow French scientist Emmanuelle Charpentier. The prestigious award was given to the two female scientists «for the development of a method for genome editing.» «There is enormous potential in this tool that affects us all,» said Claes Gustafsson, who heads the Nobel Committee on Chemistry. «It has not only revolutionized basic science but has enabled innovative crops and will lead us to new cutting-edge medical treatments.» This is the first time in history that the Nobel has been shared by two women - an important signal and significant encouragement for women scientists of the future.

Jennifer Doudna (b. Washington, D.C. - Feb. 19, 1964) spent much of her childhood in Hilo, a small town on the Big Island of Hawaii. It was a difficult childhood because the fact that she was blond, blue-eyed and thin made her an easy target for other boys and girls. They called her a haole, a term by which non-native people were called but in her case it was used derogatorily. The sense of alienation she felt contributed to her developing a wide-ranging curiosity, also fostered by the lush nature by which she was surrounded. A positive influence then came from her father Martin, who had worked as a speechwriter for the U.S. Department of Defense and later became a professor of English Literature. Jennifer was the favorite among his three daughters, and he encouraged her a great deal in reading, including scientific texts. Having overcome her childhood problems thanks to her innate curiosity and cultural interests, Jennifer embarked on a brilliant career. After earning a bachelor's degree in Chemistry from Pomona College in California, she moved to Harvard where she worked in the laboratory of biochemist and geneticist Jack W. Szostack (2009 Nobel Prize in medicine) and where she earned her Ph.D. in Biochemistry. She continued her postdoctoral studies at the University of Colorado under the direction of Nobel Laureate in chemistry Thomas R. Cech, and then became an associate professor at Yale University. In 2002 she took a position at the University of California, Berkeley where she still teaches Biochemistry and Molecular Biology.

Jennifer Doudna's scientific interest focused initially, and thanks to the influence of Thomas R. Cech, on RNA (ribonucleic acid), a molecule found in living cells that is similar to DNA (deoxyribonucleic acid) but has an extra oxygen atom in its sugar-phosphate carrier and a difference in one of its four bases. Cech, at the same time as Sidney Altman, discovered that some forms of RNA could in turn act as enzymes and in particular that some RNA molecules can split by triggering a chemical reaction. Cech's and Altman's discoveries impressed Jack Szostak, who therefore decided to shift his attention and research from DNA to RNA, which, in his view, could reveal secrets about the greatest of all mysteries in the biological field, namely the origins of life. Doudna was infected by his enthusiasm and agreed to be the first resident to work in this field in his laboratory. The research gave the young researcher professional satisfaction and also some fame. Studying the structure of RNA led her into a field that would become relevant at a later stage of her career: viruses. In particular, she was interested in how the RNA in certain viruses, such as coronaviruses, allows them to hijack the cellular mechanism of protein production. She and her team made an interesting discovery that allowed researchers to use RNA "interference" to turn off a wide variety of genes, both to find out what each gene does and to regulate its activity for medical purposes. But in the era of coronaviruses, there is another role that RNA "interference" can play: discovering how to use it to protect humans from infection.

The CRISPR (Cluster Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) system, used by bacteria to defend themselves against the DNA of viruses that attack them, was discovered by Spaniard Francisco Mojica, a resident at the University of Alicante on Spain's Mediterranean coast. Jennifer Doudna learned about it through Jillian Banfield, an Australian microbiologist who, like Mojica, was interested in tiny organisms found in extreme environments. She was among those who assumed that the CRISPR system worked by using RNA interference. Doing a Google search, Doudna's name appeared at the top of the list for such studies, and Banfield thus decided to contact her. Convinced by the enthusiasm of a number of collaborators, Doudna decided to focus her research on dissecting the CRISPR system into its chemical components and studying how each operated, being able to explain a CRISPR mechanism based on a structural analysis of its components. While Doudna and his group were beginning work on CRISPR, two young food specialists were studying the system on several continents with the goal of improving processes for making yogurt and cheese. The results of their research helped to increase interest in the scientific community around these issues and led to a resounding discovery by scientists at Northwestern University in Chicago: CRISPR did not operate through RNA interference but instead targeted the DNA of the invading virus. It remained to be understood, however, how this was done. But a different approach was therefore needed, one that was not from molecular biology but from biochemistry, which worked with molecules in vitro and not with living cells.

«Addressing such questions meant going beyond genetic research and tackling a more distinctly biochemical approach,» wrote Jennifer Doudna, «an approach that would allow us to isolate component molecules and study their behavior.» A meeting, which would prove instrumental in winning the Nobel, with French biologist Emmanuelle Charpentier took place in Puerto Rico in March, 2011. From that moment, a collaboration began between the two scientists' research groups aimed at making CRISPR work in human gene editing. The award, which came in the midst of the Covid 19 pandemic, is particularly significant for two reasons: because for the first time it was won by two women, and because it demonstrated that basic research can lead to practical applications. In an article published in The Economist Doudna wrote, «As happens these days in many other aspects of life, science and its practice seem to be undergoing rapid and perhaps permanent mutations. Such mutations will go in a positive direction.»


Traduzione spagnola

Syd Stapleton

Doudna recibió el Premio Nobel de Química en 2020 junto con su colega francesa Emmanuelle Charpentier. El prestigioso galardón fue concedido a las dos científicas «por el desarrollo de un método para la edición del genoma». «Hay un enorme potencial en esta herramienta que nos afecta a todos», dijo Claes Gustafsson, que dirige el Comité Nobel de Química. «No sólo ha revolucionado la ciencia básica, sino que ha permitido cultivos innovadores y nos conducirá a nuevos tratamientos médicos de vanguardia». Es la primera vez en la historia que el Premio Nobel es compartido por dos mujeres: una señal importante y un estímulo significativo para las científicas del futuro.

Jennifer Doudna (Washington, 19 de febrero de 1964) pasó la mayor parte de su infancia en Hilo, una pequeña ciudad de la Isla Grande de Hawai. Fue una infancia difícil porque el hecho de ser rubia, de ojos azules y delgada la convertía en un blanco fácil para otros chicos y chicas. La llamaban haole, término con el que se denominaba a las personas no nativas, pero en su caso utilizado de forma despectiva. El sentimiento de alienación que sentía contribuyó a que desarrollara una amplia curiosidad, fomentada también por la exuberante naturaleza de la que estaba rodeada. Una influencia positiva fue entonces su padre Martin, que trabajaba como redactor de discursos para el Ministerio de Defensa y más tarde se convirtió en profesor de Literatura Inglesa. Jennifer era la favorita de las tres hijas y él la animaba mucho a leer también textos científicos. Superados sus problemas infantiles gracias a su curiosidad innata y sus intereses culturales, Jennifer emprendió una brillante carrera. Tras licenciarse en Química en el Pomona College de California, se trasladó a Harvard, donde trabajó en el laboratorio del bioquímico y genetista Jack W. Szostack (Premio Nobel de Medicina 2009) y donde se doctoró en Bioquímica. Continuó sus estudios posdoctorales en la Universidad de Colorado bajo la dirección del Premio Nobel de Química Thomas R. Cech y después pasó a ser profesora titular en la Universidad de Yale. En 2002 se incorporó a la Universidad de California en Berkeley, donde sigue enseñando Bioquímica y Biología Molecular.

El interés científico de Jennifer Doudna se centró inicialmente, y gracias a la influencia de Thomas R. Cech, en el ARN (ácido ribonucleico), una molécula que se encuentra en las células vivas y que es similar al ADN (ácido desoxirribonucleico), pero tiene un átomo de oxígeno adicional en su portador de azúcar-fosfato y una diferencia en una de sus cuatro bases. Cech, al mismo tiempo que Sidney Altman, descubrió que algunas formas de ARN podían actuar a su vez como enzimas y, en particular, que algunas moléculas de ARN podían dividirse desencadenando una reacción química. Los descubrimientos de Cech y Altman impresionaron a Jack Szostak, que decidió entonces desplazar su atención y sus investigaciones del ADN al ARN, que, en su opinión, podía revelar secretos sobre el mayor de todos los misterios en el campo de la biología, a saber, los orígenes de la vida. Doudna se contagió de su entusiasmo y aceptó ser la primera residente que trabajara en este campo en su laboratorio. La investigación proporcionó a la joven investigadora satisfacción profesional, además de cierta fama. El estudio de la estructura del ARN la condujo a un campo que cobraría relevancia en una etapa posterior de su carrera: los virus. En concreto, se interesó por cómo el ARN de ciertos virus, como los coronavirus, les permite desviar el mecanismo celular de producción de proteínas. Junto a su equipo hicieron un interesante descubrimiento que permitió a los investigadores utilizar el ARN de "interferencia" para desactivar una gran variedad de genes, tanto para averiguar qué hace cada gen como para regular su actividad con fines médicos. Pero en la era de los coronavirus, el ARN de "interferencia" puede desempeñar otro papel: descubrir cómo utilizarlo para proteger a los seres humanos de la infección.

El sistema Crispr (Cluster Reguraly Interspaced Short Palindromic Repeats), utilizado por las bacterias para defenderse del ADN de los virus que las atacan, fue descubierto por el español Francisco Mojica, estudiante de posgrado de la Universidad de Alicante, en la costa mediterránea española. Jennifer Doudna lo conoció a través de Jillian Banfield, una microbióloga australiana que, como Mojica, se interesaba por los organismos diminutos que se encuentran en ambientes extremos. Ella fue una de las que supuso que el sistema Crispr funcionaba mediante ARN de interferencia. Haciendo una búsqueda en Google, el nombre de Doudna apareció al principio de la lista de estudios de este tipo y Banfield decidió ponerse en contacto con ella. Convencida por el entusiasmo de algunos de sus colaboradores, Doudna decidió centrar su investigación en diseccionar el sistema Crispr en sus componentes químicos y estudiar cómo funcionaba cada uno de ellos, y explicar un mecanismo Crispr basado en un análisis estructural de sus componentes. Mientras Doudna y su grupo empezaban a trabajar en Crispr, dos jóvenes especialistas en alimentación estudiaban el sistema en varios continentes con el objetivo de mejorar los procesos de producción de yogur y queso. Los resultados de sus investigaciones contribuyeron a aumentar el interés de la comunidad científica por estas cuestiones y condujeron a un descubrimiento sensacional de los científicos de la Universidad Northwestern de Chicago: Crispr no funcionaba mediante interferencia de ARN, sino que se dirigía al ADN del virus invasor. Sin embargo, aún estaba por ver cómo lo hacía. Pero se necesitaba un enfoque diferente, que no era el de la biología molecular sino el de la bioquímica, que trabajaba con moléculas in vitro y no con células vivas.

«Abordar estas cuestiones significaba ir más allá de la investigación genética y adoptar un enfoque más bioquímico», escribió Jennifer Doudna, «un enfoque que nos permitiera aislar las moléculas componentes y estudiar su comportamiento». El encuentro, que resultaría decisivo para la obtención del Nobel, con la bióloga francesa Emmanuelle Charpentier tuvo lugar en Puerto Rico en marzo de 2011. A partir de ese momento, se inició una colaboración entre los grupos de investigación de ambas científicas destinada a lograr que Crispr funcionara en la edición de genes humanos. El premio, que llegó en plena pandemia del Covid 19, es especialmente significativo por dos motivos: porque por primera vez lo ganaron dos mujeres y porque demostró que la investigación básica puede tener aplicaciones prácticas. En un artículo publicado en «The Economist», Doudna escribía: «Como ocurre actualmente con muchos otros aspectos de la vida, la ciencia y su práctica parecen estar experimentando cambios rápidos y quizá permanentes. Estos cambios irán en una dirección positiva».


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівську премію з хімії Дудна отримала у 2020 році разом зі своєю французькою колегою Еммануель Шарпантьє. Престижну нагороду було присуджено двом жінкам-науковцям «за розробку методу редагування геному». «У цьому інструменті закладений величезний потенціал, який впливає на всіх нас», - сказав голова Нобелівського комітету з хімії Клаес Густафссон. «Вона не лише зробила революцію у фундаментальній науці, але й уможливила створення інноваційних сільськогосподарських культур і приведе нас до нових передових методів лікування». Вперше в історії Нобелівську премію розділили дві жінки: це важливий сигнал і значне заохочення для жінок-науковців майбутнього.

Дженніфер Дадна (Вашингтон, 19 лютого 1964 р.) провела більшу частину свого дитинства в Хіло, невеликому містечку на Великому острові Гаваї. Це було важке дитинство, адже те, що вона була білявою, блакитноокою та худорлявою, робило її легкою мішенню для інших хлопчиків та дівчаток. Вони називали її "хаоле", терміном, яким називали немісцевих людей, але у її випадку використовували у принизливому сенсі. Відчуття відчуження, яке вона відчувала, сприяло розвитку в ній широкої допитливості, яку також заохочувала пишна природа, що її оточувала. Позитивний вплив мав тоді її батько Мартін, який працював спічрайтером у Міністерстві оборони, а згодом став професором англійської літератури. Серед трьох доньок Дженніфер була його улюбленицею, і він багато заохочував її до читання, в тому числі наукових текстів. Подолавши свої дитячі проблеми завдяки вродженій допитливості та культурним інтересам, Дженніфер розпочала блискучу кар'єру. Закінчивши хімічний факультет коледжу Помона в Каліфорнії, вона переїхала до Гарварду, де працювала в лабораторії біохіміка і генетика Джека В. Шостака (лауреата Нобелівської премії з медицини 2009 року) і де отримала ступінь доктора філософії з біохімії. Продовжив навчання в аспірантурі Колорадського університету під керівництвом лауреата Нобелівської премії з хімії Томаса Р. Чеха, а потім став доцентом Єльського університету. У 2002 році обійняв посаду в Каліфорнійському університеті в Берклі, де й досі викладає біохімію та молекулярну біологію.

Науковий інтерес Дженніфер Дудна спочатку зосередився, завдяки впливу Томаса Р. Чеха, на РНК (рибонуклеїновій кислоті) - молекулі, що міститься в живих клітинах, яка подібна до ДНК (дезоксирибонуклеїнової кислоти), але має додатковий атом кисню в своєму цукрово-фосфатному носії і відмінність в одній з чотирьох основ. Чех, одночасно з Сідні Альтманом, виявив, що деякі форми РНК можуть, в свою чергу, діяти як ферменти, і зокрема, що деякі молекули РНК можуть розщеплюватися, запускаючи хімічну реакцію. Відкриття Чеха і Альтмана вразили Джека Шостака, який тому вирішив перенести свою увагу і дослідження з ДНК на РНК, яка, на його думку, могла б розкрити таємниці про найбільшу з усіх таємниць в області біології, а саме походження життя. Дудна заразився його ентузіазмом і погодився стати першим резидентом, який працюватиме в цій галузі в його лабораторії. Дослідження принесло молодому науковцю професійне задоволення, а також певну популярність. Вивчення структури РНК привело її в сферу, яка стане актуальною на більш пізньому етапі її кар'єри: віруси. Зокрема, її цікавило, яким чином РНК деяких вірусів, таких як коронавіруси, дозволяє їм перехоплювати клітинний механізм виробництва білка. Він та його команда зробили цікаве відкриття, яке дозволило дослідникам використовувати РНК-"інтерференцію" для вимкнення широкого спектру генів, як для з'ясування того, що робить кожен ген, так і для регулювання його активності в медичних цілях. Але в епоху коронавірусів є ще одна роль, яку може зіграти "втручання" РНК: відкриття того, як використовувати її для захисту людини від інфекції.

Систему Crispr (Cluster Reguraly Interspaced Short Palindromic Repeats), яка використовується бактеріями для захисту від ДНК вірусів, що їх атакують, відкрив іспанець Франциско Мохіка, резидент Університету Аліканте на середземноморському узбережжі Іспанії. Дженніфер Дудна дізналася про це від Джилліан Банфілд, австралійського мікробіолога, яка, як і Мохіка, цікавилася крихітними організмами, що живуть в екстремальних умовах. Вона була серед тих, хто припускав, що система Crispr працює за допомогою РНК-інтерференції. Здійснивши пошук в Google, ім'я Дудни з'явилося на вершині списку таких досліджень, і Бенфілд вирішив зв'язатися з нею. Переконавшись в ентузіазмі деяких своїх співробітників, Дудна вирішила зосередити свої дослідження на розчленуванні системи Crispr на хімічні компоненти і вивченні роботи кожного з них, а також на поясненні механізму роботи Crispr на основі структурного аналізу його компонентів. В той час, як Дудна і його група починали роботу над Crispr, двоє молодих фахівців з харчової промисловості вивчали систему на кількох континентах з метою вдосконалення процесів виробництва йогуртів і сирів. Результати їхніх досліджень сприяли підвищенню інтересу наукової спільноти до цієї проблематики та призвели до сенсаційного відкриття вчених Північно-Західного університету в Чикаго: Crispr діє не через РНК-інтерференцію, а націлений на ДНК вірусу-загарбника. Однак, як саме це було зроблено, ще належить з'ясувати. Але потрібен був інший підхід, підхід не молекулярної біології, а біохімії, яка працює з молекулами in vitro, а не з живими клітинами.

"Вирішення цих питань означало вихід за рамки генетичних досліджень і застосування більш біохімічного підходу, - писала Дженніфер Дудна, - підходу, який дозволив би нам виділити складові молекули і вивчити їх поведінку". Зустріч з французьким біологом Еммануелем Шарпантьє, яка стала вирішальною в отриманні Нобелівської премії, відбулася в Пуерто-Ріко в березні 2011 року. З цього моменту розпочалася співпраця між дослідницькими групами двох вчених, спрямована на те, щоб Crispr працював у сфері редагування генів людини. Нагорода, яка припала на розпал пандемії Covid 19, є особливо значущою з двох причин: тому що вперше її отримали дві жінки, і тому що вона показала, що фундаментальні дослідження можуть мати практичне застосування. У статті, опублікованій на сайті , економіст Дудна пише: "Як це відбувається в наші дні з багатьма іншими аспектами життя, наука і її практика, схоже, зазнають швидких і, можливо, постійних змін. Ці зміни будуть у позитивному напрямку".

 

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia