May Britt – Moser
Maria Chiara Pulcini





Juliette Bonvallet

 

L’essere coscienti della propria posizione nello spazio, il sapere dove muoversi per andare alla destinazione desiderata, è una funzione fondamentale sia per gli animali che gli esseri umani. Nel 2014 May-Britt Andreassen viene premiata con il Nobel per la medicina insieme al marito Edvard Moser e al loro mentore John O’Keefe per la scoperta delle cellule che consentono la percezione del sistema spaziale nel cervello, una sorta di Gps interno formato da svariati tipi di cellule che interagiscono tra loro a seconda dei nostri movimenti. Questo sistema di interazioni ci consente di capire dove siamo, come orientarci e navigare lo spazio attorno a noi. 

May-Britt Andreassen nasce a Fosnavåg, in Norvegia, il 4 gennaio 1963. Cresce assieme ai quattro fratelli in una fattoria, figlia di un falegname e di una casalinga. Fin dalla più tenera età si dimostra curiosa del mondo e determinata a realizzare i propri obiettivi. A scuola è una alunna con voti nella media, che preferisce passare il tempo con amici e amiche invece che sui libri. Tuttavia, scopre una naturale propensione per le materie scientifiche, che coltiva con passione e incoraggiamento da parte della famiglia e delle/i docenti. Finita la scuola si iscrive all’Università di Oslo, più perché lì ci sono le sue sorelle che per una chiara idea del percorso da intraprendere. In questa fase, il futuro è un’enorme incognita per May-Britt: l’unica sua certezza è che non vuole diventare una semplice casalinga, come previsto dai costumi del suo luogo di nascita, e che vuole fare della scienza la propria carriera. Dopo aver rinunciato ad un posto in odontoiatria, decide di iscriversi alla facoltà di Psicologia, assieme a quello che poi diventerà suo marito, Edvard Moser. A guidarli è il desiderio di studiare il cervello umano e il modo in cui crea il comportamento. La coppia si sposa nel luglio del 1985 e ha in seguito due figlie, Isabel e Ailin. La famiglia non è un ostacolo per i due coniugi: May-Britt e Edvard Moser, dopo una brillante carriera universitaria, conseguono il dottorato in Neuroscienze nel 1995 con una ricerca sul ruolo dell’ippocampo nella percezione spaziale nei topi e nel loro senso dell’orientamento.

Tra il 1995 e il 1996 i Moser continuano le loro ricerche a Londra e Edimburgo sotto la supervisione di John O’Keefe: incidendo piccole lesioni sulla parte dorsale e ventrale dell’ippocampo nei topi, ne analizzano gli effetti sulla capacità di orientarsi e riconoscere lo spazio che li circonda. Nel 1997 May-Britt Moser diventa professoressa associata in Psicologia biologica presso il dipartimento di psicologia dell’Università di scienze e tecnologia di Trondheim (Ntnu) dove, nel 2000, ottiene la cattedra in Neuroscienze. Nel 2002 fonda il Centro per la biologia della memoria e l’Institute for Systems Neuroscience. Dal 2013 è a capo del Centro di calcoli neurali, un centro di eccellenza interamente finanziato dal governo norvegese, dove continua i suoi studi sul cervello. Nello stesso anno le sono conferiti il Louisa Gross Horwitz Prize e il Premio Madame Beyer per le sue eccellenti doti manageriali e spirito di gruppo, i successi scientifici e gli alti standard etici. Assieme al marito, May-Britt Moser è pioniera negli studi dei meccanismi che permettono al cervello di immaginare e percepire lo spazio. La consapevolezza di dove ci si trovi e quale percorso si debba intraprendere per arrivare alla destinazione desiderata è unacaratteristica fondamentale sia per l’essere umano che gli altri animali. Il segnale che si attiva ogni volta che dobbiamo individuarci nello spazio sembra arrivare da un’area molto interna al cervello, dove parrebbe non possano arrivare gli input sensoriali. Ciò implica che il segnale che poi giunge alle cellule di posizione – responsabili della ricostruzione interna al cervello di una mappa dell’ambiente – si generi da solo e non in risposta a stimoli esterni.

Nei loro studi a Edimburgo, tramite esperimenti sui topi e confronti con ricerche di altri scienziati, l’attenzione dei due coniugi viene attirata da una parte della formazione dell’ippocampo, la corteccia entorinale, una delle prime aree del cervello a subire deterioramento cognitivo dovuto a malattie come l’Alzheimer. Nonostante ciò, tali studi sulla corteccia sono ancora pochi quando i Moser teorizzano che, forse, è da quest’area che partono i segnali che permettono poi l’orientamento. Un’intuizione che sembra trovare conferma in ulteriori esperimenti compiuti sui topi. Dentro una gabbia viene creato un labirinto d’acqua con alcuni ostacoli; gli animali devono trovare il percorso giusto per uscire e ottenere il loro premio in biscotti. I topi, con addosso degli elettrodi, vengono reintrodotti nel labirinto finché non imparano a riconoscere il percorso giusto. Vengono poi create delle minuscole lesioni nel cervello, in diversi punti, per vedere quale di esse influenza l’abilità dei topi a riconoscere l’ambiente in cui sono e il percorso giusto per uscire. Nel 2005 la ricerca dà i suoi frutti. L’anno prima, l’attenzione dei Moser era stata attirata nella parte dorso-mediale della corteccia entorinale, poco sopra la parte dell’ippocampo che si occupa della memoria. Esperimenti precedenti avevano dimostrato che topi con lesioni in quella zona non erano più in grado di imparare ad orientarsi nel labirinto, mentre non avevano quel tipo di problema se le lesioni erano fatte in altre parti dell’ippocampo. I picchi di attività celebrale ogni volta che il singolo topo tornava in uno stesso punto ad ogni tentativo di percorrere il labirinto si mostravano con una sorprendente regolarità. Ad una ulteriore analisi, i Moser notano che, mentre i ratti correvano liberamente nei loro recinti e tornavano su uno stesso punto, i picchi di attività ad ogni elettrodo non erano solo uniformemente spaziati, ma anche simili in direzione e dimensione. L'attività formava una griglia di esagoni regolari, da cui il nome della cellula appena scoperta: cellula grid. Il cervello immagina dunque il mondo come una griglia: quando recepisce le informazioni dall’esterno, queste vengono codificate in una sorta di segnale Gps, che ci aiuta poi ad orientarci nello spazio circostante.

Nel 2006 vengono scoperte le head direction cells (letteralmente: cellule di direzione della testa) che si attivano per indicare la direzione verso cui l’animale ha mosso la testa. Nel 2008 è il turno delle border cells (cellule di confine) che rispondono alla presenza di un confine ambientale ad una particolare direzione e distanza. È l’attività di questi diversi tipi di neuroni e l’interazione fra loro che ci consente di identificarci nello spazio e di orientarci. Inoltre, essendo questa la prima area del cervello ad essere danneggiata da malattie degenerative come l’Alzheimer, spiegherebbe perché tra i primi sintomi ci sia la perdita dell’orientamento. La scoperta di queste cellule e il modo in cui interagiscono fra di loro è stata premiata con il Nobel nel 2014, che May-Britt Moser ha condiviso con l’ora ex marito Edvard e il loro mentore John O’Keefe.

Oggi, May-Britt Moser è ancora direttrice del Centro di calcolo neurale e professoressa in Neuroscienze presso la Nust di Trondheim, continuando i suoi studi sul cervello. Ha ricevuto svariate onorificenze per le sue ricerche, fra cui il Karl Spencer Lashley Award e il Körber European Science Prize nel 2014, l'Erna Hamburger Prize nel 2016 e la Gran Croce dell’Ordine reale norvegese di Sant’Olav nel 2018, assegnata a chi si è distinto per il servizio reso al Re, alla patria, o all’umanità.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Être conscient de sa position dans l’espace, savoir où aller pour aller à la destination souhaitée, est une fonction fondamentale pour les animaux et les humains. En 2014, May-Britt Andreassen reçoit le prix Nobel de médecine avec son mari Edvard Moser et leur mentor John O’Keefe pour la découverte des cellules qui permettent la perception du système spatial dans le cerveau, une sorte de GPS interne composé de différents types de cellules qui interagissent les uns avec les autres en fonction de nos mouvements. Ce système d’interactions nous permet de comprendre où nous sommes, comment nous orienter et naviguer dans l’espace autour de nous.

May-Britt Andreassen est née à Fosnavåg, en Norvège, le 4 janvier 1963. Elle grandit avec ses quatre frères dans une ferme, fille d’un menuisier et d’une femme au foyer. Dès son plus jeune âge, elle se montre curieuse du monde et déterminée à réaliser ses objectifs. À l’école, elle est une élève avec des notes moyennes, qui préfère passer du temps avec des amis plutôt que la tête dans ses livres. Cependant, elle découvre une propension naturelle pour les matières scientifiques, qu’elle cultive avec passion et encouragement de la part de la famille et des professeurs. Après l’école, elle s’inscrit à l’Université d’Oslo, plus parce que ses sœurs y sont là que pour une idée claire du chemin à parcourir. À ce stade, l’avenir est une énorme inconnue pour May-Britt: sa seule certitude est qu’elle ne veut pas devenir une simple femme au foyer, comme le prévoient les coutumes de son lieu de naissance, et qu’elle veut faire de la science sa carrière. Après avoir renoncé à un poste en dentisterie, elle décide de s’inscrire à la faculté de psychologie, avec celui qui deviendra plus tard son mari, Edvard Moser. Ils sont guidés par le désir d’étudier le cerveau humain et la façon dont il crée le comportement. Le couple se marie en juillet 1985 et ils ont plus tard deux filles, Isabel et Ailin. La famille n’est pas un obstacle pour les deux époux : May-Britt et Edvard Moser, après une brillante carrière universitaire, obtiennent leur doctorat en neurosciences en 1995 avec une recherche sur le rôle de l’hippocampe dans la perception spatiale chez les souris et dans leur sens de l’orientation.

Entre 1995 et 1996, les Moser poursuivent leurs recherches à Londres et à Édimbourg sous la supervision de John O’Keefe : en gravant de petites lésions sur la partie dorsale et ventrale de l’hippocampe chez les souris, et ils analysent leurs effets sur la capacité de s’orienter et de reconnaître l’espace qui les entoure. En 1997, May-Britt Moser devient professeur associée en psychologie biologique au département de psychologie de l’Université des sciences et technologie de Trondheim (Ntnu) où elle obtient en 2000 le poste de professeur en neurosciences. En 2002, elle fonde le Centre pour la biologie de la mémoire et l’Institute for Systems Neuroscience. Depuis 2013, elle dirige le Centre de calculs neuraux, un centre d’excellence entièrement financé par le gouvernement norvégien, où elle poursuit ses études sur le cerveau. La même année, elle reçoit le prix Louisa Gross Horwitz Prize et le prix Madame Beyer pour ses excellentes qualités managériales et son esprit d’équipe, ses réalisations scientifiques et ses normes éthiques élevées. Avec son mari, May-Britt Moser est pionnière dans l’étude des mécanismes qui permettent au cerveau d’imaginer et de percevoir l’espace. La prise de conscience de l’endroit où vous vous trouvez et du chemin à suivre pour arriver à la destination souhaitée est une caractéristique fondamentale pour l’être humain et les autres animaux. Le signal qui s’active chaque fois que nous devons nous repérer dans l’espace semble provenir d’une zone très interne au cerveau, où les entrées sensorielles ne semblent pas pouvoir arriver. Cela implique que le signal qui parvient ensuite aux cellules de position - responsables de la reconstruction interne au cerveau d’une carte de l’environnement - se génère seul et non en réponse à des stimuli externes.

Dans leurs études à Edimbourg, par des expériences sur des souris et des comparaisons avec des recherches d’autres scientifiques, l’attention des deux conjoints est attirée par une partie de la formation de l’hippocampe, l’écorce entorinale, l’une des premières zones du cerveau à subir une détérioration cognitive due à des maladies telles que la maladie d’Alzheimer. Malgré cela, ces études sur le cortex sont encore peu nombreuses lorsque les Moser théorisent que, peut-être, c’est de cette zone que partent les signaux qui permettent ensuite l’orientation. Une intuition qui semble trouver confirmation dans d’autres expériences réalisées sur des souris. À l’intérieur d’une cage est créé un labyrinthe d’eau avec quelques obstacles; les animaux doivent trouver le bon chemin pour sortir et obtenir leur prix en biscuits. Les souris, portant des électrodes, sont réintroduites dans le labyrinthe jusqu’à ce qu’elles apprennent à reconnaître le bon chemin. De minuscules lésions sont ensuite créées dans le cerveau, à différents endroits, pour voir lequel d’entre eux affecte la capacité des souris à reconnaître l’environnement dans lequel elles sont et le bon chemin pour sortir. En 2005, la recherche porte ses fruits. L’année précédente, l’attention des Moser avait été attirée dans la partie dorso-médiale du cortex entorinal, juste au-dessus de la partie de l’hippocampe qui s’occupe de la mémoire. Des expériences antérieures ont montré que les souris avec des blessures dans cette zone ne pouvaient plus apprendre à s’orienter dans le labyrinthe, alors qu’elles n’avaient pas ce genre de problème si les blessures étaient faites dans d’autres parties de l’hippocampe. Les pics d’activité cérébrale se sont révélés avec une régularité surprenante à chaque fois que la souris revenait au même endroit à chaque tentative de parcourir le labyrinthe. Après une analyse plus approfondie, les Moser notent que, tandis que les rats couraient librement dans leurs enclos et revenaient sur un même point, les pics d’activité à chaque électrode étaient non seulement espacés uniformément, mais aussi similaires dans la direction et la taille. L’activité formait une grille d’hexagones réguliers, d’où le nom de la cellule nouvellement découverte : cellule de grille. Le cerveau imagine donc le monde comme une grille : quand il reçoit les informations de l’extérieur, elles sont codées dans une sorte de signal GPS, qui nous aide ensuite à nous orienter dans l’espace environnant.

En 2006, on découvre les têtes pointues (littéralement : cellules de direction de la tête) qui s’activent pour indiquer la direction vers laquelle l’animal a déplacé sa tête. En 2008, c’est le tour des cellules frontalières (border cells) qui répondent à la présence d’une frontière environnementale à une direction et à une distance particulières. C’est l’activité de ces différents types de neurones et l’interaction entre eux qui nous permet de nous identifier dans l’espace et de nous orienter. En outre, étant la première zone du cerveau à être endommagée par des maladies dégénératives comme Alzheimer, cela expliquerait pourquoi l’un des premiers symptômes est la perte de l’orientation. La découverte de ces cellules et la façon dont elles interagissent les unes avec les autres a été récompensée par le prix Nobel en 2014, que May-Britt Moser a partagé avec l’ex-mari Edvard et leur mentor John O’Keefe.

Aujourd’hui, May-Britt Moser est toujours directrice du Centre de calcul neuronal et professeur en neurosciences à Nust à Trondheim, tout en poursuivant ses études sur le cerveau. Elle a reçu plusieurs distinctions honorifiques pour ses recherches, dont le Karl Spencer Lashley Award et le Prix Européen de la Science de Körber en 2014, le Prix Erna Hamburger en 2016 et le Grand Croix de l’Ordre royal norvégien de Saint-Olav en 2018, qui a servi le roi, la patrie ou l’humanité.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Being aware of one's position in space, knowing where to move to go to a desired destination, is a fundamental function for both animals and humans. In 2014, May-Britt Andreassen was awarded the Nobel Prize in Medicine, along with her husband Edvard Moser and their mentor John O'Keefe, for their discovery of the cells that enable perception by the spatial system in the brain, a kind of internal GPS made up of a variety of cell types that interact with each other depending on our movements. This system of interactions allows us to understand where we are, how to orient ourselves and navigate the space around us.

May-Britt Andreassen was born in Fosnavåg, Norway, on January 4, 1963. She grew up with her four siblings on a farm, the daughter of a carpenter and a housewife. From an early age she was curious about the world and determined to achieve her goals. She was an average student in school, and preferred to spend her time with friends rather than with books. However, she discovered a natural inclination for science subjects, which she cultivated with passion and encouragement from her family and teachers. After finishing school, she enrolled in the University of Oslo, more because her sisters were there than because of a clear idea of a path to take. At that stage, the future was a huge unknown for May-Britt. Her only certainties were that she did not want to become a simply a housewife, as expected by the customs of her birthplace, and that she wanted to make science her career. After being offered and refusing a position in dentistry school, she decided to enroll in the Faculty of Psychology, along with the man who would later become her husband, Edvard Moser. Guiding them was a desire to study the human brain and how it creates behavior. The couple married in July 1985 and later had two daughters, Isabel and Ailin. Family was no obstacle for the couple - May-Britt and Edvard Moser, after brilliant university careers, earned their doctorates in neuroscience in 1995 with research on the role of the hippocampus in the spatial perception and sense of orientation of mice.

Between 1995 and 1996, the Mosers continued their research in London and Edinburgh under the supervision of John O'Keefe. By incising small lesions on the dorsal and ventral part of the hippocampus in mice, they analyzed their effects on their ability to orient themselves and recognize the space around them. In 1997, May-Britt Moser became an associate professor in biological psychology at the Department of Psychology at the Norwegian University of Science and Technology in Trondheim (NTNU) where, in 2000, she was awarded the chair in neuroscience. In 2002, she founded the Center for Memory Biology and the Institute for Systems Neuroscience. Since 2013 she has headed the Center for Neural Computation, a center of excellence funded entirely by the Norwegian government, where she continued her studies of the brain. In the same year she was awarded the Louisa Gross Horwitz Prize and the Madame Beyer Prize for her outstanding management skills and team spirit, scientific achievements, and high ethical standards. Together with her husband, May-Britt Moser is a pioneer in studies of the mechanisms that enable the brain to imagine and perceive space. Awareness of where one is and what path one must take to get to a desired destination is a fundamental characteristic of both humans and other animals. The signal that is activated whenever we need to locate ourselves in space seems to come from a very internal area of the brain, where it would seem sensory input cannot reach. This implies that the signal that then reaches the position cells - responsible for the brain's internal reconstruction of a map of the environment - is generated on its own and not in response to external stimuli.

In their studies in Edinburgh, through experiments on mice and comparisons with research by other scientists, the couple's attention was drawn to a part of the hippocampus formation, the entorhinal cortex, one of the first areas of the brain to undergo cognitive impairment due to diseases such as Alzheimer's. Despite this, such studies on the cortex were still few when the Mosers theorized that, perhaps, it is from this area that the signals that then enable orientation originate. An insight that seemed to be confirmed in further experiments performed on mice. Inside a cage, a water maze with some obstacles was created. The animals had to find the right path to get out and got their prize in cookies. The mice, wearing electrodes, were reintroduced into the maze until they learned to recognize the right path. Tiny lesions were then created in the brain at different locations to see which one affected the ability of the mice to recognize their environment and the right path to exit. In 2005, the research bore fruit. The year before, the Mosers' attention had been drawn to the dorso-medial part of the entorhinal cortex, just above the part of the hippocampus that deals with memory. Previous experiments had shown that mice with lesions in that area were no longer able to learn to orient themselves in the maze, while they did not have that kind of problem if lesions were made in other parts of the hippocampus. The spikes in brain activity each time the individual mouse returned to the same spot on each attempt to navigate the maze showed up with surprising regularity. On further analysis, the Mosers noted that as the rats ran freely in their pens and returned to the same spot, the activity spikes at each electrode were not only evenly spaced but also similar in direction and size. The activity formed a grid of regular hexagons, hence the name of the newly discovered cell: grid cell. The brain imagines the world as a grid. When it takes in information from outside, it is encoded into a kind of GPS signal, which then helps us orient ourselves in the space around us.

In 2006, head direction cells were discovered, which are activated to indicate the direction in which the animal has moved its head. In 2008 it was the turn of border cells that respond to the presence of an environmental boundary at a particular direction and distance. It is the activity of these different types of neurons and the interaction between them that allows us to identify ourselves in space and orient ourselves. Moreover, since this is one of the first areas of the brain to be damaged by degenerative diseases such as Alzheimer's, it would explain why loss of orientation is among the first symptoms. The discovery of these cells and how they interact with each other was rewarded with a Nobel Prize in 2014, which May-Britt Moser shared with her husband Edvard and their mentor John O'Keefe. The Mosers announced their divorce in 2016, but have continued their scientific work together.

Today, May-Britt Moser is still director of the Center for Neural Computing and a professor in Neuroscience at the NTNU in Trondheim, continuing her studies on the brain. She has received a variety of honors for her research, including the Karl Spencer Lashley Award and the Körber European Science Prize in 2014, the Erna Hamburger Prize in 2016, and the Grand Cross of the Royal Norwegian Order of St. Olav in 2018, awarded to those who have distinguished themselves for their service to the King, the country, or humanity.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Tener conciencia de donde uno/a se encuentra en el espacio y de que ruta debe seguir para llegar al destino deseado es una función fundamental tanto para los animales como para los seres humanos. En 2014 May-Britt Andreassen recibe el Premio Nobel de Medicina compartido con su marido Edvard Moser y su mentor John O’Keefe por sus descubrimientos de células que constituyen un sistema de posicionamiento en el cerebro, una especie de GPS interno formado por varios tipos de células que trabajan conjuntamente en función de nuestros movimientos. Este sistema de interacciones nos permite comprender dónde estamos, cómo orientarnos y navegar por el espacio que nos rodea.

May-Britt Andreassen nace en Fosnavåg, en Noruega, el 4 de enero de 1963. Crece con sus cuatros hermanos en una granja, hija de un carpintero y de un ama de casa. Desde muy pequeña siente curiosidad por el mundo y está decidida a alcanzar sus objetivos. En la escuela es una estudiante normal que prefiere pasar el rato con sus amigos y sus amigas que con los libros. Sin embargo, descubre una inclinación natural por los temas científicos que cultiva con pasión y gracias al estímulo de su familiasy su profesorado. Al terminar la escuela se matricula en la Universidad de Oslo, más porque sus hermanas estaban allí que por una idea clara del camino a seguir. En aquel momento, el futuro es una gran incógnita para May-Britt: su única certeza era que no quería convertirse en una simple ama de casa, según las costumbres de su lugar de nacimiento, y que quería hacer de la ciencia su carrera. Tras renunciar a un puesto de odontóloga, decide matricularse en la Facultad de Psicología, junto con quien más tarde seríia su esposo, Edvard Moser. Lo que los mueve es el deseo de estudiar el cerebro humano y el modo en que genera el comportamiento. La pareja se casa en julio de 1985 y sucesivamente tienen dos hijas, Isabel y Ailin. La familia no es un obstáculo para la pareja: May-Britt y Edvard Moser, tras una carrera universitaria brillante, obtienen el doctorado en Neurociencias en 1995 con una investigación del papel del hipocampo en la percepción espacial de los ratones y su sentido de orientación.

Entre el 1995 y el 1996, los Moser continúan sus investigaciones en Londres y Edimburgo bajo la supervisión de John O’Keefe: realizando pequeñas lesiones en la parte dorsal y ventral del hipocampo de unos ratones, analizan los efectos con respecto a su capacidad de orientarse y reconocer el espacio que los rodea. En 1997, May-Britt Moser se convierte en profesora adjunta en Psicología Biológica en la facultad de Ciencias y Tecnologías deTrondheim (UNCT), donde, en 2000, consigue una cátedra de Neurociencias. En 2002 funda el Centro de Biología de la memoria y el Instituto de los sistemas de Neurociencias. Desde 2013 es directora del Centro de Computación Neural, un centro de excelencia íntegramente financiado por el gobierno Noruego, donde continúa sus estudios del cerebro. Ese mismo año le confieren el Premio Louise Gross Horwitz y el Premio Madame Beyer por su excelente capacidad de gestión y espíritu de equipo, sus logros científicos y sus elevadas normas éticas. Junto con su esposo, May-Britt Moser es pionera en los estudios de mecanismos que le permiten al cerebro imaginar y percibir el espacio. Tener conciencia de dónde uno/a se encuentra y que ruta debe seguir para llegar al destino deseado es una característica fundamental tanto para los seres humanos como para otros animales. La señal que se activa cada vez que necesitamos ubicarnos en el espacio parece proceder de una parte muy interna del cerebro, donde parece que no llegan los inputs sensoriales. Esto implica que la señal que luego llega a las ‘células de lugar’ – responsables de la reconstrucción de un mapa del entorno en el cerebro – se genera por sí sola y no en respuesta a estímulos externos.

En sus estudios en Edimburgo, a través de experimentos con ratones y comparaciones con investigaciones de otros científicos, la atención de la pareja se centra en una parte de la formación del hipocampo, la corteza entorrinal, una de las primeras partes del cerebro que sufre el deterioro cognitivo debido a enfermedades como el morbo de Alzheimer. A pesar de esto, dichos estudios de la corteza siguen siendo escasos cuando los Moser teorizan que probablemente las señales que permiten la orientación procedan de esta zona. Una intuición que parece confirmarse en otros experimentos realizados con ratones. En una jaula se crea un laberinto de agua con algunos obstáculos; los animales tienen que encontrar el camino correcto para salir y conseguir su premio en galletas. Los ratones, que llevan electrodos, son reintroducidos en el laberinto hasta que aprenden a reconocer el camino correcto. Luego, les crean minúsculas lesiones en distintas partes del cerebro para ver cuáles de ellas influyen en la habilidad de los ratones de reconocer el entorno que los rodea y el camino correcto para salir. En 2005, la investigación dio sus frutos. El año anterior. la atención de los Moser se había centrado en la parte dorso-medial de la corteza entorrinal, justo encima la parte del hipocampo que se ocupa de la memoria. Experimentos anteriores habían demostrado que los ratones con lesiones en esta parte del hipocampo ya no podían aprender cómo orientarse en el laberinto, mientras no tenían ese tipo de problema si las lesiones se hacían en otras partes. Cada vez que el ratón volvía al mismo punto en cada intento de recorrer el laberinto, con sorprendente regularidad, mostraba picos de actividad cerebral. Con un análisis más detallado, los Moser observan que, cuando los ratas corrían libremente por sus recintos y volvían al mismo lugar, los picos de actividad en cada electrodo no solo estaban espaciados uniformemente, sino que también eran similares en dirección y tamaño. La actividad formaba una cuadricula de hexágonos regulares, de ahí el nombre de la célula recién descubierta: ‘célula rejilla’. Por lo tanto, el cerebro imagina el mundo como una rejilla: cuando percibe la información del exterior, la misma es codificada en un tipo de señal GPS que luego nos ayuda a orientarnos en el espacio que nos rodea.

En 2006 se descubren las Head direction cells (literalmente: las células de dirección de la cabeza) que se activan para indicar la dirección en la que el animal ha movido la cabeza. En 2008 les toca a las border cells (células de frontera) que responden a la presencia de un límite ambiental a una dirección y a una distancia determinada. La actividad de estas distintas neuronas y la interacción entre sí nos permiten ubicarnos en el espacio y orientarnos. Además, al ser la primera parte del cerebro la dañada por enfermedades degenerativas como el Alzheimer, esto explica la pérdida del sentido de orientación como primer síntoma. Por el descubrimiento de estas células y la manera en que trabajan conjuntamente se le concedió el Nobel en 2014, que May-Britt comparte con su actual exmarido Edvard y su mentor John O’Keefe.

Hoy en día, May-Britt Moser es aún directora del Centro de Computación Neural y profesora en Neurociencias en la UNCT de Trondheim, donde sigue con sus estudios sobre el cerebro. Entre los varios premios que ha recibido por sus investigaciones, se encuentran el Premio Karl Spencer Lashley y el Premio Körber European Science en 2014, el Premio Erna Hamburger en 2016 y la Gran Cruz de San Olaf de la Real Orden Noruega en 2018, otorgada a quienes se han distinguido por sus servicios al Rey, al país o a la humanidad.

 

Svetlana Aleksievic
Laura Candiani





Juliette Bonvallet

 

Nobel per la letteratura «Per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo».

I primati di Aleksievič sono almeno due: è la prima persona bielorussa a ottenere il premio Nobel (2015) ed è la prima scrittrice a vedere riconosciuti il merito e la qualità del romanzo-inchiesta. Nata a Ivano-Frankivsk (Ucraina) il 31 maggio 1948, Svetlana (Svjatlana) Aljaksandraŭna è figlia di un bielorusso e di una ucraina; vive in Bielorussia dove i genitori insegnano nelle scuole rurali; dopo gli studi superiori svolge un periodo di praticantato prima di accedere alla facoltà di Giornalismo di Minsk. Finita l’università, lavora come giornalista e come insegnante, incerta sul suo futuro professionale. La svolta avviene quando è assunta come inviata dal giornale a diffusione nazionale Sel’skaja gazeta, quindi diviene responsabile della sezione di critica e saggistica della rivista letteraria Neman. Nel 1983 il suo libro appena concluso La guerra non ha un volto di donna rimane bloccato dalla censura; quando finalmente esce, vende due milioni di copie; altre opere vedono la luce e si susseguono gli adattamenti per il teatro e il cinema, nonché le traduzioni e i riconoscimenti ufficiali.

Nel 1989 viene stampata un’altra opera fondamentale, frutto di quattro intensi anni di ricerche: Ragazzi di zinco (con riferimento alle bare in cui venivano restituiti i corpi dei soldati morti) in cui racconta la guerra in Afghanistan. Viene accusata di nuovo di antipatriottismo e tendenziosità, ma in breve, anche per le pressioni internazionali, le accuse si smontano. Nel 1993 pubblica Incantati dalla morte. È del 1997 il bellissimo Preghiera per Černobyl’ in cui tratta la tragedia della Bielorussia, coinvolta dal 70% della caduta radioattiva. Nonostante i successi, la stima, la notorietà, Aleksievič ha vissuto dodici anni fra la Francia, l’Italia, la Russia, la Svezia per l’accusa, ovviamente falsa, di essere una agente della Cia; solo nel 2013 è ritornata a vivere a Minsk, ma già nel 2020 si è dovuta trasferire in Germania. Il dato da evidenziare è senz’altro l’originalità della sua scrittura, non essendo una narratrice vera e propria: è piuttosto una testimone, una reporter, una “voce” del popolo che ha creato in lingua russa il genere del romanzo-inchiesta, detto pure “prosa epico-corale”, “letteratura non fiction”, come in Italia possiamo leggere Gomorra o Zero zero zero di Roberto Saviano. Alle vicende raccontate, ispirate a fatti e personaggi reali, si uniscono commenti, dati, interviste, frutto di lunghi e difficili viaggi in Russia e nel mondo, anche nelle vesti di giornalista. Importanti nella sua formazione sono stati gli scrittori Alexandr Herzen e Ales’ Adamovič che già aveva sperimentato in lavori collettivi il nuovo modo di narrare riferendo della guerra e dell’assedio di Leningrado. «Afferrare quanto vi è di autentico, ecco cosa volevo. E ho assimilato all’istante questo genere, fatto delle voci di uomini e donne, di confessioni, testimonianze e documenti dell’anima delle persone», ha affermato Aleksievič.

Già la prima opera (traducibile come: Monologhi di persone che abbandonano i luoghi natii) le aveva portato accuse di antipatriottismo. Dopo La guerra non ha un volto di donna (Bompiani 2015), sulle sovietiche al fronte durante la Seconda guerra mondiale, uscito sulla rivista Oktjabr e poi a stampa, pubblica un altro libro su quel periodo contenente cento storie di vita vissuta durante l’occupazione tedesca (Gli ultimi testimoni, Bompiani 2016). Anche qui compaiono delle novità: la guerra è infatti vista senza eroismo, attraverso lo sguardo stupito e sconvolto delle donne e di bambini e bambine.

I ragazzi di zinco (e/o 2003), che fa riferimento alla guerra in Afghanistan «tenuta per dieci anni celata al proprio popolo», racconta le vicende dei giovani caduti, ricordati attraverso le parole di madri, sorelle, mogli incontrate in tutto il Paese. L’effetto sull’opinione pubblica fu dirompente. Nel 1993 altra tappa, che va di pari passo con il crollo dell’Urss e i cambiamenti intervenuti; questa volta è un testo dolentissimo (Incantati dalla morte, e/o 2005) in cui riferisce delle esistenze travagliate di coloro che si sono suicidati, o hanno cercato la morte, per la delusione politica, per il vuoto ideologico. Preghiera per Černobyl’ (e/o 2002) mette in luce un aspetto spesso ignorato in Occidente, ovvero il tremendo danno arrecato da quella tragedia alla popolazione e al suolo della Bielorussia che, a distanza di anni, paga ancora gravi conseguenze in termini di malattie, invalidità, contaminazioni. Dal libro la stessa autrice ha tratto un lavoro teatrale che dovrebbe essere un monito all’umanità, mentre la natura ha ripreso il sopravvento in quei luoghi abbandonati. Ma la vicenda più recente di Fukushima, puntualizza Aleksievič, segna l’ennesima sconfitta perché «l’uomo di oggi non vuole ammettere di non essere onnipotente».

Nel 2014 in Italia è stato tradotto Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo (Bompiani); la scrittrice in quel periodo ebbe a dichiarare di aver chiuso con «il tema dell’impero rosso e dell’homo sovieticus» e di voler privilegiare altri progetti: uno sui rapporti fra donne e uomini e un altro «sulla vecchiaia, sul tramonto, sugli ultimi passi prima del buio».

Nel 2016 è comparso Il male ha nuovi volti. L’eredità di Černobyl’ mentre nel 2019 è stata la volta del libro-intervista Solo l’amore salva dall’ira. Ultimo uscito, nel 2021, Perché sono discesa all’inferno? Dopo le elezioni truccate del dittatore Lukashenko e le vaste proteste popolari scoppiate in Bielorussia dal 9 agosto 2020, con la violenta repressione condotta dal regime contro coloro che lottano per la democrazia, sta scrivendo un nuovo libro per raccontare le storie di compatriote e compatrioti che hanno subito arresti e torture nelle famigerate carceri e di chi (come lei) viene costretta ad abbandonare il Paese per vivere in libertà (si parla di 500.000 persone, una catastrofe umanitaria). Ha dichiarato in una recentissima intervista (a cura di Anna Zafesova su Tuttolibri, 8.1.22) «la Bielorussia mi ha cancellato dai libri di storia ma io non mi arrendo alla tirannia».

In Italia la scrittrice ha ricevuto il premio Sandro Onofri per il reportage narrativo nel 2002, mentre nel 2013 ha ottenuto il prestigioso Peace Prize of the German Book Trade; nel 2014, ancora in Italia, ebbe il premio internazionale Masi Grosso d’Oro Veneziano. La consacrazione avvenne con il premio Nobel nel 2015. Molto interessante il contributo di Roberto Saviano uscito in quella circostanza: nel bell’articolo Così il Nobel della realtà rivoluziona la letteratura (www.repubblica.it/cultura/2015/10/12/) evidenziò i pregi della scrittura di Aleksievič, che sentiva a sé assai vicina; parlò di un vero terremoto nell’ambito del premio perché per la prima volta si riconosceva che la “non fiction” può essere vera e grande letteratura.

Nel 2021 le è stata conferita la Gran Croce dell’ordine al merito della Repubblica Federale Tedesca.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de littérature 2015. «Pour son écriture polyphonique, un monument à la souffrance et au courage à notre époque»

Les records d’Aleksievič sont au moins deux : elle est la première personne biélorusse à obtenir le prix Nobel et elle est la première écrivain à voir reconnu le mérite et la qualité du roman-enquête Née à Ivano-Frankivsk (Ukraine) le 31 mai 1948, Svetlana (Svjatlana) Aljaksandraŭna est la fille d’un Bélarussien et d’une Ukraine; elle vit en Biélorussie où ses parents enseignent dans les écoles rurales; après ses études secondaires, elle effectue un stage avant d’entrer à la faculté de journalisme de Minsk. Après ses études, elle travaille comme journaliste et enseignante, incertaine de son avenir professionnel. Le tournant a lieu lorsqu’elle est assumée comme envoyée par le journal à diffusion nationale Selskaïa gazeta, puis devient responsable de la section critique et non-fiction de la revue littéraire Neman. En 1983, son livre La guerre n’a pas de visage de femme est bloqué par la censure; quand il sort enfin, elle vend deux millions d’exemplaires; d’autres œuvres voient le jour et les adaptations pour le théâtre et le cinéma se succèdent, ainsi que les traductions et les reconnaissances officielles.

En 1989, une autre œuvre fondamentale est imprimée, fruit de quatre années intenses de recherches:Des garçons en zinc (en référence aux cercueils dans lesquels étaient restitués les corps des soldats morts) dans laquelle elle raconte la guerre en Afghanistan. Elle est à nouveau accusée d’antipatrioctisme et de tendance, mais en bref, même sous la pression internationale, les accusations sont abandonnées. En 1993, elle publie Incantati dalla morte. C’est en 1997 la très belle Prière pour Chernobyl dans laquelle elle traite de la tragédie de la Biélorussie, impliquée par 70% de la chute radioactive. Malgré les succès, l’estime, et la notoriété, Aleksievič a vécu douze ans entre la France, l’Italie, la Russie, et la Suède pour l’accusation, bien sûr fausse, d’être un agent de la CIA; ce n’est qu’en 2013 qu’elle est revenue à Minsk, mais elle a dû déménager en Allemagne dès 2020. La donnée à souligner est sans doute l’originalité de son écriture, n’étant pas une vraie narratrice : c’est plutôt un témoin, une journaliste, une "voix" du peuple qui a créé en langue russe le genre du roman-enquête, dit aussi "prose épico-chorale", "littérature non-fiction", comme en Italie, nous pouvons lire Gomorra ou Zero zero zero de Roberto Saviano. Aux histoires racontées, inspirées par des faits et des personnages réels, s’unissent commentaires, données, interviews, fruit de longs et difficiles voyages en Russie et dans le monde, même en tant que journaliste. Les écrivains Alexandr Herzen et Ales' Adamovič étaient importants dans sa formation qui avait déjà expérimenté dans le travail collectif la nouvelle façon de raconter la guerre et le siège de Leningrad.«Saisir ce qui est authentique, voilà ce que je voulais. Et j’ai assimilé instantanément ce genre, fait des voix d’hommes et de femmes, des confessions, des témoignages et des documents de l’âme des personnes», a affirmé Aleksievič.

La première œuvre (traduisible comme: Monologues de personnes qui abandonnent leurs lieux nataux) lui avait déjà apporté des accusations d’antipatriottisme. Après La guerre n’a pas de visage de femme (Bompiani 2015), sur les Soviétiques au front pendant la Seconde Guerre mondiale, publié dans le magazine Oktjabr puis imprimé, elle publie un autre livre sur cette période contenant cent histoires de vie vécues pendant l’occupation allemande (Les derniers témoins, Bompiani 2016). Ici aussi, apparaissent des nouveautés : la guerre est en effet vue sans héroïsme, à travers le regard étonné et bouleversé des femmes et des enfants.

Les garçons en zinc (et/ou 2003), qui fait référence à la guerre en Afghanistan «tenue pendant dix ans cachée à leur propre peuple», raconte les événements des jeunes morts, rappelés à travers les paroles de mères, sœurs, et épouses rencontrées dans tout le pays. L’effet sur l’opinion publique fut dévastateur. En 1993, une autre étape, qui va de pair avec l’effondrement de l’URSS et les changements intervenus; cette fois c’est un texte très douloureux (Enchantés par la mort, et/ou 2005) dans lequel elle rapporte des existences tourmentées de ceux qui se sont suicidés, ou ont cherché la mort, la déception politique, et le vide idéologique. Prière pour Tchernobyl' (e/o 2002) met en évidence un aspect souvent ignoré en Occident, à savoir les terribles dommages causés par cette tragédie à la population et au sol du Belarus qui, après des années, paie encore de graves conséquences en termes de maladies, l’invalidité, et la contamination. Dans le livre, l’auteure elle-même a tiré un travail théâtral qui devrait être un avertissement à l’humanité, tandis que la nature a repris le dessus dans ces lieux abandonnés. Mais l’histoire plus récente de Fukushima, précise Aleksievič, marque une énième défaite parce que «l’homme d’aujourd’hui ne veut pas admettre qu’il n’est pas tout-puissant».

En 2014, Tempo d’occasion a été traduit en Italie. La vie en Russie après la chute du communisme (Bompiani); l’écrivain à cette époque a déclaré qu’elle avait terminé avec «le thème de l’empire rouge et de l’homo sovieticus» et qu’elle voulait privilégier d’autres projets : un sur les relations entre les femmes et les hommes et un autre «sur la vieillesse, sur le coucher du soleil, sur les derniers pas avant l’obscurité».

En 2016 est apparu Le mal a de nouveaux visages. L’héritage de Tchernobyl' alors qu’en 2019, c’était au tour du livre-interview Seul l’amour sauve de la colère. Le dernier publié, en 2021, Pourquoi suis-je descendu en enfer? Après les élections truquées du dictateur Loukachenko et les vastes manifestations populaires qui ont éclaté en Biélorussie depuis le 9 août 2020, avec la répression violente menée par le régime contre ceux qui luttent pour la démocratie, elle écrit un nouveau livre pour raconter les histoires de compatriotes qui ont été arrêtés et torturés dans les prisons tristement célèbres et de ceux qui (comme elle) sont forcés de quitter le pays pour vivre en liberté (on parle de 500000 personnes, une catastrophe humanitaire). Elle a déclaré dans une interview très récente (par Anna Zafesova sur Tuttolibri, 8.1.22) «le Belarus m’a rayé des livres d’histoire mais je ne me rends pas à la tyrannie».

En Italie, elle a reçu le prix Sandro Onofri pour le reportage narratif en 2002, puis en 2013 le prestigieux prix Peace of the German Book Trade. La consécration a eu lieu avec le prix Nobel en 2015. La contribution très intéressante de Roberto Saviano parue à cette occasion : dans l’article Ainsi, le Nobel de la réalité révolutionne la littérature (www.repubblica.it/culture/2015/10/12/) souligna les mérites de l’écriture d’Aleksievič, qu’elle sentait très proche; elle a parlé d’un vrai tremblement de terre dans le cadre du prix parce que, pour la première fois, on reconnaissait que la "non-fiction" peut être une vraie et grande littérature.

En 2021, elle a reçu la Grande Croix de l’ordre du Mérite de la République fédérale d’Allemagne.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Awarded "For her polyphonic writing, a monument to suffering and courage in our time."

Aleksievič's firsts are at least two: she is the first Belarusian person to be awarded the Nobel Prize and she is the first writer to see the merit and quality of the “investigative novel” recognized. Born in Ivano-Frankivsk (Ukraine) on May 31, 1948, Svetlana (Svjatlana) Aljaksandraŭna is the daughter of a Belarusian and a Ukrainian. She lived in Belarus, where her parents taught in rural schools. After high school she did a practicum before entering the Faculty of Journalism in Minsk. After finishing university, she worked as a journalist and a teacher, uncertain about her professional future. The turning point came when she was hired as a correspondent by the nationally circulated newspaper Sel'skaja gazeta, then became head of the criticism and nonfiction section of the literary magazine Neman. In 1983 her just-completed book War’s Unwomanly Face was blocked by censorship. When it finally came out, it sold two million copies. Following that, other works saw the light of day, and adaptations for theater and film followed, as well as translations and official recognition.

In 1989, another seminal work was printed, the result of four intense years of research, Zinky Boys (referring to the zinc coffins in which the bodies of dead soldiers were returned) in which she recounts stories from the war in Afghanistan. She was accused again of being unpatriotic and of tendentiousness, but in short order, partly due to international pressure, the charges were dropped. In 1993 she published Enchanted by Death. In 1997 she published the beautiful Cernobyl Prayer in which she deals with the tragedy of Belarus, impacted by 70 percent of the radioactive fallout. Despite her successes, esteem, and notoriety, Aleksievič lived twelve years in France, Italy, Russia, and Sweden because of obviously false accusations of being a CIA agent. Only in 2013 did she return to live in Minsk, but in 2020 she once again had to leave Belarus to move to Germany. A fact to be highlighted is undoubtedly the originality of her writing, as she is not simply a narrator. She is rather a witness, a reporter, a "voice" of the people who created in the Russian language the genre of the “investigative novel,” also called "epic-choral prose," "nonfiction literature," as in Italy we can read Gomorra or Roberto Saviano's Zero zero zero. The events recounted, inspired by real facts and characters, are combined with commentary, data, and interviews, the result of her long and difficult travels in Russia and around the world, including as a journalist. Important in her formation were writers Alexandr Herzen and Ales' Adamovič, who had already experimented in collective works with the new way of storytelling by reporting on the war and the siege of Leningrad. "Grasping what is authentic in it, that's what I wanted. And I instantly assimilated this genre, made of the voices of men and women, of confessions, testimonies and documents from people's souls," Aleksievič said.

Early on, her first work (translatable as: Monologues of People Leaving Their Native Places) had brought her accusations of unpatriotism. After The Unwomanly Face of War, about Soviet women at the front during World War II, which came out in Oktjabr magazine and then as a book, she published another book about that period containing one hundred stories of lives lived during the German occupation (The Last Witnesses: A Hundred Unchildlike Lullabies). Novelties appear here as well - the war is in fact seen without heroism, through the astonished and shocked gaze of women and young children.

Zinky Boys: Soviet Voices from the Afghanistan War (WW Norton 1992), which refers to the war in Afghanistan "kept for ten years concealed from its own people," tells the stories of the young men who fell, remembered through the words of mothers, sisters, and wives met throughout the country. The effect on public opinion was disruptive. In 1993 another tragedy, which went hand in hand with the collapse of the USSR and the changes that followed. This time it was a very sorrowful text (Enchanted by Death) in which she reports on the troubled existences of those who committed suicide, or sought death, because of political disappointment, or ideological emptiness. Cernobyl Prayer highlights an aspect of the disaster often ignored in the West, namely the tremendous damage done by that tragedy to the people and soil of Belarus, which, years later, is still paying serious consequences in terms of disease, disability, and contamination. From the book the author herself has made a theatrical work that should be a warning to humanity as nature has tried to regain the upper hand in those abandoned places. But the most recent Fukushima event, Aleksievič points out, marks yet another defeat because "today's man does not want to admit that he is not omnipotent."

Secondhand Time: The Last of the Soviets (Random House 2016) is about life in Russia after the collapse of Communism. The writer at that point declared that she was done with "the theme of the red empire and homo sovieticus" and that she wanted to prioritize other projects - one about the relations between women and men, and another "about old age, about the sunset, about the last steps before the darkness."

Following dictator Lukashenko's rigged elections and the widespread popular protests that have erupted in Belarus since August 9, 2020, with the violent repression conducted by the regime against those fighting for democracy, she is writing a new book to tell the stories of compatriots who have suffered arrests and torture in the notorious prisons and those (like her) who have been forced to leave the country to live in freedom (500,000 people are reportedly being forced to leave the country to live in freedom, a humanitarian catastrophe). She said in a very recent interview (edited by Anna Zafesova in Tuttolibri, 1/8/2022) "Belarus has erased me from the history books but I do not give in to tyranny."

In Italy the writer received the Sandro Onofri prize for narrative reporting in 2002, while in 2013 she was awarded the prestigious Peace Prize of the German Book Trade. In 2014, again in Italy, she was awarded the international Masi Grosso d'Oro Veneziano prize. Consecration came with the Nobel Prize in 2015. Roberto Saviano's contribution that came out on that occasion was very interesting - in the beautiful article Thus the Nobel of Reality Revolutionizes Literature (www.repubblica.it/cultura/2015/10/12/) he highlighted the merits of Aleksievič's writing, which he felt were very close to him. He spoke of a real earthquake in the sphere of the prize because for the first time it was recognized that "nonfiction" can be true and great literature.

In 2021 she was awarded the Grand Cross of the Order of Merit of the Federal Republic of Germany.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Premio Nobel de Literatura en 2015. «Por su escritura polifónica, un monumento al sufrimiento y el coraje en nuestro tiempo».

Los récords de Aleksievič son al menos dos: es la primera persona bielorrusa en obtener el premio Nobel y es la primera escritora en ver reconocidos el mérito y la cualidad de la novela-investigación. Nacida en Ivano-Frankivsk (Ucrania) el 30 de Mayo de 1948, Svetlana (Svjatlana) Aljaksandraûna es hija de un bielorruso y de una ucraniana; vive en Bielorrusia donde sus padres enseñan en las escuelas rurales; finalizados los estudios secundarios, realiza un período de prácticas antes de acceder a la Facultad de Periodismo de Minsk. Una vez terminada la universidad, trabaja como periodista y como profesora, incierta sobre su futuro profesional. El cambio ocurre cuando es contratada como enviada por el periódico de difusión nacional Sel’skaja gazeta, y se convierte en responsable de la sección de crítica y ensayo de la revista literaria Neman. En 1983 termina la novela La guerra no tiene rostro de mujer pero la censura impide su publicación; cuando finalmente ve la luz, vende dos millones de ejemplares; seguirán muchas otras obras a la vez que se producirán adaptaciones de las mismas para el teatro y el cine, así como traducciones y reconocimientos oficiales.

En 1989 se publicó otra obra fundamental, fruto de cuatro intensos años de investigación: Los muchachos de zinc. Voces soviéticas de la Guerra de Afganistán (con referencia a los ataúdes en los que se devolvían los cuerpos de los soldados muertos) en la que relata la guerra en Afganistán. Fue acusada por segunda vez de antipatriotismo y favoritismo, pero muy pronto, gracias también a las presiones internacionales, las acusaciones perdieron fuerza. En 1993 publicó Зачарованные смертью (Fascinados por la muerte, sin traducción al español). Es de 1997 el hermoso Voces de Chernóbil. Crónica del futuro, donde trata la tragedia de Bielorrusia, afectada en un 70% por la lluvia radiactiva. A pesar de los logros, la estimación y la notoriedad, Aleksievič ha vivido doce años entre Francia, Italia, Rusia y Suecia por la acusación, obviamente falsa, de ser una agente de la CIA; solo en 2013 volvió a vivir en Minsk, pero en 2020 tuvo que irse a Alemania. Lo que hay que destacar es la originalidad de su escritura, al no ser ella una auténtica novelista: es más bien un testigo, una reportera, una ‘voz’ del pueblo que creó en ruso el género de la novela-investigación, también llamado ‘prosa épica-coral’ o ‘literatura de no ficción’. A los hechos contados, inspirados en casos y personas reales, se añaden comentarios, datos, entrevistas, fruto de largos y difíciles viajes por Rusia y por todo el mundo, también en calidad de periodista. Para su formación fueron importantes los escritores Alexandr Herzen y Ales’ Adamovich que ya había experimentado en trabajos colectivos esta nueva forma de narrar informando sobre la guerra y el asalto de Leningrado. «Agarrar lo que es auténtico, eso es lo que quería. Asimilé este género al instante, hecho de voces de hombres y mujeres, de confesiones, testimonios y documentos del alma de las personas», afirmó Aleksiévich.

Ya la primera obra (traducible como Monólogos de personas que abandonan sus tierras natales) le había provocado acusaciones de antipatriotismo. Después de У войны не женское лицо (La guerra no tiene rostro de mujer, Debate 2015), sobre las soviéticas en primera línea durante la Segunda guerra mundial, publicado primero en la revista Oktjabr y luego bajo forma de libro, publica otro volumen sobre aquel período que contiene cien historias de vida vivida durante la ocupación alemana, Последние свидетели сто недетских рассказов (Últimos testigos. Los niños de la Segunda Guerra Mundial, Debate 2016). Aquí también aparecen novedades: la guerra es vista sin heroísmo, a través de la mirada asombrada y estremecida de mujeres, niños y niñas.

Los muchachos de zinc (Debate 2016), que hace referencia a la guerra en Afganistán “mantenida oculta durante diez años a su propio pueblo”, narra los acontecimientos de los jóvenes caídos, recordados a través de las palabras de madres, hermanas, esposas visitadas por todo el país. El efecto en la opinión pública fue quebrantador. En 1993, otra etapa, que va de la mano con el colapso de la URSS y los cambios que se produjeron; esta vez es un texto muy doloroso Зачарованные смертью (Fascinados por la muerte, sin traducción española) donde habla de las existencias dolorosas de quienes se han suicidado, o han buscado la muerte, por la decepción política, por el vacío ideológico. Voces de Chernóbil (La plegaria de Chernóbil, Casiopea 2002; Voces de Chernóbil, De Bolsillo 2006; Debate 2015) pone de relieve un aspecto a menudo ignorado en Occidente, es decir, el tremendo daño causado por esa tragedia a la población y al suelo de Bielorrusia que, a distancia de años, todavía sigue sufriendo graves consecuencias en términos de enfermedades, discapacidad, contaminación. La propia autora ha extrapolado una obra teatral que debería ser una advertencia para la humanidad, mientras la naturaleza ha tomado el control de aquellos lugares abandonados. Sin embargo, el desastre de Fukushima (2011), señala Aleksiévich, marca la enésima derrota porque “el hombre de hoy no quiere admitir que no es omnipotente”.

En 2015 se tradujo al español Время секонд хэнд (El fin del homo sovieticus, Acantilado); la escritora en aquel momento declaró que había terminado con «el tema del Imperio Rojo y del homo sovieticus» y que quería dar prioridad a otros proyectos: uno sobre las relaciones entre mujeres y hombres y otro «sobre la vejez, el atardecer, sobre los últimos pasos antes de la oscuridad».

Un importante entrevista es Warum bin ich in die Holle hinabgestiegen? publicada en 2013 (Por qué bajé al infierno?); otra, Il male ha nuovi volti (El mal tiene nuevos rostros) se publicó en 2016 en Italia y otra aún en 2018, cuando la revista Ord&Bild publicó la entrevista de su director, Staffan Julén, a la escritora Only love can save those who are infected with anger (Solo el amor puede salvar a quienes están infectados por la ira). Ninguna de ellas tiene traducción al español. Después de las elecciones fraudulentas del dictador Lukashenko y tras las grandes protestas populares que estallaron en Bielorrusia a partir del 9 de agosto de 2020, con la violenta represión llevada a cabo por el régimen contra quienes luchaban por la democracia, está escribiendo un nuevo libro para contar las historias de compatriotas que han sufrido detenciones y torturas en cárceles tristemente célebres y de quienes, como ella, han tenido que abandonar el país para vivir en libertad (se trata de unas 500.000 personas, una catástrofe humanitaria). Ha afirmado en una entrevista reciente de Anna Zafesova publicada en Italia (Tuttolibri, 8.1.2022) “Bielorrusia me ha borrado de los libros de historia pero no me rindo a la tiranía”.

La escritora ha recibido el prestigioso Peace Prize of the German Book Trade (2013); el Premio Sandro Onofri (2022) por el reportaje narrativo y el Grosso d’Oro Veneziano (Premio Internazionale Masi 2014). Su consagración se produjo con el Premio Nobel de Literatura en 2015. Muy interesante la contribución del periodista italiano Roberto Saviano publicada en dicha circunstancia en el hermoso artículo Così il Nobel della realtà rivoluziona la letteratura (www.repubblica.it/cultura/2015/10/12/), donde destacaba los méritos de la escritura de Aleksiévich, que sentía muy cercana; hablando de un verdadero terremoto en el marco del premio porque por primera vez se reconocía que la “no ficción” puede ser una verdadera y gran literatura.

En 2021 recibió la Gran Cruz de la Orden de Mérito de la República Federal de Alemania.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з літератури 2015. «За її багатоголосу творчість — пам'ятник стражданню і мужності у наш час».

Рекордів Алексієвич принаймні дві: вона перша білоруска, яка отримала Нобелівську премію, і вона перша письменниця, яка побачила визнання заслуг та якості роману-розслідування. Народилася 31 травня 1948 року в Івано-Франківську (Україна). Світлана Олександрівна — донька білоруса та українки; проживає в Білорусі, де батьки працюють вчителями в сільських школах; після закінчення середньої школи вона провела період учнівства перед тим, як вступити на факультет журналістики в Мінську. Після університету вона працює журналістом і викладачем, не впевнена щодо свого професійного майбутнього. Переломним був момент, коли її взяли кореспондентом до республіканської Сельской газете, потім вона стала завідувачем відділу критики та публіцистики літературного журналу Нёман. У 1983 році її щойно завершена книга У війни не жіноче обличчя була заблокована цензурою; коли книга нарешті вийшла, письменниці вдається продати два мільйони примірників; в цей час виходять інші твори, відбуваються екранізації для театру та кіно, а також переклади та офіційні нагороди. Переломним був момент, коли її взяли кореспондентом до республіканської Сельской газете, потім вона стала завідувачем відділу критики та публіцистики літературного журналу Нёман. У 1983 році її щойно завершена книга У війни не жіноче обличчя була заблокована цензурою; коли книга нарешті вийшла, письменниці вдається продати два мільйони примірників; в цей час виходять інші твори, відбуваються екранізації для театру та кіно, а також переклади та офіційні нагороди.

У 1989 році була надрукована ще одна фундаментальна письмова робота, результат чотирьох років інтенсивних досліджень: Цинкових хлопчиків (з посиланням на труни, в яких повертали тіла загиблих солдатів), у якій вона розповідає про війну в Афганістані. Її знову звинувачують в антипатріотизмі та тенденційності, але за короткий час, також завдяки міжнародному тиску, звинувачення знімають. У 1993 році вона опублікувала Зачараваныя смерцю. У 1997 році вийшла прекрасна «Молитва за Чорнобиль», в якій вона розповідає про трагедію. Незважаючи на успіхи, повагу, популярність, Алексієвич дванадцять років прожила у Франції, Італії, Росії, Швеції за явно фальшивим звинуваченням у агентурі ЦРУ; лише в 2013 році вона повернулася жити в Мінськ, але вже в 2020 році їй довелося переїхати до Німеччини. Слід відзначити, безсумнівно, оригінальність її написання, не будучи справжнім оповідачем: вона радше свідок, репортер, «голос» людей, які створили жанр роману-розслідування російською мовою, відомий також як «епічно-хорова проза», «нон-фікшн література», як в Італії ми можемо прочитати Гоморру чи Нуль-нуль-нуль Роберто Савіано. До розказаних історій, натхненних реальними фактами та героями, додаються коментарі, дані, інтерв’ю, результат довгих і важких мандрівок Росією та світом, навіть як журналіста. Важливе значення в її навчанні мали письменники Олександр Герцен і Алесь Адамович, які вже в колективних творах випробували новий спосіб оповіді про війну та блокаду Ленінграда. «Схопити те, що є автентичним, ось чого я хотіла. І я миттєво засвоїла цей жанр, який складається з голосів чоловіків і жінок, зі сповідей, свідчень і документів душі народу», – сказала Алексієвич.

Уже перший твір Jauechal iz derevni викликав звинувачення в антипатріотизмі. Після У війни не жіноче обличчя, про совєтів на фронті під час Другої світової війни, опублікована в журналі Oktjabr, а потім у друкованому вигляді, публікує ще одну книгу про той період, яка містить сто історій життя під час німецької окупації (Останні свідки. Соло для дитячого голосу). І тут з’являється певне нововведення: війна постає фактично без героїзму, крізь здивовані та вражені погляди жінок, хлопців і дівчат.

Цинкових хлопчиків, у якому йдеться про війну в Афганістані, «яку десять років ховали від власного народу», розповідає історію загиблих молодих людей, згадуваних словами матерів, сестер, дружин, яких зустрічала письменниця по всій країні. Вплив на громадську думку був руйнівним. У 1993 році наступний етап, який йде рука об руку з розпадом СРСР і змінами, що відбулися; цього разу це дуже сумний текст (Зачаровані смертю 1994), у якому йдеться про важкі життя тих, хто покінчив життя самогубством або шукав смерті через політичне розчарування, через ідеологічну порожнечу. Чорнобильска молитва: хроніка майбутнього (1997) підкреслює аспект, який часто ігнорується на Заході, а саме величезну шкоду, завдану цією трагедією населенню та землі Білорусі, яка через роки все ще має серйозні наслідки у вигляді хвороб, інвалідності, радіоактивне забруднення. Сама авторка вивела з книжки театралізований твір, який має бути застереженням для людства. Але остання історія з Фукусімою, зазначає Алексієвич, знаменує собою ще одну поразку, тому що «сучасна людина не хоче визнавати, що вона не всемогутня».

У 2014 році Час second-hand було перекладено в Італії; письменниця тоді заявила, що закрила з темою «червоної імперії та homo sovieticus» і що вона хоче віддати перевагу іншим проектам: одному про стосунки між жінками та чоловіками, та іншому «про старість, про захід сонця, про останні кроки перед настанням темряви».

Після сфальсифікованих виборів диктатора Лукашенка та масштабних народних протестів, які спалахнули в Білорусі з 9 серпня 2020 року, враховуючи жорстокі репресії, які режим проводить проти тих, хто бореться за демократію, вона пише нову книгу, щоб розповісти історії співвітчизниць і співвітчизників, які були заарештовані та піддані тортурам у сумнозвісних в’язницях, і тих (як вона), які змушені залишити країна жити на свободі (йдеться про 500.ooo людей, гуманітарна катастрофа). Вона заявила в нещодавньому інтерв’ю (під редакцією Анни Зафєсової на Tuttolibri, 8.1.22): «Білорусь викреслила мене з підручників історії, але я не підкоряюся тиранії».

В Італії письменниця отримала нагороду Сандро Онофрі за оповідальний репортаж у 2002 році, а у 2013 році отримала престижну премію Peace Prize of the German Book Trade; у 2014 році знову в Італії отримала міжнародну нагороду Masi Grosso d'Oro Veneziano. Освячення відбулося разом із Нобелівською премією у 2015 році. Внесок Роберто Савіано, опублікований з цієї нагоди, є дуже цікавим: у чудовій статті Così il Nobel della realtà rivoluziona la letteratura (Таким чином Нобелівська реальність революціонізує літературу) (www.repubblica.it/cultura/2015/10/12/ ) підкреслює достоїнства письменницької творчості Алексієвич, які вiн відчуває дуже близькими собі; він говорив про справжній землетрус у контексті премії, оскільки вперше було визнано, що «нон-фікшн» може бути справжньою та великою літературою.

У 2021 році була нагороджена Великим хрестом ордена «За заслуги перед Федеративною Республікою Німеччина».

 

Tu Youyou
Julia Vegro






Juliette Bonvallet

 

Nel 2015 il Premio Nobel per la Medicina viene assegnato a Tu Youyou, per la scoperta di una nuova terapia contro la malaria. Il suo merito è quello di aver isolato dall’Artemisia annua un principio attivo, da lei denominato Qinghaosu nel 1972, e più tardi chiamato in Occidente artemisinina, e di aver dimostrato che questo componente è efficace contro i parassiti della malaria, sia negli animali che nell’essere umano. La scienziata cinese è la dodicesima donna a ricevere il Nobel per la Medicina. Con lei vengono premiati anche il dott. Satoshi Omura e il dott. William C. Campbell per la loro ricerca sul trattamento di malattie da parassiti, quali la cecità fluviale e la filariosi linfatica.

Come è stato spiegato durante la premiazione, tenutasi a Stoccolma, i farmaci che derivano dalle scoperte della scienziata e dai suoi due colleghi – l’avermectina, capace di annientare i nematodi, è il farmaco scoperto da Omura e Campbell; l’artemisinina è la cura di Tu contro la malaria – hanno salvato milioni di persone e garantito benefici enormi per chi ha contratto questo tipo di patologie. Tu Youyou nasce il 30 dicembre 1930 a Ningbo, in Cina. La sua famiglia dà grande importanza all’istruzione, ma durante l’adolescenza la ragazza si ammala di tubercolosi; un’esperienza che, da un lato, la costringe a prendersi una pausa dallo studio, dall’altro, la spinge decisamente verso una possibile carriera nel campo della medicina. Al Beijing Medical College, Tu studia Farmacologia e, quando si laurea nel 1955, all’età di 24 anni, va a lavorare all’Accademia di Medicina Tradizionale Cinese, dove rimarrà per tutta la carriera. Dunque, la sua formazione prevede sia la scienza farmaceutica moderna che la medicina tradizionale cinese: tale combinazione unica di approcci terapeutici le ha consentito di unire al meglio le conoscenze di entrambe le scuole.

Negli anni Sessanta, il Vietnam del Nord chiede aiuto alla Cina, sua alleata, per combattere la malaria, che sta causando enormi perdite nell'esercito. Allora, la malaria veniva curata con clorochina o chinino, ma con scarso successo, dato che il parassita unicellulare che causa la malattia era divenuto resistente al trattamento standard. Il 23 maggio 1967 il presidente Mao Ze Dong approva l’avvio di un progetto di ricerca segreto, denominato Progetto 523, con l’obiettivo di trovare una cura idonea. Per i primi anni le ricerche non danno risultati positivi e le migliaia di principi testati non si dimostrano efficaci. Nel 1969, quando ha 39 anni, la dottoressa Tu viene incaricata di seguire il Progetto 523. Decide di recarsi subito nell’isola di Hainan, nel sud della Cina, dove è in corso una terribile epidemia: in quelle foreste pluviali i casi erano in notevole aumento e Tu assiste all’effetto devastante della malattia sul corpo umano. Al suo ritorno a Pechino, si rivolge alla medicina fitoterapica tradizionale per cercare nuove soluzioni contro la malaria. Con caparbietà Tu consulta la letteratura antica cinese, in particolare il testo di Ge Hong Zhou hou bei ji fang (Manuale di prescrizioni per le emergenze), redatto nel 321 d.C. Il suo gruppo di lavoro, tra un ampio numero di rimedi erboristici e migliaia di ricette della tradizione farmacologica, nota un promettente estratto dell’Artemisia annua. Gli estratti venivano ottenuti tramite bollitura della pianta con acqua a 100°; tuttavia, in questo modo, il principio veniva danneggiato, dato che si rompeva il debole legame O-O, modificando la molecola, per cui non mostrava particolare efficacia. All’inizio sembrava non funzionare, fino a quando la dottoressa Tu non ha avuto un’intuizione: utilizzando un diverso solvente che permetteva l’estrazione del principio attivo alla temperatura di 35°, dunque molto inferiore, riesce a ottenere la molecola senza rompere il legame. Si rivela la scelta giusta. Il principio così estratto funzionava efficacemente su topi e scimmie. Poi, per passare al test su esseri umani, Tu e il suo gruppo di lavoro si offrono come volontari per verificare la sicurezza del preparato. Il successivo test su una serie di malati di malaria ha ottenuto la migliore efficacia rispetto alle precedenti cure.

Tu Youyou ha lavorato dunque su un’erba medicinale per contrastare la malaria: lo sviluppo del farmaco deriva infatti dalla farmacopea cinese e nasce da erbe studiate e utilizzate nella medicina tradizionale da oltre 1500 anni per curare le febbri intermittenti, un sintomo tipico della malattia. Tale molecola è oggi alla base di numerosi farmaci antimalarici. L’artemisinina, una nuova classe di agenti antimalarici, che annienta rapidamente i parassiti della malattia in uno stadio precoce del loro sviluppo, è divenuta ormai un presidio standard, dato che il principio attivo naturale si è dimostrato efficace anche laddove la clorochina non lo è più, vista la resistenza sviluppata da molti ceppi malarici. Costituisce un efficace trattamento salvavita per milioni di persone in Africa, Asia meridionale e Sud America, riducendo il tasso di mortalità delle/dei pazienti di oltre il 20% in generale e del 30% nell'infanzia. Solo per l’Africa, ciò significa più di 100.000 vite salvate ogni anno. Il riconoscimento alla dottoressa Youyou è stato però legato a una scoperta non recente: si trattava infatti di un lavoro svolto tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, che non verrà pubblicato in inglese fino al 1979. Nel 1981 l’Oms, la Banca mondiale e l’Onu la invitano a presentare pubblicamente la sua scoperta. Ci vorranno altri due decenni perché l’Oms raccomandi la terapia con artemisinina come prima linea di difesa contro la malaria.

La Premio Nobel Tu Youyou, oggi novantatreenne, è la prima persona di origine cinese i cui studi sono stati svolti esclusivamente nel suo Paese. Significativo è anche il fatto che il suo lavoro di ricerca non sia stato pubblicato, inizialmente, su una rivista scientifica di particolare importanza. Farmacologa ai vertici della China Academy of Traditional Chinese Medicine di Pechino dal 2000, è inoltre stata nominata per la Medaglia della Repubblica cinese. Nel 2011 è stata insignita del Clinical Medical Research Award dalla Lasker Foundation, che definisce la scoperta dell’artemisinina «probabilmente l’intervento farmaceutico più importante dell’ultimo mezzo secolo». Quando ha ricevuto il Nobel nel 2015, giustamente orgogliosa del proprio lavoro e dei suoi risultati, ha intitolato la sua conferenza Discovery of Artemisinin: A Gift from Traditional Chinese Medicine to the World: un segno di grande modestia e altruismo.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

n 2015, le prix Nobel de médecine a été décerné à Tu Youyou pour la découverte d’un nouveau traitement contre le paludisme. Son mérite est d’avoir isolé de l’artémise annuelle un ingrédient actif, qu’elle a appelé Qinghaosu en 1972, et plus tard appelé en Occident artémisinine, et d’avoir démontré que ce composant est efficace contre les parasites de la malaria, tant chez les animaux que chez l’être humain. La scientifique chinoise est la douzième femme à recevoir le prix Nobel de médecine. Avec elle, le Dr. Satoshi Omura et le Dr. William C. Campbell pour leur recherche sur le traitement des maladies parasitaires, telles que la cécité fluviale et la filariose lymphatique.

Comme cela a été expliqué lors de la cérémonie de remise des prix à Stockholm, les médicaments dérivés des découvertes de la scientifique et de ses deux collègues - l’avermectine, capable d’anéantir les nématodes, est le médicament découvert par Omura et Campbell; l’artémisinine est le remède de Tu contre le paludisme - ils ont sauvé des millions de personnes et garanti d’énormes bénéfices pour ceux qui ont contracté ce type de pathologie. Tu Youyou est né le 30 décembre 1930 à Ningbo, en Chine. Sa famille accorde une grande importance à l’éducation, mais à l’adolescence, la jeune fille tombe malade de la tuberculose; une expérience qui, d’une part, l’oblige à prendre une pause de l’étude, d’autre part, la pousse résolument vers une carrière possible dans le domaine de la médecine. Au Beijing Medical College, Tu étudie la pharmacologie et, quand elle obtient son diplôme en 1955, à l’âge de 24 ans, elle va travailler à l’Académie de médecine traditionnelle chinoise, où elle restera toute sa carrière. Ainsi, sa formation comprend à la fois la science pharmaceutique moderne et la médecine traditionnelle chinoise : cette combinaison unique d’approches thérapeutiques lui a permis de combiner au mieux les connaissances des deux écoles.

Dans les années 1960, le Nord-Vietnam demande de l’aide à la Chine, son allié, pour lutter contre le paludisme, qui cause d’énormes pertes dans l’armée. À l’époque, le paludisme était traité avec de la chloroquine ou de la quinine, mais avec peu de succès, car le parasite unicellulaire à l’origine de la maladie était devenu résistant au traitement standard. Le 23 mai 1967, le président Mao Ze Dong approuve le lancement d’un projet de recherche secret, dénommé Projet 523, dans le but de trouver un remède approprié. Pour les premières années, les recherches ne donnent pas de résultats positifs et les milliers de principes testés ne s’avèrent pas efficaces. En 1969, alors qu’elle a 39 ans, le Dr Tu est chargée de suivre le Projet 523. Elle décide de se rendre immédiatement à l’île de Hainan, dans le sud de la Chine, où une terrible épidémie est en cours : dans ces forêts pluviales les cas étaient en augmentation considérable et Tu assiste à l’effet dévastateur de la maladie sur le corps humain. À son retour à Pékin, elle se tourne vers la médecine phytothérapeutique traditionnelle pour rechercher de nouvelles solutions contre le paludisme. Avec entêtement Vous consultez la littérature ancienne chinoise, en particulier le texte de Ge Hong Zhou hou bei ji fang (Manuel de prescriptions pour les urgences), rédigé en 321 ap. J.-C., son groupe de travail, parmi un grand nombre de remèdes à base de plantes et des milliers de recettes de la tradition pharmacologique, note un extrait prometteur de l’Artemisia annuel. Les extraits ont été obtenus par ébullition de la plante avec de l’eau à 100°C ; cependant, de cette façon, le principe a été endommagé, car il a rompu la faible liaison O-O, modifiant la molécule, de sorte qu’il ne montre pas d’efficacité particulière. Au début, cela semblait ne pas fonctionner, jusqu’à ce que le Dr Tu ait une intuition : en utilisant un solvant différent qui permettait l’extraction du principe actif à une température de 35, donc beaucoup plus faible, elle parvient à obtenir la molécule sans rompre la liaison. Il s’avère être le bon choix. Le principe ainsi extrait fonctionnait efficacement sur les souris et les singes. Ensuite, pour passer au test sur les êtres humains, Toi et son groupe de travail se portent volontaires pour vérifier la sécurité de la préparation. Le test suivant sur un certain nombre de personnes atteintes du paludisme a obtenu la meilleure efficacité par rapport aux traitements précédents.

Tu Youyou a donc travaillé sur une herbe médicinale pour lutter contre le paludisme : le développement du médicament dérive en effet de la pharmacopée chinoise et naît d’herbes étudiées et utilisées en médecine traditionnelle depuis plus de 1500 ans pour soigner les fièvres intermittentes, un symptôme typique de la maladie. Cette molécule est aujourd’hui à la base de nombreux médicaments antipaludiques. L’artémisinine, une nouvelle classe d’agents antipaludiques, qui anéantit rapidement les parasites de la maladie à un stade précoce de leur développement, est désormais devenue une garnison standard, étant donné que le principe actif naturel s’est avéré efficace même lorsque la chloroquine ne l’est plus, compte tenu de la résistance développée par de nombreuses souches de malaria. Elle constitue un traitement efficace qui sauve la vie de millions de personnes en Afrique, en Asie du Sud et en Amérique du Sud, en réduisant le taux de mortalité des patients de plus de 20% en général et de 30% dans l’enfance. Rien que pour l’Afrique, cela signifie plus de 100000 vies sauvées chaque année. La reconnaissance du Dr Youyou a cependant été liée à une découverte récente : il s’agissait en effet d’un travail effectué entre les années Soixante et Soixante-dix du siècle dernier, qui ne sera publié en anglais qu’en 1979. En 1981, l’OMS, la Banque mondiale et l’ONU l’invitent à présenter publiquement sa découverte. Il faudra encore deux décennies pour que l’OMS recommande le traitement à l’artémisinine comme première ligne de défense contre le paludisme.

Le Prix Nobel Tu Youyou, aujourd’hui quatre-vingt-troi ans, est la première personne d’origine chinoise dont les études ont été menées exclusivement dans son pays. Il est également significatif que son travail de recherche n’ait pas été initialement publié dans une revue scientifique particulièrement importante. Pharmacologue à la tête de la China Academy of Traditional Chinese Medicine de Pékin depuis 2000, elle a également été nommée pour la médaille de la République de Chine. En 2011, elle a reçu le Clinical Medical Research Award de la Fondation Lasker, qui définit la découverte de l’artémisinine comme «probablement l’intervention pharmaceutique la plus importante du dernier demi-siècle ». Lorsqu’elle a reçu le prix Nobel en 2015, fière de son travail et de ses réalisations, elle a intitulé sa conférence Discovery of Artemisinin : A Gift from Traditional Chinese Medicine to the World: un signe de grande modestie et d’altruisme.


Traduzione inglese

Syd Stapleeton

In 2015 the Nobel Prize in Medicine was awarded to Tu Youyou, for the discovery of a new therapy against malaria. She was credited with isolating an active ingredient from Artemisia annua in 1972, which she named qinghaosu, later called artemisinin in the West, and demonstrating that this compound is effective against malaria parasites in both animals and humans. The Chinese scientist was the 12th woman to receive the Nobel Prize in Medicine. Also honored with her were Dr. Satoshi Omura and Dr. William C. Campbell for their research on treating parasitic diseases such as river blindness and lymphatic filariasis.

As was explained during the award ceremony, held in Stockholm, the drugs that resulted from the discoveries of the scientist and her two colleagues - avermectin, which can annihilate nematodes, was the drug discovered by Omura and Campbell, artemisinin was the malaria medication found by Tu - have saved millions of people and ensured tremendous benefits for those who have contracted these kinds of diseases. Tu Youyou was born on December 30, 1930, in Ningbo, China. Her family placed great importance on education, but during her teenage years, the girl fell ill with tuberculosis. It was an experience that, on the one hand, forced her to take a break from studying and, on the other, pushed her decisively to pursue a career in medicine. At Beijing Medical College, Tu studied Pharmacology, and when she graduated in 1955 at the age of 24, she went to work at the Academy of Traditional Chinese Medicine, where she would remain throughout her career. Thus, her training included both modern pharmaceutical science and traditional Chinese medicine. This unique combination of therapeutic approaches allowed her to effectively combine knowledge from both schools.

In the 1960s, North Vietnam asked for help from China, its ally, to fight malaria, which was causing huge casualties in the military. At the time, malaria was treated with chloroquine or quinine, but with little success, as the single-celled parasite that causes the disease had become resistant to the standard treatment. On May 23, 1967, Chairman Mao Ze Dong approved the start of a secret research project, called Project 523, with the goal of finding a suitable cure. For the first few years, the research did not yield positive results, and the thousands of potential remedies tested did not prove effective. In 1969, when she was 39 years old, Dr. Tu was assigned to follow Project 523. She decided to travel immediately to Hainan Island in southern China, where a terrible epidemic was underway. Cases were increasing considerably in the tropical forests there, and Tu witnessed the devastating effect of the disease on the human body. Upon her return to Beijing, she turned to traditional herbal medicine to seek new solutions against malaria. Rigorously, Tu consulted ancient Chinese literature, particularly Ge Hong's text Zhou hou bei ji fang (Manual of Prescriptions for Emergencies), written in 321 AD. Her team, among a large number of herbal remedies and thousands of recipes from the pharmacological tradition, noted a promising extract of Artemisia annua. Extracts were obtained by boiling the plant with water at 100° C, however, in this way, the principle was damaged, as the weak O-O bond was broken, changing the molecule, so it did not show particular efficacy. At first it did not seem to work, until Dr. Tu had an insight - by using a different solvent that allowed extraction of the active ingredient at a temperature of 35° C, thus much lower, she was able to obtain the molecule without breaking the bond. It turned out to be the right choice. The compound thus extracted worked effectively on mice and monkeys. Then, to move on to testing on humans, Tu and her team volunteered to test the safety of the preparation on themselves. Subsequent testing on a series of malaria patients yielded the strongest efficacy compared to previous treatments.

Tu Youyou had thus been working on a medicinal herb to combat malaria. In fact, the development of the drug derived from Chinese pharmacopoeia, and stemmed from herbs studied and used in traditional medicine for more than 1,500 years to treat intermittent fevers, a typical symptom of the disease. Such a molecule is now the basis of many antimalarial drugs. Artemisinin, a new class of antimalarial agents, which rapidly annihilates disease parasites at an early stage of their development, has now become a standard prescription, as the natural active ingredient has proven effective even where chloroquine no longer is, given the resistance developed by many malarial strains. It constitutes an effective life-saving treatment for millions of people in Africa, South Asia and South America, reducing the mortality rate of patients by more than 20 percent overall and 30 percent in childhood. For Africa alone, this means more than 100,000 lives saved each year. Dr. Youyou's recognition, however, was linked to a discovery that was not recent. It was work done in the 1960s and 1970s, which would not be published in English until 1979. In 1981, the WHO, the World Bank and the UN invited her to publicly present her discovery. It would take another two decades for the WHO to recommend artemisinin therapy as the first line of defense against malaria.

Nobel laureate Tu Youyou, now 93 years old, is the first person of Chinese origin whose studies were carried out exclusively in her own country. Also significant is the fact that her research work was not initially published in a major scientific journal. A top pharmacologist at the China Academy of Traditional Chinese Medicine in Beijing since 2000, she has also been nominated for the Medal of the Republic of China. In 2011, she was awarded the Clinical Medical Research Award by the Lasker Foundation, which calls the discovery of artemisinin "probably the most important pharmaceutical intervention in the last half century." When she received the Nobel Prize in 2015, justifiably proud of her work and achievements, she titled her lecture The Discovery of Artemisinin: A Gift from Traditional Chinese Medicine to the World - a sign of her great modesty and altruism.


Traduzione spagnola

Maria Carreras i Goicoechea

En 2015 Tu Youyou recibió el Premio Nobel de Medicina por el descubrimiento de una nueva terapia contra la malaria. En 1972 había aislado un principio activo de la Artemisia que llamó Qinghaosu, más adelante llamado artemisinina en occidente, y tuvo el mérito de demostrar su eficacia contra los parásitos de la malaria, tanto en los animales como en el ser humano. Esta científica china fue la duodécima mujer en recibir el Nobel de Medicina. Junto a ella también fueron premiados el Doctor Satoshi Omura y el Doctor William C. Campbell por su investigación sobre el tratamiento de enfermedades provocadas por parásitos, como la ceguera fluvial y la filarasis linfática.

Como se comentó durante la premiación, que tuvo lugar en Estocolmo, los fármacos que derivan de los descubrimientos de esta científica y de sus dos compañeros –la avermectina, capaz de eliminar los nematodos, es el fármaco descubierto por Omura y Campbell; la artemisinina es el tratamiento de Tu Youyou contra la malaria– han salvado a millones de personas y han garantizado beneficios enormes para quienes han contraído este tipo de patologías. Tu Youyou nació el 30 de diciembre de 1930 en Ningbó, China. Su familia daba mucha importancia a la instrucción, sin embargo durante su adolescencia contrajo la tuberculosis; si por un lado esto la obligó a abandonar una temporada el estudio, por el otro la empujó con fuerza hacia la ciencia médica. Estudió Farmcología en la Escuela de Medicina de la Universidad de Pekín. Tras licenciarse, en 1955, con 24 años de edad, fue a trabajar a la Academia de Medicina Tradicional China, donde permaneció durante toda su carrera profesional. Su formación preveía tanto la farmacología moderna como la medicina tradicional china: una combinación única de enfoques terapeuticos que le consintió aunar del mejor modo posible los conocimientos de ambas escuelas.

Durante los años Sesenta, Vietnam del Norte pidió ayuda a la China, aliada suya, para luchar contra la malaria que estaba causando enormes pérdidas en el ejército. Por aquel entonces la malaria se curaba con cloquina o quinina, pero con escasos resultados, pues el parásito unicelular que provoca la enfermedad se había vuelto resistente al tratamiento estándar. El 23 de mayo de 1967 el presidente Mao Zedong aprobó la puesta en marcha de un proyecto secreto de investigación, denominado Proyecto 523, con el objetivo de hallar un tratamiento adecuado. Durante los primeros años no hubo resultados positivos y los miles de principios activos estudiados no se demostraron eficaces. En 1969, con 39 años, la Doctora Tu recibió el encargo de seguir el proyecto 523. Decidió ir enseguida a la Isla de Hainan, al sur de China, donde tenía lugar una terrible epidemia: en aquella selva pluvial los casos aumentaban notablemente y Tu asistió a los efectos devastadores de la enfermedad en el cuerpo humano. Tras su vuelta a Pekín buscó nuevas soluciones contra la malaria en la medicina fitoterápica tradicional. Con caparbiedad, consultó la antigua literatura china, en particular el texto de Ge Hong Zhou hou bei ji fang (Manual de recetas de emergencias), escrito el año 321 d.C. Entre un extenso número de remedios con hierbas y miles de recetas de la tradición farmacológica, su equipo detectó un prometedor extracto de la Artemisia annua. Los extractos se obtenían hirviendo las plantas a 100°; sin embargo, de este modo, el principio activo se dañaba, ya que se rompía el débil enlace O-O, modificando la molécula, de modo que no presentaba ninguna especial eficacia. Al principio parecía que no funcionaba, hasta que la Doctora Tu tuvo una intuición: con un solvente distinto que permitiera la extracción del principio activo a una temperatura muy inferior, de 35°, obtuvo la molécula sin romper el enlace. Fue la elección adecuada. El principio activo así extraído funcionaba con eficacia en ratones y chimpancés. Luego, para pasar al test en humanos, Tu y su equipo se ofrecieron voluntarios para comprobar la eficacia del extracto preparado. El test sucesivamente realizado a una serie de enfermos de malaria obtuvo mayor eficacia respecto a los tratamientos anteriores.

Así pues Tu Youyoy trabajó con una hierba medicinal para contrarrestar la malaria: efectivamente, el desarrollo del fármaco deriva de la farmacopea china y nace de hierbas estudiadas y usadas por la medicina tradicional desde hace más de 1500 años para curar las fiebres intermitentes, un síntoma típico de la malaria. Esta molécula hoy día se halla en numerosos fármacos antimaláricos. La artemisinina, una nueva clase de agente antimalárico, que destruye rápidamente los parásitos de la enfermedad en un estadio precoz de su desarrollo, se ha convertido en un dispositivo médico estándar, dado que el principio activo natural se ha demostrado eficaz incluso donde la cloroquina ya no lo es, vista la resistencia desarrollada por muchas cepas maláricas. Constituye un eficaz tratamiento salvavidas para millones de personas en África, Asia meridional y América del Sur, pues reduce la tasa de mortalidad de los/las pacientes de más del 20% en general y del 30% en la infancia. Solo para África esto significa más de 100.000 salvadas cada año. El reconocimiento de 2015 a la Doctora Tu Youyou está relacionado con un descubrimiento nada reciente: efectivamente, se trata de un estudio realizado entre los años Sesenta y Setenta del siglo pasado que no se publicó hasta 1979. En 1981 la OMS, la banca Mundial y la ONU la invitaron a presentar públicamente su descubrimiento pero todavía pasaron otras dos décadas antes de que la OMS recomendara la terapia con artemisinina como primera línea de defensa contra la malaria.

La Premio Nobel Tu Youyou, actualmente de 93 años, es la primera persona de origen chino cuyos estudios se han desarrollado exclusivamente en su país. También es significativo que sus investigaciones inicialmente no se publicaran en ninguna revista científica reconocida internacionalmente. Farmacóloga en la cúspide de la China Academy of Traditional Chinese Medicine de Pekín desde el año 2000, recibió una nominación para la medalla de la República China. En 2011 le otorgaron el Clinical Medical Research Award de la Lasker Foundation, que define el descubrimiento de la artemisinina como «probablemente la intervención farmacéutica más importante de los últimos 50 años». Cuando recibió el Nobel en 2015, con razón orgullosa de su propio trabajo y de sus resultados, tituló su conferencia El descubrimiento de la artemisinina: un regalo de la medicina tradicional china al mundo demostrando su enorme modestia y altruismo.

 

Donna Strickland
Alessia Carofiglio






Juliette Bonvallet

 

Donna Theo Strickland, scienziata canadese, 62 anni, riceve il premio Nobel per la Fisica nel 2018 per aver inventato, con il professor Mourou, l’amplificazione a impulsi chirp per laser. È la terza donna ad aver ricevuto il massimo riconoscimento per la Fisica.

È nata il 27 maggio 1959 a Guelph in Canada. Conosciuta come una donna piena di energia, ha dichiarato di essere stata in dubbio, in passato, se dedicarsi all'ingegneria o alla fisica. Consegue un master in fisica ingegneristica presso la McMaster University nel 1981 e completa un dottorato di ricerca in ottica presso l'Università di Rochester nel 1989, per cui elabora una tesi sullo Sviluppo di un laser ultra luminoso e un'applicazione alla ionizzazione multifotone. Relatore sarà il fisico francese Gérard Mourou. Durante gli anni alla Mc Master University nell’Ontario è attratta da un corso sui laser, ma in particolar modo dal fatto che «fossero molto divertenti». Approfondisce l’argomento fino al dottorato. Le fu affidato di sviluppare l’idea del collega Gerard Mourou: espandere l’impulso di luce laser, amplificarlo e infine comprimerlo. Un processo che permette di produrre un impulso di potenza più elevata. Dopo i primi insuccessi, raggiunge l’obiettivo: tramite l’utilizzo di un cavo in fibra ottica lungo 1.4 chilometri riesce a espandere gli impulsi laser. Dal 1988 al 1991, Donna Theo Strickland è stata assistente di ricerca presso il National Research Council Canada, dove ha lavorato con Paul Corkum nella sezione Ultrafast Phenomena, che all’epoca deteneva il primato di aver prodotto il laser a impulso corto più potente. Successivamente ha fatto parte del dipartimento laser del Lawrence Livermore National Laboratory, dal 1991 al 1992, e poi è diventata tecnica di laboratorio presso l'Advanced Technology Center for Photonics and materials opto electronic dell'Università di Princeton.

Attualmente è professoressa di Fisica Ottica presso il Department of Physics and Astronomy dell’University of Waterloo in Canada, dove continua a studiare le tecniche laser ultraveloci, corte e ad alta intensità. Era una professoressa associata quando le è stato assegnato il Premio. Nell’Ottobre 2018 ha detto alla BBC di aver presentato domanda ed essere stata promossa come professoressa ordinaria presso l’Università di Waterloo. È membro del The Optical Society, dove ha ricoperto la carica di vicepresidente dal 2011 al 2013, anno in cui è diventata presidente. È membro pure della National Academy of Sciences degli Stati Uniti d’America. Nel 2021 viene nominata membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze da Papa Francesco.

Donna Theo Strickland è sposata con Douglas Dykaar, che ha conseguito un dottorato in ingegneria elettrica presso l’Università di Rochester. Hanno due figli: Hannan, laureata in astrofisica presso l’Università di Toronto e Adam, studente di commedia presso l’Humber College. È un membro attivo della Chiesa unita del Canada. Inoltre, nel 2019 è stata nominata Companion of the Order of Canada, una delle più prestigiose onorificenze civili del Canada. Nel 2018, riceve il Premio Nobel per la Fisica per «il suo metodo per generare gli impulsi laser più brevi e intensi creati dall'umanità», come recitava la motivazione del premio, insieme a Gérard Mourou a Arthur Ashkin. Il lavoro sulla tecnica di amplificazione alla deriva di frequenza inizia come parte del suo dottorato. Processo attraverso cui un impulso di radiazione elettromagnetica viene amplificato in tre fasi: nella prima fase la durata dell’impulso viene dilatata utilizzando un sistema ottico dispersivo (reticoli e fibre ottiche) in cui le diverse componenti cromatiche che compongono l’impulso percorrono cammini ottici di diversa lunghezza. Questo processo separa i diversi colori all’interno dell’impulso, risultando chirped, ossia con una frequenza che varia tra il fronte e la coda. Nella seconda fase l’energia dell’impulso viene amplificata in un opportuno mezzo materiale. Per esempio, nel caso di impulsi laser in un cristallo cui viene congruamente somministrata energia dall’esterno. Nella terza fase, l’impulso così amplificato ripercorre al contrario il percorso compiuto nella prima fase. Ciò porta a una riduzione dell’impulso amplificato e, di nuovo a parità di energia, a un corrispondente aumento dell’intensità dei campi. Cioè, il processo di decompressione e di compressione permette di variare la potenza a energia costante. La tecnica nell’ultimo decennio ha trovato applicazioni nel campo dei laser di potenza, permettendo di amplificare impulsi ultrabrevi, fino a durate dell’ordine delle decine di femtosecondi (10−15 s) e con lunghezze d’onda dell’ordine dei micrometri, fino a potenze dell’ordine dei petawatt (1015 W). L'impulso viene quindi ricompresso per raggiungere intensità che l'amplificazione convenzionale non consentirebbe.

I risultati delle ricerche di Strickland hanno permesso di studiare in modo innovativo e preciso oggetti di dimensioni minuscole. Le applicazioni riguardano numerosi campi, dall’industria alla biomedicina. Nel campo medico, questa tecnica contribuisce a nuovi progressi nella chirurgia refrattiva dell'occhio e nel trattamento della cataratta e della miopia. L’amplificazione a impulsi chirp per laser, impulsi ottici ultracorti e ad alta intensità con i laser che vengono utilizzati in interventi di chirurgia oculistica correttiva eseguiti ogni anno in tutto il mondo.

Strickland ha condiviso il Nobel con i colleghi Ashkin e Mourou per aver dato origine a una rivoluzione della fisica del laser. Ai tre ricercatori è stato consegnato un premio di nove milioni di corone (più di un milione di dollari circa) di cui la metà viene consegnata a Ashkin. Arthur Ashkin ha il merito di aver perfezionato le “pinzette ottiche’’, trappole per la luce che consentono di manipolare oggetti di dimensioni minuscole, avvalendosi solo della luce come unico strumento, come atomi, molecole e cellule biologiche. A Donna Theo Strickland e Gèrard Mourou è stata riconosciuta l’invenzione del metodo «per generare gli impulsi laser più brevi e intensi creati dall'umanità». Hanno reso il laser più eclettico, con la produzione di impulsi ultra-brevi.

In tutta la storia dei Nobel, Donna Theo Strickland è la terza ad aver ricevuto la prestigiosa onorificenza in Fisica dopo Marie Skłodowska Curie, nel 1903, per le ricerche sulla radioattività e dopo la scienziata americana Maria Goeppert Mayer, 1963, premiata per le sue scoperte sul nucleo degli atomi. Dopo la dichiarazione, commenta: «Dobbiamo ovviamente celebrare le donne fisiche, perché sono là fuori. Speriamo che nel tempo inizieranno a crescere a un ritmo più veloce». La sua stessa carriera costituisce un esempio per altre donne impegnate nel campo della fisica e ha lavorato per portare sempre più scienziate nel suo dipartimento a Warerloo. Si tratta di un riconoscimento significativo se pensiamo al fatto che si creda che le donne siano meno inclini alla scienza rispetto agli uomini. Donna Theo Strickland, insieme a due uomini, ha dimostrato l’esatto contrario, dicendo al Guardian: «Non mi vedo come una donna nella scienza. Mi vedo come una scienziata!»


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Donna Theo Strickland, scientifique canadienne de 62 ans, elle reçoit le prix Nobel de physique en 2018 pour avoir inventé, avec le professeur Mourou, l’amplification par impulsions chirp pour laser. Elle est la troisième femme à avoir reçu la plus grande reconnaissance pour la Physique.

Elle est née le 27 mai 1959 à Guelph au Canada. Connue comme une femme pleine d’énergie, elle a déclaré qu’elle avait des doutes dans le passé sur le fait de se consacrer à l’ingénierie ou à la physique. Elle obtient une maîtrise en physique de l’ingénierie à l’Université McMaster en 1981 et termine un doctorat en optique à l’Université de Rochester en 1989, C’est pourquoi elle rédige une thèse sur le Développement d’un laser ultra lumineux et une application à l’ionisation multiphoton. Le physicien français Gérard Mourou sera le rapporteur. Pendant ses années à la Mc Master University en Ontario, elle est attirée par un cours sur les lasers, mais surtout par le fait qu’ils « étaient très amusants ». Elle approfondit le sujet jusqu’au doctorat. Il lui a été confié de développer l’idée de son collègue Gerard Mourou : étendre l’impulsion de lumière laser, l’amplifier et enfin la compresser. Un processus qui permet de produire une impulsion de puissance plus élevée. Après les premiers échecs, elle atteint l’objectif : grâce à l’utilisation d’un câble à fibre optique de 1,4 kilomètre de long, elle parvient à étendre les impulsions laser. De 1988 à 1991, Donna Theo Strickland a été assistante de recherche au National Research Council Canada, où elle a travaillé avec Paul Corkum dans la section Ultrafast Phenomena, qui à l’époque détenait le record d’avoir produit le laser à impulsion courte le plus puissant. Par la suite, elle a fait partie du département laser du Lawrence Livermore National Laboratory de 1991 à 1992, puis elle est devenue technique de laboratoire au Advanced Technology Center for Photonics and Materials opto electronic de l’Université de Princeton.

Elle est actuellement professeur de Physique Optique au Département de Physique et d’Astronomy de l’Université de Waterloo au Canada, où elle continue d’étudier les techniques laser ultra-rapides, courtes et de haute intensité. Elle était professeur associée lors de la remise du prix. En octobre 2018, elle a déclaré à la BBC qu’elle avait postulé et qu’elle avait été promue professeur ordinaire à l’Université de Waterloo. Elle est membre de la Optical Society, où elle a été vice-présidente de 2011 à 2013, année où elle est devenue présidente. Elle est également membre de l’Académie nationale des sciences des États-Unis. En 2021, elle est nommée membre ordinaire de l’Académie pontificale des sciences par le Pape François.

Donna Theo Strickland est mariée à Douglas Dykaar, qui est titulaire d’un doctorat en génie électrique de l’Université de Rochester. Ils ont deux enfants : Hannan, diplômée en astrophysique de l’Université de Toronto et Adam, étudiante en comédie au Humber College. Elle est un membre actif de l’Église unie du Canada. En outre, en 2019, elle a été nommée Companion of the Order of Canada, l’une des plus prestigieuses distinctions civiles du Canada. En 2018, elle reçoit le Prix Nobel de Physique pour « sa méthode pour générer les impulsions laser les plus courtes et intenses créées par l’humanité », comme l’indiquait la motivation du prix, avec Gérard Mourou et Arthur Ashkin. Le travail sur la technique d’amplification à la dérive de fréquence commence dans le cadre de son doctorat. Processus par lequel une impulsion de rayonnement électromagnétique est amplifiée en trois étapes : dans la première étape, la durée de l’impulsion est dilatée à l’aide d’un système optique dispersif (réticules et fibres optiques)où les différentes composantes chromatiques qui composent l’impulsion parcourent des chemins optiques de longueur différente. Ce processus sépare les différentes couleurs à l’intérieur de l’impulsion, résultant chirped, c’est-à-dire avec une fréquence qui varie entre le front et la queue. Dans la deuxième phase, l’énergie de l’impulsion est amplifiée dans un milieu matériel approprié. Par exemple, dans le cas d’impulsions laser dans un cristal où l’énergie est convenablement fournie de l’extérieur. Dans la troisième phase, l’impulsion ainsi amplifiée retrace au contraire le parcours accompli dans la première phase. Cela conduit à une réduction de l’impulsion amplifiée et, à nouveau à parité d’énergie, à une augmentation correspondante de l’intensité des champs. C’est-à-dire que le processus de décompression et de compression permet de faire varier la puissance à énergie constante. La technique au cours de la dernière décennie a trouvé des applications dans le domaine des lasers de puissance, permettant d’amplifier des impulsions ultra-courtes, jusqu’à des durées de l’ordre de dizaines de femtosecondes (10 15 s) et avec des longueurs d’onde de l’ordre des micromètres, jusqu’à des puissances de l’ordre des pétawatts (1015 W). L’impulsion est alors réapparue pour atteindre des intensités que l’amplification conventionnelle ne permettrait pas.

Les résultats des recherches de Strickland ont permis d’étudier de manière innovante et précise des objets de dimensions minuscules. Les applications couvrent de nombreux domaines, de l’industrie à la biomédecine. Dans le domaine médical, cette technique contribue à de nouveaux progrès dans la chirurgie réfractive de l’œil et dans le traitement de la cataracte et de la myopie. L’amplification d’impulsions chirp pour les lasers, les impulsions optiques ultra-courtes et de haute intensité avec des lasers qui sont utilisés dans la chirurgie oculaire corrective effectuée chaque année dans le monde entier.

Strickland a partagé le prix Nobel avec ses collègues Ashkin et Mourou pour avoir déclenché une révolution de la physique laser. Les trois chercheurs ont reçu un prix de neuf millions de couronnes (plus d’un million de dollars environ), dont la moitié est remise à Ashkin. On a identifié à Donna Theo Strickland et Gèrard Mourou l’invention de la méthode « pour produire les impulsions laser les plus courtes et intenses créées par l’humanité ». Ils ont rendu le laser plus éclectique, avec la production d’impulsions ultra-courtes.

Dans toute l’histoire des Nobel, Donna Theo Strickland est la troisième à avoir reçu la prestigieuse distinction en physique après Marie Skłodowska Curie, en 1903, pour les recherches sur la radioactivité et après la scientifique américaine Maria Goeppert Mayer, 1963, récompensée pour ses découvertes sur le noyau des atomes. Après la déclaration, elle commente : «Nous devons évidemment célébrer les femmes physiques, parce qu’elles y sont. Nous espérons qu’au fil du temps elles commenceront à croître à un rythme plus rapide ». Sa propre carrière est un exemple pour d’autres femmes dans le domaine de la physique et elle a travaillé pour amener de plus en plus de scientifiques dans son département à Warerloo. Il s’agit d’une reconnaissance significative si l’on pense que les femmes sont moins sujettes à la science que les hommes. Donna Theo Strickland, à l’aide de deux hommes, a pu prouvé le contraire, en disant au Guardian : «Je ne me vois pas comme une femme dans la science. Je me vois comme une scientifique.»


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Donna Theo Strickland, a 62-year-old Canadian scientist, received the 2018 Nobel Prize in Physics for inventing, with Professor Gérard Mourou, chirped pulse amplification for lasers. She is the third woman to receive the Nobel award for Physics.

She was born on May 27, 1959, in Guelph, Canada. Known as an energetic woman, she has said she was in doubt in the past whether to pursue engineering or physics. She earned a master's degree in engineering physics from McMaster University in 1981 and completed a PhD in optics at the University of Rochester in 1989, for which she developed a thesis titled Development of an Ultra-Bright Laser and an Application to Multiphoton Ionization. Her thesis supervisor was the French physicist Gérard Mourou. During her years at McMaster University in Ontario she was attracted to a course on lasers, especially by the fact that "they were a lot of fun." She delved deeper into the subject until she earned her doctorate. She was assigned to develop colleague Gerard Mourou's idea - to expand the laser light pulse, amplify it and finally compress it. A process that allows a higher power pulse to be produced. After initial setbacks, she achieved her goal. Through the use of a 1.4-kilometer-long fiber optic cable, she succeeded in expanding laser pulses. From 1988 to 1991, Donna Theo Strickland was a research assistant at the National Research Council Canada, where she worked with Paul Corkum in the Ultrafast Phenomena section, which at the time held the record for producing the most powerful short-pulse laser. She then was part of the laser department at Lawrence Livermore National Laboratory, from 1991 to 1992, and then joined the technical staff at the Advanced Technology Center for Photonics and Opto-electronic Materials at Princeton University.

She is currently a professor of Optical Physics in the Department of Physics and Astronomy at the University of Waterloo in Canada, where she continues to study ultrafast, short and high-intensity laser techniques. She was an associate professor when she was awarded the Nobel Prize. In October 2018, she told the BBC that she had applied for and been promoted to full professor at the University of Waterloo. She is a member of The Optical Society, where she served as vice president from 2011 to 2013, when she became president. She is also a member of the National Academy of Sciences of the United States of America. In 2021, she was appointed a member of the Pontifical Academy of Sciences by Pope Francis.

Donna Theo Strickland is married to Douglas Dykaar, who holds a doctorate in electrical engineering from the University of Rochester. They have two children, Hannah, an astrophysics major at the University of Toronto, and Adam, who is studying comedy at Humber College. She is an active member of the United Church of Canada. In addition, in 2019 she was named Companion of the Order of Canada, one of Canada's most prestigious civilian honors. In 2018, she received the Nobel Prize in Physics together with Gérard Mourou, for "her method for generating the shortest and most intense laser pulses created by mankind," as the motivation for the prize read. They made the laser more versatile by producing ultra-short pulses. Arthur Ashkin received the other half of the one million dollar prize for unrelated work on perfecting optical tweezers - light traps that make it possible to manipulate tiny objects such as atoms, molecules and biological cells using only light as the tool. Work on the frequency drift amplification technique began as part of her PhD. It is a process by which a pulse of electromagnetic radiation is amplified in three stages. In the first stage, the duration of the pulse is dilated using a dispersive optical system (gratings and optical fibers) in which the different color components that make up the pulse travel optical paths of different lengths. This process separates the different colors within the pulse, resulting in a “chirped” pulse, that is, with a frequency that varies between the front and the tail. In the second stage, the pulse energy is amplified in an appropriate material medium. For example, in the case of laser pulses in a crystal to which energy is congruently delivered from outside. In the third phase, the pulse thus amplified and retraces in reverse to the path taken in the first phase. This leads to a reduction in the amplified pulse and, again at the same energy, a corresponding increase in the intensity of the fields. That is, the process of decompression and compression allows the power to vary at constant energy. The technique in the last decade has found applications in the field of power lasers, allowing ultrashort pulses to be amplified, up to durations on the order of tens of femtoseconds (10-15 seconds) and with wavelengths on the order of micrometers, to powers on the order of petawatts (1015 watts). The pulse is then recompressed to reach intensities that conventional amplification would not allow.

Strickland's research results have made it possible to study tiny objects in innovative and precise ways. Applications cover numerous fields, from industry to biomedicine. In the medical field, this technique has contributed to new advances in refractive eye surgery and the treatment of cataracts and myopia. Pulse chirp amplification for lasers creates ultrashort, high-intensity optical pulses that are used in corrective eye surgeries performed worldwide each year.

In the entire history of Nobel Prizes, Donna Theo Strickland is only the third woman to receive the prestigious honor in Physics, after Marie Skłodowska Curie in 1903, for her research on radioactivity, and after American scientist Maria Goeppert Mayer in 1963, awarded the prize for her discoveries on the nucleus of atoms.

After the announcement of the prize, she commented, "We obviously need to celebrate women physicists, because they are out there. Hopefully over time their numbers will start to grow at a faster rate." Her own career sets an example for other women involved in physics, and she has worked to bring more and more female scientists into her department at Waterloo. This is a significant recognition when we think about the belief that women are less capable at science than men. Donna Theo Strickland, along with two men, proved the exact opposite, telling the Guardian, "I don't see myself as a woman in science. I see myself as a scientist!"


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

Donna Theo Strickland, científica canadiense de 62 años, recibió el Premio Nobel de Física en 2018 por inventar, junto con el profesor Mourou, la amplificación de impulsos chirp para láseres. Es la tercera mujer que recibe el máximo galardón de Física.

Nació el 27 de Mayo de 1959 en Gueph, Canadá. Conocida como una mujer enérgica, dijo que en el pasado había dudado si estudiar ingeniería o física. Consiguió un máster en ingeniería física en la Universidad McMaster en 1981 y se doctoró en óptica en la Universidad de Rochester en 1989 con una tesis sobre El desarrollo de un láser ultrabrillante y su aplicación a la ionización multifotónica, cuyo director fue el físico francés Gérard Mourou. Durante los años en la Universidad Mc Master de Ontario la atrajo un curso sobre láser, pero sobre todo la atrajo el hecho de que «fuesen muy divertidos». Profundizó en el tema hasta su doctorado. Recibió el encargo de desarrollar la idea de su colega Gérard Mourou: expandir el pulso de luz láser, amplificarlo y, por último, comprimirlo. Un proceso que permite producir un pulso de mayor potencia. Tras los fracasos iniciales, logró su objetivo utilizando un cable de fibra óptica de 1,4 kilómetros de longitud con el que pudo ampliar los pulsos láser. De 1988 a 1991, Donna Theo Strickland fue ayudante de investigación en el Consejo Nacional de Investigación de Canadá, donde trabajó con Paul Corkum en la sección de Fenómenos Ultrarrápidos, que en aquel momento ostentaba el récord de producción del láser de pulso corto más potente. Más tarde se incorporó al departamento de láseres del Laboratorio Nacional Lawrence Livermore, de 1991 a 1992, y después pasó a ser técnica de laboratorio en el Centro de Tecnología Avanzada de Fotónica y materiales optoelectrónicos de la Universidad de Princeton.

Actualmente es catedrática de Física Óptica en el Departamento de Física y Astronomía de la Universidad de Waterloo (Canadá), donde sigue estudiando técnicas láser ultrarrápidas, cortas y de alta intensidad. Era profesora titular cuando recibió el Premio. En octubre de 2018 declaró a la BBC que había presentado su candidatura y había sido nombrada profesora titular de la Universidad de Waterloo. Es componente de The Optical Society, donde ocupó el cargo de Vicepresidenta de 2011 a 2013, cuando pasó a ser Presidenta. También es componente de la Academia Nacional de Ciencias de los Estados Unidos de América. En 2021 fue nombrada socia ordinaria de la Academia Pontificia de las Ciencias por el Papa Francisco.

Donna Theo Strickland está casada con Douglas Dykaar que se doctoró en ingeniería eléctrica en la Universidad de Rochester. Tienen dos hijos: Hannan, licenciado en astrofísica por la Universidad de Toronto, y Adam, estudiante de comedia en el Humber College. Es una componente activa de la Iglesia Unida de Canadá. Además, en 2019 fue nombrada Compañera de la Orden de Canadá, uno de los honores civiles más prestigiosos de Canadá. En 2018 recibió el Nobel de Física junto a Gérard Mourou y Arthur Ashkin por «su método de generación de los pulsos láser más cortos e intensos creados por la humanidad», así como rezaba la motivación del premio. Los trabajos sobre la técnica de amplificación a la deriva de frecuencia comenzaron como parte de su doctorado. Proceso por el que un impulso de radiación electromagnética se amplifica en tres etapas: en la primera fase la duración del pulso se dilata utilizando un sistema óptico dispersivo (rejillas y fibras ópticas) en el que los distintos componentes de color que forman el pulso recorren trayectos ópticos de longitudes diferentes. Este proceso separa los distintos colores dentro del pulso, resultando chirped, es decir, con una frecuencia que varía entre la parte frontal y la cola. En la segunda fase la energía del pulso se amplifica en un medio material adecuado. Por ejemplo, en el caso de pulsos láser en un cristal al que se suministra energía de forma congruente desde el exterior. Esto conlleva una reducción del pulso amplificado y, de nuevo con la misma energía, a un aumento correspondiente de la intensidad de campo. Todo esto significa que el proceso de descompresión y compresión permite variar la potencia a energía constante. En la última década la técnica ha encontrado aplicaciones en el campo de los láseres de potencia, permitiendo amplificar pulsos ultracortos, hasta duraciones del orden de decenas de femtosegundos (10-15 s) y con longitudes de onda del orden de micrómetros, hasta potencias del orden de petawatt (1015 W). El pulso se vuelve a comprimir para alcanzar intensidades que la amplificación convencional no permitiría.

Los resultados de las investigaciones de Strickland han permitido estudiar objetos diminutos de forma innovadora y precisa. Las aplicaciones abarcan numerosos campos, desde la industria a la biomedicina. En el ámbito médico esta técnica contribuye a nuevos avances en la cirugía refractiva ocular y el tratamiento de las cataratas y la miopía. La amplificación de pulsos chirp para láseres, pulsos ópticos ultracortos y de alta intensidad con láseres que se utilizan en cirugías correctivas oculares realizadas cada año en todo el mundo.

Strickland compartió el Premio Nobel con sus colegas Ashkin y Mourou por originar una revolución en la física del láser. Los tres investigadores recibieron un premio de nueve millones de coronas (más de un millón de dólares aproximadamente), la mitad del cual se entregó a Ashkin. A este último se le atribuye el perfeccionamiento de las “pinzas ópticas”, trampas de luz que permiten manipular objetos de tamaño diminuto utilizando sólo la luz como herramienta, como átomos, moléculas y células biológicas. A Donna Theo Strickland y a Gérard Mourou se les atribuye la invención del método “para generar los pulsos láser más cortos e intensos creados por la humanidad”. Han creado el láser más ecléctico que nunca al producir pulsos ultracortos. En toda la historia de los Premios Nobel, Donna Theo Strickland es la tercera en recibir el prestigioso honor en Física después de Marie Skłodowska Curi en 1903, por sus investigaciones sobre la radiactividad, y después de la científica estadounidense Maria Goeppert Mayer en 1963, galardonada por sus descubrimientos sobre el núcleo de los átomos.

Tras su declaración, comentó: «Obviamente tenemos que celebrar a las mujeres físicas, porque están ahí fuera. Esperemos que, con el tiempo, empiecen a crecer a un ritmo más rápido». Su propia carrera sirvió de ejemplo para otras mujeres en el campo de la física y trabajó para que cada vez hubiera más científicas en su departamento de Waterloo. Se trata de un reconocimiento significativo si pensamos es opinión común que las mujeres son menos propensas a la ciencia que los hombres. Donna Theo Strickland, junto con dos hombres, demostró exactamente lo contrario, declarando a The Guardian: «No me veo como una mujer en la ciencia. Me veo como una científica».

 

Frances Hamilton – Arnold
Virginia Mariani






Giada Ionà

 

Biochimica e ingegnera statunitense, nel 2018 ha ottenuto il Premio Nobel per la Chimica «per l’evoluzione diretta di enzimi, peptidi e anticorpi».

Frances Hamilton Arnold, nata a Pittsburgh(Pennsylvania) il 25 luglio 1956, figlia di Josephine Inman e del fisico nucleare William Howard Arnold, cresce nel sobborgo di Edgewood, diplomandosi nel 1974 all'Allderdice High School. Nel frattempo viaggia facendo l’autostop fino a Washington per protestare contro la guerra del Vietnam e si mantiene da sola, lavorando come tassista e cameriera in un jazz-club. Si laurea in Ingegneria meccanica e aerospaziale alla Princeton University nel 1979, concentrando la sua ricerca sull’energia solare; il suo lavoro di redazione della tesi, svolto nel laboratorio di Harvey Warren Blanch, riguarda le tecniche di cromatografia di affinità, tecnica di laboratorio divisa in tre fasi di utile uso pratico nella separazione delle biomolecole. Nel 1985 consegue un dottorato di ricerca in Ingegneria chimica all'Università della California, Berkeley. Nel 1986 entra nel California Institute of Technology come ricercatrice: viene presto promossa assistente alla cattedra e, successivamente, nel 1992 professoressa associata e nel 1996 professoressa ordinaria. Nel 2013 viene nominata direttrice del Centro di Bioingegneria Donna e Benjamin M. Rosen di Caltech. Lavora inoltre con la National Academy of Science's e la Science & Entertainment Exchange, aiutando gli sceneggiatori di Hollywood a trattare accuratamente gli argomenti scientifici; addirittura interpreta sé stessa nell'episodio 18° della stagione numero 12 della serie televisiva The Big Bang Theory, dal titolo The Laureate Accumulation e cioè “La mobilitazione dei luminari”https://youtu.be/fK2QULttcmQ al minuto 3:09

È davvero una scienziata eccezionale e fervida inventrice: deposita, infatti, oltre quaranta brevetti negli Stati Uniti e nel 2005 co-fonda Gevo Inc., una società per la produzione di carburanti e prodotti chimici da fonti rinnovabili; nel 2013, con due dei suoi ex studenti, Peter Meinhold e Pedro Coelho, fonda la società chiamata Provivi che si occupa della ricerca alternativa ai pesticidi per la protezione delle colture. Non finisce qui: il 24 ottobre 2019 il Papa la nomina Membro Ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze; il 13 dicembre dello stesso anno riceve dall'Università degli Studi di Padova il dottorato ad honorem in Scienze molecolari, su proposta del Dipartimento di Scienze chimiche e sulla base dei suoi meriti scientifici, «per il metodo rivoluzionario dell’evoluzione guidata di proteine che si ispira alla selezione naturale per accelerare in laboratorio lo sviluppo di nuovi biocatalizzatori rivolti all’industria chimica e farmaceutica e alla produzione di biocarburanti in processi ecosostenibili».

Nel corso della brillante carriera ha focalizzato, dunque, le sue ricerche sull’impiego degli enzimi nei più diversi campi, dalla farmaceutica alle terapie antitumorali, dalla produzione di carburanti organici (biocarburanti) ai pesticidi non chimici. Inizia, così, a collezionare meritatissimi premi: nel 2016 le è stato conferito il prestigioso Millennium Technology Prize, e prima ancora nel 2001 il Charles Stark Draper Prize; nel 2005 il Food, Pharmaceuticals and Bioengineering Division Award, AIChE e il Francis P. Garvan-John M. Olin Medal, ACS; nel 2007, l’Enzyme Engineering Award e il FASEB Excellence in Science Award. Fino ad arrivare al 2018 quando ottiene il Premio Nobel per la Chimica «per l’evoluzione diretta degli enzimi», dividendolo con George P. Smith e Gregory P. Winter per la loro tecnica chiamata Phage display, in cui un batteriofago o fago, cioè un virus che infetta i batteri, può essere usato per evolvere nuove proteine. La sua idea è da sempre quella di sfruttare l’evoluzione per produrre proteine in modo sostenibile, così come quella di avere a disposizione carburanti che non richiedano l’estrazione dal sottosuolo, bensì il lavoro silenzioso di lieviti che trasformano gli scarti agricoli, così come sistemi di protezione delle colture dagli insetti parassiti senza spruzzare una goccia di pesticida. Il Nobel del 2018 non sarebbe potuto andare a scoperta migliore dato che era dedicato alle ricerche che migliorano la vita degli esseri umani sul pianeta Terra nella riduzione della loro impronta ecologica.

Le parole per introdurre il conferimento del premio sono state:

«Da quando i primi semi della vita sono spuntati circa 3,7 miliardi di anni fa, quasi tutti gli angoli della Terra si sono riempiti di organismi diversi. La vita si è estesa a sorgenti calde, oceani profondi e deserti aridi, tutto perché l'evoluzione ha risolto una serie di problemi chimici», frasi che sottolineano l'importanza della chimica oggi per lo sviluppo di soluzioni utili alla stessa sopravvivenza del genere umano. E continuando: «Gli strumenti chimici della vita, le proteine, sono stati ottimizzati, modificati e rinnovati, creando un'incredibile diversità. I Nobel per la Chimica di quest'anno sono stati ispirati dal potere dell'evoluzione e hanno usato gli stessi principi, il cambiamento genetico e la selezione, per sviluppare proteine che risolvono i problemi chimici dell'umanità».

Frances Hamilton Arnold, che conduce nel 1993 il primo studio sull'evoluzione degli enzimi, proteine che catalizzano le reazioni chimiche, alla fine della sua ricerca è riuscita ad affinare metodi per sviluppare nuovi catalizzatori: i ‘suoi’ enzimi sono utilizzati per produrre sostanze più rispettose dell'ambiente! «Penso a quello che faccio come copiare il processo di progettazione della natura», ha detto in un'intervista con NobelPrize.org. «Tutta questa straordinaria bellezza e complessità del mondo biologico deriva da questo semplice e bellissimo algoritmo di progettazione». Già nel 1980 aveva cercato di ricostruire gli enzimi, ma poiché sono molecole molto complesse costruite da diversi amminoacidi che possono essere combinati all'infinito, aveva trovato difficile rimodellare i geni degli enzimi per dare loro nuove proprietà. Perciò nel 1990 abbandona quello che chiama il suo «approccio un po’ arrogante» di cercare di creare enzimi modificati attraverso la sua logica e conoscenza ed esamina il modo in cui la natura fa le cose. Parte dunque dall'evoluzione. Ha aperto, così, la strada al metodo di bioingegneria; da allora questo metodo è stato ulteriormente raffinato ed è oggi usato dalle aziende e dai laboratori di tutto il mondo per rendere più efficiente la produzione di nuovi medicinali, ma anche di biocarburanti e di detergenti e detersivi per il bucato più "verdi", solo per citare alcuni esempi, con numerose ricadute via via sempre più positive per tecnologie e processi di trasformazione amici dell'ambiente.

Frances Hamilton Arnold è membro dell'Advisory Board del Joint BioEnergy Institute e del Packard Fellowships in Science and Engineering, e fa parte del President's Advisory Council della King Abdullah University of Science and Technology (Kaust). Attualmente, inoltre, è nella giuria del Queen Elizabeth Prize for Engineering. Nel 2018 ha trionfato la chimica “green” e Arnold è la quinta donna nella storia dei Nobel a vincere il premio per la Chimica, lei mai al verde quanto a premi!


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Biochimique et ingénieur américaine, en 2018 elle a obtenu le Prix Nobel pour la Chimie « pour l’évolution directe des enzymes, peptides et anticorps ».

Frances Hamilton Arnold, née à Pittsburgh (Pennsylvanie) le 25 juillet 1956, fille de Josephine Inman et du physicien nucléaire William Howard Arnold, grandit dans la banlieue d’Edgewood et obtient son diplôme en 1974 à l’Allderdice High School. Pendant ce temps, elle fait de l’auto-stop jusqu’à Washington pour protester contre la guerre du Vietnam et se maintient seule, travaillant comme chauffeur de taxi et serveuse dans un club de jazz. Elle est diplômé en génie mécanique et aérospatial de l’Université de Princeton en 1979, concentrant ses recherches sur l’énergie solaire; son travail de rédaction de thèse, effectué dans le laboratoire de Harvey Warren Blanch, concerne les techniques de chromatographie d’affinité, Technique de laboratoire divisée en trois étapes d’utilisation pratique utile dans la séparation des biomolécules. En 1985, elle obtient un doctorat en génie chimique à l’Université de Californie, Berkeley. En 1986, elle entre au California Institute of Technology en tant que chercheuse ; elle est rapidement promue assistante à la chaire puis, en 1992, professeur associée et en 1996 professeur ordinaire. En 2013, elle est nommée directrice du Centre de bio-ingénierie Donna et Benjamin M. Rosen de Caltech. Elle travaille également avec l’Académie nationale des sciences et la Bourse des sciences et du divertissement, aidant les scénaristes hollywoodiens à traiter avec précision les sujets scientifiques; elle s’interprète même dans l’épisode 18 de la saison 12 de la série télévisée The Big Bang Theory, intitulée "The Laureate Accumulation". https://youtu.be/fK2QULttcmQ par minute 3:09

En effet, elle dépose plus de quarante brevets aux États-Unis et, en 2005, co-fonde Gevo Inc., une société de production de carburants et de produits chimiques à partir de sources renouvelables; en 2013, avec deux de ses anciens étudiants, Peter Meinhold et Pedro Coelho, fondateur de la société Provivi qui s’occupe de la recherche alternative aux pesticides pour la protection des cultures. Le 24 octobre 2019, le Pape est nommé membre ordinaire de l’Académie pontificale des sciences; le 13 décembre de la même année, elle reçoit de l’Université de Padoue le doctorat honorifique en sciences moléculaires, sur proposition du département des sciences chimiques et sur la base de ses mérites scientifiques, «pour la méthode révolutionnaire de l’évolution guidée des protéines qui s’inspire de la sélection naturelle pour accélérer en laboratoire le développement de nouveaux biocatalyseurs destinés à l’industrie chimique et pharmaceutique et à la production de biocarburants dans des processus éco-durables».

Au cours de sa brillante carrière, elle a donc concentré ses recherches sur l’utilisation des enzymes dans les domaines les plus divers, de la pharmaceutique aux thérapies anticancéreuses, de la production de carburants organiques (biocarburants) aux pesticides non chimiques. En 2016, elle a reçu le prestigieux Millennium Technology Prize et en 2001 le Charles Stark Draper Prize, en 2005 le Food, Maceuticals and Bioengineering Division Award, AIChE et le Francis P. Garvan-DivisionJohn M. Olin Medal, ACS; en 2007, l’Enzyme Engineering Award et le FASEB Excellence in Science Award. Jusqu’en 2018, quand elle a reçu le prix Nobel de chimie « pour l’évolution directe des enzymes », en le partageant avec George P. Smith et Gregory P. Winter pour leur technique appelée Phage display, où un bactériophage ou phage, c’est-à-dire un virus qui infecte les bactéries, peut être utilisé pour faire évoluer de nouvelles protéines. Son idée a toujours été d’exploiter l’évolution pour produire des protéines de manière durable, ainsi que d’avoir à disposition des carburants qui ne nécessitent pas l’extraction du sous-sol, mais le travail silencieux des levures qui transforment les déchets agricoles, ainsi que des systèmes de protection des cultures contre les insectes nuisibles sans pulvériser une goutte de pesticide. Le prix Nobel de 2018 n’aurait pas pu être mieux découvert puisqu’elle s’était consacrée aux recherches qui améliorent la vie des êtres humains sur la planète Terre dans la réduction de leur empreinte écologique.

Les mots pour introduire l’attribution du prix ont été:

«Depuis que les premières graines de la vie ont surgi il y a environ 3,7 milliards d’années, presque tous les coins de la Terre se sont remplis d’organismes différents. La vie s’est étendue aux sources chaudes, aux océans profonds et aux déserts arides, tout cela parce que l’évolution a résolu une série de problèmes chimiques», des phrases qui soulignent l’importance de la chimie aujourd’hui pour le développement de solutions utiles à la survie même de l’humanité. Et en continuant : «Les outils chimiques de la vie, les protéines, ont été optimisés, modifiés et renouvelés, créant une incroyable diversité. Les Nobel de chimie de cette année ont été inspirés par le pouvoir de l’évolution et ont utilisé les mêmes principes, le changement génétique et la sélection, pour développer des protéines qui résolvent les problèmes chimiques de l’humanité ».

Frances Hamilton Arnold, qui mène en 1993 la première étude sur l’évolution des enzymes, protéines qui catalysent les réactions chimiques, à la fin de ses recherches, a réussi à affiner les méthodes pour développer de nouveaux catalyseurs : Ses enzymes sont utilisées pour produire des substances plus respectueuses de l’environnement! «Je pense à ce que je fais comme copier le processus de conception de la nature», a-t-elle déclaré dans une interview avec NobelPrize.org. «Toute cette extraordinaire beauté et complexité du monde biologique découle de cet algorithme de conception simple et beau». Déjà en 1980, elle avait essayé de reconstruire les enzymes, mais comme ce sont des molécules très complexes construites à partir de différents acides aminés qui peuvent être combinés à l’infini, elle avait trouvé difficile de remodeler les gènes des enzymes pour leur donner de nouvelles propriétés. En 1990, elle abandonne ce qu’elle appelle son «approche un peu arrogante» d’essayer de créer des enzymes modifiées par sa logique et sa connaissance et examine la façon dont la nature fait les choses. Elle part donc de l’évolution. Cela a ouvert la voie à la méthode de bio-ingénierie; depuis lors, cette méthode a été affinée et elle est aujourd’hui utilisée par les entreprises et les laboratoires du monde entier pour rendre la production de nouveaux médicaments plus efficace, mais aussi des biocarburants, des détergents et même ceux les plus "verts", pour ne citer que quelques exemples, avec de nombreuses retombées de plus en plus positives pour des technologies et des processus de transformation respectueux de l’environnement.

Frances Hamilton Arnold est membre du Conseil consultatif du Joint Bioenergy Institute et des Packard Fellowships in Science and Engineering, et fait partie du President’s Advisory Council de la King Abdullah University of Science and Technology (Kaust). Elle est actuellement membre du jury du prix Queen Elizabeth pour l’ingénierie. En 2018, elle a triomphé de la chimie "verte" et Arnold est la cinquième femme de l’histoire des Nobel à remporter le prix de la chimie, elle n’a jamais été fauchée par rapport aux prix!


Traduzione inglese

Syd Stapleton

An American biochemist and engineer, Frances Arnold was awarded the 2018 Nobel Prize in Chemistry "for the directed evolution of enzymes, peptides and antibodies."

Frances Hamilton Arnold was born in Pittsburgh, Pennsylvania on July 25, 1956, the daughter of Josephine Inman and nuclear physicist William Howard Arnold, and grew up in the suburb of Edgewood, graduating from Allderdice High School in 1974. During that time, she traveled by hitchhiking to Washington to protest the Vietnam War and later supported herself, working as a taxi driver and waitress at a jazz-club. She received her B.S. in mechanical and aerospace engineering from Princeton University in 1979, focusing her research on solar energy. Her thesis writing, done in Harvey Warren Blanch's laboratory, concerned affinity chromatography techniques, a laboratory technique divided into three steps of practical use in the separation of biomolecules. In 1985 she received a Ph.D. in chemical engineering from the University of California, Berkeley. In 1986 she joined the California Institute of Technology as a research scientist. She was soon promoted to assistant professor and then to associate professor in 1992 and full professor in 1996. In 2013, she was appointed director of Caltech's Donna and Benjamin M. Rosen Center for Bioengineering. She also works with the National Academy of Science and the Science & Entertainment Exchange, helping Hollywood screenwriters accurately cover science topics. She even played herself in episode 18 of season 12 of the TV series The Big Bang Theory, titled The Laureate Accumulation (https://youtu.be/fK2QULttcmQ) at minute 3:09.

She is an outstanding scientist and fervent inventor. She has filed more than forty patents in the United States and in 2005 co-founded Gevo Inc., a company to produce fuels and chemicals from renewable sources. In 2013, with two of her former students, Peter Meinhold and Pedro Coelho, she founded the company called Provivi that focuses on research in alternatives to pesticides for crop protection. It doesn't end there - on October 24, 2019, the Pope appointed her an Ordinary Member of the Pontifical Academy of Sciences, and on December 13 of the same year, she received, from the University of Padua, an honorary doctorate in Molecular Sciences, proposed by the Department of Chemical Sciences and on the basis of her scientific merits, "for the revolutionary method of guided evolution of proteins inspired by natural selection to accelerate in the laboratory the development of new biocatalysts aimed at the chemical and pharmaceutical industry and the production of biofuels in environmentally sustainable processes."

In the course of her brilliant career she has focused her research on the use of enzymes in a wide variety of fields, from pharmaceuticals to cancer therapies, from the production of organic fuels (biofuels) to non-chemical pesticides. She began, thus, to collect well-deserved awards. In 2016 she was awarded the prestigious Millennium Technology Prize, and before that in 2001 the Charles Stark Draper Prize; in 2005 the Food, Pharmaceuticals and Bioengineering Division Award and the Francis P. Garvan-John M. Olin Medal, ACS; in 2007, the Enzyme Engineering Award and the FASEB Excellence in Science Award. Then, in 2018, she was awarded the Nobel Prize in Chemistry "for the directed evolution of enzymes," sharing it with George P. Smith and Gregory P. Winter for their technique called Phage display, in which a bacteriophage or phage, that is, a virus that infects bacteria, can be used to evolve new proteins. Her idea has always been to harness evolution to produce proteins in a sustainable way, as well as to make fuels available that do not require extraction from underground, but rather the silent work of yeasts that transform agricultural waste, as well as systems to protect crops from insect pests without spraying a drop of pesticide. The 2018 Nobel Prize could not have gone to a better discovery since it was dedicated to research that improves the lives of humans on planet Earth and reduces their ecological footprint.

The words to introduce the awarding of the prize were:

"Since the first seeds of life sprang up some 3.7 billion years ago, almost every corner of Earth has been filled with diverse organisms. Life has spread to hot springs, deep oceans and arid deserts, all because evolution has solved a number of chemical problems," phrases that underscore the importance of chemistry today for the development of solutions useful for the very survival of humankind. And continuing, "The chemical tools of life, proteins, have been optimized, modified and renewed, creating incredible diversity. This year's Nobel Laureates in Chemistry were inspired by the power of evolution and used the same principles, genetic change and selection, to develop proteins that solve humanity's chemical problems."

In 1993 Frances Hamilton Arnold, who led the first study of the evolution of enzymes, proteins that catalyze chemical reactions, was able to refine methods to develop new catalysts. By the end of her research 'her' enzymes were being used to produce more environmentally friendly substances! "I think of what I do as copying nature's design process," she said in an interview with NobelPrize.org. "All this extraordinary beauty and complexity of the biological world comes from this simple and beautiful design algorithm." As early as 1980 she had tried to reconstruct enzymes, but because they are very complex molecules built from different amino acids that can be combined in infinite variations, she had found it difficult to reshape enzyme genes to give them new properties. So, in 1990 she abandoned what she called her "somewhat arrogant approach" of trying to create modified enzymes through her own logic and knowledge and examined the way nature does things. She therefore started from evolution. She thus paved the way for the bioengineering method. Since then, this method has been further refined and is now used by companies and laboratories around the world to make new medicines more efficient, but also to create biofuels and "greener" laundry and other detergents, just to name a few examples, with many increasingly positive spin-offs for environmentally friendly technologies and processes.

Frances Hamilton Arnold is a member of the Advisory Board of the Joint BioEnergy Institute and the Packard Fellowships in Science and Engineering, and serves on the President's Advisory Council of King Abdullah University of Science and Technology (KAUST). She is also currently on the jury of the Queen Elizabeth Prize for Engineering, and U.S. President Biden’s Council of Advisors on Science and Technology. In 2018, "green" chemistry triumphed and Arnold became the fifth woman in Nobel history to win the Chemistry Prize. She has never been lacking as far as prizes go!


Traduzione spagnola

Anastasia Grasso

Bioquímica e ingeniera estadounidense, fue galardonada con el Premio Nobel de Química en 2018 "por la evolución dirigida de enzimas, péptidos y anticuerpos".

Frances Hamilton Arnold nace en Pittsburgh (Pensilvania) el 25 de julio de 1956, hija de Josephine Inman y del físico nuclear William Howard Arnold, crece en el suburbio de Edgewood y se diploma en el instituto Allderdice en 1974. Mientras tanto, viaja haciendo autostop a Washington para protestar contra la guerra de Vietnam y se mantiene a sí misma trabajando como taxista y como camarera en un club de jazz. Se licencia en Ingeniería Mecánica y Aeroespacial en la Universidad de Princeton en 1979, centrando su investigación en la energía solar; el trabajo de su tesis, realizado en el laboratorio de Harvey Warren Blanch, versa sobre técnicas de cromatografía de afinidad, una técnica de laboratorio de tres fases útil en la práctica de la separación de biomoléculas. En 1985 se doctora en Ingeniería Química por la Universidad de California, Berkeley. En 1986 se incorpora al Instituto de Tecnología de California como investigadora (Caltech): pronto se convierte en profesora ayudante, luego en profesora titular (1992) y en catedrática (1996). En 2013 recibe el nombramiento a directora del Centro Donna y Benjamin M. Rosen de Bioingeniería del Caltech. También colabora con la National Academy of Science's y el Science & Entertainment Exchange, ayudando a los guionistas de Hollywood a tratar con precisión los temas científicos; incluso se interpreta a sí misma en el episodio 18 de la temporada 12 de la serie de televisión The Big Bang Theory, titulado The Laureate Accumulation, es decir, "La movilización de los Licenciados" (<https://youtu.be/fK2QULttcmQ> en el minuto 3:09).

Es realmente una científica excepcional y una ferviente inventora: de hecho, registra más de cuarenta patentes en Estados Unidos y en 2005 cofunda Gevo Inc, una empresa para la producción de combustibles y productos químicos a partir de fuentes renovables; en 2013, con dos de sus antiguos alumnos, Peter Meinhold y Pedro Coelho, funda la empresa Provivi, dedicada a la investigación alternativa a los pesticidas para la protección de los cultivos. La cosa no acaba ahí: el 24 de octubre de 2019, el Papa la nombra Académica Ordinaria de la Pontificia Academia de las Ciencias; el 13 de diciembre del mismo año, recibe el Doctorado Honoris causa en Ciencias Moleculares por la Universidad de Padua, bajo la propuesta del Departamento de Ciencias Químicas y en base a sus méritos científicos, "por el revolucionario método de evolución guiada de proteínas inspirado en la selección natural para acelerar en el laboratorio el desarrollo de nuevos biocatalizadores destinados a la industria química y farmacéutica y a la producción de biocombustibles en procesos ecosostenibles".

Así pues, a lo largo de su brillante carrera ha centrado sus investigaciones en el uso de enzimas en los campos más diversos, desde los productos farmacéuticos a las terapias contra el cáncer, desde la producción de combustibles orgánicos (biocombustibles) a los pesticidas no químicos. De modo que empieza a coleccionar merecidos galardones: Charles Stark Draper Prize (2001); el Food, Pharmaceuticals and Bioengineering Division Award, AIChE y la Francis P. Garvan-John M. Olin Medal, ACS (2005); el Enzyme Engineering Award y el FASEB Excellence in Science Award (2007) y el prestigioso Millennium Technology Prize (2016). Hasta que en 2018 se le otorga el Premio Nobel de Química "por la evolución dirigida de enzimas", que comparte con George P. Smith y Gregory P. Winter por su técnica llamada Phage display, en la que se puede utilizar un bacteriófago o fago, es decir, un virus que infecta bacterias, para evolucionar nuevas proteínas. Su idea siempre ha sido utilizar la evolución para producir proteínas de forma sostenible, así como disponer de combustibles que no requieran ser extraídos de la tierra, sino el trabajo silencioso de levaduras que transforman residuos agrícolas, así como sistemas para proteger los cultivos de plagas de insectos sin rociar una gota de pesticida. El Premio Nobel 2018 no podía haber recaído en un descubrimiento mejor, ya que estaba dedicado a investigaciones que mejoran la vida de los seres humanos en el planeta Tierra al reducir su huella ecológica.

Las palabras que introdujero el premio fueron:

"Desde que brotaron las primeras semillas de vida hace unos 3.700 millones de años, casi todos los rincones de la Tierra se han llenado de organismos diferentes. La vida se ha extendido por fuentes termales, océanos profundos y desiertos áridos, todo ello gracias a que la evolución ha resuelto una serie de problemas químicos", frases que subrayan la importancia de la química hoy en día para el desarrollo de soluciones útiles para la supervivencia de la humanidad. Y luego: "Las herramientas químicas de la vida, las proteínas, se han optimizado, modificado y renovado, creando una diversidad increíble (…) . Los ganadores del Premio Nobel de Química de este año se han inspirado en el poder de la evolución y han utilizado los mismos principios, el cambio genético y la selección, para desarrollar proteínas que resuelven los problemas químicos de la humanidad".

Frances Hamilton Arnold, que dirigió en 1993 el primer estudio sobre la evolución de las enzimas, proteínas que catalizan reacciones químicas, ha logrado perfeccionar los métodos para desarrollar nuevos catalizadores al final de su investigación: ¡"sus" enzimas se utilizan para producir sustancias más respetuosas con el medio ambiente! "Pienso en lo que hago como una copia del proceso de diseño de la naturaleza", dijo en una entrevista con NobelPrize.org. "Toda esta extraordinaria belleza y complejidad del mundo biológico procede de este sencillo y hermoso algoritmo de diseño". Ya en 1980 había intentado reconstruir enzimas, pero como son moléculas muy complejas construidas a partir de distintos aminoácidos que pueden combinarse indefinidamente, le había resultado difícil remodelar los genes de las enzimas para darles nuevas propiedades. Así que en 1990 abandonó lo que ella llamaba su "enfoque un tanto arrogante" de intentar crear enzimas modificadas mediante su propia lógica y conocimientos y examinó la forma en que la naturaleza hace las cosas. Así que, partió de la evolución. De este modo allanó el camino para el método de la bioingeniería. Desde entonces, este método se ha ido perfeccionando y ahora lo utilizan empresas y laboratorios de todo el mundo para que los nuevos medicamentos sean más eficientes, pero también los biocombustibles y los detergentes y jabones "más ecológicos", por citar sólo algunos ejemplos, con numerosas repercusiones cada vez más positivas para las tecnologías y los procesos de transformación respetuosos con el medio ambiente.

Frances Hamilton Arnold es componente del Consejo Asesor del Instituto Conjunto de Bioenergía y de las Becas Packard de Ciencia e Ingeniería, y forma parte del Consejo Asesor del Presidente de la Universidad Rey Abdullah de Ciencia y Tecnología (Kaust). Actualmente también forma parte del jurado del Premio Reina Isabel de Ingeniería. En 2018 triunfa la química "verde" y Arnold es la quinta mujer en la historia de los Nobel en ganar el Premio de Química, ¡en cuanto a premios tiene un buen abanico!

Nadia Murad
Laura Candiani






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la Pace nel 2018, insieme al ginecologo congolese Denis Mukwege «per i loro sforzi per mettere fine all'uso della violenza sessuale come arma in guerre e conflitti armati». Dopo Malala Yousafzai, è la seconda più giovane vincitrice, a 25 anni.

Nadia è una giovane appartenente alla minoranza religiosa yazida, facente parte del popolo curdo, sopravvissuta alla persecuzione e alle torture dello Stato islamico e al genocidio della sua comunità, vicende narrate nel libro autobiografico L'ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l'Isis, con prefazione dell'avvocata Amal Clooney (Mondadori), da cui è stato tratto il film Sulle sue spalle, per la regia di Alexandria Bombach.«Essere sopravvissuta a un genocidio porta con sé grandi responsabilità [...]. Aver perso i miei fratelli, mia madre e molti membri della mia famiglia è una responsabilità che io prendo molto sul serio. Il mio ruolo di attivista non riguarda solo la mia sofferenza ma la sofferenza di tutti. Raccontare la mia storia con tutti i suoi orrori non è un compito facile ma il mondo deve sapere. Il mondo deve sentirsi moralmente responsabile ad agire e se la mia storia può spingere i leader mondiali a fare qualcosa allora devo raccontarla».

Tutto ebbe inizio nell'agosto 2014 quando la ventunenne Nadia (nata il 10 marzo 1993) viveva serenamente nell'Iraq settentrionale in una fattoria con la madre Shami, una donna forte e coraggiosa, impegnata nel rendere i 13 fra figlie e figli «sazi e ottimisti»; la ragazza studiava e faceva progetti per il proprio futuro, quando le truppe dell'Isis entrarono nel villaggio di Kocho e fecero 600 vittime, soprattutto fra gli uomini, uccisi a colpi di kalashnikov. Fra questi, sei fratelli di Nadia. Le donne furono radunate e caricate su camion dai vetri oscurati; stava per iniziare il loro martirio. Divennero infatti vere e proprie schiave, oltre 6700, per lo più di etnia yazida; furono poi condotte a Mosul per essere violentate, picchiate, torturate con sigarette accese. Nell’autobiografia, in cui ha deciso di non omettere nessun dettaglio, si possono leggere righe che sono un vero colpo al cuore, ma fotografano con la massima efficacia la disperazione di una giovane che, in quei mesi di prigionia, è stata separata dalle due sorelle più grandi e sposate; venduta e comprata più volte, sottoposta a angherie psicologiche e fisiche, si è augurata la morte, considerata l’unica possibilità di salvezza. «A un certo punto – scrive nel libro – non resta altro che gli stupri. Diventano la tua normalità. Non sai chi sarà il prossimo ad aprire la porta per abusare di te, sai solo che succederà e che domani potrebbe essere peggio».

Nadia riuscì a fuggire in novembre per la distrazione di un carceriere che non chiuse bene la porta dell'alloggio; fu accolta e nascosta da una famiglia musulmana particolarmente generosa che mise a rischio la propria stessa vita. Omar Abdel Jabar fu l'artefice di questo atto di coraggio, eppure avrebbe avuto una bella ricompensa in denaro se l'avesse riportata agli aguzzini. Nonostante fosse un modesto lavoratore e un capofamiglia, decise di andare avanti e riuscì a contattare un fratello superstite della ragazza, chiuso in un campo profughi; insieme progettarono la sua via di salvezza. Da quel momento Nadia divenne "la moglie di Jabar" che doveva spostarsi a Kirkuk, per rivedere la città natale, in mano alle forze curde. Nadia deve imparare a memoria nomi, luoghi, strade, fingersi quella che non è perché durante il viaggio saranno molte le soste, i controlli pressanti, le domande che le verranno poste; per fortuna non le può essere chiesto di mostrare il viso, mentre i muri dei checkpoint sono tappezzati di sue foto segnaletiche. Arrivano finalmente a Erbil e il compito dell'uomo si conclude, ma in breve viene scoperto e costretto anche lui a una drammatica fuga, in cui deve lasciare in patria la vera moglie incinta e il figlioletto .Dopo un periodo in Turchia e poi in Bulgaria, si trova in un paesino della Germania, ma la sua situazione di richiedente asilo non è ancora definita. Eppure continua ad affermare che chiunque avrebbe agito come lui. Nadia era arrivata al campo profughi di Duhok, dove venne raggiunta in seguito da due sorelle. Ma nel Medio Oriente non si sentiva al sicuro, così riuscì a congiungersi con una sorella già residente in Germania, a Stoccarda. L'anno successivo si presentò davanti al Consiglio dell'Onu per spiegare la condizione di chi viene rapito, sequestrato, scambiato come merce, in particolare le donne, trasformate in schiave sessuali, coinvolte del tutto inermi e innocenti all'interno di sanguinosi conflitti.

Dal settembre 2016 è prima ambasciatrice dell'Onu per la dignità di sopravvissute/i alla tratta di esseri umani. Intanto l'avvocata Amal Ramzi Alamuddin Clooney ha esposto pubblicamente all'ufficio dell'Onu per la prevenzione del crimine le motivazioni per cui ha deciso di rappresentare Nadia nell'accusa contro le truppe dell'Isis, sottolineando quanto sia comune la pratica dell'odiosa tratta, da lei definita «burocrazia del diavolo su scala industriale». Nello stesso anno Nadia riceve dal Parlamento europeo il Premio Vaclav Havel per i diritti umani e fa un toccante discorso all'assemblea; ottiene poi il riconoscimento Donna dell'anno e il Premio Sacharov per la libertà di pensiero, insieme all'altra attivista yazira Lamiya Aji Bashar.

Il 10 dicembre 2018 a Oslo ha ritirato il Nobel per la Pace (l'unico che si assegna in Norvegia) e il 21 è stata ricevuta da papa Francesco in udienza privata, insieme al marito Abid Shamdeem. Non era la prima volta che Murad e il papa si incontravano: già il 3 maggio 2017 la ragazza si era presentata con il velo in testa in Piazza San Pietro, al termine di una udienza generale del mercoledì, e aveva stretto la mano al Pontefice accennandogli alla sua storia e a quella del suo popolo. Un desiderio, questo, espresso un anno prima quando – già candidata al Nobel per la Pace – aveva chiesto tramite le telecamere di Tv2000 un incontro con il papa «per raccontargli la tragedia del popolo yazida, la mia storia personale da vittima della barbarie dell’Isis e quella di migliaia di altri giovani yazidi».

Mentre svolge la sua missione in tutto il mondo, ha fondato la Nadia's Initiative, un'organizzazione che opera a livello internazionale per la tutela delle donne vittime di violenza. Solo di recente, nel 2021, Nadia Murad è riuscita a trovare i resti di due suoi fratelli e a dar loro sepoltura, nel villaggio natale.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de la Paix en 2018, avec le gynécologue congolais Denis Mukwege «pour leurs efforts visant à mettre fin à l’utilisation de la violence sexuelle comme arme dans les guerres et les conflits armés». Après Malala Yousafzai, elle est la deuxième plus jeune gagnante, à 25 ans.

Nadia est une jeune fille appartenant à la minorité religieuse yézida, appartenant au peuple kurde, qui a survécu à la persécution et aux tortures de l’État islamique et au génocide de sa communauté, racontés dans le livre autobiographique L’ultima ragazza. Histoire de ma captivité et de ma bataille contre l’Etat islamique, avec préface de l’avocate Amal Clooney (Mondadori), d’où a été tiré le film Sulle sue spalle, réalisé par Alexandria Bombach. «Survivre à un génocide implique de grandes responsabilités [...]. Avoir perdu mes frères, ma mère et de nombreux membres de ma famille est une responsabilité que je prends très au sérieux. Mon rôle en tant qu’activiste ne concerne pas seulement ma souffrance, mais la souffrance de tous. Raconter mon histoire avec toutes ses horreurs n’est pas une tâche facile, mais le monde doit savoir. Le monde doit se sentir moralement responsable d’agir et si mon histoire peut pousser les leaders mondiaux à faire quelque chose alors je dois la raconter».

Tout a commencé en août 2014 quand Nadia, 21 ans, (née le 10 mars 1993) vivait paisiblement dans le nord de l’Irak dans une ferme avec sa mère Shami, une femme forte et courageuse, engagée à rendre les 13 filles et fils « rassasiés et optimistes »; elle étudiait et projetait son avenir quand les troupes de l’Etat islamique entrèrent dans le village de Kocho et firent 600 victimes, surtout des hommes parmis eux, tués à coups de kalachnikovs. Parmi ceux-ci, six frères de Nadia. Les femmes furent rassemblées et chargées dans des camions par des vitres teintées ; elles étaient sur le point de commencer leur martyre. Elles devinrent en effet de véritables esclaves, plus de 6700, pour la plupart d’origine yazida; elles furent ensuite conduites à Mossoul pour y être violées, battues, torturées avec des cigarettes allumées. Dans l’autobiographie, dans laquelle elle a décidé de ne négliger aucun détail, on peut lire des lignes qui sont un véritable coup au cœur, mais qui photographient avec la plus grande efficacité le désespoir d’une jeune femme qui, en ces mois de captivité, a été séparée des deux sœurs les plus âgées et mariées; vendue et achetée plusieurs fois, soumise à des brimades psychologiques et physiques, elle a souhaité la mort, considérée comme la seule possibilité d’être sauve. «À un moment donné - écrit-elle dans le livre - il ne reste plus que les viols. Cela devient normal. Tu ne sais pas qui sera le prochain à ouvrir la porte pour abuser de toi, tu sais seulement qu’il arrivera et que demain il pourrait être pire».

Nadia réussit à s’échapper en novembre pour la distraction d’un geôlier qui ne ferma pas bien la porte du logement; elle fut accueillie et cachée par une famille musulmane particulièrement généreuse qui mit sa vie en danger. Omar Abdel Jabar fut l’auteur de cet acte de courage, mais il aurait eu une belle récompense en argent s’il l’avait ramenée aux bourreaux. Bien qu’il fût un modeste travailleur et un chef de famille, il décida d’aller de l’avant et réussit à contacter un frère survivant de la jeune fille, enfermé dans un camp de réfugiés; ensemble, ils planifièrent son chemin de libération. À partir de ce moment, Nadia devint "l’épouse de Jabar" qui devait se déplacer à Kirkuk, pour revoir sa ville natale, aux mains des forces kurdes. Nadia doit apprendre par cœur les noms, les lieux, les rues, se faire passer pour ce qu’elle n’est pas parce que pendant le voyage, il y aura beaucoup d’arrêts, de contrôles pressants, de questions qui lui seront posées; heureusement, on ne peut pas lui demander de montrer son visage, Les murs des points de contrôle sont recouverts de photos d’elle. Ils arrivent finalement à Erbil et la tâche de l’homme se termine, mais en peu de temps il est découvert et contraint lui aussi à une dramatique fuite, durant laquelle il doit laisser dans sa patrie la véritable épouse enceinte et le petit fils. Après une période en Turquie puis en Bulgarie, il se trouve dans un petit village d’Allemagne, mais sa situation de demandeur d’asile n’est pas encore définie. Pourtant, il continue de dire que quiconque aurait agi comme lui. Nadia était arrivée au camp de réfugiés de Duhok, où elle a ensuite été rejointe par ses deux sœurs. Mais au Moyen- Orient, elle ne se sentait pas en sécurité, alors elle a réussi à se joindre à une de ses sœur qui résidait déjà en Allemagne, à Stuttgart. L’année suivante, elle se présenta devant le Conseil de l’ONU pour expliquer la condition de ceux qui sont enlevés, séquestrés, échangés comme marchandise, en particulier les femmes, transformées en esclaves sexuelles, impliquées totalement impuissantes et innocentes dans des conflits sanglants.

Depuis septembre 2016, elle est la première ambassadrice de l’ONU pour la dignité de survivants de la traite des êtres humains. Pendant ce temps, l’avocate Amal Ramzi Alamuddin Clooney a exposé publiquement au bureau de l’ONU pour la prévention du crime les raisons pour lesquelles elle a décidé de représenter Nadia dans l’accusation contre les troupes de l’Etat islamique, soulignant combien la pratique de l’odieuse traite, définie selon elle de «bureaucratie du diable à l’échelle industrielle». La même année, Nadia reçoit du Parlement européen le prix Vaclav Havel pour les droits de l’homme et fait un discours émouvant à l’assemblée; elle obtient ensuite la reconnaissance Femme de l’année et le prix Sakharov pour la liberté de pensée, avec l’autre activiste Yazira Lamiya Aji Bashar.

Le 10 décembre 2018 à Oslo, elle a reçu le Prix Nobel de la Paix (le seul en Norvège) et le 21 décembre, et elle a été reçue par le pape François en audience privée avec son mari Abid Shamdeem. Ce n’était pas la première fois que Murad et le pape se rencontraient : déjà le 3 mai 2017, la jeune fille s’était présentée en portant le voile sur la place Saint-Pierre, au terme d’une audience générale du mercredi, et elle avait serré la main du Souverain Pontife en lui faisant allusion à son histoire et à celle de son peuple. Ce souhait avait été exprimé un an plus tôt lorsque - déjà candidate au Prix Nobel de la Paix - elle avait demandé, à travers les caméras de Tv2000, une rencontre avec le pape «pour lui raconter la tragédie du peuple yézida, mon histoire personnelle en tant que victime de la barbarie de l’Etat islamique et celle de milliers d’autres jeunes yézidis».

Tout en accomplissant sa mission dans le monde entier, elle a fondé l’Initiative Nadia, une organisation qui œuvre au niveau international pour la protection des femmes victimes de violence. Ce n’est que récemment, en 2021, que Nadia Murad a pu trouver les restes de deux de ses frères et les enterrer dans leur village natal.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Nadia Murad was awarded a Nobel Peace Prize in 2018, along with Congolese gynecologist Denis Mukwege, «for their efforts to end the use of sexual violence as a weapon in wars and armed conflicts». After Malala Yousafzai, she is the second youngest winner, at age 25.

Nadia is a young member of the Yazidi religious minority, part of the Kurdish people, who survived persecution and torture by the Islamic State and the genocide waged against her community. These events are recounted in the autobiographical book L'ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l'Isis [The Last Girl. A Story of My Captivity and My Battle Against Isis], with a foreword by lawyer Amal Clooney (Mondadori). The film On Her Back, directed by Alexandria Bombach, was based on the book. «Being a genocide survivor carries with it great responsibility [...]. Having lost my siblings, my mother and many members of my family is a responsibility that I take very seriously. My role as an activist is not just about my suffering but about the suffering of everyone. Telling my story with all its horrors is not an easy task but the world needs to know. The world must feel morally responsible to act and if my story can push world leaders to do something then I must tell it.»

It all began in August of 2014, when 21-year-old Nadia (born March 10, 1993) was living serenely in northern Iraq on a farm with her mother Shami, a strong and courageous woman committed to making her 13 daughters and sons "content and optimistic". The girl was studying and making plans for her own future, when ISIS troops entered the village of Kocho and claimed 600 lives, mostly among the men, who were killed by Kalashnikov fire. Among them were six of Nadia's brothers. The women were rounded up and loaded onto trucks with tinted windows, and their martyrdom was about to begin. They became real slaves - over 6,700, mostly ethnic Yazidis, who were then taken to Mosul to be raped, beaten, and tortured with lit cigarettes. In her autobiography, from which she decided to not omit any details, one can read lines that are a real blow to the heart, but which portray with the utmost effectiveness the despair of a young woman who, in those months of captivity, was separated from her two older and married sisters. She was sold and bought several times, subjected to psychological and physical anguish, wished herself dead, considered the only possibility of salvation. «At a certain point," she writes in the book, "all that is left is rapes. They become your normality. You don't know who will open the door next to abuse you, you just know it will happen and that tomorrow it could be worse.»

Nadia managed to escape in November, due to the distraction of a jailer who didn’t lock the door of her lodging properly. She was taken in and hidden by a particularly generous Muslim family, who put their own lives at risk. Omar Abdel Jabar was the architect of this act of bravery, yet he would have had a handsome cash reward if he had returned her to her tormentors. Despite the fact that he was a humble worker and a breadwinner, he decided to go ahead and managed to contact a surviving brother of the girl, who was a prisoner in a refugee camp. Together they planned her way to safety. From that moment Nadia became Jabar's “wife" who had to move to Kirkuk to see her hometown again, in the hands of Kurdish forces. Nadia had to memorize names, places, and streets, pretending to be what she was not, because during the journey there would be many stops, identity checks, and questions asked of her. Fortunately, she could not be asked to show her face - and the walls of the checkpoints were plastered mug shots of her. They finally arrived in Erbil and the man's task came to an end. But before long he was discovered and forced to make a dramatic escape as well, in which he had to leave his real pregnant wife and small child behind in his homeland. After a stint in Turkey and then Bulgaria, he found himself in a small town in Germany, but his situation as an asylum seeker is not yet settled. Yet he has continued to claim that anyone would have acted as he did. Nadia had arrived at the Duhok refugee camp, where she was later joined by two sisters. But she didn’t feel safe in the Middle East, so she managed to join a sister already living in Germany, in Stuttgart. The following year she appeared before the U.N. Council to explain the plight of those who were kidnapped, abducted, traded as commodities, particularly women, turned into sex slaves, and drawn, completely helpless and innocent, into bloody conflicts.

Since September 2016, she has been the UN's first ambassador for the dignity of survivors of human trafficking. Meanwhile, lawyer Amal Ramzi Alamuddin Clooney has publicly laid out at the UN Office for the Prevention of Crime the reasons why she has decided to represent Nadia in the prosecution of Isis troops, emphasizing how common the practice of heinous trafficking is, which she called "the devil's bureaucracy on an industrial scale." In the same year Nadia received the Vaclav Havel Human Rights Prize from the European Parliament and made a moving speech to the assembly. She was then awarded Woman of the Year and the Sakharov Prize for Freedom of Thought, along with another Yazira activist, Lamiya Aji Bashar.

On December 10, 2018 in Oslo, she received the Nobel Peace Prize (the only one that is awarded in Norway), and on the 21st she was received by Pope Francis in a private audience, together with her husband Abid Shamdeem. This was not the first time that Murad and the pope had met - already on May 3, 2017, the girl had appeared in her headscarf in St. Peter's Square at the end of a Wednesday general audience and had shaken the Pontiff's hand, mentioning her story and that of her people. A desire she had already expressed a year earlier when - a Nobel Peace Prize nominee - she had asked through the cameras of TV2000 for a meeting with the Pope «to tell him about the tragedy of the Yazidi people, my personal story as a victim of the barbarity of ISIS, and that of thousands of other young Yazidis.»

As part of carrying out her mission around the world, she founded Nadia's Initiative, an organization that works internationally to protect women victims of violence.


Traduzione spagnola

Arianna Calabretta

Premio Nobel de la Paz en 2018, junto con el ginecólogo congoleño Denis Mukwege «por sus esfuerzos para poner fin al uso de la violencia sexual como arma en las guerras y los conflictos armados». Después de Malala Yousafzai, es la segunda ganadora, con 25 años de edad.

Nadia es una joven que pertenece a la minoría religiosa yazidí, parte del pueblo kurdo, y sobrevivió a la persecución y a las torturas del Estado Islámico y al genocidio de su comunidad, hechos narrados en la obra autobiográfica Yo seré la última: historia de mi cautiverio y mi lucha contra el Estado Islámico, con un prólogo de la abogada Amal Clooney (Plaza&Janés 2017), en la que se ha basado la película On her shoulders, dirigida por Alexandria Bombach. «Ser una superviviente de un genocidio conlleva grandes responsabilidades [...]. Haber perdido a mis hermanos, a mi madre y a muchos familiares es una responsabilidad que me tomo muy en serio. Mi papel como activista no se refiere solo a mi sufrimiento sino al de todo el mundo. Contar mi historia con todos sus horrores no es una tarea fácil, pero el mundo debe saber, tiene que sentirse moralmente responsable de sus actuaciones y si mi historia puede empujar a los líderes mundiales a hacer algo, entonces debo contarla».

Todo comenzó en agosto de 2014 cuando Nadia (nacida el 10 marzo de 1993) vivía tranquilamente en el norte de Irak en una granja con su madre Shami, una mujer fuerte y valiente, comprometida en hacer que sus 13 hijas e hijos fueran «completos y optimistas»; la joven estudiaba y hacía planes para su futuro, cuando las tropas del ISIS entraron en la aldea de Kocho y causaron 600 víctimas, sobre todo entre los hombres, asesinados a tiros de Kalashnikov. Entre ellos había seis hermanos de Nadia. Las mujeres fueron reunidas y cargadas en camiones con vidrios polarizados: su martirio todavía no había empezado. Se convirtieron en verdaderas esclavas, más de 6.700, en su mayoría de etnia yazidí; luego las llevaron a Mosul para violarlas, golpearlas y torturaras con cigarrillos encendidos. En su autobiografía, en la que ha decidido no omitir ningún detalle, se pueden leer líneas que son un verdadero golpe al corazón, pero que fotografían con gran eficacia la desesperación de una joven que, en esos meses de cautiverio, fue separada de sus dos hermanas mayores ya casadas; vendida y comprada varias veces, sometida a vejaciones psicológicas y físicas, deseaba la muerte, considerada como la única posibilidad de salvación. «En cierto momento –escribe en su libro– no queda más que la violación. Se convierte en normalidad. No sabes quién será el próximo que abrirá la puerta para abusar de ti, solo sabes que pasará y que mañana podrá ser peor».

Nadia pudo escapar en noviembre por la distracción de un carcelero que no cerró bien la puerta de sus aposentos; fue acogida y escondida por una familia musulmana especialmente generosa que puso en riesgo su propia vida. Omar Abdel Jabar fue el artífice de este acto de valentía, aunque hubiera recibido una buena recompensa en dinero si la hubiera devuelto a sus verdugos. A pesar de ser un modesto trabajador y cabeza de familia, decidió seguir adelante y pudo contactar con un hermano supérstite de la chica que estaba encerrado en un campo de refugiados; juntos planearon su camino hacia la salvación. A partir de ese momento, Nadia se convirtió en “la esposa de Jabar” que tenía que desplazarse a Kirkuk para volver a ver su ciudad natal en manos de las fuerzas kurdas. Nadia tuvo que aprender de memoria nombres, lugares, calles y fingir ser lo que no era porque durante el viaje habría muchas paradas, controles presionantes y preguntas; afortunadamente no le podían pedir que mostrase la cara, mientras que las paredes de los controles estaban llenas de sus fichas policiales. Por fin, al llegar a Erbil, el encargo del hombre se cumple, pero muy pronto lo descubren y se ve obligado a una dramática huida en la que debe dejar atrás a su verdadera esposa embarazada y a su pequeño hijo.Tras una estancia en Turquía y luego en Bulgaria, se encuentra en un pequeño pueblecito de Alemania, pero su situación de solicitante de asilo aún no está resuelta. No obstante, sigue afirmando que cualquiera habría hecho lo mismo que él. Nadia había llegado al campo de refugiados de Duhok, donde más tarde se juntaron con ella dos hermanas suyas. Pero en Oriente Medio no se sentía segura, así que consiguió reunirse con una hermana que ya vivía en Alemania, en Stuttgart. Al año siguiente compareció ante al Consejo de la ONU para explicar la situación de quien acaba secuestrado, raptado, comercializado como mercancía, especialmente las mujeres, convertidas en esclavas sexuales, envueltas –totalmente indefensas e inocentes– en sangrientos conflictos.

Desde septiembre de 2016, es la primera embajadora de la ONU para la dignidad de los supervivientes de la trata de seres humanos. Entretanto, la abogada Amal Ramzi Alamuddin Clooney explicó públicamente a la Oficina de la ONU para la Prevención del Delito las razones por las que decidió representar a Nadia en la acusación contra las tropas del ISIS, destacando lo común que es la práctica del odioso tráfico que ella llamó «burocracia del diablo a escala industrial». Ese mismo año Nadia recibió el Premio Vaclav Havel de Derechos Humanos del Parlamento Europeo e hizo un conmovedor discurso durante la asamblea; luego obtuvo el premio Mujer del Año y el premio Sacharov por la Libertad de Conciencia, junto con la otra activista yazira, Lamiya Aji Bashar.

El 10 de diciembre de 2018, en Oslo, recogió el Premio Nobel de la Paz (el único que se entrega en Noruega) y el 21 fue recibida por el Papa Francisco en una audiencia privada, junto a su esposo Abid Shamdeem. No era la primera vez que Murad y el Papa se encontraban: ya el 3 de mayo de 2017, la joven se había presentado cubierta con su pañuelo en la Plaza de San Pedro al final de una audiencia general del miércoles y estrechó la mano del Pontífice, mencionándole su historia y la de su pueblo. Un deseo que expresó un año antes cuando –ya candidata al Premio Nobel de la Paz– pidió por las cámaras de Tv2000 un encuentro con el Papa «para contarle la tragedia del pueblo yazidí, mi historia personal como víctima de la barbarie del ISIS y las de otros miles de jóvenes yazidíes».

Mientras lleva a cabo su misión en todo el mundo, ha fundado la Nadia’s Initiative, una organización que trabaja a nivel internacional para la protección de las mujeres víctimas de violencia. Solo recientemente, en 2021, Nadia Murad pudo encontrar los restos de dos de sus hermanos y darles sepultura en su pueblo natal.

 

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia