Mairead Corrigan
Kay McCarthy






Daniela Godel

 

«Se vogliamo raccogliere il raccolto di pace e giustizia in futuro, dovremo seminare semi di nonviolenza, qui e ora, nel presente»: così ha detto Máiréad Corrigan, Premio Nobel per la Pace nel 1976 congiuntamente con Betty Williams. Il Premio è stato assegnato con la seguente motivazione: «per i coraggiosi sforzi nel fondare un movimento per porre fine al violento conflitto in Irlanda del Nord» e lo ha ottenuto a soli 32 anni, la più giovane prima di Malala Yousafzai.

Máiréad Corrigan è nata a Belfast, nell'Irlanda del Nord, il 27 gennaio 1944, seconda di otto figli di famiglia modesta. Nel settembre 1981 sposò Jackie Maguire, vedovo di sua sorella Anne, che non si era ripresa mai dopo la tragica perdita dei figli e si suicidò nel gennaio 1980; è dunque la matrigna di Joanne, John e Andrew e in seguito la madre di John Francis (nato nel 1982) e Luke (nato nel 1984). Máiréad (anglicizzato Margaret) Corrigan è cresciuta a West Belfast, una zona della capitale nordirlandese popolata principalmente da persone cattoliche, molte delle quali repubblicane. La famiglia d'origine tanto numerosa non era cosa insolita presso i cattolici irlandesi di allora. Suo padre era un lavavetri e sua madre era occupata a tempo pieno come casalinga. L'infanzia di Máiréad, così ha raccontato, è stata felice e la sua esperienza educativa decennale presso il sistema scolastico segregato dell'Irlanda del Nord sembra non aver lasciato molte cicatrici. Nonostante fosse coetanea della prima generazione di gioventù cattolica a frequentare l'università, non riuscì a finire gli studi secondari. Frequentò una scuola cattolica privata fino all'età di quattordici anni quando fu costretta ad abbandonare gli studi perché la sua famiglia non era più in grado di pagare la retta. Lavorando come assistente all’infanzia in un centro comunitario cattolico, riuscì a risparmiare abbastanza danaro che le permise di iscriversi a un istituto commerciale, così poté essere assunta come impiegata in uno stabilimento tessile di Belfast, lavoro che abbandonò in seguito per un posto più sicuro nel leggendario birrificio Guinness. Visse a lungo presso i genitori (fino al 1981) il che significa che i suoi guadagni le permisero un certo grado di indipendenza e la libertà di rispondere ai comportamenti violenti sia dei paramilitari sia dei soldati che si aggiravano nelle strade intorno a casa sua.

Nel 1973 pensò di arruolarsi in un'organizzazione paramilitare perché aveva trascorso diversi anni, insieme a circa due milioni di abitanti delle "Sei contee", come partecipante riluttante ai "problemi" della provincia e, se non fosse stato per un evento drammatico che le sconvolse la vita, è probabile che sarebbe rimasta nell’anonimato. L'appartenenza a un'associazione religiosa, la Legione di Maria, la mise in contatto immediato con i "problemi" fino dal 1969. Corrigan, capogruppo della Legione, lavorò con l'infanzia di Andersonstown, allora un tetro ghetto cattolico privo di servizi, per impedire che fosse risucchiata sempre dai disordini. È stata co-responsabile della prima scuola materna della zona e di un locale centro ricreativo per bambine/i portatori di handicap. Il suo lavoro con la Legione di Maria le ha permesso di viaggiare in Russia, dove ha girato un documentario sugli stili di vita delle persone di fede cattolica, e come delegata ha partecipato alla Conferenza Mondiale delle Chiese in Thailandia. Negli anni prima che il Nobel del 1976 potesse rendere il suo nome familiare, fu una delle legionarie che mantennero stretti contatti con la popolazione cattolica tenuta nel campo di prigionia di Long Kesh, una vecchia struttura penale riportata frettolosamente in vita nel 1971 per trattenere gli individui sospettati di sentimenti anti-establishment. Alcuni suoi amici intimi furono uccisi e in più di un'occasione, quando ha tentato di aiutare coloro che venivano molestati dai soldati, è stata aggredita lei stessa.

In queste circostanze, come la sera in cui l'esercito britannico gettò dei lacrimogeni dentro la chiesa dove si teneva una riunione della Legione, a Corrigan si presentò la scelta davanti alla quale si trovarono tutte/i coloro che soffrivano nell'Irlanda del Nord di allora: rispondere alla violenza con la violenza, rimanere in disparte oppure optare per una terza via. Nonostante fosse cattolica, la famiglia di Corrigan non era palesemente repubblicana. Come molti dei suoi antenati, Máiréad pensava che sarebbe stato più semplice, meno complicato sublimare i suoi impulsi politici, per quanto forti, nella passività religiosa. Successivamente i suoi incontri con alcuni repubblicani detenuti a Long Kesh la convinsero dell’assurdità, della futilità e del senso di smarrimento vissuti da coloro che ricorrevano alla violenza. Il suo senso di identità personale valicava le divisioni considerate "normali" nell'Irlanda del Nord dell’epoca: Corrigan non era interessata alla revoca del Trattato anglo-irlandese del 1921 in base al quale l'isola fu divisa in due entità politiche. Come molti cattolici e cattoliche, era profondamente consapevole delle differenze culturali e attitudinali tra lei e i correligionari che popolavano la Repubblica irlandese. Diversamente dalla maggioranza, sentiva un forte legame con la popolazione protestante della città. Non si considerava né britannica né irlandese, ma semplicemente nordirlandese, una espressione identitaria forte e autonoma.

Il 10 agosto 1976 la sorella Anne Corrigan-Maguire stava portando la sua bambina e i suoi due bambini piccoli a fare una passeggiata in una strada suburbana quando un'auto si schiantò contro di loro, ferendo gravemente la stessa Anne e uccidendo tutti e tre i figli: Joanne, di 8 anni, John, di 3, e Andrew di 6 settimane. In un macabro esempio della tragica assurdità di gran parte dell'incubo nordirlandese, si scoprì in seguito che il terrorista al volante dell'auto rubata era già morto, essendo stato colpito dai soldati britannici pochi istanti prima dell'incidente durante uno scontro a fuoco. L'amica e futura Nobel Betty Williams, che viveva nelle vicinanze, assisté alla tragedia. Fu proprio lei a promuovere, subito dopo questo massacro, una petizione che chiedeva all'Ira (Irish Republican Army) di cessare la sua campagna violenta, una petizione firmata da diverse migliaia di cittadine/i di Belfast. Máiréad, la rappresentante più eloquente della famiglia Corrigan-Maguire, contribuì a organizzare la massiccia manifestazione pubblica che ebbe luogo il giorno dopo il funerale. Fu uno spettacolo di indignazione pubblica insolito in quanto le donne cattoliche di West Belfast furono raggiunte da donne protestanti di altre aree della città. Era insolito anche per la profondità e la forza della sua espressione di opposizione contro le attività di tutti i gruppi paramilitari, qualunque fosse la loro “fede”, che avevano adottato strategie terroristiche. Già nel 1970 il movimento Women Together, ancora una volta un'iniziativa intercomunitaria nella società divisa dell'Irlanda del Nord, aveva tentato con scarso successo di intercedere tra le fazioni combattenti che agivano in un mondo maschile tradizionale e di mediare con le autorità politiche e militari. Ma il movimento che seguì la morte dei tre Maguire differiva dagli sforzi precedenti, non solo per la sua determinazione a resistere e avere successo, ma anche per la sua opposizione inequivocabile e determinata alle truppe paramilitari in una società governata in gran parte da loro, in cui il terrorismo era diventato lo stile di vita predominante. Il coraggio di coloro che guidavano e componevano il movimento Peace People, insieme al dichiarato rifiuto della finalità politica dei paramilitari, rappresentava la prima vera minaccia al sostegno popolare da cui dipendeva la posizione morale del terrorismo.

A parte un ambiente simile e la profonda preoccupazione per la spaventosa qualità della vita nella travagliata Irlanda del Nord, c'era poco a legare Betty Williams e Máiréad Corrigan; meno ancora tra loro due e il terzo co-fondatore del movimento, Ciaran McKeown. Nate a pochi anni l'una dall'altra a Belfast, entrambe provenivano da ambienti cattolici (sebbene Williams fosse di estrazione mista cattolico-protestante-ebraica) ed erano state istruite presso le scuole cattoliche. Verso la metà degli anni Settanta, Betty Williams si era sposata con un marinaio presbiteriano inglese; dopo il divorzio si trasferì in Florida, dove sposò un uomo d'affari, e fu molto attiva negli Stati Uniti. Nel 2004 fece ritorno in patria dove riprese la collaborazione con Corrigan. Nel 2006 hanno costituito la Nobel Women's Initiative, insieme alle altre premiate per la pace Shirin Ebadi, Wangari Maathai, Jody Williams e Rigoberta Menchú Tum. Queste sei donne, in rappresentanza dell’America del Nord e del Sud, del Medio Oriente, dell'Europa e dell'Africa, hanno messo le loro esperienze a disposizione di una lotta congiunta per la pace, la giustizia e l'uguaglianza. Il loro comune obiettivo è di contribuire a rafforzare il lavoro svolto a sostegno dei diritti delle donne in tutto il mondo.

Mairead Corrigan durante un azione non violenta in Irlanda  La barca delle donne verso Gaza, si chiama Zaytouna

Nel 2007 ha partecipato a una manifestazione in Israele contro la costruzione di un muro divisorio presso il villaggio palestinese di Bil'in, in cui venne ferita, e in varie occasioni si è battuta pacificamente contro le violenze perpetrate ai danni della popolazione della striscia di Gaza; due anni dopo si è dichiarata contro il Nobel per la Pace assegnato al presidente Obama che, a suo dire, praticava una politica militarista e aggressiva. Continua ad attivarsi contro ogni forma di dittatura e privazione dei diritti, operando a favore delle persone perseguitate in Paesi come Turchia, Cina, Myanmar. Cattolica intransigente, oggi fa parte di movimenti pro-life, contro l'aborto, l'eutanasia e la pena di morte. Oltre al Premio Nobel per la Pace, ha ricevuto le seguenti onorificenze: dottorato ad honorem dall’Università di Yale, Usa; premio del Popolo Norvegese per la Pace (1976); medaglia Carl von Ossietzky (1976); premio Pacem in Terris, in ricordo dell'omonima enciclica di papa Giovanni XXIII (1990).



Traduzione francese

Guenoah Mroue

«Si nous voulons récolter la récolte de la paix et de la justice à l’avenir, nous devrons semer des graines de non-violence, ici et maintenant, dans le présent», a déclaré Máiréad Corrigan, Prix Nobel de la Paix en 1976 conjointement avec Betty Williams. Le Prix a été décerné avec la motivation suivante : «pour les efforts courageux de fonder un mouvement pour mettre fin au violent conflit en Irlande du Nord» et l’a obtenu à seulement 32 ans, la plus jeune avant Malala Yousafzai.

Máiréad Corrigan est née à Belfast, en Irlande du Nord, le 27 janvier 1944, deuxième de huit enfants de famille modeste. En septembre 1981, elle épouse Jackie Maguire, veuf de sa sœur Anne, qui ne s’est jamais remise de la perte tragique de ses enfants et se suicide en janvier 1980 ; elle est donc la belle-mère de Joanne, John et Andrew, puis la mère de John Francis (né en 1982) et Luke (né en 1984). Máiréad (anglicisé Margaret) Corrigan a grandi à West Belfast, une région de la capitale nord-irlandaise peuplée principalement de catholiques, dont beaucoup de républicains. La famille d’origine si nombreuse n’était pas inhabituelle chez les catholiques irlandais de l’époque. Son père était laveur de vitres et sa mère était occupée à plein temps comme femme au foyer. L’enfance de Máiréad, a-t-elle déclaré, était heureuse et son expérience éducative de dix ans dans le système scolaire ségrégué d’Irlande du Nord ne semble pas avoir laissé beaucoup de cicatrices. Bien qu’elle ait le même âge que la première génération de la jeunesse catholique à fréquenter l’université, elle ne réussit pas à terminer ses études secondaires. Elle a fréquenté une école privée catholique jusqu’à l’âge de quatorze ans quand elle a été forcée d’abandonner ses études parce que sa famille n’était plus en mesure de payer les frais de scolarité. Travaillant comme assistante maternelle dans un centre communautaire catholique, elle réussit à économiser suffisamment d’argent pour qu’elle puisse s’inscrire dans un institut commercial, de sorte qu’elle puisse être engagée comme employée dans une usine textile de Belfast, Le travail qu’elle a abandonné plus tard pour un endroit plus sûr dans la légendaire brasserie Guinness. Elle a longtemps vécu chez ses parents (jusqu’en 1981), ce qui signifie que ses revenus lui ont permis une certaine indépendance et la liberté de répondre aux comportements violents des paramilitaires et des soldats qui rôdaient dans les rues autour de sa maison.

En 1973, elle a pensé à s’enrôler dans une organisation paramilitaire parce qu’elle avait passé plusieurs années, avec environ deux millions d’habitants des "Six Comtés", comme participant réticent aux "problèmes" sans un événement dramatique qui a bouleversé sa vie, il est probable qu’elle serait restée dans l’anonymat. L’appartenance à une association religieuse, la Légion de Marie, la mit en contact immédiat avec les "problèmes" jusqu’en 1969.Corrigan, chef de groupe de la Légion, elle a travaillé avec l’enfance d’Andersonstown, alors un ghetto catholique sombre sans services, pour l’empêcher d’être toujours aspirée par les troubles. Elle était co-responsable de la première école maternelle de la région et d’un centre de loisirs local pour les filles/personnes handicapées. Son travail avec la Légion de Marie lui a permis de voyager en Russie, où elle a tourné un documentaire sur les modes de vie des personnes de foi catholique, et comme déléguée, elle a participé à la Conférence mondiale des Églises en Thaïlande. Dans les années qui ont précédé le Prix Nobel de 1976, elle a été l’une des légionnaires qui ont maintenu des contacts étroits avec la population catholique détenue dans le camp de Long Kesh, un ancien établissement pénitentiaire qui a été ramené à la vie en 1971 pour retenir les individus suspectés de sentiments anti-établishment. Certains de ses amis proches ont été tués et à plus d’une occasion, lorsqu’elle a tenté d’aider ceux qui étaient harcelés par des soldats, elle a elle-même été agressée.

Dans ces circonstances, comme le soir où l’armée britannique jeta des bombes lacrymogènes dans l’église où se tenait une réunion de la Légion, se présenta à Corrigan le choix devant lequel se trouvèrent toutes les personnes souffrantes en Irlande du Nord de l’époque : répondre à la violence par la violence, rester à l’écart ou opter pour une troisième voie. Bien que catholique, la famille de Corrigan n’était manifestement pas républicaine. Comme beaucoup de ses ancêtres, Máiréad pensait qu’il serait plus simple, moins compliqué de sublimer ses impulsions politiques, aussi fortes soient-elles, dans la passivité religieuse. Par la suite, ses rencontres avec des républicains détenus à Long Kesh la convainquent de l’absurdité, de la futilité et du sentiment d’égarement vécus par ceux qui recouraient à la violence. Son sentiment d’identité personnelle traversait les divisions considérées comme "normales" en Irlande du Nord de l’époque : Corrigan n’était pas intéressé par la révocation du traité anglo-irlandais de 1921 selon lequel l’île était divisée en deux entités politiques. Comme beaucoup de catholiques, elle était profondément consciente des différences culturelles et des attitudes entre elle et les coreligionnaires qui peuplaient la République irlandaise. Contrairement à la majorité, elle ressentait un fort lien avec la population protestante de la ville. Elle ne se considérait ni britannique ni irlandais, mais simplement nord-irlandais, une expression identitaire forte et autonome.

Le 10 août 1976, sœur Anne Corrigan-Maguire emmenait sa fille et ses deux jeunes enfants se promener dans une rue de banlieue quand une voiture s’est écrasée sur eux, blessant gravement Anne, elle-même, et tuant ses trois enfants : Joanne, 8 ans, John, 3 ans, et Andrew, 6 semaines. Dans un exemple macabre de l’absurdité tragique d’une grande partie du cauchemar nord-irlandais, on découvrit plus tard que le terroriste au volant de la voiture volée était déjà mort, après avoir été frappé par les soldats britanniques quelques instants avant l’accident lors d’une fusillade. Betty Williams, amie et future lauréate du prix Nobel, qui vivait à proximité, a assisté à la tragédie. C’est elle qui a lancé, immédiatement après ce massacre, une pétition demandant à l’IRA (Irish Republican Army) de cesser sa campagne violente, une pétition signée par plusieurs milliers de citoyennes et citoyens de Belfast. Máiréad, la représentante la plus éloquente de la famille Corrigan-Maguire, participa à l’organisation de la grande manifestation publique qui eut lieu le lendemain des funérailles. Ce fut un spectacle d’indignation publique inhabituel car les femmes catholiques de West Belfast ont été rejointes par des femmes protestantes d’autres quartiers de la ville. Il était également inhabituel en raison de la profondeur et de la force de son opposition aux activités de tous les groupes paramilitaires, quelle que soit leur "foi", qui avaient adopté des stratégies terroristes. Déjà en 1970, le mouvement Women Together, une fois de plus une initiative intercommunautaire dans la société divisée d’Irlande du Nord, elle avait tenté avec peu de succès d’intercéder entre les factions combattantes qui agissaient dans un monde masculin traditionnel et de servir de médiateur avec les autorités politiques et militaires. Mais le mouvement qui a suivi la mort des trois Maguire différait des efforts précédents, non seulement pour sa détermination à résister et à réussir, mais aussi pour son opposition sans équivoque et déterminée aux troupes paramilitaires dans une société largement gouvernée par eux, le terrorisme était devenu le mode de vie dominant. Le courage de ceux qui dirigeaient et composaient le mouvement Peace People, ainsi que le rejet déclaré de la finalité politique des paramilitaires, constituaient la première véritable menace au soutien populaire dont dépendait la position morale du terrorisme.

Mis à part un environnement similaire et la profonde préoccupation pour la qualité de vie effrayante dans la tourmentée Irlande du Nord, il y avait peu à lier Betty Williams et Máiréad Corrigan; moins encore entre eux deux et le troisième co-fondateur du mouvement, Ciaran mckeown. Nées à Belfast à l’âge de quelques années, les deux venaient de milieux catholiques (bien que Williams fût d’origine mixte catholique-protestante-juive) et avaient été instruites dans les écoles catholiques. Au milieu des années soixante-dix, Betty Williams s’était mariée à un marin presbytérien anglais; après le divorce, elle a déménagé en Floride, où elle a épousé un homme d’affaires, et a été très active aux États-Unis. En 2004, elle retourne dans son pays natal où elle reprend sa collaboration avec Corrigan. En 2006, elles ont formé la Nobel Women’s Initiative, avec les autres lauréates pour la paix Shirin Ebadi, Wangari Maathai, Jody Williams et Rigoberta Menchú Tum. Ces six femmes, représentant l’Amérique du Nord et du Sud, le Moyen-Orient, l’Europe et l’Afrique, ont mis leurs expériences à la disposition d’une lutte commune pour la paix, la justice et l’égalité. Leur objectif commun est de contribuer à renforcer le travail accompli en faveur des droits des femmes dans le monde entier.

Mairead Corrigan sur l'action non violente en Irlande Le bateau des femmes pour Gaza s'appelle Zaytouna

En 2007, elle a participé à une manifestation en Israël contre la construction d’un mur de séparation dans le village palestinien de Bil’in, où elle a été blessée et, à plusieurs reprises, s’est battue pacifiquement contre les violences perpétrées à l’encontre de la population de la bande de Gaza; deux ans plus tard, elle s’est déclarée contre le prix Nobel de la paix attribué au président Obama qui, selon elle, il pratiquait une politique militariste et agressive. Elle continue à agir contre toutes les formes de dictature et de privation des droits, en agissant en faveur des personnes persécutées dans des pays comme la Turquie, la Chine, le Myanmar. Catholique intransigeante, elle fait aujourd’hui partie des mouvements pro-vie contre l’avortement, l’euthanasie et la peine de mort. En plus du Prix Nobel de la Paix, elle a reçu les honneurs suivants : doctorat honorifique de l’Université de Yale, États-Unis; prix du Peuple norvégien pour la Paix (1976); médaille Carl von Ossietzky (1976); prix Pacem in Terris, en mémoire de l’encyclique du pape Jean XXIII (1990).



Traduzione inglese

Syd Stapleton

«If we want to reap the harvest of peace and justice in the future, we will have to sow seeds of nonviolence, here and now, in the present». (Máiréad Corrigan Maguire)

Máiréad Maguire, née Corrigan, was born in Belfast, Northern Ireland, on the 27th of January 1944, the second of eight children of a Catholic window cleaner and a housewife. In September 1981 married Jackie Maguire, widower of her sister Anne, who never recovered from the tragic loss of her children and died in January 1980, she is step-mother to John, Joanne, and Andrew, and the mother of John Francis (b. 1982) and Luke (b. 1984). Máiréad (anglicised Margaret) Corrigan grew up in West Belfast the part of the Northern Irish capital inhabited mainly by Catholics, many of them Republicans. The family—two boys and five girls— was large though not unusual by Irish Catholic standards back then. Her father washed windows and her mother was kept fully occupied as a homemaker. Máiréad’s childhood, she tells us, was happy and her ten-year experience of Northern Ireland's segregated school system seems to have left few scars. Despite the fact that she was a contemporary of the first generation of Catholics to attend university in Northern Ireland she was unable to finish her secondary schooling; she attended a private Catholic school until she was fourteen when she was obliged to leave because her family could no longer afford the fees. After working as a childminder at a Catholic community centre, she saved enough money to enrol in a business college that equipped her for employment in one of Belfast's textile mills, a job she later abandoned for a more secure post in the legendary Guinness brewery. She lived at home and her earnings allowed her a certain degree of independence and freedom to respond to the violent behaviour of both paramilitaries and soldiers in the streets where she lived.

In 1973, she even contemplated joining a paramilitary organisation because she had spent several years, along with some two million or so inhabitants of the “Six Counties” as unwilling participants in the province's "troubles," and, but for one life-changing event she might have remained unknown. Membership of a religious association, the Legion of Mary, brought her into immediate contact with the "troubles" in 1969. Corrigan, a team leader in the Legion, worked with the children of Andersonstown, then a bleak colourless Catholic ghetto devoid of facilities, to prevent them from being drawn ever deeper into the province’s unrest. She was responsible, in part, for the area's first nursery school and for a recreation centre for Andersonstown's handicapped children. Her work with the Legion of Mary enabled her to travel—to Russia, where she made a film on Catholic lifestyles, and as a delegate to the World Conference of Churches in Thailand. In the years before the events of 1976 transformed her into a household name, she was one of the Legionnaires who maintained close contact with the interned Catholics held in the Long Kesh prison camp, an old establishment brought hastily back to life in 1971 to detain Catholics suspected of anti-establishment sentiment. Close friends were killed, and on more than one occasion, when she attempted to help those being harassed by soldiers, she was herself assaulted.

On these occasions, as on the evening when the British army teargassed a church in which she was holding a Legion meeting, Corrigan was presented with the choice open to all those who suffered in Northern Ireland: whether it might be better to meet violence with violence, remain aloof or opt for another solution. Despite her Catholic upbringing, there was no history of overt Republicanism in Corrigan's family. Like many of her forebears, she thought it would be simpler and less complicated to sublimate her political urges, however strong, into religious passivism. Later her encounters with committed Republicans among the prisoners of Long Kesh convinced her of the aimlessness, futility, and loss of direction those who resorted to violence experienced. Her sense of personal identity cut across the divisions of life considered "normal" in Northern Ireland: Corrigan was uninterested in ending the 1921 partition arrangement, the Anglo-Irish Treaty whereby the island of Ireland was divided into two political entities. Like many Northern Irish Catholics, she was keenly aware of the cultural and attitudinal differences between herself and her co-religionists in the Irish Republic. Unlike many Catholics in her area, she felt a strong bond with the area’s Protestant population. She regarded herself as neither British nor Irish but simply Northern Irish, a strong, self-contained form of identity.

On August 10, 1976, Corrigan's sister Anne Corrigan-Maguire was taking her three small children for a walk on a suburban street when a car smashed into them, seriously injuring Anne herself and killing all of her three children—Joanne (8), John (3), and Andrew (6 weeks old). In a macabre example of the tragic absurdity of much of the Northern Irish nightmare, it was discovered later that the terrorist at the wheel of the stolen car was already dead, having been shot by British soldiers only moments before the crash during a running gun battle. Betty Williams who lived nearby witnessed the tragedy. It was Williams who organised, in the immediate aftermath of this massacre, a petition calling for the Ira (Irish Republican Army) to cease its campaign, a petition signed by several thousands of Belfast citizens. Máiréad Corrigan, the Corrigan-Maguire family's most vocal representative, helped organise the massive public demonstration which took place the day after the children's funeral. It was a show of public outrage unusual in that the Catholic women of West Belfast were joined by Protestant women from other areas of the city. It was unusual also in the depth and ferocity of its expression of opposition against the activities of all the paramilitaries, whatever their “faith” who adopted terrorist strategies. As early as 1970, the Women Together movement, again a cross-community initiative in the divided society of Northern Ireland, had tried with limited success to intercede between the embattled factions acting in a traditional men's world and mediate with the political and military authorities. But the movement which followed the deaths of the Maguire children differed from previous efforts, not only in the depth of its determination to endure and succeed, but also in its unambiguous and single-minded opposition to paramilitaries in a society ruled largely by them where terrorism had become a predominant way of life. The ruthless courage of those who led and made up the Peace People movement, together with their avowed rejection of the primacy of the paramilitaries' political aim, represented the first real threat to the popular support on which the moral position of the terrorists depended.

Apart from a similar environment and profound concern for the appalling quality of life in troubled Northern Ireland, there was little to connect Betty Williams and Mairead Corrigan with each other, or either of them with the movement's third co-founder, Ciaran McKeown. Born within a few years of each other in Belfast, both came from Roman Catholic backgrounds (though Williams was of mixed Catholic-Protestant-Jewish extraction) and were educated locally and conventionally. By the mid-1970s, Williams had married to an English Presbyterian seaman who was absent for most of each year. When this marriage with was dissolved in 1981 she moved to Florida, where she married a businessman, James Perkins, in December 1982. She was very active in the Usa. In 2004, she returned to Belfast where she died on the 17th of March 2020, at the age of 76. Awards: An honorary doctorate from Yale University, Usa; Norwegian People Peace Prize (1976); Nobel Peace Prize (1976).

Mairead Corrigan on nonviolent action in Ireland The women's boat for Gaza is called Zaytouna



Traduzione spagnola

Martina Randazzo

«Si queremos recoger la cosecha de paz y justicia en el futuro, tenemos que sembrar semillas de no-violencia, aquí y ahora, en el presente.», dijo Máiréad Corrigan, Premio Nobel por la paz en 1976 junto a Betty Williams. El premio fue otorgado por el siguiente motivo: «Por los esfuerzos valientes para acabar con el conflicto violento en Irlanda del Norte» y fue galardonada con sólo 32 años, la más joven antes de Malala Yousafzai.

Máiréad Corrigan nació en Belfast, en Irlanda del Norte, el 27 de enero de 1944, segunda de ocho hijos de una familia modesta. En septiembre de 1981 se casó con Jackie Maguire, viudo de su hermana Anne, que nunca se llegó a recuperar tras la trágica pérdida de sus hijos y que se había suicidado en enero de 1980, de modo que fue madrastra de John, Joanne y Andrew y luego madre de John Francis (1982) y Luke (1984). Máiréad Corrigan se crió en Belfast occidental, parte de la capital de Irlanda del Norte donde vivían en su mayoría católicos, muchos de ellos republicanos, en una familia numerosa (dos chicos y cinco chicas), algo frecuente por aquel entonces entre los católicos irlandeses. Su padre era limpiacristales y su madre trabajaba como ama de casa toda la jornada. La infancia de Máiréad, según ella misma, fue feliz y su experiencia educativa decenal en el sistema escolar segregador de Irlanda del Norte no parece haberle dejado cicatrices. Pese a ser contemporánea de la primera generación de juventud católica que fue a la universidad, no pudo terminar los estudios secundarios. Fue a una escuela católica privada hasta los catorce años, cuando se vio obligada a abandonar los estudios ya que su familia no podía permitirse pagar la matrícula. Trabajando de niñera en un centro católico comunitario, pudo ahorrar bastante dinero para matricularse en una escuela superior de comercio que la preparó para su empleo en una de las fábricas de tejidos en Belfast, trabajo que más tarde abandonó para ocupar un puesto más seguro en la legendaria cervecería Guinness. Vivió mucho tiempo en casa de sus padres (hasta 1981) lo que significa que sus ingresos le permitieron tener cierto grado de independencia y libertad para hacer frente a la conducta violenta tanto de los paramilitares como de los soldados que merodeaban por su casa.

En 1973 pensó en alistarse en una organización paramilitar, dado que había pasado muchos años, junto a unos dos millones de habitantes de los Seis Condados de Irlanda del Norte, como participante reacia a los “problemas” de la provincia. Es probable que, de no haber sido por un evento dramático que le cambió la vida, ella hubiera permanecido en el anonimato. Al pertenecer a una asociación religiosa, la Legión de María, estuvo en contacto inmediato con los “problemas” ya desde 1969. Corrigan, líder de la Legión, trabajó con los niños de Andersonstown (suburbio en las afueras de Belfast occidental), entonces gueto inhóspito y tétrico desprovisto de servicios, para evitar que se viera siempre absorbido por los disturbios. Fue corresponsable del primer parvulario de la zona y de un centro de recreo para niños y niñas discapacitado/as de Andersonstown. Trabajar con la Legión de María le permitió viajar a Rusia, donde rodó un documental sobre el estilo de vida de los católicos, y participar como delegada en el Consejo Mundial de Iglesias en Tailandia. Durante los años que precederieno al premio Nobel 1976 que la hizo famosa, fue una de las Legionarias que permanecieron en contacto directo con los católicos internados en el campamento para prisoneros de Long Kesh, un viejo establecimiento penal al que se le había devuelto la vida apresuradamente en 1971 con el fin de detener a individuos presuntamente contrarios al sistema dominante. Unos amigos íntimos suyos fueron asesinados allí y, en más de una ocasión, ella misma sufrió agresiones al intentar ayudar a las personas vejadas por los soldados.

En semejantes circunstancias, como la tarde en que el ejército británico lanzó gases lacrimógenos dentro de la iglesia donde se estaba celebrando una reunión de la Legión, se le planteó la elección que se les había planteado a todos los que entonces sufrían en Irlanda del Norte: hacer frente a la violencia con violencia, mantenerse al margen u optar por una tercera vía. A pesar de su educación católica, no había pruebas de manifiesto republicanismo en la familia Corrigan. Como muchos antepasados suyos, ella pensaba que era más simple sublimar su inclinación por la política, por muy fuerte que fuera, en una conducta de pasividad religiosa. Más tarde sus encuentros con algunos republicanos detenidos en Long Kesh la convencieron de lo absurdo, la futilez y el sentido de desorientación de quienes recurrían a la violencia. Su sentido de identidad personal rebasaba las divisiones entonces consideradas “normales” en Irlanda del Norte: Corrigan no tenía interés en la revocación del Tratado anglo-irlandés de 1921, en base al cual se había dividido la isla en dos entidades políticas. Como muchos católicos y católicas irlandeses, ella era profundamente consciente de las diferencias culturales y de actitud entre ella y sus correligionarios en la República de Irlanda. A diferencia de la mayoría, tenía un fuerte vínculo con la población protestante de la región. No se consideraba ni británica ni irlandesa, solamente norirlandesa, una forma de identidad fuerte y autónoma.

El 10 de agosto de 1976 su hermana Anne-Corrigan Maguire estaba dando un paseo con sus tres hijos menores por una calle suburbana, cuando un coche se estrelló contra ellos; Anne resultó gravemente herida y sus hijos murieron: Joanne (8 años), John (3 años) y Andrew (6 semanas). En un ejemplo macabro de lo absurda y trágica que era la pesadilla de Irlanda del Norte, se descubrió que el terrorista que conducía el coche robado ya estaba muerto, pues los soldados británicos le habían disparado poco antes del choque en un tiroteo. Betty Williams (amiga y futura Nobel), que vivía cerca, asistió a la tragedia. Fue precisamente ella, Williams, quien, enseguida después de la masacre, elevó una petición al Ejército Republicano Irlandés Ira (Irish Republican Army) para que interrumpiera su campaña violenta, petición firmada por varios miles de habitantes de Belfast. Máiréad Corrigan, la representante más elocuente de la familia Corrigan-Maguire, ayudó a organizar la enorme manifestación pública que se celebró el día después del funeral. Fue una demostración de indignación pública excepcional ya que las mujeres católicas de Belfast occidental fueron acompañadas por mujeres protestantes de otras zonas de la ciudad. Fue excepcional también por su profunda y feroz oposición a las actividades de todos los grupos paramilitares, fuera cual fuera su fe, que habían adoptado estrategias terroristas. A principios de 1970 el movimiento Women Together, otra iniciativa intercomunitaria en la sociedad dividida de Norte de Irlanda, ya había intentado sin demasiado éxito interceder con las facciones en lucha, que actuaban en un mundo masculino tradicional así como mediar entre las autoridades políticas y militares. Sin embargo, el movimiento que siguió a la muerte de los tres niños Maguire difería de los intentos anteriores no sólo por su determinación para durar y triunfar, sino también por su firme e inequívoca oposición a los paramilitares en una sociedad gobernada en gran parte por ellos, en la que el terrorismo se había convertido en estilo de vida predominante. La valentía implacable de quienes dirigían y formaban el Movimiento de Personas Por la Paz (Peace People Movement), junto al rechazo declarado del objetivo político de los paramilitares, fue la primera verdadera amenaza al apoyo popular con el que contaba la esfera moral de los terroristas.

Aparte del ambiente similar y de la intensa preocupación por la atroz calidad de vida en la conflictiva Irlanda del Norte, no tenían mucho en común Betty Williams y Máiréad Corrigan, ni tampoco ellas con el tercero cofundador, Ciaran McKeown. Nacidas a pocos años de distancia en Belfast, ambas provenían de un ambiente católico (aunque Williams era de extracción mixta católica, protestante y judía) y habían recibido una escolarización católica. A mediados de los años setenta, Williams se había casado con un marinero inglés presbiteriano. Después del divorcio (1981) esta se fue a Florida y se casó con un empresario, James Perkins, en diciembre de 1982. Fue muy activa en los Estados Unidos. En 2004 regresó a su patria, donde volvió a cooperar con Corrigan, y donde murió el 17 de marzo 2020 con 76 años. En 2006 crearon la Iniciativa Mujeres Nobel, junto a las también galardonadas con el premio por la paz Shirin Ebadi, Wangari Maathai, Jody Williams y Rigoberta Menchú Tum. Estas seis mujeres, representantes de América del Norte y del Sur, de Oriente Medio, de Europa y de África, proporcionaron sus experiencias de lucha común por la paz, la justicia y la igualdad. Su objetivo común es contribuir a consolidar el trabajo realizado para defender los derechos de las mujeres en todo el mundo.

Mairead Corrigan sobre la acción noviolenta en Irlanda El barco de mujeres para Gaza se llama Zaytouna
En 2007 Máireád participó en una manifestación en Israel en contra de la construcción de una muralla divisoria en el pueblo palestino de Bil'in, donde fue herida, y en varias ocasiones luchó pacíficamente contra las violencias cometidas en perjuicio de la población de la Franja de Gaza. Dos años después se declaró contraria al Premio Nobel por la Paz otorgado a Obama quien, en su opinión, practicaba una política militarista y agresiva. Sigue siendo muy activa contra todas las formas de dictadura y privación de derechos a favor de los que sufren persecuciones en países como Turquía, China y Myanmar. Católica intransigente, hoy es miembro de movimientos provida, contra el aborto, la eutanasia y la pena capital. Tras el premio Nobel le fueron otorgados los premios siguientes: un doctorado “honoris causa” por la Universidad de Yale, Estados Unidos; el Norwegian People Peace Prize (1976); la medalla Carl von Ossietzky (1976), el premio Pacem in Terris (Paz en la tierra) en memoria de la homónima encíclica de papa Juan XXIII (1990).

Rosalyn Sussman Yalow
Giuliana De Luca






Tonka Uzu

 

Donna, studente, studiosa, insegnante, scienziata, biofisica, moglie, madre, vincitrice del Premio Nobel nel 1977 per la scoperta della tecnica di dosaggio radioimmunologico (Radio Immuno Assay) attraverso cui è oggi possibile misurare qualsiasi composto immunogenetico. Una lista di nomi comuni di persona organizzata secondo una precisa successione e terminata con un’informazione che battezza il riconoscimento di Rosalyn Sussman Yalow. Sono le parole che, applicate come post-it su un’identità inizialmente neutra, permettono di sintetizzare la storia di un essere umano; la scelta dei termini giusti appare complessa poiché essi permettono a chi legge di costruire nella propria mente una determinata immagine della persona interessata. A seguito di questa considerazione è possibile introdurre un ulteriore nome da associare a Rosalyn Sussman Yalow: genio.

In una pubblicità degli anni Sessanta viene domandato alla scienziata americana cosa occorra per poter essere un genio; sorridente nel suo camice bianco Rosalyn risponde: «Non so cosa sia un genio ma penso di poter riconoscere chi lo sia stato in questo mondo: Einstein, Curie… Persone con talento per le nuove scoperte e che hanno portato al mondo ciò che prima non esisteva. Le informazioni che un genio ha sono le stesse di una qualsiasi persona ma, modellandole, egli crea all’improvviso un mondo nuovo».

È con questa consapevolezza che ci si accinge a ripercorrere alcune tappe fondamentali della vita e della carriera di Rosalyn Sussman. Nata a New York nel 1921 in una famiglia di origini ebraiche, inizia gli studi presso la Walton High School. Qualche anno più tardi si sposta dal distretto del Bronx per giungere a Manhattan e frequentare l’Hunter College: università pubblica esclusivamente femminile in cui vennero ammessi uomini soltanto dal 1946. È qui che Rosalyn inizia ad appassionarsi alle materie scientifiche mostrando particolare interesse per la fisica quantistica. Conscia dell’impossibilità di poter ottenere una borsa di studio che le permetta di proseguire la sua formazione presso l’Università della Columbia, sfrutta le sue competenze di dattilografa per lavorare come segretaria presso gli uffici di due biochimici e insegnanti dell’Istituzione americana: Rudolf Schoenheimer e Michael Heidelberger.

Nel 1941 si laurea all’Hunter College e le viene offerto il ruolo di insegnante-assistente in Fisica all’Università dell’Illinois. Proprio in questa occasione il Preside della Facoltà si congratula con lei per aver conquistato il primato di genere all’interno di una sede composta da quattrocento uomini; è importante ricordare che negli stessi anni si combatte la Seconda guerra mondiale e per tale ragione molti docenti abbandonavano le cattedre per imbracciare le armi.

Diverso tempo dopo aver conseguito il dottorato in Fisica nucleare, la studiosa torna nel Bronx per lavorare all’ospedale del distretto. È già sposata con Aaron Yalow quando conosce Solomon Berson, collega con cui stringe un rapporto professionale fondato sulla stima reciproca, e con cui collabora all’interno del laboratorio di ricerca radioisotopica. In seguito, le sperimentazioni avanzate dai due ricercatori portano alla scoperta della Radio Immuno Assay (Ria): una tecnica che consente la misurazione dell’insulina, dell’ipertensione, di patologie e di possibili sostanze stupefacenti presenti nel sangue. Un apporto alla scienza fondamentale, quello di Yalow e Berson, che spiega il conferimento di prestigiosi premi negli anni a venire. L’idillio professionale s’interrompe con l’improvvisa scomparsa del collega e amico nel 1972, anno in cui la scoperta dei due studiosi ottiene il Dickson Prize per la medicina. Prima del doloroso evento, Yalow e Berson avevano deciso di non brevettare il metodo col fine di renderlo economicamente fruibile anche nei Paesi più poveri.

Anche a seguito dei riconoscimenti ricevuti dal Biomedical Laboratory Research and Development Service (1972), dalla Endocrine Society (1972) e dall’American Medical Association (1975) Rosalyn continua la sua attività di ricercatrice nell’ambito dell’endocrinologia – branca della medicina interna che studia il sistema endocrino – e forma nuovi/e giovani ricercatori e ricercatrici; il suo contributo lungo l’intera carriera le è valso il titolo di "madre dell’endocrinologia". Ma il riconoscimento che ha consacrato l’operato di Rosalyn Yalow nel mondo della Medicina è il Nobel del 1977, a un anno esatto dal premio Albert Lasker, per lo studio condotto insieme a Berson. Dopo anni di ricerche in istituzioni perlopiù governate da uomini e sotto lo sguardo critico di una parte di donne che osservavano con sospetto la sua posizione di scienziata, Yalow afferma: «Non dobbiamo aspettarci che nell’immediato futuro tutte le donne possano ottenere piena uguaglianza e pari opportunità, dobbiamo credere in noi stesse o nessuno crederà in noi; dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire; e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo». È con queste parole che si congeda dal ricevimento di consegna del premio.

Nonostante Yalow sia stata protagonista di una serie di primati per il genere femminile, appare allarmante constatare che dei duecentoventiquattro Premi Nobel per la Medicina consegnati dal 1901, solo dodici sono stati vinti da donne; inoltre, undici di questi sono stati condivisi con altri studiosi. L’eccezione è qui data da Barbara McClintock, insignita del Nobel nel 1983 per aver scoperto l’esistenza di porzioni di Dna in grado di spostarsi da un cromosoma all’altro.

Altre volte Rosalyn è tornata a esprimersi su questioni di genere, prendendo una posizione singolare rispetto alla tendenza movimentista dell’epoca in cui ha vissuto. «Mi infastidisce sapere che ci siano adesso organizzazioni per le donne nella scienza, ciò significa che esse debbano essere trattate differentemente dagli uomini. Non lo approvo». E ancora: «L’unica differenza tra uomini e donne nella scienza è che le donne hanno dei figli. Ciò può rendere la loro carriera più difficile… Ma è soltanto un’altra battaglia da superare». Non ha mai fatto mistero infatti dell’aver vissuto in contesti totalmente maschili in cui la dedizione per la scienza non dava spazio a disquisizioni di altro tipo. La biografia di Yalow ci offre adesso delle risposte alla domanda poc’anzi posta su cosa occorra per essere un genio: passione, tenacia e amore per il sapere.



Traduzione francese

Guenoah Mroue

Femme, étudiante, universitaire, enseignante, scientifique, biophysicienne, épouse, mère, gagnante du prix Nobel 1977 pour la découverte de la technique d'immunologique radio (Radio Immuno Assay) grâce à laquelle il est maintenant possible de mesurer n'importe quel composé immunogénétique. Une liste de noms communs de la personne organisée selon une succession précise et s'est terminée par des informations qui baptisent la reconnaissance de Rosalyn Sussman Yalow. Ce sont les mots qui, appliqués en tant que post-it sur une identité initialement neutre, permettent de synthétiser l'histoire d'un être humain ; le choix des bons termes semble complexe parce qu'ils permettent au lecteur de construire dans son esprit une certaine image de la personne concernée. Suite à cette considération, il est possible d'introduire un nom supplémentaire à associer à Rosalyn Sussman Yalow : genius.

Dans une publicité des années 60, on demande à la scientifique américaine ce qu’il faut pour être un génie ; souriante dans sa blouse blanche, Rosalyn répond : « Je ne sais pas ce qu’est un génie mais je pense pouvoir reconnaître qui l’a été dans ce monde : Einstein, Curie... Des gens doués pour les nouvelles découvertes et qui ont apporté au monde ce qui n’existait pas auparavant. Les informations qu’un génie a sont les mêmes que n’importe quelle personne, mais en les modelant, il crée soudain un monde nouveau ».

C'est avec cette prise de conscience que nous allons retracer certaines étapes fondamentales de la vie et de la carrière de Rosalyn Sussman. Née à New York en 1921 dans une famille d'origine juive, elle a commencé ses études à la Walton High School. Quelques années plus tard, elle a quitté le district du Bronx pour Manhattan et elle a fréquenté le Hunter College : une université publique exclusivement féminine où les hommes n'avaient été admis que depuis 1946. C'est là que Rosalyn commence à se passionner pour les sujets scientifiques montrant un intérêt particulier pour la physique quantique. Consciente de l'impossibilité d'obtenir une bourse qui lui permette de poursuivre ses études à l'Université de Columbia, elle utilise ses compétences de dactylo pour travailler en tant que secrétaire dans les bureaux de deux biochimistes et enseignants de l'American Institution : Rudolf Schoenheimer et Michael Heidelberger.

En 1941, elle a obtenu son diplôme du Hunter College et on lui a offert le rôle d'enseignante-assistante en physique à l'Université de l'Illinois. C'est précisément à cette occasion que le doyen de la faculté la félicite d'avoir vaincu la primauté du genre au sein d'un siège composé de quatre cents hommes ; il est important de se rappeler que dans les mêmes années, la Seconde Guerre mondiale est menée et que, pour cette raison, de nombreux enseignants ont abandonné les chaises pour prendre les armes.

Quelque temps après avoir obtenu son doctorat en physique nucléaire, elle retourne dans le Bronx pour travailler à l'hôpital de district. Elle est déjà mariée à Aaron Yalow lorsqu'elle rencontre Solomon Berson, un collègue avec qui elle forme une relation professionnelle basée sur l'estime mutuelle, et avec qui elle collabore au sein du laboratoire de recherche radioisotopique. Par la suite, les expériences avancées par les deux chercheurs ont conduit à la découverte de Radio Immuno Assay (Ria) : une technique qui permet de mesurer l'insuline, l'hypertension, les pathologies et les médicaments possibles présents dans le sang. Une contribution à la science fondamentale, celle de Yalow et Berson, qui explique l'attribution de prix prestigieux dans les années à venir. L'idylle professionnelle est interrompue par le décès soudain de son collègue et ami en 1972, lorsque la découverte des deux chercheurs a obtenu le prix Dickson de médecine. Avant cet événement douloureux, Yalow et Berson avaient décidé de ne pas breveter la méthode afin de la rendre économiquement viable, même dans les pays les plus pauvres.

Toujours à la suite des prix reçus par le Biomedical Laboratory Research and Development Service (1972), l'Endocrine Society (1972) et l'American Medical Association (1975), Rosalyn poursuit son activité de chercheuse dans le domaine de l'endocrinologie - une branche de la médecine interne qui étudie le système endocrinien - et forme de nouveaux jeunes chercheurs ; Sa contribution tout au long de sa carrière lui a valu le titre de "mère de l’endocrinologie”. Mais la reconnaissance qui a consacré le travail de Rosalyn Yalow dans le monde de la médecine est le prix Nobel 1977, exactement un an après le prix Albert Lasker, pour l'étude menée en collaboration avec Berson. Après des années de recherche sur des institutions pour la plupart gouvernées par des hommes et sous le regard critique d'une partie de femmes qui considéraient sa position de scientifique avec suspicion, Yalow déclare : "Nous ne devons pas nous attendre à ce que, dans un avenir immédiat, toutes les femmes puissent atteindre la pleine égalité et les mêmes opportunités, nous devons croire en nous, nous devons nourrir nos aspirations avec la compétence, le courage et la détermination de réussir; et nous devons avoir la responsabilité personnelle de rendre le chemin plus facile pour ceux qui viendront après ”. C’est avec ces mots qu’elle se retire de la réception de la remise du prix. Bien que Yalow ait été protagoniste d'une série de documents sur le sexe féminin, il semble urgent de noter que sur les deux cent vingt-quatre prix Nobel de médecine décernés depuis 1901, seuls douze ont été remportés par des femmes ; de plus, onze d'entre eux ont été partagés avec d'autres chercheurs. L'exception est donnée ici par Barbara McClintock, qui a reçu le prix Nobel en 1983 pour avoir découvert l'existence de portions d'ADN qui peuvent se déplacer d'un chromosome à un autre.

D'autres fois, Rosalyn est revenue à s'exprimer sur les questions de genre, adoptant une position singulière par rapport à la tendance mouvementiste de l'époque dans laquelle elle a vécu. « Cela m'agace de savoir qu'il y a maintenant des organisations de femmes dans la science, ce qui signifie qu'elles doivent être traitées différemment par les hommes. Je ne l'approuve pas." Elle a ainsi ajouté: « La seule différence entre les hommes et les femmes dans la science est que les femmes ont des enfants. Cela peut rendre leur carrière plus difficile... Mais ce n'est qu'une autre bataille à surmonter. » En fait, elle n'a jamais caché d'avoir vécu dans des contextes totalement masculins où le dévouement à la science ne laissait aucune place à d'autres disquisitions. La biographie de Yalow nous offre maintenant des réponses à la question que nous venons de poser sur ce qu'il faut pour être un génie : la passion, la ténacité et l'amour de la connaissance.



Traduzione inglese

Syd Stapleton

Rosalyn Sussman Yalow won the Nobel Prize in 1977 for the discovery of the radioimmunoassay technique through which it is now possible to measure any immunogenic compound. She was a woman, student, scholar, teacher, biophysicist, wife, mother and scientist - a list of common characteristics organized according to a precise succession and ended with a piece of information that heralds the recognition of Rosalyn Sussman Yalow. These are the words that, applied like post-it notes on an initially neutral identity, make it possible to summarize the story of a human being. The choice of the right terms appears complex since they allow the reader to construct in his or her mind a certain image of the person concerned. Following this consideration, it is possible to introduce an additional word to associate with Rosalyn Sussman Yalow - genius.

In an advertisement from the 1960s, the American scientist was asked what it takes to be a genius. Smiling in her white coat Rosalyn replied, "I don't know what a genius is but I think I can recognize who has been one in this world - Einstein, Curie... People with a talent for new discoveries and who brought to the world things that did not exist before. The information a genius has is the same as any other person, but by shaping it, he or she suddenly creates a new world."

It is with this in mind that we set out to trace some of the milestones in Rosalyn Sussman's life and career. Born in New York City in 1921 into a family of Jewish descent, she began her studies at Walton High School. A few years later she moved from the Bronx borough to Manhattan to attend Hunter College, an exclusively female public university to which men were not admitted until 1946. It was here that Rosalyn began to become interested in scientific subjects, showing particular interest in quantum physics. Aware of the impossibility of obtaining a scholarship that would allow her to continue her education at Columbia University, she took advantage of her typing skills to work as a secretary in the offices of two biochemists and teachers at that American institution - Rudolf Schoenheimer and Michael Heidelberger.

She graduated from Hunter College in 1941 and was offered a teaching assistantship in physics at the University of Illinois. It was on this occasion that the Dean of the Faculty congratulated her on being the first of her gender within a four hundred man faculty. It is important to remember that in the same years World War II was being fought and for that reason many male faculty members were abandoning their professorships to take up arms.

Some time after earning her doctorate in nuclear physics, she returned to the Bronx to work at the borough hospital. She was already married to Aaron Yalow when she met Solomon Berson, a colleague with whom she forged a professional relationship based on mutual esteem, and with whom she collaborated within the radioisotopic research laboratory. Later, the experiments advanced by the two researchers led to the discovery of the radioimmunoassay (RIA), a technique that allows the measurement of insulin, hypertension, pathologies and possible drugs in the blood. A fundamental contribution to science, Yalow and Berson's work led to the awarding of prestigious prizes in the years to come. The professional collaboration was ended by the sudden death of her colleague and friend in 1972, the year the two scholars' discovery were awarded the Dickson Prize for medicine. Before the painful event, Yalow and Berson had decided not to patent the method with the aim of making it economically available, even to poorer countries.

Following the awards received from the Biomedical Laboratory Research and Development Service (1972), the Endocrine Society (1972) and the American Medical Association (1975) Rosalyn continued her work as a researcher in the field of endocrinology - a branch of internal medicine that studies the endocrine system - and trained new/young researchers and investigators. Her contributions throughout her career earned her the title of "the mother of endocrinology." But the recognition that enshrined Rosalyn Yalow's work in the world of Medicine was the 1977 Nobel Prize, exactly one year after the Albert Lasker Prize, for the study she conducted with Berson. After years of research in mostly male-governed institutions and under the critical gaze of a section of women who viewed her position as a scientist with suspicion, Yalow says, "We must not expect that in the immediate future all women will achieve full equality and equal opportunity. We must believe in ourselves or no one will believe in us - we must feed our aspirations with the competence, courage and determination to succeed. And we must feel a personal responsibility to make the path easier for those who will come after." It was with these words that she took leave of the award reception.

Although Yalow has been the protagonist of a number of firsts for the female gender, it seems alarming to note that of the two hundred and twenty-four Nobel Prizes in Medicine awarded since 1901, only twelve have been won by women. Moreover, eleven of these have been shared with other scholars. The exception here is Barbara McClintock, who was awarded the Nobel in 1983 for discovering the existence of portions of DNA capable of moving from one chromosome to another.

At other times Rosalyn has returned to speak out on gender issues, taking a stance that reflected the feminist movement of the era in which she lived. "It bothers me to know that there are now organizations for women in science, which means they should be treated differently from men. I don't approve of that." And again, "The only difference between men and women in science is that women have children. This can make their careers more difficult... But it is just another battle to overcome." Indeed, she has never made any secret of having lived in totally male contexts in which dedication to science gave no room for arguments of any other kind. Yalow's biography now offers us answers to the questions posed about what it takes to be a genius, and they are, passion, tenacity and love of knowledge.



Traduzione spagnola

Federica Agosta

Mujer, estudiante, estudiosa, docente, científica, biofísica, esposa, madre, ganadora del Premio Nobel en 1977 por el descubrimiento de la técnica del radioinmunoensayo (Radio Immuno Assay), mediante la cual hoy en día es posible medir cualquier compuesto inmunogenético. Una lista de nombres comunes de persona organizada según una precisa sucesión que termina con un dato que bautiza el reconocimiento de Rosalyn Sussman Yalow. Son las palabras las que, aplicadas como notas adhesivas sobre una identidad inicialmente neutra, permiten resumir la historia de un ser humano; la elección de los términos adecuados parece compleja dado que permiten a quien las lee que genere en su mente una determinada imagen de la persona en cuestión. Tras dicha consideración, es posible introducir un nombre más que se puede asociar a Rosalyn Sussman Yalow: genio.

En un anuncio de los años sesenta le preguntan a esta científica estadounidense qué se necesita para poder ser un genio; sonriente en su bata blanca Rosalyn contesta: “No sé lo que es un genio pero creo que puedo reconocer quién lo ha sido en este mundo: Einstein, Curie... Personas con talento para nuevos descubrimientos y que aportaron al mundo lo que antes no existía. Las informaciones que posee un genio son las mismas que las de cualquier otra persona, sin embargo, al modelarlas, el genio crea de repente un mundo nuevo”.

Es con esta conciencia que vamos a repasar algunos hitos de la vida y de la carrera de Rosalyn Sussman. Nacida en Nueva York en 1921 en el seno de una familia de origen judío, comenzó sus estudios en la Walton High School. Unos años más tarde se trasladó del barrio del Bronx a Manhattan para asistir al Hunter College: una universidad pública exclusivamente femenina que sólo admitió hombres a partir de 1946. Fue ahí donde Rosalyn empezó a apasionarse por las disciplinas científicas mostrando especial interés por la física cuántica. Consciente de la imposibilidad de poder ganar una beca para continuar sus estudios en la Universidad de Columbia, sacó provecho de sus competencias como dactilografía para trabajar como secretaria en los despachos de dos bioquímicos y profesores de la Institución norteamericana: Rudolf Schoenheimer y Michael Heidelberger.

En 1941 se graduó en el Hunter College y le ofrecieron una plaza de ayudante en la cátedra de Física de la Universidad de Illinois. Fue en aquella ocasión que el rector de la facultad la felicitó por ser la primera mujer en una sede de cuatrocientos hombres; es importante recordar que en aquellos años tenía lugar la Segunda Guerra Mundial y por esta razón muchos docentes abandonaban sus puestos para tomar las armas.

Algún tiempo después de doctorarse en Física nuclear, la estudiosa regresó al Bronx para trabajar en el hospital de ese distrito. Ya estaba casada con Aaron Yalow cuando conoció a Solomon Berson, un compañero con el que entabló una relación profesional basada en la estima recíproca, y con el que colaboró en el laboratorio de investigación radioisotópica. Más tarde, las experimentaciones realizadas por ambos investigadores llevaron al descubrimiento del Radioinmunoanálisis (Ria): una técnica que permite medir la insulina, la hipertensión, las patologías y las posibles substancias estupefacientes en la sangre. Una aportación a la ciencia fundamental, la de Yalow y Berson, que explica el otorgamiento de prestigiosos premios en los años sucesivos. El idilio profesional se vio interrumpido por la repentina muerte de su colega y amigo en 1972, año en el cual el descubrimiento de ambos fue galardonado con el Premio Dickson de Medicina. Antes del doloroso acontecimiento, Yalow y Berson habían decidido no patentar el método para que también fuera accesible en los países más pobres.

Incluso tras los reconocimientos recibidos por el Servicio de Investigación y Desarrollo de Laboratorios Biomédicos (1972), la Sociedad de Endocrinología (1972) y la Asociación Médica Estadounidense (1975) Rosalyn continuó su labor como investigadora en el ámbito de la endocrinología –rama de la medicina interna que estudia el sistema endocrino– y formó a nuevos/as jóvenes científicos/as e investigadores/as; sus contribuciones a lo largo de su carrera le valieron el título de “madre de la endocrinología”. Sin embargo, el reconocimiento que consagró el trabajo de Rosalyn Yalow en el mundo de la medicina fue el Premio Nobel de 1977, exactamente un año después del Premio Albert Lasker, por el estudio llevado a cabo junto a Berson. Tras años de investigaciones en instituciones por lo general regidas por hombres y bajo la mirada crítica de una parte de mujeres que observaban con recelo su posición de científica, Yalow afirmó: “No debemos esperar que en un futuro inmediato todas las mujeres puedan alcanzar la plena igualdad y la igualdad de oportunidades, debemos creer en nosotras mismas o nadie creerá en nosotras; debemos alimentar nuestras aspiraciones con la competencia, el valor y la determinación para tener éxito; y debemos sentir la responsabilidad personal de facilitar el camino a las generaciones venideras”. Con estas palabras se despidió de la recepción del premio.

Aunque Yalow haya protagonizado una serie de primacías para el género femenino, resulta alarmante constatar que de los doscientos veinticuatro Premios Nobel de Medicina otorgados desde 1901, sólo doce han sido atribuidos a mujeres; además, once de ellos fueron compartidos con otros estudiosos. La excepción fue Barbara McClintock, galardonada con el Premio Nobel en 1983 por haber descubierto la existencia de porciones de ADN capaces de pasar de un cromosoma a otro.

En otras ocasiones Rosalyn volvió a pronunciarse sobre las cuestiones de género, adoptando una posición singular en relación con la tendencia movimentista de la época en la cual vivió. "Me molesta que haya actualmente organizaciones para mujeres en la ciencia, significa que deben ser tratadas de forma diferente a los hombres. No lo apruebo”. Y de nuevo: “La única diferencia entre hombres y mujeres en la ciencia es que las mujeres tienen hijos. Esto puede dificultar sus carreras... Pero se trata de una batalla más que hay que superar”. De hecho nunca ocultó haber vivido en ambientes totalmente masculinos donde la dedicación a la ciencia no daba cabida a disquisiciones de ningún otro tipo. La biografía de Yalow nos ofrece ahora respuestas a la pregunta planteada anteriormente sobre lo que hace falta para ser un genio: pasión, tenacidad y amor por el conocimiento.



Traduzione ucraino

Alina Petelko

Жінка, студентка, вчена, вчителька, науковець, біофізик, дружина, мати, лауреат Нобелівської премії 1977 року за відкриття методу радіоімунологічного аналізу (Radio Immuno Assay), за допомогою якого тепер можна виміряти будь-яку імуногенну сполуку. Список слів, упорядкований відповідно до точної послідовності та закінчується інформацією, що вказує на визнання Розалін Сассман Ялоу. Це слова, які, застосовані як листочки до спочатку нейтральної особистості, дозволяють нам підсумувати історію людини; вибір правильних термінів здається складним, оскільки вони дозволяють читачеві створити у власній свідомості конкретний образ відповідної особи. Дотримуючись цих міркувань, можна ввести ще одне слово, пов’язане з Розалін Сассман Ялоу: геній.

У рекламі 1960-х років американську вчену запитують, що потрібно для того, щоб бути генієм; посміхаючись, у своєму білому халаті Розалін відповідає: «Я не знаю, що таке геній, але мені здається, що я можу впізнати, хто був ним у цьому світі: Ейнштейн, Кюрі... Люди з талантом до нових відкриттів і які привели до світ, чого раніше не було. Інформація, якою володіє геній, така ж, як і будь-яка інша людина, але, моделюючи її, він раптово створює новий світ».

Усвідомлюючи це, відстежуємо деякі фундаментальні етапи життя та кар’єри Розалін Сассман. Народилася в Нью-Йорку в 1921 році в сім'ї єврейського походження, вона почала навчання в Уолтонської середньої школи. Кілька років по тому вона переїхала з району Бронкс до Манхеттена щоб вступити до Хантер-коледжу: виключно жіночий державний університет, куди чоловіків приймали лише з 1946 року. Саме тут Розалін починає захоплюватися науковими предметами, проявляючи особливий інтерес до квантової фізики. Усвідомлюючи неможливість отримати стипендію, яка б дозволила їй продовжити навчання в Колумбійському університеті, вона використовує свої навички друкування, щоб працювати секретарем в кабінетах двох біохіміків і викладачів американського закладу: Рудольфа Шенхаймера і Майкла Гейдельбергера.

У 1941 році вона закінчила Хантерський коледж і їй запропонували посаду асистента викладача фізики в Іллінойському університеті. Саме з цієї нагоди декан факультету вітає її з досягненням гендерного рекорду в центрі, який складається з чотирьох сотень чоловіків; важливо пам'ятати, що в ті ж роки велася Друга світова війна, і з цієї причини багато вчителів покинули свою професорську посаду, щоб взяти до рук зброю.

Після отримання докторського ступеня з ядерної фізики вчена повертається в Бронкс, щоб працювати в районній лікарні. Вона вже була одружена з Аароном Ялоу, коли зустріла Соломона Берсона, колегу, з яким у неї склалися професійні відносини, засновані на взаємній повазі, і з яким вона співпрацює в лабораторії радіоізотопних досліджень. Згодом експерименти, проведені двома дослідниками, привели до відкриття радіоімунного аналізу (RIA): методу, який дозволяє вимірювати рівень інсуліну, гіпертонії, патологій і можливих ліків, присутніх у крові. Внесок Ялоу та Берсона у фундаментальну науку, який пояснює присудження престижних нагород у наступні роки. Професійна ідилія закінчується раптовою смертю її колеги та друга в 1972 році, у той рік, коли відкриття двох учених отримало Діксонову премію в медицині. Перед болісною подією Ялоу та Берсон вирішили не патентувати метод, щоб зробити його економічно придатним навіть у найбідніших країнах.

Крім того, завдяки подякам, отриманим Службою біомедичних лабораторних досліджень та розвитку (1972), Ендокринним товариством (1972) та Американською медичною асоціацією (1975), Розалін продовжує свою дослідницьку діяльність у галузі ендокринології - галузі внутрішньої медицини, яка вивчає ендокринну систему - і готує нових молодих дослідників і дослідниць; її внесок протягом усієї її кар'єри приніс їй титул «матері ендокринології». Але визнанням, яке освятило роботу Розалін Ялоу у світі медицини, є Нобелівська премія 1977 року, рівно через рік після премії Альберта Ласкера, за дослідження, проведене разом з Берсоном. Після років досліджень в установах, якими керують здебільшого чоловіки, і під критичним поглядом кількох жінок, які з підозрою ставилися до її позиції науковця, Ялоу заявляє: «Ми не повинні очікувати, що в найближчому майбутньому всі жінки зможуть отримати повну рівність і рівні можливості, ми повинні вірити в себе, або в нас ніхто не повірить; ми повинні підживлювати наші прагнення компетентністю, сміливістю та рішучістю, щоб досягти успіху; і ми повинні відчувати особисту відповідальність, щоб полегшити подорож для тих, хто прийде пізніше».

Незважаючи на те, що Ялоу була головною героїнею серії перших премій для жінок, тривожно відзначити, що з двохсот двадцяти чотирьох Нобелівських премій з медицини, присуджених з 1901 року, лише дванадцять отримали жінки; крім того, одинадцять із цих нагород були поділені з іншими вченими. Винятком тут є Барбара Мак-Клінток, яка отримала Нобелівську премію в 1983 році за відкриття існування частин ДНК, здатних переходити з однієї хромосоми в іншу.

Іншими разами Розалін висловлювалася щодо гендерних питань, займаючи особливу позицію щодо тенденцій того часу, в якому вона жила. «Мені неприємно знати, що зараз існують організації для жінок у науці, а це означає, що до них потрібно ставитись інакше, ніж до чоловіків. Я цього не схвалюю». І далі: «Єдина різниця між чоловіками та жінками в науці полягає в тому, що жінки мають дітей. Це може ускладнити їхню кар'єру... Але це просто чергова битва, яку потрібно подолати». Насправді вона ніколи не приховувала, що жила в цілком чоловічому контексті, в якому відданість науці не давала місця іншим інтересам. Біографія Ялова тепер пропонує нам відповіді на щойно поставлене запитання про те, що потрібно, щоб бути генієм: пристрасть, наполегливість і любов до знань.

Madre Teresa
Sara Balzerano






Daniela Godel

 

 Una santa medievale di epoca contemporanea. Così è stata definita.

Una descrizione quantomeno lusinghiera per raccontare una figura sfaccettata, complessa, contraddittoria, che si è mossa nel bianco e nel nero, attraversando zone di ombra e foschia talmente tante volte da rimanerne comunque impolverata. Una figura che ha varcato due età e due mondi, camminando in ciascuno di essi perfettamente a proprio agio, con una sicurezza data dalla profonda sensazione di essere comunque nel giusto, predestinata a qualcosa di grande e per molti e molte incomprensibile. Perché colei che è stata chiamata la santa dei poveri nasce invece in un ambiente e in una famiglia nei quali la ricchezza è un dato di fatto, esattamente come il potere. E nasce a Skopje, in quello che all’epoca è ancora Impero Ottomano ma che, nel giro di pochi anni, finirà per non esistere più. Una realtà, dunque, che in breve tempo diventa passaggio verso un presente del tutto nuovo. Quando viene al mondo, il suo nome è Anjezë Gonxhe Bojaxhiu. Suo padre è un uomo d’affari importante, un grosso industriale con interessi nell’edilizia e nelle ferrovie, nonché leader del nascente Partito nazionalista albanese. Talmente forti sono i legami della sua famiglia con personaggi di spicco che quando, diciottenne, Anjezë decide di prendere i voti e vola a Parigi per un primo colloquio con l’ordine religioso nel quale vuole entrare — le Suore di Loreto — sarà l’ambasciatore iugoslavo in persona a farle da interprete. Ciò che Anjezë sente, vuole e sceglie, è una vita di missione, lontana, e non solo geograficamente, dalla realtà che ha sempre conosciuto. Dopo Parigi c’è Dublino, due mesi per imparare la lingua inglese, e, infine, dopo ulteriori trenta giorni di navigazione, l’arrivo in India nel gennaio del 1929. Per due anni è una novizia, insegnante nella scuola del convento di Darjeeling, alle pendici dell'Himalaya. Poi nel 1931 diviene finalmente professa con il nome di Teresa, in onore di Teresa di Lisieux, la protettrice dei missionari e delle missionarie.

Ha inizio così la prima vita di suor Teresa nel Paese asiatico, vita che la vede impegnata come docente di storia e geografia alla Saint Mary's High School di Calcutta, un istituto frequentato dalle giovani figlie dei coloni britannici o da ragazze provenienti dalle famiglie locali più altolocate. Nella città indiana, suor Teresa opera dal 1931 al 1948. Sono anni tutt’altro che facili. Anni di passaggio anche questi, trattenuti per le spalle da un periodo che finisce e spinti in avanti dal nuovo che sta arrivando. Nel 1943 il Bengala vive una delle più atroci carestie che la storia umana ricordi, con circa tre milioni di persone morte letteralmente di fame. C’è poi la Seconda guerra mondiale con il bombardamento di Calcutta da parte dell'esercito giapponese. Arrivano la fine della dominazione britannica e l’indipendenza dell’India, nel 1948. Il mondo intero sta dunque cambiando il proprio aspetto sociale e politico. La contemporaneità diviene attualità stringente. Una cosa, però, sembra non mutare mai: la miseria e le disuguaglianze viaggiano di pari passo con il futuro.

Sempre nel 1948, suor Teresa chiede e ottiene la cittadinanza di questo Paese che è ormai diventato la sua casa e la sua personale missione. Una missione diversa, però, da quella portata avanti fino a quel momento. Nel 1946, infatti, durante un viaggio in treno che da Calcutta la sta portando presso il suo vecchio convento a Darjeeling, ha — quella che lei stessa chiama — la sua seconda chiamata. È stanca di rimaner chiusa nelle aule dell’istituto a insegnare alle giovani di buona famiglia. Vuole andar per le strade, in mezzo alla povertà vera, lì dove il suo contributo, sente, può essere determinante. Impiega due anni a convincere le consorelle dell’ordine e l’arcivescovo di Calcutta a darle il permesso di lasciare il convento pur rimanendo suora. Quando ci riesce, e dopo un breve corso nel quale apprende qualche rudimento di infermieristica, si sente finalmente pronta per quella che lei ha sempre reputato la sua personale crociata. Nel marzo del 1949 viene raggiunta da alcune sue ex allieve della Saint Mary. Si pone dunque la necessità di formare un nuova congregazione, con la sua veste e le sue regole. Nascono così, anche se l’autorizzazione definitiva arriverà solo con Paolo VI nel 1965, le Missionarie della Carità, il cui compito è quello di assistere gli individui più miseri e bisognosi abbandonati per le vie di Calcutta: i moribondi. La loro prima sede è un edificio di due stanza che il comune concede alla congregazione e che si trova vicino al tempio della dea Calì, la dea nera, terribile e crudele, protettrice della città: è la Casa dei Morenti. Le missionarie operano per dieci anni a Calcutta. A partire dal 1959 si attivano anche in altri luoghi dell’India.

Poi, con gli anni Sessanta, arriva la fama internazionale. Madre Teresa diviene un personaggio pubblico. Chiamata a prender parte al Congresso delle donne dell’Azione Cattolica a Los Angeles, il mondo si accorge di lei e lei è ben contenta di presentarsi, cercando e alimentando la sua popolarità: convinta com’è che la propria opera sia diretta volontà di Dio, questo mostrarla significa, in realtà, rivelare un disegno ben più alto e imperscrutabile. A Calcutta arrivano le telecamere, e Madre Teresa si fa filmare mentre assiste un moribondo nei suoi ultimi momenti. E che la donna guardi principalmente l’obiettivo è un dettaglio che non passa inosservato. Nel 1979 le viene assegnato il Premio Nobel per la pace. Ma le polemiche non si placano né diminuiscono, in controtendenza con le donazioni che, invece, aumentano sempre di più. Donazioni che lei non disdegna mai, indipendentemente da chi le elargisce, sia che si tratti di Jean-Claude Duvalier, dittatore di Haiti, di Enver Hoxha o di Charles Keating, uno dei peggiori truffatori americani, processato nel 1992. Durante il disastro di Bhopal pare abbia offerto preghiere e medaglioni della Vergine, piuttosto che un aiuto economico diretto. Sembra amare non tanto i poveri che assiste, quanto la povertà che essi rappresentano.

La stampa medica, fra cui The Lancet e il British Medical Journal, critica pesantemente le cure che i bisognosi e le bisognose ricevono nelle Case della congregazione: aghi delle siringhe riutilizzati, suore e volontari senza alcuna esperienza sanitaria, assenza di dottori che possano almeno distinguere gli inguaribili dai malati con una qualche possibilità. Viene persino accusata di praticare battesimi coatti. Alla sua morte, nel 1997, il conto delle Missionarie della Carità è tra i più ricchi dell’intera banca vaticana, lo Ior. Tutti gli attacchi che le sono stati mossi sono stati respinti da volontari e volontarie, attivisti e giornalisti che con lei hanno lavorato, tra cui anche lo scrittore italiano Tiziano Terzani. Le ombre rimangono. Così come rimane, però, anche l’indubbia determinazione di questa donna, che si è sentita investita di una missione più grande, nel nome della quale ha operato, forse sbagliato, comunque agito. Sempre, questo le va riconosciuto, assolutamente coerente con sé stessa.



Traduzione francese

Guenoah Mroue

Une sainte médiévale d’époque contemporaine. Ainsi a-t-elle été définie.

Une description au moins flatteuse pour raconter une figure facettée, complexe, contradictoire, qui s’est déplacée dans le noir et blanc, en traversant des zones d’ombre et de brume tant de fois qu’elle en reste encore poussiéreuses. Une figure qui a traversé deux âges et deux mondes, marchant dans chacun d’eux parfaitement à l’aise, avec une confiance donnée par le sentiment profond d’être toujours dans le juste, prédestiné à quelque chose de grand et pour tant d’autres c’est incompréhensible. Car celle qui a été appelée la sainte des pauvres naît au contraire dans un milieu et dans une famille où la richesse est un fait, exactement comme le pouvoir. Et elle est née à Skopje, dans ce qui à l’époque est encore l’Empire ottoman mais qui, dans quelques années, finira par ne plus exister. Une réalité qui, en peu de temps, devient un passage vers un présent entièrement nouveau. Quand elle vient au monde, son nom est Anjezë Gonxhe Bojaxhiu. Son père est un homme d’affaires important, un grand industriel avec des intérêts dans la construction et les chemins de fer, ainsi que le chef du Parti nationaliste albanais naissant. Si forts sont les liens de sa famille avec des personnalités de premier plan que quand, âgée de dix-huit ans, Anjezë décide de prononcer ses vœux et s’envole pour Paris pour un premier entretien avec l’ordre religieux dans lequel elle veut entrer - les Sœurs de Lorette - c’est l’ambassadeur yougoslave en personne qui sera son interprète. Ce qu’Anjezë ressent, veut et choisit, c’est une vie de mission, loin, et pas seulement géographiquement, de la réalité qu’elle a toujours connue. Après Paris, il y a Dublin, deux mois pour apprendre l’anglais, et enfin, après trente jours de navigation, l’arrivée en Inde en janvier 1929. Pendant deux ans, elle est novice, enseignante à l’école du couvent de Darjeeling, au pied de l’Himalaya. Puis, en 1931, elle devient professeure sous le nom de Thérèse, en l’honneur de Thérèse de Lisieux, la protectrice des missionnaires.

Ainsi commence la première vie de sœur Teresa dans le pays asiatique, une vie qui la voit engagée comme professeur d’histoire et de géographie à la Saint Mary’s High School de Calcutta, un établissement fréquenté par les jeunes filles des colons britanniques ou par des jeunes filles provenant des familles locales les plus élevées. Dans la ville indienne, sœur Teresa opère de 1931 à 1948. Ces années sont loin d’être faciles. Ces années de passage aussi, retenues par les épaules d’une période qui se termine et poussées vers l’avant par le nouveau qui arrive. En 1943, le Bengale vit l’une des famines les plus atroces de l’histoire humaine, avec près de trois millions de personnes littéralement mortes de faim. Il y a ensuite la Seconde Guerre mondiale avec le bombardement de Calcutta par l’armée japonaise. La fin de la domination britannique et l’indépendance de l’Inde arrivent en 1948. Le monde entier est donc en train de changer son aspect social et politique. La contemporanéité devient une actualité pressante. Mais une chose semble ne jamais changer : la misère et les inégalités vont de pair avec l’avenir.

Toujours en 1948, sœur Teresa demande et obtient la citoyenneté de ce pays qui est désormais devenu sa maison et sa mission personnelle. Une mission différente, cependant, de celle menée jusqu’alors. En 1946, lors d’un voyage en train depuis Calcutta jusqu’à son ancien couvent à Darjeeling, elle a - ce qu’elle appelle elle-même - son deuxième appel. Elle est fatiguée de rester enfermée dans les salles de classe de l’institut pour enseigner aux jeunes de bonne famille. Elle veut aller dans les rues, au milieu de la vraie pauvreté, là où sa contribution, elle le sent, peut être déterminante. Elle met deux ans à convaincre les sœurs de l’ordre et l’archevêque de Calcutta de lui donner la permission de quitter le couvent tout en restant religieuse. Quand elle y parvient, et après un bref cours où elle apprend quelques rudiments d’infirmière, elle se sent enfin prête pour ce qu’elle a toujours considéré comme sa croisade personnelle. En mars 1949, elle est rejointe par ses anciennes élèves de Saint Mary. Se pose donc la nécessité de former une nouvelle congrégation, avec son uniforme et ses règles. Ainsi naissent, même si l’autorisation définitive arrivera seulement avec Paul VI en 1965, les Missionnaires de la Charité, dont la tâche est d’assister les individus les plus pauvres et les plus nécessiteux abandonnés dans les rues de Calcutta : les moribonds. Leur premier siège est un bâtiment de deux pièces que la municipalité concède à la congrégation et qui se trouve à proximité du temple de la déesse Calì, la déesse noire, terrible et cruelle, protectrice de la ville : c’est la Maison des Mourants. Les missionnaires œuvrent pendant dix ans à Calcutta. À partir de 1959, elles s’activent également en d’autres lieux de l’Inde.

Puis, avec les années Soixante, arrive la renommée internationale. Mère Teresa devient un personnage public. Appelée à participer au Congrès des femmes de l’Action Catholique à Los Angeles, le monde la remarque et elle est bien contente de se présenter, cherchant et alimentant sa popularité : convaincue que son œuvre est la volonté directe de Dieu, cela signifie en fait, révéler un dessin bien plus élevé et insondable. Les caméras arrivent à Calcutta, et Mère Teresa se fait filmer en assistant un mourant dans ses derniers moments. Et que la femme regarde principalement l’objectif est un détail qui ne passe pas inaperçu. En 1979, elle reçoit le prix Nobel de la paix. Mais les polémiques ne s’apaisent pas et ne diminuent pas, à contre-courant avec les dons qui, au contraire, augmentent de plus en plus. Des dons qu’elle ne dédaigne jamais, peu importe qui les donne, qu’il s’agisse de Jean-Claude Duvalier, dictateur d’Haïti, d’Enver Hoxha ou de Charles Keating, l’un des pires escrocs américains, jugé en 1992. Lors de la catastrophe de Bhopal, elle aurait offert des prières et des médaillons de la Vierge, plutôt qu’une aide financière directe. Elle semble aimer non pas tant les pauvres qu’elle assiste que la pauvreté qu’ils représentent.

La presse médicale, dont The Lancet et le British Medical Journal, critique lourdement les soins que les nécessiteux reçoivent dans les Maisons de la congrégation : aiguilles de seringues réutilisées, religieuses et bénévoles sans aucune expérience sanitaire, il n’y a pas de médecins qui puissent au moins distinguer les incurables des malades avec une chance. Elle est même accusée de pratiquer des baptêmes forcés. À sa mort, en 1997, le compte des Missionnaires de la Charité est parmi les plus riches de toute la banque vaticane, l’IOR. Toutes les attaques qui lui ont été lancées ont été repoussées par des bénévoles et des militants et des journalistes qui ont travaillé avec elle, y compris l’écrivain italien Tiziano Terzani. Les ombres restent. Mais il en va de même de la détermination indubitable de cette femme, qui s’est sentie investie d’une mission plus grande, au nom de laquelle elle a agi, peut-être mal agi de toute façon. Cela doit toujours être reconnu, absolument cohérent avec lui-même.



Traduzione inglese

Syd Stapleton

A medieval saint of contemporary times. That is how she has been defined. 

A flattering description, to say the least, to recount a multifaceted, complex, contradictory figure who moved in black and white, crossing areas of shadow and haze so many times that she still remained dusty. A figure who crossed two ages and two worlds, walking in each of them perfectly at ease, with a confidence given by a deep sense of being in the right anyway, predestined for something great and for many she remained incomprehensible. For she, who has been called the Saint of the Poor, was born instead into an environment and a family in which wealth was a given, just like power. And she was born in Skopje, in what at the time was still the Ottoman Empire but which, within a few years, would eventually cease to exist. A reality, then, that in a short time became a passage to an entirely new present. When she came into the world, her name was Anjezë Gonxhe Bojaxhiu. His father was a prominent businessman, a large industrialist with interests in construction and railroads, and a leader of the nascent Albanian Nationalist Party. So strong were her family's ties to prominent figures that when, at eighteen, Anjezë decided to take her vows and went to Paris for an initial interview with the religious order she wanted to join - the Sisters of Loreto - it would be the Yugoslav ambassador himself who would act as her interpreter. What Anjezë felt, wanted and chose was a life of mission, far away, and not only geographically, from the reality she had always known. After Paris there was Dublin, two months to learn the English language, and finally, after another thirty days of sailing, arrival in India in January of 1929. For two years she was a novice, a teacher in the convent school in Darjeeling, in the foothills of the Himalayas. Then in 1931 she finally became confirmed, with the name Teresa, in honor of Thérèse of Lisieux, the patroness of missionaries.

Thus began Sister Teresa's early life in the Asian country, a life that saw her busy teaching history and geography at Saint Mary's High School in Calcutta, an institution attended by young daughters of British settlers or girls from the wealthiest local families. Sister Teresa worked in that Indian city from 1931 to 1948. These were far from easy years. Years of transition as well, held on the shoulders of a period that was ending and pushed forward by the new that was coming. In 1943 Bengal experienced one of the most atrocious famines in modern human history, with some three million people dying of starvation. Then World War II came, with the bombing of Calcutta by the Japanese armed forces. This was followed by the end of British rule and India's independence in 1948. The whole world was thus changing in its basic social and political features. The contemporary became a vivid new reality. One thing, however, never seemed to change: misery and inequality traveled hand in hand with the future.

Also in 1948, Sister Theresa applied for and was granted citizenship of this country that had now become her home and her personal mission. A different mission, however, from the one carried out up to that time. For in 1946, during a train journey from Calcutta that was taking her to her old convent in Darjeeling, she had what she called her second calling. She was tired of being cooped up in the classrooms of the institute teaching young girls from good families. She wanted to go into the streets, into the midst of real poverty, there where her contribution, she felt, could be decisive. It took her two years to convince the order's sisters and the archbishop of Calcutta to give her permission to leave the convent while remaining a nun. When she succeeded, and after a short course in which she learned a few rudiments of nursing, she finally felt ready for what she always considered her personal crusade. In March 1949 she was joined by some of her former students from St. Mary's. The need then arose to form a new congregation, with its own dress and rules. Thus, although final authorization would not come until Paul VI in 1965, were born the Missionaries of Charity, whose task was to assist the most miserable and needy individuals abandoned on the streets of Calcutta, especially the dying. Their first headquarters, known as the House of the Dying, was a two-room building that the municipality granted to the congregation and which was located near the temple of the goddess Kalì, the dark, terrible and cruel goddess, and patroness of the city. The missionaries operated for ten years in Calcutta. Beginning in 1959 they also became active in other places in India.

Then, with the 1960s, came international fame. Mother Teresa became a public figure. Called to take part in the Women's Congress of Catholic Action in Los Angeles, the world took notice of her and she was quite happy to show up, seeking and feeding her popularity. Convinced as she was that her own work was God's direct will, this display meant, to her, that she was revealing a much higher and inscrutable design. Cameras arrived in Calcutta, and Mother Teresa was filmed assisting a dying man in his final moments. And that the woman looked primarily at the lens was a detail that did not go unnoticed. In 1979 she was awarded the Nobel Peace Prize. But the controversy neither subsided nor diminished, as distinct from the donations, which, on the other hand, increased more and more. Donations that she never disdained, regardless of who was giving them, whether it was Jean-Claude Duvalier, dictator of Haiti, Enver Hoxha or Charles Keating, one of the worst American fraudsters, tried in 1992. During the Bhopal disaster she apparently offered prayers and medallions of the Virgin rather than direct financial help. She appeared to love not so much the poor she assisted as the poverty they represented.

The medical press, including The Lancet and the British Medical Journal, heavily criticized the care that the needy and destitute received in the congregation's Houses - reused syringe needles, nuns and volunteers with no medical experience, and the absence of doctors who could at least distinguish the incurable from the sick with any chance. She was even accused of practicing forced baptisms. When she died in 1997, the Missionaries of Charity's account was among the richest in the entire Vatican bank, the IWR. All of the attacks on her have been rebuffed by many volunteers, activists and journalists who worked with her, including Italian writer Tiziano Terzani. The shadows remain. So, too, however, remains the undoubted determination of this woman, who felt invested with a greater mission, in the name of which she acted, perhaps erred, but she acted. Always, this must be acknowledged. She was absolutely consistent with herself.



Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Una Santa medieval contemporánea. Así ha sido definida.

Una descripción por lo menos halagadora de una figura polifacética, compleja, contradictoria que se movía entre dos extremos, cruzando tantas veces zonas de sombra y nebulosas que nunca se disiparon. Una figura que atravesó dos épocas y dos mundos, caminando por cada uno de ellos perfectamente a gusto, con una confianza debida a un sentimiento profundo de estar en lo cierto, predestinada a algo grande e incompresible para los/las demás. Ella, a la que llamaban la Santa de los pobres, nació en un entorno y una familia donde la riqueza era un dato real, al igual que el poder. Nace en Skopie, en el entonces Imperio Otomano que en pocos años dejaría de existir. Una realidad, pues, que en pocos años se convirtió en un paso hacia un presente totalmente nuevo. Al venir al mundo, su nombre es Anjezë Gonxhe Bojaxhiu. Su padre es un destacado empresario, un gran industrial con intereses en la construcción y el ferrocarril, e, incluso, líder del naciente Partido Nacionalista Albanés. Son tan fuertes los lazos de su familia con personalidades destacadas que, cuando al cumplir dieciocho años, Anjezë hace votos y vuela a París para una primera entrevista con la congragación religiosa en la que desea ingresar –Las Hermanas de Loreto– el propio embajador yugoslavo actúa como su interprete. Lo que Anjezë siente, desea y elige es una vida de misión, lejos, y no solo geográficamente, de la realidad que siempre ha conocido. Después de París viene Dublín, dos meses para aprender el idioma inglés y, finalmente, tras otros treinta días de navegación, llega a la India en enero de 1929. Durante dos años, cerca de las montañas del Himalaya, fue novicia y enseñó en el colegio del convento de Darjeeling. Finalmente, en 1931, se convirtió en monja tomando el nombre de Teresa, en honor de Teresa de Lisieux, la protectora de los misioneros y misioneras.

Así comenzó la primera vida de la hermana Teresa en el país asiático, vida en la que enseñó historia y geografía en el Colegio Saint Mary de Calcuta, un instituto al que asistían las jóvenes hijas de los colonos británicos y también chicas de las familias locales de alto rango En esa ciudad india, la hermana Teresa trabaja de 1931 a 1948. No son años fáciles. Años de transición entre una época que termina y lo nuevo que viene. En 1943, la región de Bengala vive una de las hambrunas más atroces en la memoria histórica de la humanidad, con unos tres millones de personas literalmente muertas de hambre. Además, está la Segunda Guerra Mundial que ve Calcuta bombardeada por el ejército japonés. Llegan el fin del dominio británico y la independencia de India, en 1948. Así pues, todo el mundo está cambiando su aspecto social y político. La contemporaneidad se convierte en actualidad acuciante. Sin embargo, hay algo que nunca parece cambiar: la miseria y la desigualdad van de la mano del futuro.

En el mismo 1948, Teresa pide y obtiene la nacionalidad de este país que ahora se había convertido en su casa y en su misión personal. Una misión diferente, sin embargo, de la llevada a cabo hasta aquel momento. En 1946, en efecto, durante un viaje en tren desde Calcuta a su antiguo convento de Darjeeling, recibe –lo que ella misma llama– su segunda vocación. Está cansada de quedarse en las aulas enseñando a las chicas de buena familia. Quiere salir a la calle, en medio de la pobreza, donde su contribución, piensa, puede ser decisiva. Tarda dos años en convencer a sus hermanas de la congragación y al arzobispo de Calcuta de que le den permiso para abandonar el convento sin dejar de ser monja. Cuando lo consigue, y tras un breve curso en el que aprende algunos rudimentos de enfermería, por fin se siente preparada para lo que siempre ha considerado su cruzada personal. En marzo de 1949 se agregan algunas de sus alumnas del colegio de Saint Mary. Surge, pues, la necesidad de formar una nueva congregación, con un propio hábito y unas reglas propias. Nacen así –aunque la autorización definitiva solo llegará con Pablo VI en 1965– las Misioneras de la Caridad, cuya tarea es asistir a los individuos más pobres y necesitados entre los pobres abandonados en las calles de Calcuta: los moribundos. Su primera sede es un edificio de dos habitaciones que el ayuntamiento cede a la congregación cerca del templo de la diosa Kalighat, la diosa negra, terrible y cruel, protectora de la ciudad: es la Casa de los Moribundos. Las misioneras trabajan diez años en Calcuta. Desde 1959 empiezan a actuar también en otros lugares de India.

Luego, en los años Sesenta, llega la fama internacional. Madre Teresa se convierte en una figura pública. Invitada a participar al Congreso de las mujeres de la Acción Católica en Los Ángeles, todo el mundo se da cuenta de ella y ella está encantada de presentarse, alimentado su popularidad: convencida de que su obra es la voluntad directa de Dios, mostrarla significa, en realidad, revelar un designio mucho más alto e inescrutable. Las cámaras llegan a Calcuta y filman a Madre Teresa mientras está asistiendo a un moribundo en sus momentos finales. La mirada directa de la mujer al objetivo es un detalle que no pasa desapercibido. En 1979 recibe el Premio Nobel de la paz. Pero las polémicas no amainan ni disminuyen, contrastando con las donaciones que, por su parte, aumentan cada vez más. Donaciones que nunca desdeña, independientemente de quien las haga, ya sea Jean-Claude Duvalier, dictador de Haití, Enver Hoxha o Charles Keating, uno de los peores estafadores estadounidenses, juzgado en 1992. Durante la catástrofe de Bhopal parece que ofreció oraciones y medallones de la Virgen, en lugar de ayuda económica directa. Parece amar no tanto a los pobres que asiste como la pobreza que ellos representan.

La prensa médica, incluidos The Lancet y el British Medical Journal, critica duramente la atención que los necesitados y necesitadas reciben en las Casas de la congregación: agujas de jeringuillas reutilizadas, monjas y voluntarios sin ninguna experiencia médica, ausencia de médicos que puedan al menos reconocer a los enfermos incurables de los enfermos con alguna posibilidad. Incluso se le acusa de practicar bautismos forzados. Tras de su muerte, en 1997, la cuenta de las Misioneras de la Caridad es entre las más ricas de todo el banco vaticano, el Ior. Todos los ataques contra ella han sido rechazados por voluntarios y voluntarias, activistas y periodistas que trabajaron con ella, incluso el escritor italiano Tiziano Terzani. Las sombras permanecen. Como también lo hace, sin embargo, la indudable determinación de esta mujer, que se sintió investida por una misión mayor, en nombre de la cual actuó, quizá equívocamente, pero actuó. Siempre, y eso hay que reconocerlo, absolutamente coherente con ella misma.



Traduzione ucraina

Alina Petelko

Середньовічний святий сучасності. Саме так її визначили.

М'яко кажучи, невтішна характеристика багатогранної, складної, суперечливої постаті, яка рухалася в чорно-білих тонах, проходячи крізь зони тіні і туману стільки разів, що все одно залишалася запорошеною. Постать, яка перетнула дві епохи і два світи, крокуючи в кожному з них абсолютно невимушено, з упевненістю, яку дарує глибоке відчуття своєї правоти, приреченості на щось велике і для багатьох незбагненне. Бо та, яку називають святою бідних, натомість народилася в середовищі та родині, де багатство є даністю, так само, як і влада. А народилася вона в Скоп'є, в тоді ще Османській імперії, яка за кілька років перестане існувати. Реальність, яка швидко стає переходом до абсолютно нового сьогодення. При народженні її ім'я було Аньєзе Гонше Боякшіу. Його батько - відомий бізнесмен, великий промисловець з інтересами в будівництві та залізниці, а також лідер новоствореної Албанської націоналістичної партії. Зв'язки її сім'ї з видатними особистостями настільки міцні, що коли у віці 18 років Аньєзе вирішує прийняти постриг і летить до Парижу на першу співбесіду з релігійним орденом, до якого хоче приєднатися - Сестер Лорето, саме посол Югославії виступає її перекладачем. Те, що Аньєзе відчуває, хоче і обирає - це життя місії, далеке, і не тільки географічно, від реальності, яку вона завжди знала. Після Парижа - Дублін, два місяці на вивчення англійської мови і, нарешті, після ще тридцяти днів у морі, прибуття до Індії в січні 1929 року. Два роки була послушницею, вчителькою в монастирській школі в Дарджилінгу, в передгір'ї Гімалаїв. Потім у 1931 році вона остаточно прийняла постриг з ім'ям Тереза, на честь Терези з Лізьє, покровительки місіонерів і місіонерок.

Так почалося перше життя сестри Терези в азійській країні, життя, в якому вона працювала вчителькою історії та географії в середній школі Святої Марії в Калькутті, навчальному закладі, який відвідували юні доньки британських колоністів або дівчата з найвищих місцевих родин. В індійському місті сестра Тереза працювала з 1931 по 1948 рік. Це були роки, які ніяк не можна назвати легкими. Роки перехідного періоду теж тримаються на плечах періоду, який закінчується, і підштовхуються вперед новим, який наступає. У 1943 році Бенгалія переживає один з найжорстокіших голодоморів в історії людства, коли близько трьох мільйонів людей буквально вмирають від голоду. Потім - Друга світова війна з бомбардуванням Калькутти японською армією. Потім настає кінець британського правління і здобуття Індією незалежності в 1948 році. Весь світ, таким чином, змінює своє соціальне і політичне обличчя. Сучасність набуває переконливої актуальності. Одне, однак, здається, ніколи не зміниться: бідність і нерівність йдуть пліч-о-пліч.

Ще в 1948 році с. Тереза просить і отримує громадянство цієї країни, яка відтепер стала її домом і особистою місією. Але з іншою місією, ніж та, яку вона виконувала до цього часу. У 1946 році, фактично під час подорожі потягом з Калькутти до свого старого монастиря в Дарджилінгу, вона отримала, як вона сама каже, свій другий поклик. Їй набридло закриватися в аудиторіях інституту, навчаючи молодих дівчат з хороших сімей. Вона хоче вийти на вулицю, серед реальної бідності, де її внесок, на її думку, може бути вирішальним. Їй знадобилося два роки, щоб переконати сестер ордену і архієпископа Калькутти дати їй дозвіл покинути монастир, залишаючись черницею. Коли їй це вдалося, і після короткого курсу, на якому вона навчилася деяким основам медсестринства, вона нарешті відчула себе готовою до того, що завжди вважала своїм особистим хрестовим походом. У березні 1949 року до неї приєдналися деякі з її колишніх вихованців зі школи Святої Марії. Тому виникла потреба у створенні нового згромадження, з власним вбранням і правилами. Так народилися Місіонери Милосердя, хоча остаточний дозвіл на їхню діяльність буде надано Павлом VI лише у 1965 році, завданням яких є надання допомоги найбільш нещасним і нужденним людям, покинутим на вулицях Калькутти: вмираючим. Перша їхня штаб-квартира - це двокімнатна будівля, яку муніципалітет надає громаді і яка знаходиться біля храму богині Калі, чорної, страшної і жорстокої богині, покровительки міста: це Дім Помираючих. У Калькутті місіонери працювали протягом десяти років. З 1959 року вони активізувалися і в інших місцях Індії.

Потім, з 1960-х років, приходить міжнародна слава. Мати Тереза стає публічною особою. Покликана взяти участь у Жіночому конгресі католицької дії в Лос-Анджелесі, світ звертає на неї увагу, і вона з радістю презентує себе, прагнучи і плекаючи свою популярність: переконана, що її робота - це пряма воля Божа, вона виставляє себе напоказ, а в дійсності розкриває набагато вищий і незбагненний задум. Камери прибувають до Калькутти, і Матір Терезу знімають на відео, як вона допомагає вмираючому чоловікові в його останні хвилини. А те, що вона переважно дивиться в об'єктив - деталь, яка не залишається непоміченою. У 1979 році була удостоєна Нобелівської премії миру. Але суперечки не вщухають і не зменшуються, на відміну від пожертв, які, з іншого боку, постійно зростають. Пожертви, якими вона ніколи не гребує, незалежно від того, хто їх робить, чи то диктатор Гаїті Жан-Клод Дювальє, чи то Енвер Ходжа, чи то Чарльз Кітінг, один з найстрашніших американських шахраїв, засуджений у 1992 році. Під час катастрофи в Бхопалі він, здається, пропонував молитви і медальйони Богородиці, а не пряму фінансову допомогу. Здається, він любить не стільки бідних, яким допомагає, скільки ту бідність, яку вони уособлюють.

Медична преса, зокрема "Ланцет" та "Британський медичний журнал", гостро критикує догляд за нужденними та знедоленими в будинках згромадження: використані шприци, монахині та волонтери без медичного досвіду, відсутність лікарів, які могли б хоча б з певними шансами відрізнити невиліковно хворих від хворих. Її навіть звинувачують у тому, що вона практикує примусові хрещення. Коли вона померла в 1997 році, рахунок Місіонерів Милосердя був одним з найбагатших у всьому ватиканському банку "Іор". Всі нападки на неї були відбиті волонтерами, активістами та журналістами, які працювали з нею, в тому числі італійським письменником Тіціано Терзані. Тіні залишаються. Як, втім, і безсумнівна рішучість цієї жінки, яка відчувала себе наділеною великою місією, в ім'я якої вона діяла, можливо, помилково, але діяла. Завжди, це треба визнати, відповідала самій собі.

 

Alva Myrdal
Sara Cavatton






Daniela Godel

 

Diplomatica, sociologa, femminista e autrice svedese (nel periodo 1932-61 scrisse ben 471 pubblicazioni) impegnata nelle politiche sociali e nel disarmo, Alva Reimer Myrdal ha ricoperto posizioni importanti all’Onu e nel 1982 ha ricevuto il Nobel per la Pace. È stata una delle personalità più rilevanti di quella generazione pionieristica di donne del XX secolo che sono state in grado di perseguire una brillante carriera internazionale, pur essendo madre di tre figli. 

Alva Reimer nacque a Uppsala il 31 gennaio 1902 in una famiglia della classe media. Nel 1919 incontrò Karl Gunnar Myrdal (1898-1987) che stava compiendo il giro della Svezia in sella alla sua bicicletta per conoscere la reale situazione economica del Paese: lo sposò nel 1924, lo stesso anno della laurea, ottenuta nonostante il parere contrario di sua madre. Si dedicò poi all’insegnamento presso le Università di Ginevra e di Stoccolma. A partire dagli anni Trenta fu al servizio del Governo svedese come segretaria della Commissione per il lavoro delle donne e più tardi come membro di una serie di commissioni e comitati per la riforma dell'educazione e i diritti delle donne: voleva che queste non sostituissero le istituzioni create dall'uomo, ma piuttosto che vi entrassero e le riformassero potendo ricevere la stessa istruzione, perseguendo carriere professionali e sostenendo l'attivismo politico. A tal proposito, i suoi viaggi negli Stati Uniti tra il 1929 e il 1930 furono fondamentali per il rafforzamento delle sue posizioni democratiche in favore di donne e bambini/e. Infatti, avendo studiato scienze sociali, filosofia e psicologia, Alva credeva fortemente in una politica delle riforme sociali basata sullo spirito della scienza.

Alva Reymer Myrdal insieme al marito

Insieme al marito pubblicò quella che divenne la guida dello Stato assistenziale ovvero il piano di sviluppo del sistema welfare svedese: La crisi nella questione demografica (Crisis in the population question, 1934). Nella Svezia degli anni Trenta l’affannosa corsa alla modernità e la smania all’igiene pubblica avevano portato a considerare la casa un tema centrale del dibattito socio-politico: a cambiare dovevano essere innanzitutto le condizioni delle famiglie con prole. Per la prima volta nella storia svedese lo Stato investì delle risorse per migliorare le condizioni abitative dei nuclei meno abbienti, dando il via alla costruzione di 12.000 «case per famiglie numerose». Il saggio accese poi l’attenzione sulla diminuzione delle nascite e il preoccupante invecchiamento della società svedese. Secondo i Myrdal, infatti, la causa principale della riluttanza delle persone nel mettere al mondo figli era dovuta alle difficili condizioni di vita. Per questo avanzarono richieste concrete: assegni familiari e sussidi statali, soluzioni abitative agevolate, istruzione gratuita e miglioramento del rapporto tra educatori/trici e bambini/e. Insieme a psicologi, economisti e accademici presero parte a una commissione d’inchiesta demografica a sostegno delle nuove politiche di welfare, basate su teorie eugenetiche positive che condussero alla legalizzazione dell’aborto, alla liberalizzazione dei contraccettivi e ad ampi programmi di sterilizzazione di massa. La sterilizzazione veniva vista sostanzialmente come un provvedimento economico: si trattava di impedire che le donne non sposate avessero figli divenendo un peso per la collettività. I fondamenti economici della società del welfare si erano così tragicamente fusi con quelli a favore dell’igiene razziale: nel 1935 venne approvata la legge eugenetica svedese, in base alla quale oltre 63mila persone furono forzatamente sterilizzate.

In contemporanea, prendendo spunto dal concetto ideale di “donna istruita autosufficiente” sviluppato da Elin Wägner ed Ellen Key, Alva si impegnava a sottolineare un punto centrale di disparità sociale: la (in)compatibilità tra la vita familiare e l’attività lavorativa delle donne. Da qui derivò il testo scritto insieme a Viola Klein: Il doppio ruolo della donna nella famiglia e nel lavoro (Women’s two roles: home and work, 1956), uno studio che intendeva rafforzare il ruolo tradizionale delle donne come procreatrici ed educatrici della prole, rivendicando per loro allo stesso tempo la possibilità di lavorare fuori casa, usufruire di orari adatti e aiuto organizzato per l’assistenza di figli e figlie. Secondo il suo ragionamento anche le donne che avevano bambini da crescere non dovevano rinunciare a una vita professionale dedicandosi a famiglia e lavoro (per esempio, Alva lanciò l’idea di ospitare bambini/e tra i due e i sette anni in «grandi camerette» in cui avrebbero avuto opportunità ludiche e formative mentre le madri erano al lavoro). Fu così che da nazione sottosviluppata, autoritaria e agricola la Svezia divenne progressivamente un Paese sviluppato, apripista e moderno con uno Stato sociale maturo, una cultura della parità sessuale e del rispetto per la maternità, introducendo come primo in Europa un sistema completo di assistenza all'infanzia che permise alle madri di trovare e mantenere un impiego. Alva era entrata in politica nel 1932 come esponente del Partito Socialdemocratico svedese con un programma incentrato per l’appunto sul welfare e le questioni internazionali: mise al centro dell’agenda politica le questioni di genere, si occupò dei programmi di ricostruzione postbellica in favore di bambini/e e rifugiate/i in qualità di direttrice del Dipartimento degli Affari Sociali dell’Onu (prima donna a ricoprirvi posizioni tanto importanti) e delle Scienze sociali dell’Unesco. Fu anche membro del Parlamento e del Governo svedese. Tra il 1950 e il 1955 fu presidente della sezione scientifica Unesco, intraprese poi la carriera diplomatica come ambasciatrice della Svezia in India, Birmania e Ceylon: la prima donna in oltre trecento anni di storia.

Dal 1962 al 1973 fu dapprima senatrice e poi ministra per il disarmo e delegata del suo Paese alla Conferenza delle Nazioni Unite per il disarmo a Ginevra. Insieme ai membri di altre nazioni sostenne fermamente che dovessero essere proprio le due superpotenze, Stati Uniti ed ex Unione Sovietica, a dare i primi segnali di politiche di disarmo. Unica donna nell’arena internazionale, dimostrò eccellenti capacità di leadership femminile in un ambito tecnicamente complesso e cruciale come quello della diplomazia della guerra fredda.

Nel 1966 divenne ministra con portafoglio per il disarmo e gli affari della chiesa, ricoprendo quel posto e quello di Ginevra fino al 1973. Raccolse le esperienze di quegli anni nel libro Il gioco del disarmo (The game of disarmament: how the United States and Russia run the arms race, 1976). Il suo messaggio era chiaro e univoco: «La guerra è morte. E i preparativi militari che oggi vengono adottati per un grande scontro hanno come obiettivo un eccidio». Questo suo impegno nel disarmo nucleare e per la comprensione reciproca fra i popoli le procurò numerosi riconoscimenti: il German Peace Prize (1970) insieme al marito, l’Albert Einstein Peace Prize (1980) e il Jawaharlal Nehru Award for International Understanding (1981). E, infine, nel 1982, all’età di ottant’anni, il Premio Nobel per la Pace insieme al diplomatico messicano Alfonso Garcia Robles (da ricordare che anche il marito Gunnar era stato insignito del Premio Nobel nel 1974, ma per l’Economia) «per aver contribuito ad aprire gli occhi del mondo sulla minaccia all’umanità rappresentata dal continuo armamento nucleare». Alva Reimer Myrdal morì vicino a Stoccolma nel 1986 dopo una lunga malattia lasciandoci un ultimo messaggio nel testamento: «Ci sono solo due cose di cui sono completamente certa. La prima è che non otteniamo nulla se aggiriamo le difficoltà. L'altra è che c'è sempre qualcosa che si può fare da soli: si può studiare, si può cercare di elaborare proposte anche se sono solo soluzioni parziali. Se non ci crediamo, non dovremmo far altro che rinunciare. E non è degno di un essere umano rinunciare».

Alva è tuttora ricordata per la sua combinazione di eleganza, fascino, grinta, determinazione e per la fede integerrima nell'importanza della missione internazionale. La sua figura continua a essere fondamentale per la cultura e i valori svedesi ma non solo: in alcuni Paesi europei le sono state intitolate strade (a Eskilstuna in Svezia, a Gottinga e a Lemgo in Germania, a Rubì in Spagna) e viali (a Trappes in Francia e a Getafe in Spagna). In Messico, invece, una scuola porta il suo nome.



Traduzione francese

Andrea Zennaro

Alva Reimer Myrdal, diplomate, sociologue, féministe et auteure suédoise (entre 1932 et 1961 elle a publié 471 textes), engagée dans les luttes pour une politique sociale et pour le désarmement, elle a occupé des charges importantes à l'ONU et en 1982 elle a obtenu le Prix Nobel pour la paix. Elle a été une des plus importantes personnalités de cette génération des femmes-pionnières qui ont été capables de poursuivre une brillante carrière internationale, même avec trois enfants.

Alva Reimer est née à Uppsala (en Suède) le 31 janvier 1902 dans une famille de la classe moyenne. En 1919 elle a rencontré Karl Gunnar Myrdal (1898 - 1987), qui était en train de voyager en Suède sur son vélo pour connaitre la réelle situation économique du Pays: elle s'est mariée avec lui en 1924, l' année même de sa licence universitaire, passée malgré l'avis contraire de sa mère. Après sa licence, elle a enseigné dans les universités de Genève et de Stockholm. Depuis les années 1930, elle a travaillé pour le Gouvernement suédois comme secrétaire de la Commission pour le travail des femmes et dans plusieurs commissions et comités pour la réforme de l'éducation et pour les droits des femmes: elle ne voulait pas que ces commissions remplacent les institutions créées par les hommes mais désirait qu'elles y entrassent et les réformassent pour pouvoir recevoir la même instruction que les hommes, au cours de leurs carrières professionnelles et au long de leur engagement politique. Ses voyages aux États-Unis entre 1929 et 1930 ont été fondamentaux pour renforcer ses positions démocratiques en faveur des femmes et des enfants. Comme Alva avait étudié les sciences sociales, la philosophie et la psychologie, elle croyait fortement en une politique des réformes sociales fondée sur un esprit scientifique.

Alva Reymer Myrdal avec son mari

Avec son époux, elle publia le guide de la Sécurité Sociale, c'est à dire le projet pour le développement du système du welfare suédois: "La crise dans le problème démographique" (Crisis in the population question, 1934). Dans la Suède des années 1930, la course fébrile vers la modernité et la forte envie d'hygiène publique avaient porté les gens à considérer le droit au logement comme un thème central dans le débat social et politique: c'était surtout le sort des familles avec des enfants qui devait changer. Pour la première fois dans l'histoire de Suède, l'État a investi ses ressources pour améliorer les conditions de logements des classes les plus pauvres, en commençant la construction des «bâtiments pour familles nombreuses». Le livre a aussi attiré l'attention sur la baisse des naissances et sur l'effrayant vieillissement de la société suédoise. Selon les Myrdal, la raison principale qui faisait que les gens rechignaient à avoir des enfants c'était les conditions de vie difficiles. Donc ils ont présenté des requêtes concrètes: chèques pour aider ces familles et allocations d'État, aide au logement, école gratuite et amélioration de la relation entre les instituteurs, les institutrices et les enfants. Avec plusieurs psychologues, économistes et académiciens, ils ont pris part à une commission d'enquête démographique en soutien aux nouvelles politiques de welfare basées sur des théories eugéniques positives qui ont conduit à l'autorisation de l'avortement, à la libre vente de contraceptifs et à des campagnes de stérilisation massive. La stérilisation était vue principalement comme une mesure économique: empêcher que les femmes non mariées aient des enfants et deviennent un poids pour la communauté. Donc les fondements économiques de la sécurité sociale étaient ainsi mélangés avec ceux en faveur de l'hygiène raciale: en 1935 a été votée la loi eugénique suédoise, pour laquelle plus de 63.000 personnes ont été stérilisées de force.

Dans la même période, à partir de l'idée de «femme instruite et autosuffisante», développée par Elin Wägner et Ellen Key, Alva s'est engagée à mettre en évidence un élément très important de inégalité sociale, l'incompatibilité entre la vie familiale et le travail des femmes. C'est à partir de cette problèmatique-ci que en 1956 Alva écrit, avec Viola Klein, le livre "Le double rôle de la femme dans la famille et dans le travail" (Women's two roles: home and work), une étude qui voulait renforcer le traditionnel rôle des femmes :(procréatrices et éducatrices des enfants) et en même temps instaurer pour elles la possibilité de travailler hors de la maison, avec des horaires convenables et des allocations pour l'assistance aux enfants. Selon elle, les femmes qui avaient des enfants à garder et à élever ne devaient pas renoncer à leur vie professionnelle (par exemple, Alva a proposé d' héberger les enfants de deux à sept ans dans de «grandes salles», où ils avaient la possibilité de jouer et d'apprendre, pendant que leurs mères étaient au travail). C'est ainsi que la Suède, qui était une Nation sous-développée, autoritaire et agricole, est devenue graduellement un Pays développé, avant-gardiste et moderne avec une sécurité sociale mûre, une culture de l'égalité entre les sexes et du respect de la maternité, et a été le premier Pays en Europe qui a introduit un système complet d'assistance aux enfants qui a permit aux mères de trouver et garder un emploi. Alva a commencé son activité politique en 1932 dans le Parti Social-démocrate suédois avec un programme fondé sur la sécurité sociale et sur les problématiques internationales: elle a mis au centre de son agenda politique les thèmes du genre, comme directrice du Département des Affaires Sociales de l'ONU et des Sciences Sociales de l'UNESCO (elle a été la première femme qui a occupé des positions aussi importantes) elle s'occupa de la reconstruction de l'après-guerre pour les enfants réfugié.e.s. Elle a été aussi députée au Parlement et membre du Gouvernement suédois. Entre 1950 et 1955 elle a été aussi Présidente de la section scientifique de l'UNESCO, et après elle a entrepris une carrière diplomatique comme ambassadrice de Suède en Inde, en Birmanie et à Ceylan: la première femme avec ce rôle-ci en plus de trois-cent ans d'histoire.

De 1962 à 1973 elle a été sénatrice et Ministre pour le désarmement et déléguée de son Pays à la Conférence des Nations Unies pour le désarmement à Genève. Avec les membres des autre Nations, elle a fortement soutenu l' idée que c' était les deux superpuissances, les États Unis et l'ex Union Soviétique, qui devaient montrer les premiers signes d'une politique de désarmement. Unique femme dans la scène internationale, elle a montré d' excellentes capacité de leadership féminin dans un cadre compliqué comme celui de la diplomatie pendant la Guerre Froide.

En 1966 elle est devenue Ministre pour le désarmement et pour les affaires de l'Église, en gardant cette charge-là et celle de Genève jusqu' en 1973. Ses expériences de ces années-là sont consignées dans le livre "Le jeu du désarmement" (The game of disarmement: how the United States and Russia run the arms race, 1976). Son message était très clair: «La guerre est morte. Et les préparatifs militaires qu'on réalise aujourd'hui en vue d' une grande bagarre, ont comme objectif un massacre». Son engagement pour le désarmement nucléaire et pour la compréhension entre les peuples lui a procuré plusieurs prix: le German Peace Prize (1970), obtenu avec son époux, l'Albert Einstein Peace Prize (1980) et le Jawaharlal Nehru Award for International Understanding (1981). Finalement, en 1982, à l'âge de 80 ans, elle a reçu le Prix Nobel pour la Paix avec le diplomate mexicain Alfonso García Robles «pour avoir contribué à montrer au monde entier la menace continument représentée par l'armement nucléaire» (il faut se souvenir que son époux Gunnar avait reçu lui-même le Prix Nobel pour l'Économie en 1974). Alva Reimer Myrdal meurt à côté de Stockholm en 1986 après une longue maladie. Elle nous laisse un dernier message dans son testament: «Il y a deux choses dont je suis complètement sûre. La première: on ne va rien obtenir si on contourne les obstacles. La seconde: il y a toujours quelque chose qu'on peut faire, même tous seuls, on peut étudier, on peut élaborer des propositions, même si ce n'est que des solutions partielles. Si on n'y croit pas, il n'y a rien d'autre à faire qu'y renoncer. Et renoncer, ce n'est pas digne d'un être humain».

Alva est mémorable pour son mélange d'élégance, de charme, de force, de détermination et pour sa foi en l'importance de la mission internationale. Sa figure est toujours très importante pour la culture et les valeurs suédoises, mais pas seulement pour celles-ci: dans plusieurs Pays européens, des rues (à Eskiltsuna, en Suède, à Gottinga et à Lmgo, en Allemagne, et à Rubí, en Espagne) et des avenues (à Trappes, en France, et à Getafe, en Espagne) portent son nom. Au Mexique, une école lui est dédiée.



Traduzione inglese

Syd Stapleton

A Swedish diplomat, sociologist, feminist and author engaged in social policy and disarmament (in the period 1932-1961 she wrote 471 publications), Alva Reimer Myrdal held important positions at the UN, and in 1982 received the Nobel Peace Prize. She was one of the most prominent personalities of that pioneering generation of 20th century women who were able to pursue distinguished international careers. She accomplished this despite being a mother of three.

Alva Reimer was born into a middle-class family in Uppsala on January 31, 1902. In 1919 she met Karl Gunnar Myrdal (1898-1987), who was making the tour of Sweden on his bicycle to learn about the real economic situation of the country. She married him in 1924, the same year as she obtained her degree, in spite of the opposition of her mother. She then devoted herself to teaching at the Universities of Geneva and Stockholm. Starting in the 1930s she was in the service of the Swedish government as secretary of the Commission for Women's Work and later as a member of a series of commissions and committees for education reform and women's rights. She wanted these not to replace institutions created by men, but rather that women enter and reform them by being able to receive the same education, pursuing professional careers and supporting political activism. In this regard, her travels to the United States between 1929 and 1930 were fundamental to the strengthening of her democratic positions in favor of women and children. Indeed, having studied social sciences, philosophy and psychology, Alva strongly believed in a policy of social reform based on the spirit of science.

Alva Reymer Myrdal together with her husband

Together with her husband she published what became the guide to the welfare state and to the development plans of the Swedish welfare system (Crisis in the Population Question, 1934). In Sweden in the 1930s, the frantic drive for modernity and the craving for public hygiene led to consideration of the home as a central theme of socio-political debate. Above all, the conditions for families with children had to change. For the first time in Swedish history, the state invested resources to improve the housing conditions of poorer households, starting the construction of 12,000 "houses for large families". The essay then turned attention to the decline in the number of births and the worrying aging of Swedish society. According to the Myrdals, the main cause of people's reluctance to bear children was due to the difficult living conditions. For this they made concrete requests - family allowances and state subsidies, facilitated housing solutions, free education and improvement of the relationship between educators and children. Together with psychologists, economists and academics, they took part in a demographic inquiry commission in support of new welfare policies, based on positive eugenic theories that led to the legalization of abortion, the liberalization of contraceptives and extensive mass sterilization programs. Sterilization was seen essentially as an economic measure, as a question of preventing unmarried women from having children and becoming a burden for the community. The economic foundations of the welfare society had thus tragically merged with those in favor of “racial hygiene”. In 1935 the Swedish eugenics law was passed, as a result of which over 63,000 people were forcibly sterilized.

At the same time, taking a cue from the concept of "self-sufficient educated women" developed by Elin Wägner and Ellen Key, Alva undertook to underline a central point of social disparity - the (in)compatibility between family life and women's employment. Hence the text written together with Viola Klein, Women's Two Roles: Home and Work (1956), a study that aimed to strengthen the traditional role of women as procreators and educators of offspring, at the same time claiming for them the freedom to work outside the home, taking advantage of suitable hours and organized help for assistance with their children. According to her reasoning, even women who had children to raise should not have to give up a professional life, and could dedicate themselves to both family and work (for example, Alva launched the idea of ​​hosting children between two and seven years in "large bedrooms" in which they would have recreational and educational opportunities while their mothers were at work). Thus, it was that from an underdeveloped, authoritarian and agricultural nation, Sweden progressively became a developed, pioneering and modern country with a mature welfare state, a culture of sexual equality and respect for motherhood, first in Europe to introduce a comprehensive system of childcare that allowed mothers to find and keep a job. Alva entered politics in 1932 as a proponent of the Swedish Social Democratic Party, with a program focused precisely on welfare and international issues. She put gender issues at the center of the political agenda. After World War II, she dealt with post-war reconstruction programs in favor of children and refugees as director of the UN Department of Social Affairs (the first woman to hold such important positions) and of UNESCO Social Sciences. She was also a member of the Swedish Parliament and Government. Between 1950 and 1955 she was president of the UNESCO scientific section, and then she embarked on a diplomatic career as Sweden's ambassador to India, Burma and Ceylon. She became the first woman to do so in over three hundred years of history.

From 1962 to 1973 she was first a Senator and then Minister for Disarmament and delegate from her country to the United Nations Conference on Disarmament in Geneva. She, along with representatives of other nations, firmly argued that the two superpowers, (at the time, the United States and the Soviet Union), should be the ones to take the first steps toward disarmament policies. As the only woman in the international arena, she demonstrated excellent leadership skills in a such technically complex and crucial area as Cold War diplomacy.

In 1966 she became a Minister with a portfolio that included disarmament and church affairs, holding that post and the one in Geneva until 1973. She collected the experiences of those years in the book The Game of Disarmament: How the United States and Russia Run the Arms Race, 1976). Her message was clear and unambiguous - «War is death. And the military preparations that are being adopted today for a great clash are aimed at a massacre». Her commitment to nuclear disarmament and mutual understanding between peoples brought her numerous awards, including the German Peace Prize (1970) together with her husband, the Albert Einstein Peace Prize (1980) and the Jawaharlal Nehru Award for International Understanding (1981). And, finally, in 1982, at the age of eighty, the Nobel Peace Prize together with the Mexican diplomat Alfonso Garcia Robles. Remember that her husband Gunnar was also awarded the Nobel Prize in 1974, but for Economics, «For having contributed to opening the eyes of the world to the threat to humanity represented by continuing nuclear armament». Alva Reimer Myrdal died near Stockholm in 1986, after a long illness, leaving us one last message in her will, «There are only two things of which I am completely certain. The first is that we get nothing if we try to sidestep the difficulties. The other is that there is always something you can do yourself - you can study, you can try to come up with proposals even if they are only partial solutions. If we don't believe that, we should just give up. And it is not worthy for a human being to give up».

Alva is still remembered for her combination of elegance, charm, grit, and determination, and for her strong faith in the importance of international engagement. Her figure continues to be fundamental to Swedish culture and values, ​​but not just in Sweden. In some European countries, streets and avenues (in Eskilstuna in Sweden, in Gottingen and Lemgo in Germany, in Rubì, Trappes and Getafe in Spain, and in France) have been named for her. In Mexico a school bears her name.



Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Diplomática, socióloga, feminista y autora sueca (en los años 1932-61 escribió 471 publicaciones), involucrada en las políticas sociales y del desarmo, Alva Reimer Myrdal ocupó puestos importantes en la ONU y en el 1982 recibió el premio Nobel de la Paz. Fue una de las figuras más relevantes de aquella generación de mujeres pioneras del siglo XX, capaces de desempeñar una importante carrera internacional, a pesar de ser madres (en su caso de tres hijos).

Alva Reimer Nació en Uppsala el 31 de enero de 1902 en una familia de la clase media. En el 1919 conoció a Karl Gunnar Myrdal (1898-1987) que estaba dando la vuelta a Suecia en su bicicleta para conocer la auténtica situación económica de su país: se casaron en el 1924, el mismo año de su licenciatura, que obtuvo contra la opinión contraria de su madre. Luego, se dedicó a la enseñanza en las Universidades de Ginebra y Estocolmo. A partir de los años Treinta, trabajó para el gobierno sueco como secretaria de la Comisión para el trabajo de las mujeres y más tarde como miembra de varias comisiones y consejos para la reforma de la educación y los derechos de las mujeres: no querría que dichas comisiones y consejos sustituyeran las instituciones creadas por el hombre, sino que las mujeres formaran parte de las mismas y las reformaran pudiendo recibir la misma educación, desempeñnado carreras profesionales y sosteniendo el activismo político. Sus viajes a los Estados Unidos entre el 1929 y el 1930 fueron fundamentales para reafirmar sus posiciones democráticas en favor de las mujeres y de la infancia. En efecto, al haber estudiado ciencias sociales, filosofía y psicología, Alva creía firmemente en una política de reformas sociales basadas en el espíritu de la ciencia.

Alva Reymer Myrdal junto con su esposo

Con su marido, publicó la que se convirtió en la guía del Estado asistencial, es decir el proyecto de desarrollo del sistema del bienestar social sueco: La crisis en la cuestión demográfica (crisis in the population question, 1934). En la Suecia de los años Treinta, la afanosa carrera a la modernidad y la preocupación por la higiene publica llevaron a considerar la casa un foco principal en el debate sociopolítico: sobre todo, tenían que cambiar las condiciones de las familias con hijos. Por primera vez en la historia de Suecia, el Estado invirtió recursos para mejorar las condiciones de vivienda de los núcleos familiares menos favorecidos, dando paso a la construcción de 12.000 “casas para familias numerosas”. Dicho ensayo despertó luego la atención sobre la diminución de la natalidad y el preocupante envejecimiento de la sociedad sueca. Efectivamente, segon los Myrdal la reticencia de las personas respecto a tener hijos se debía a las difíciles condiciones de vida. Por eso, presentaron demandas concretas: subsidios familiares y estatales, alojamiento subvencionado, instrucción gratuita y una mejora de la relación entre educadores/educadoras y niños/niñas. Junto a psicólogos, economistas y académicos tomaron parte en un comité investigador demográfico a favor de las nuevas políticas del bienestar, basadas en teorías eugenésicas positivas, que condujeron a la legalización del aborto, a la liberalización de contraceptivos y a amplios programas de esterilización masiva. La esterilización era considerada simplemente como una medida económica: se trataba de evitar que las mujeres solteras tuvieran hijos convirtiéndose en una carga para la colectividad. Los fundamentos económicos de la sociedad del bienestar se fundieron así trágicamente con los fundamentos a favor de la higiene racial: en 1935 se aprobó la ley sueca de eugenesia, gracias a la cual más de 63 mil personas fueron esterilizadas forzadamente.

Contemporáneamente, inspirándose al concepto ideal de “mujer instruida autosuficiente” elaborado por Elin Wägner y Ellen Key, Alva subrayaba un punto central de la disparidad social: la (in)compatibilidad entre la vida familiar y la actividad laboral de las mujeres. De ahí nació el texto escrito con Viola Klein: El doble papel de la mujer en la familia y en el trabajo (Women’s two roles: home and work, 1956), un estudio que intentaba reafirmar el papel tradicional de las mujeres como procreadoras y educadoras de la progenie, a la vez que reclamaba para ellas la posibilidad de trabajar fuera de casa, beneficiándose de horarios adecuados y de ayudas organizadas para la asistencias de sus hijos e hijas. Según su razonamiento las mujeres que tenían hijos que criar no debían renunciar a su vida profesional, dedicándose tanto a la familia como al trabajo (por ejemplo, Alva lanzó la idea de alojar niños y niñas entre dos y siete años en “grandes habitaciones” en las cuales podrían tener oportunidades lúdicas y formativas mientras sus madres trabajaban). Fue así como de nación subdesarrollada, autoritaria y agrícola, Suecia se convirtió progresivamente en un país desarrollado, pionero y moderno con un Estado social maduro, una cultura de igualdad entre sexos y del respeto hacia la maternidad, y fue el primer país de Europa que introdujo un sistema completo de asistencia a la infancia que permitió a las madres conseguir un empleo y no perderlo. Alva entró en política en el 1932 como exponente del Partido Socialdemócrata sueco con un programa dedicado precisamente al bienestar y a las cuestiones internacionales: como directora del Departamento de Asuntos Sociales de la ONU (primera mujer en ocupar un papel tan importante en dicha sede) y del departamento de Ciencias sociales de la Unesco, introdujo las cuestiones de género en la agenda política y se ocupó de los programas de reconstrucción de la posguerra a favor de los niños/niñas y refugiados/refugiadas. También fue miembra del Parlamento y del Gobierno sueco. Entre los años 1950 y 1955 fue Presidente de la sección científica de la Unesco, luego empezó la carrera diplomática como embajadora de Suecia en India, Birmania y Ceilán: fue la primera mujer en más de trecientos años de historia.

Desde el 1962 hasta el 1973 primero fue senadora, luego Ministra del desarmo y delegada de su país en la Conferencia de las Naciones Unidas para el desarmo en Ginebra. Junto con los miembros de otras naciones sostuvo firmemente que las dos superpotencias, los Estados Unidos y la Unión Soviética, debían ser las primeras en mostrar políticas de desarme. Fue la única mujer en la escena mundial en demostrar capacidades excelentes de liderazgo femenino en un ámbito técnicamente complejo y crucial como el de la diplomacia de la guerra fría.

En el 1966, fue Ministra con cartera para el desarme y los asuntos de la iglesia, desempeñando este papel junto al de Ginebra hasta el 1973. Recogió las experiencias de aquellos años en el libro El juego del desarme (The game of disarmament: how the United States and Russia run the arms race, 1976). Su mensaje era claro y univoco: «La guerra es muerte. Y los preparativos militares adoptados hoy día para un gran enfrentamiento tienen por objetivo una masacre». Esta dedicación suya al desarme nuclear y a la comprensión mutua entre los pueblos le otorgó numerosos reconocimientos: el German Peace Prize (1970) con su esposo, el Albert Eistein Peace Prize (1980) y el Jawaharlal Nehru Award for International Understanding (1981). Por último, en 1982, a los ochenta años de edad, recibió el Premio Nobel de la Paz con el diplomático mexicano Alfonso García Robles (hay que mencionar que también su marido Gunnar, en 1974, ganó el Premio Nobel, pero de Economía) «Por haber contribuido a abrir los ojos al mundo sobre la amenaza de la humanidad representada por el continuo armamiento nuclear». Alva Reimer Myrdal murió cerca de Estocolmo en 1986 tras una larga enfermedad dejándonos un último mensaje en su testamento: «Sólo hay dos cosas de las que estoy completamente segura. La primera es que no obtenemos nada si eludimos las dificultades. La otra es que siempre hay algo que se puede hacer por si solos: se puede estudiar, se pueden intentar elaborar propuestas aunque sólo sean parciales. Si no lo creemos, lo único que tenemos que hacer es renunciar. Y renunciar no es digno de un ser humano».

Alva todavía es recordada por su combinación de elegancia, encanto, fuerza, determinación y por su fe recta en la importancia de la misión internacional. Su imagen sigue siendo fundamental no solo para la cultura y los valores suecos: en algunos países europeos hay calles (en Eskilstuna, Suecia; en Gotinga y Lemgo, Alemania; en Rubi, España) y avenidas que llevan su nombre (en Trappes, Francia y en Getafe, España). Mientras, en México, una Escuela lleva su nombre.

 

Barbara McClintock
Sara Sesti






Martina Zinni

 

 Premio Nobel per la Medicina 1983 con la motivazione: «Per la sua scoperta dei geni mobili»

«Quando lavoravo sui cromosomi, non ero fuori, ero là. Facevo parte del sistema». Ricercatrice appassionata, Barbara McClintock fu una delle figure più geniali e controverse della biologia del secolo scorso. Perseguì tenacemente le sue idee contro ogni ostacolo e convenzione e, con i suoi temi complessi, fu molto in anticipo sui tempi: per questo il Premio Nobel per la Medicina le venne conferito soltanto trent’anni dopo la sua rivoluzionaria scoperta di genetica cellulare.

Era nata il 16 giugno 1902 a Hartford, nel Connecticut (Usa). La sua famiglia, benché di modeste condizioni economiche, le concesse grande autonomia e accettò i suoi interessi intellettuali, anche se la madre, discendente dei puritani della Mayflower ― i primi Padri Pellegrini giunti in America dall’Inghilterra nel 1620 sulla mitica nave che portava questo nome ― inizialmente si mostrò preoccupata per le sue ambizioni “poco femminili”, temendo che potessero compromettere un eventuale buon matrimonio. Dopo la Prima guerra mondiale, Barbara studiò citologia, genetica e zoologia presso il Cornell’s College of Agricolture di Ithaca, nello Stato di New York, approfondendo la genetica vegetale, e in particolare lo studio dei cromosomi del mais, àmbito in cui avrebbe raggiunto importanti risultati. Nel 1925 si laureò con una tesi di Botanica e nel 1927 ottenne un incarico come docente all’Università di Ithaca, dove mise a punto una tecnica di colorazione mediante la quale fu possibile rendere visibili i diversi cromosomi potendoli così utilizzare per studi citogenetici. Dal 1929 al 1931 fornì, con nove pubblicazioni (l’ultima insieme a Harriet Creighton, una delle sue studenti), la prova definitiva che i geni ― unità ereditarie degli organismi viventi ― sono contenuti nei cromosomi: aveva scoperto che lo scambio di informazione genetica può essere accompagnato da uno scambio di frammenti dei cromosomi stessi.

I risultati vennero presentati al VI Congresso internazionale di genetica svoltosi a Ithaca nel 1932 e ottennero un grande riconoscimento. Ciò nonostante, la scienziata dovette dipendere per molti anni da borse di studio, in quanto anche negli Stati Uniti le donne non avevano alcuna possibilità di ottenere incarichi ufficiali presso le università. L’idea di fare carriera e quella di sposarsi le erano completamente indifferenti e si dedicò esclusivamente alla ricerca, lavorando in diversi laboratori, sottopagata e in posizioni precarie. Contemporaneamente continuò a coltivare e ad analizzare le sue piante di mais al Cornell's College of Agriculture, scoprendo i cosiddetti “cromosomi ad anello”, frammenti di cromosomi che fondevano le loro estremità. Dopo aver ottenuto il ruolo di docente incaricata presso l’Università del Missouri, ebbe un impiego nello Stato di New York presso il laboratorio di Cold Spring Harbour, considerato la Mecca della genetica, dove poté tranquillamente dedicarsi alle sue ricerche.

Venne eletta membro della National Academy of Sciences e nel 1945 divenne la prima donna presidente della Società Americana di Genetica. A Cold Spring Harbour riuscì, insieme alla collaboratrice Evelyn Witkin, a spiegare il fenomeno dei cosiddetti jumping genes, i “geni che saltano”. Era interessata alle caratteristiche ereditarie del mais, per esempio ai diversi colori dei suoi chicchi; studiò come queste caratteristiche vengono tramandate di generazione in generazione e le collegò ai cambiamenti nei cromosomi delle piante. Aveva scoperto, infatti, che si potevano “attivare o disattivare” i geni che ne erano responsabili, provando così l’esistenza di geni con funzione di controllo sull’attività di altri geni, ossia capaci di cambiare proprietà, “saltando” all’interno di un cromosoma o tra cromosomi diversi: il fenomeno della "trasposizione genetica". Quando presentò questa ricerca a un simposio del 1951 incontrò molta incomprensione, poiché le sue scoperte mettevano in discussione le teorie della genetica classica per le quali i geni erano le unità immutabili dell’ereditarietà. Al contrario, la scienziata sosteneva che il codice genetico di un organismo non è una matrice statica leggibile come un libro, bensì un elemento flessibile e dinamico, stimolato dall’ambiente circostante.

In quel periodo, la ricerca biologica riguardava altri settori, come per esempio la genetica batteriologica e molecolare, rendendo predominante una visione fisica delle molecole. I processi di trasposizione, così come li descriveva lei, vennero considerati solo molto più tardi, alla fine degli anni Settanta, quando il mondo scientifico fu pronto ad accettare la concezione del “genoma dinamico”, formulata dalla scienziata. Nel 1983 l’attività di Barbara McClintock fu coronata dall’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina: fu così una delle poche donne a ricevere questo riconoscimento grazie a una ricerca svolta completamente da sola. In seguito continuò a lavorare a Cold Spring Harbour e morì a Long Island (New York) all’età di novant’anni, il 2 settembre 1992. Alla base del suo metodo di ricerca c’era uno straordinario talento nell’osservazione al microscopio: attenta a ogni dettaglio, cercava di cogliere il significato di qualunque anomalia. Per lei era necessario «prestare ascolto al materiale», cioè esaminarlo senza modelli o immagini precostituite. Raccontava che durante le sue ricerche era come se si trovasse all’interno della cellula e potesse guardarvisi intorno. «Quando lavoravo sui cromosomi, non ero fuori, ero là. Facevo parte del sistema. Ero davvero là con loro e tutto si ingrandiva. Riuscivo perfino a vedere le loro parti interne. Ero stupita, perché mi sentivo come se fossi veramente laggiù e quelli fossero i miei amici, una parte di me».

Barbara McClintock alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la medicina Barbara McClintock insieme al 37° presidente degli Stati Uniti d'America, Richard Nixon

Questa modalità di osservazione è stata definita da Evelyn Fox-Keller ― esponente di spicco nell’ambito dell’epistemologia femminista ― «sintonia con l’organismo», un modo diverso di studiare la natura rispetto a quello praticato dagli scienziati. A partire da Bacone, infatti, la scienza ha adottato la metafora dell’uomo disincarnato e invisibile a sé stesso, che sottomette la natura e le strappa i segreti. Questa immagine dello scienziato come conoscitore impersonale, che “strappa il velo al corpo della natura”, ricorda il padrone della fantasia di dominio erotico, dove il soggetto è sempre in posizione di controllo. La descrizione di Barbara McClintock ci ricorda invece che l’atto del conoscere si può vivere come comunione e non come conquista e che il rapporto con il proprio oggetto di studio si può concepire senza annullare la nostra specificità entro schemi e modelli che non ci appartengono, ma a partire da ciò che siamo. Solitaria e indipendente, sempre, anche suo malgrado, ai margini della comunità scientifica, la «sintonia con l'organismo» fu la sua chiave di accesso alla conoscenza.



Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de médecine 1983 avec la motivation : «Pour sa découverte des génies mobiles»

«Quand je travaillais sur les chromosomes, je n’étais en dehors, j’étais là. Je faisais partie du système». Chercheuse passionnée, Barbara McClintock fut l’une des figures les plus brillantes et controversées de la biologie du siècle dernier. Elle poursuivit avec acharnement ses idées contre tous les obstacles et conventions et, avec ses thèmes complexes, elle fut très en avance sur son temps : c’est pourquoi le Prix Nobel de Médecine lui fut décerné seulement trente ans après sa découverte révolutionnaire de génétique cellulaire.

Elle est née le 16 juin 1902 à Hartford (Connecticut). Sa famille, bien que de modestes conditions économiques, lui accorda une grande autonomie et accepta ses intérêts intellectuels, bien que la mère, descendante des puritains de Mayflower, les premiers Pères pèlerins arrivés en Amérique d’Angleterre en 1620 sur le navire mythique portant ce nom se montrât initialement préoccupée par ses ambitions "peu féminines” craignant qu’ils ne compromettent un bon mariage. Après la Première Guerre mondiale, Barbara a étudié la cytologie, la génétique et la zoologie au Cornell’s College of Agricolture à Ithaca, dans l’État de New York, en approfondissant la génétique végétale, et en particulier l’étude des chromosomes du maïs, ce qui lui permettrait d’obtenir des résultats importants. En 1925, elle obtient son diplôme avec une thèse de botanique et en 1927 elle obtient un poste de professeur à l’université d’Ithaca, où elle met au point une technique de coloration permettant de rendre visibles les différents chromosomes et de les utiliser pour des études cytogénétiques. De 1929 à 1931, elle fournit, avec neuf publications (la dernière avec Harriet Creighton, une de ses étudiantes), la preuve définitive que les gènes unités héréditaires des organismes vivants sont contenus dans les chromosomes : elle avait découvert que l’échange d’informations génétiques peut s’accompagner d’un échange de fragments de chromosomes.

Les résultats ont été présentés au VIe Congrès international de génétique qui s’est tenu à Ithaca en 1932 et ont reçu une grande reconnaissance. Malgré cela, la scientifique a dû dépendre de bourses pendant de nombreuses années, car même aux États-Unis, les femmes n’avaient aucune chance d’obtenir des postes officiels dans les universités. Son idée de faire carrière et celle de se marier lui étaient complètement indifférentes et elle se consacra exclusivement à la recherche, travaillant dans différents laboratoires, sous-payés et dans des positions précaires. En même temps, elle continua à cultiver et à analyser ses plants de maïs au Cornell’s College of Agriculture, découvrant les "chromosomes en anneau", fragments de chromosomes qui fusionnaient leurs extrémités. Après avoir obtenu un poste de professeur à l’Université du Missouri, elle a travaillé dans l’État de New York au laboratoire de Cold Spring Harbour, considéré comme la Mecque de la génétique, où elle a pu tranquillement se consacrer à ses recherches.

Au cours de cette période, la recherche biologique couvrait d’autres domaines, tels que la génétique bactériologique et moléculaire, rendant prédominante une vision physique des molécules. Les processus de transposition, comme vous les décrivez, ne furent envisagés que beaucoup plus tard, à la fin des années 70, lorsque le monde scientifique fut prêt à accepter la conception du "génome dynamique", formulée par la scientifique. En 1983, l’activité de Barbara McClintock fut couronnée par l’attribution du Prix Nobel de Médecine : elle fut ainsi l’une des rares femmes à recevoir cette reconnaissance grâce à une recherche menée entièrement seule. Elle a ensuite continué à travailler à Cold Spring Harbour et elle est décédée à Long Island (New York) à l’âge de quatre-vingt-dix ans, le 2 septembre 1992. Au cœur de sa méthode de recherche, elle avait un talent extraordinaire dans l’observation au microscope : attentif à chaque détail, elle cherchait à saisir le sens de toute anomalie. Pour elle, il fallait «écouter le matériel», c’est-à-dire l’examiner sans modèles ou images préétablis. Elle racontait qu’au cours de ses recherches, elle était comme si elle se trouvait à l’intérieur de la cellule et pouvait regarder autour d’elle. « Quand je travaillais sur les chromosomes, je n’étais pas en dehors, j’étais là. Je faisais partie du système. J’étais vraiment là avec eux et tout s’agrandissait. Je pouvais même voir leurs parties internes. J’étais étonnée, parce que je me sentais comme si j’étais vraiment là-bas et ceux-là étaient mes amis, une partie de moi».

Barbara McClintock alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la medicina Barbara McClintock insieme al 37° presidente degli Stati Uniti d'America, Richard Nixon

Cette modalité d’observation a été définie par Evelyn Fox-Keller, éminente représentante de l’épistémologie féministe «en harmonie avec l’organisme», une manière différente d’étudier la nature que celle pratiquée par les scientifiques. A partir de Bacon, en effet, la science a adopté la métaphore de l’homme désincarné et invisible à lui-même, qui soumet la nature et lui arrache les secrets. Cette image du scientifique en tant que connaisseur impersonnel, qui "déchire le voile au corps de la nature", rappelle le maître du fantasme de domination érotique, où le sujet est toujours en position de contrôle. La description de Barbara McClintock nous rappelle au contraire que l’acte de connaître peut être vécu comme communion et non comme conquête et que le rapport avec son objet d’étude peut être conçu sans annuler notre spécificité dans des schémas et des modèles qui ne nous appartiennent pas, mais à partir de qui nous sommes. Solitaire et indépendante, toujours, même malgré elle, en marge de la communauté scientifique, « l’harmonie avec l’organisme » fut sa clé d’accès à la connaissance.



Traduzione inglese

Syd Stapleton

McClintock was awarded the Nobel Prize in Medicine in 1983, with the motivation, «For her discovery of genetic transposition». She remains to only woman to have received an unshared Nobel Prize in medicine.

"When I was working on chromosomes, I wasn't outside, I was there. I was part of the system." A passionate researcher, Barbara McClintock was one of the most brilliant and controversial figures in biology of the last century. She tenaciously pursued her ideas against all odds and conventions and, with her complex topics, was far ahead of her time, which is why she was not awarded the Nobel Prize in Medicine until thirty years after her revolutionary discovery of cell genetics.

She was born on June 16, 1902, in Hartford, Connecticut, USA. Her family, although of modest economic circumstances, granted her great autonomy and accepted her intellectual interests, although her mother, a descendant of the Puritans of the Mayflower - the first Pilgrims who came to America from England in 1620 on the famous ship that bore that name - was initially concerned about her "unfeminine" ambitions, fearing that they might jeopardize an eventual good marriage. After World War I, Barbara studied cytology, genetics and zoology at Cornell's College of Agriculture in Ithaca, New York State, delving into plant genetics, and in particular the study of maize (corn) chromosomes, an area in which she would achieve important results. In 1925 she graduated with a degree in Botany, and in 1927 received her PhD. She obtained an appointment as a lecturer at the University of Ithaca, where she developed a staining technique by which it was possible to make the different chromosomes visible, thus being able to use them for cytogenetic studies. From 1929 to 1931 she provided, with nine publications (the last together with Harriet Creighton, one of her students), definitive proof that genes - the hereditary units of living organisms - are contained in chromosomes. She had discovered that the exchange of genetic information can be accompanied by an exchange of fragments of the chromosomes themselves.

The results were presented at the 6th International Congress of Genetics held in Ithaca in 1932 and received great recognition. Nevertheless, the scientist had to depend on fellowships for many years, as even in the United States women had little chance of obtaining official positions at universities. The idea of making a career and the idea of getting married were completely indifferent to her and she devoted herself exclusively to research, working in various laboratories, underpaid and in precarious positions. At the same time, she continued to grow and analyze her corn plants at Cornell's College of Agriculture, discovering so-called "ring chromosomes," fragments of chromosomes that fused their ends together. After obtaining tenure as an adjunct faculty member at the University of Missouri, she was offered a position with the Cold Spring Harbor laboratory in New York, considered the Mecca of genetics, where she could quietly devote herself to her research.

She was elected a member of the National Academy of Sciences and in 1945 became the first female president of the American Society of Genetics. At Cold Spring Harbor she succeeded, along with collaborator Evelyn Witkin, in explaining the phenomenon of so-called “jumping genes”. She was interested in the inherited characteristics of maize, for example the different colors of its kernels. She studied how these characteristics are passed down from generation to generation and linked them to changes in plant chromosomes. She had discovered that the genes responsible for them could be "turned on or off," thus proving the existence of genes with a control function over the activity of other genes, that is, capable of changing properties by "jumping" within a chromosome or between different chromosomes: the phenomenon of "genetic transposition." When she presented this research at a symposium in 1951 she encountered much misunderstanding, as her findings challenged the theories of classical genetics for which genes were the unchanging units of heredity. On the contrary, the scientist argued that an organism's genetic code is not a static matrix that can be read like a book, but rather a flexible and dynamic element, stimulated by its environment.

At that time, biological research involved other areas, such as bacteriological and molecular genetics, making a static view of molecules predominant. Transposition processes, as she described them, were not considered until much later, in the late 1970s, when the scientific world was ready to accept the "dynamic genome" conception formulated by the scientist. In 1983, Barbara McClintock's work was crowned by the award of the Nobel Prize in Medicine. She was thus one of the few women to receive this recognition thanks to research carried out entirely on her own. She later continued to work at Cold Spring Harbor and died on Long Island, New York, at the age of ninety on September 2, 1992. Underlying her research method was an extraordinary talent for microscopic observation. Attentive to every detail, she sought to grasp the significance of any anomaly. For her, it was necessary to "listen to the material," that is, to examine it without pre-established assumptions or images. She recounted that during her research it was as if she was inside the cell and could look around it. «When I was working on chromosomes, I was not outside, I was there. I was part of the system. I was really there with them and everything was magnified. I could even see their insides. I was amazed, because I felt like I was really down there and those were my friends, a part of me».

Barbara McClintock alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la medicina Barbara McClintock insieme al 37° presidente degli Stati Uniti d'America, Richard Nixon

This mode of observation has been called by Evelyn Fox-Keller - a leading exponent of feminist epistemology - "attunement to the organism," a different way of studying nature than that practiced by most male scientists. Since Bacon, in fact, science has adopted the metaphor of the disembodied man who is invisible to himself, subduing nature and ripping out its secrets. This image of the scientist as impersonal knower, who "tears the veil from the body of nature," is reminiscent of the master of the erotic domain fantasy, where the subject is always in a position of control. Instead, Barbara McClintock's description reminds us that the act of knowing can be experienced as communion and not as conquest, and that the relationship with one's object of study can be conceived, without annulling our specificity within patterns and models that do not belong to us, but from who we are. Solitary and independent, always, even in spite of herself, on the fringes of the scientific community, "attunement with the organism" was her key to knowledge.



Traduzione spagnola

Anastasia Grasso

Premio Nobel en Medicina 1983 con la motivación: "Por su descubrimiento de los genes móviles".

"Cuando trabajaba en los cromosomas, no estaba fuera, estaba allí. Yo formaba parte del sistema". Investigadora apasionada, Barbara McClintock fue una de las figuras más brillantes y controvertidas de la biología del siglo pasado. Persiguió tenazmente sus ideas contra todos los obstáculos y convenciones y, con sus complejos temas, se adelantó mucho a su tiempo: por eso le concedieron el Premio Nobel en Medicina treinta años después de su revolucionario descubrimiento de la genética celular.

Nació el 16 de junio de 1902 en Hartford, Connecticut (EE.UU.). Su familia, si bien de modesta condición económica, le concedió gran autonomía y aceptó sus intereses intelectuales, aunque su madre, descendiente de los puritanos del Mayflower –los primeros Padres Peregrinos que llegaron a América en 1620 procedentes de Inglaterra en el mítico barco que llevaba ese nombre–, al principio, se mostró preocupada por sus ambiciones "poco femeninas", temiendo que pudieran poner en peligro un hipotético buen matrimonio. Tras la Primera guerra mundial, Barbara estudió citología, genética y zoología en el Cornell’s College of Agricolture de Ithaca, Estado de Nueva York, profundizando sus estudios en genética vegetal, en sobre los cromosomas del maíz, ámbito en el que más tarde obtuvo resultados muy importantes. En 1925 se graduó con una tesis de Botánica y en 1927 obtuvo un contrato como docente en la Universidad de Ithaca, donde realizó la puesta a punto de una técnica de tinción mediante la cual fue posible visualizar los distintos cromosomas que, de este modo, se pudieron utilizar para estudios citogenéticos. Entre 1929 y 1931, con nueve publicaciones (la última junto a Harrie Creighton, una de sus alumnas), proporcionó la prueba definitiva de que los genes –unidades hereditarias de los organismos vivos– se encuentran en los cromosomas: había descubierto que el intercambio de información genética puede ir acompañado de un intercambio de fragmentos de los propios cromosomas.

Los resultados fueron presentados en el VI Congreso Internacional de Genética celebrado en Ithaca en 1932 y obtuvieron un gran reconocimiento. A pesar de ello, esta científica tuvo que depender de las becas durante muchos años, ya que en Estados Unidos las mujeres tampoco tenían ninguna posibilidad de obtener una plaza oficial en las universidades. Completamente indiferente a la idea de hacer carrera y a la del matrimonio, se dedicó exclusivamente a la investigación, trabajando en diversos laboratorios, mal pagada y en puestos precarios. Paralelamente, siguió cultivando y analizando sus plantas de maíz en la Facultad de Agricultura de Cornell, descubriendo los llamados "cromosomas en anillo", fragmentos de cromosomas que fusionan sus extremos. Tras conseguir la plaza de profesora en la Universidad de Missouri, obtuvo un trabajo en el Estado de Nueva York, en el laboratorio de Cold Spring Harbour, considerado la Meca de la genética, donde pudo dedicarse tranquilamente a sus investigaciones.

Fue elegida componente de la Academia Nacional de Ciencias y en 1945 se convirtió en la primera mujer que presidió la Sociedad Americana de Genética. En Cold Spring Harbour, junto con su colaboradora Evelyn Witkin, logró explicar el fenómeno de los llamados genes saltarines. Le interesaban las características hereditarias del maíz, por ejemplo, en los diferentes colores de sus granos; estudió cómo se transmiten estas características de generación en generación y las relacionó con los cambios en los cromosomas de las plantas. En efecto, había descubierto que los genes responsables de dichas características podían "encenderse o apagarse", demostrando así la existencia de genes con una función de control sobre la actividad de otros genes, es decir, capaces de cambiar de propiedades "saltando" dentro de un cromosoma o entre cromosomas diferentes: el fenómeno de la "transposición genética". Cuando presentó esta investigación en un simposio, en 1951, se topó con mucha incomprensión, ya que sus hallazgos cuestionaban las teorías de la genética clásica, para las cuales los genes eran las unidades inmutables de la herencia. Por el contrario, nuestra científica argumentó que el código genético de un organismo no es una matriz estática que pueda leerse como un libro, sino un elemento flexible y dinámico, estimulado por su entorno.

En aquella época, la investigación biológica se centraba en otros ámbitos, como la bacteriología y la genética molecular, por lo que predominaba una visión física de las moléculas. Los procesos de transposición, tal como ella los describía, sólo se tuvieron en cuenta mucho más tarde, a finales de los años Setenta, cuando el mundo científico estaba preparado para aceptar el concepto de "genoma dinámico" formulado por dicha estudiosa. En 1983, el trabajo de Barbara McClintock se vio coronado por la concesión del Premio Nobel en Medicina: fue así una de las pocas mujeres que recibieron este galardón gracias a una investigación realizada íntegramente por ella misma. Tras el Premio Nobel siguió trabajando en Cold Spring Harbour y falleció en Long Island (Nueva York) a la edad de noventa años, el 2 de septiembre de 1992. Bajo su método de investigación se encontraba un extraordinario talento para la observación microscópica: atenta a cada detalle, trataba de captar el significado de cualquier anomalía. Para ella, era necesario "prestar oído al material", es decir, examinarlo sin modelos ni imágenes preconcebidas. Contaba que durante su investigación era como si estuviera dentro de la célula y pudiera observar a su alrededor. "Cuando trabajaba en los cromosomas, no estaba fuera, estaba allí. Yo formaba parte del sistema. Estaba realmente allí con ellos y todo se hacía más grande. Incluso podía ver su interior. Me quedé asombrada, porque me sentía como si realmente estuviera allí abajo y ellos fueran mis amigos, una parte de mí".

Barbara McClintock alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la medicina Barbara McClintock insieme al 37° presidente degli Stati Uniti d'America, Richard Nixon

Esta modalidad de observación fue denominada por Evelyn Fox-Keller –una destacada exponente de la epistemología feminista– "sintonía con el organismo", una forma de estudiar la naturaleza distinta de la que practican los científicos. En efecto, desde Bacon, la ciencia ha adoptado la metáfora del hombre desencarnado e invisible para consigo mismo, que somete la naturaleza y le arranca sus secretos. Esta imagen del científico como conocedor impersonal, que "rasga el velo del cuerpo de la naturaleza", recuerda al dueño de la fantasía del dominio erótico, donde el sujeto siempre está en posición de control. La descripción de Barbara McClintock, al contrario, nos recuerda que el acto de conocer puede experimentarse como comunión y no como conquista, y que la relación con el propio objeto de estudio puede concebirse sin anular nuestra especificidad bajo esquemas y modelos que no nos pertenecen, sino partiendo de lo que somos. Solitaria e independiente, siempre, incluso a su pesar, al margen de la comunidad científica, la "sintonía con el organismo" era su clave para acceder al conocimiento.



Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з медицини 1983 року з мотивацією: "За відкриття мобільних генів".

"Коли я працював над хромосомами, я не був на вулиці, я був там. Я був частиною системи". Пристрасна дослідниця, Барбара МакКлінток була однією з найяскравіших і найсуперечливіших постатей у біології минулого століття. Вона наполегливо переслідувала свої ідеї всупереч усім перешкодам і умовностям і своїми складними темами значно випереджала свій час: саме тому Нобелівська премія з медицини була присуджена їй лише через тридцять років після її революційного відкриття клітинної генетики.

Народилася 16 червня 1902 року в м. Хартфорд, штат Коннектикут (США). Її сім'я, хоч і скромного достатку, надавала їй велику автономію і приймала її інтелектуальні інтереси, хоча її мати, нащадок пуритан з "Мейфлауера" - перших батьків-пілігримів, які прибули до Америки з Англії в 1620 році на міфічному кораблі з такою назвою, - спочатку була стурбована її "нежіночими" амбіціями, побоюючись, що вони можуть поставити під загрозу вдалий шлюб. Після Першої світової війни Барбара вивчала цитологію, генетику та зоологію в Корнельському сільськогосподарському коледжі в Ітаці, штат Нью-Йорк, заглибившись у генетику рослин, зокрема у вивчення хромосом кукурудзи, в якій вона досягне важливих результатів. У 1925 році він захистив дисертацію з ботаніки, а в 1927 році отримав викладацьку посаду в Університеті Ітаки, де розробив техніку фарбування, за допомогою якої можна було зробити видимими різні хромосоми і таким чином використовувати їх для цитогенетичних досліджень. З 1929 по 1931 рік він у дев'яти публікаціях (остання - спільно з Гаррієт Крейтон, однією з його студенток) надав остаточний доказ того, що гени - спадкові одиниці живих організмів - містяться в хромосомах: він відкрив, що обмін генетичною інформацією може супроводжуватися обміном фрагментами хромосом.

Результати були представлені на 6-му Міжнародному генетичному конгресі в Ітаці в 1932 році і отримали велике визнання. Тим не менш, науковець багато років була змушена жити на стипендії, оскільки навіть у США жінки не мали шансів отримати офіційні посади в університетах. Вона була абсолютно байдужа до ідеї кар'єри і заміжжя і присвятила себе виключно науковим дослідженням, працюючи в різних лабораторіях, низькооплачувано і на нестабільних посадах. У той же час вона продовжувала вирощувати та аналізувати свої рослини кукурудзи в Корнельському сільськогосподарському коледжі, відкривши так звані "кільцеві хромосоми" - фрагменти хромосом, які зрослися своїми кінцями. Після призначення на посаду викладача в Університеті Міссурі, вона отримала роботу в штаті Нью-Йорк в лабораторії в Колд Спрінг Харбор, що вважається Меккою генетики, де вона змогла спокійно присвятити себе своїм дослідженням.

Вона була обрана членом Національної академії наук, а в 1945 році стала першою жінкою-президентом Американського генетичного товариства. У Колд Спрінг Харбор їй вдалося разом зі своєю співробітницею Евелін Віткін пояснити феномен так званих стрибаючих генів. Вона цікавилася спадковими характеристиками кукурудзи, наприклад, різним кольором її зерен, вивчала, як ці характеристики передаються з покоління в покоління, і пов'язувала їх зі змінами в хромосомах рослин. Він відкрив, що гени, відповідальні за них, можуть "вмикатися і вимикатися", довівши таким чином існування генів, які виконують контрольну функцію над активністю інших генів, тобто здатні змінювати властивості, "перестрибуючи" в межах хромосоми або між різними хромосомами - явище "генетичної транспозиції".Коли вона представила це дослідження на симпозіумі в 1951 році, вона зустріла багато нерозуміння, оскільки її висновки кидали виклик теоріям класичної генетики, для якої гени були незмінними одиницями спадковості. Навпаки, вона стверджувала, що генетичний код організму - це не статична матриця, яку можна читати як книгу, а гнучкий і динамічний елемент, який стимулюється навколишнім середовищем. У той час біологічні дослідження включали інші галузі, такі як бактеріологія та молекулярна генетика, що робило фізичний погляд на молекули домінуючим. .

Транспозиційні процеси, як вона їх описувала, були розглянуті лише значно пізніше, наприкінці 1970-х років, коли науковий світ був готовий прийняти сформульовану вченою концепцію "динамічного геному". У 1983 році робота Барбари МакКлінток була увінчана присудженням Нобелівської премії з медицини: таким чином, вона стала однією з небагатьох жінок, які отримали це визнання завдяки дослідженням, проведеним повністю самостійно. Вона продовжувала працювати в гавані Колд Спрінг і померла на Лонг-Айленді (штат Нью-Йорк) у віці дев'яноста років 2 вересня 1992 року. В основі її дослідницького методу лежав надзвичайний талант до мікроскопічного спостереження: уважна до кожної деталі, вона намагалася збагнути значення будь-якої аномалії. Для неї необхідно було "слухати матеріал", тобто розглядати його без упереджених моделей чи образів. Вона розповіла, що під час дослідження вона ніби перебувала всередині камери і могла її оглянути. "Коли я працював над хромосомами, я не був на вулиці, я був там. Я був частиною системи. Я дійсно був там з ними, і все стало набагато масштабнішим. Я навіть бачив їхні нутрощі. Я був вражений, тому що відчував, що я дійсно був там і це були мої друзі, частина мене".

Barbara McClintock alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la medicina Barbara McClintock insieme al 37° presidente degli Stati Uniti d'America, Richard Nixon

Цей спосіб спостереження був визначений Евелін Фокс-Келлер - провідною представницею феміністичної епістемології - як "співналаштування з організмом", інший спосіб вивчення природи, ніж той, що практикується вченими. З часів Бекона, по суті, наука взяла на озброєння метафору безтілесної людини, невидимої для самої себе, яка підкорює природу і вириває у неї її таємниці. Цей образ вченого як безособового знавця, який "зриває завісу з тіла природи", нагадує майстра еротичної сфери фантазії, де суб'єкт завжди перебуває в позиції контролю. Опис Барбари МакКлінток, з іншого боку, нагадує нам, що акт пізнання може бути пережитий як спілкування, а не як завоювання, і що стосунки з об'єктом свого дослідження можна мислити, не анулюючи нашу специфіку в рамках схем і моделей, які нам не належать, а відштовхуючись від того, чим ми є. Відлюдькувата і незалежна, завжди, навіть всупереч собі, на узбіччі наукової спільноти, "співналаштування з організмом" було її ключем до доступу до знань.

.

Rita Levi Montalcini
Elisabetta Mattei






Martina Zinni

 

Nel 1986 il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina viene assegnato congiuntamente a Rita Levi-Montalcini e Stanley Cohen «per le scoperte di fondamentale importanza per la comprensione dei meccanismi che regolano la crescita di cellule e organi. Il modello di crescita cellulare è noto da tempo, ma sono la biologa dello sviluppo italiana Rita Levi-Montalcini e il biochimico americano Stanley Cohen con la loro scoperta rispettivamente del fattore di crescita nervoso (NGF) e del fattore di crescita epidermico (EGF), che potrebbero mostrare come sono regolati la crescita e il differenziamento di una cellula. NGF ed EGF sono state le prime di molte sostanze di regolazione della crescita ad essere scoperte e caratterizzate. La scoperta di NGF e EGF ha aperto nuovi settori di grande importanza per le scienze di base che ampliano la nostra comprensione di molti stati patologici come malformazioni dello sviluppo, alterazioni degenerative nella demenza senile, malattie tumorali e ritardo nella guarigione delle ferite. La caratterizzazione di questi fattori di crescita dovrebbe quindi portare, nel prossimo futuro, allo sviluppo di nuovi agenti terapeutici e al miglioramento del trattamento di varie malattie».

«La scoperta del NGF all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo. L'esplorazione del ruolo del NGF sia nello sviluppo che nell'organismo adulto sono stati oggetto di indagine al quale Rita Levi-Montalcini ha dedicato tutta la sua vita». (da Elogio dell'imperfezione).

«Una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa, che sulla strada scelta tanti anni addietro sta tuttora proseguendo con energia geniale, e con quella rara combinazione di pazienza e d'impazienza che è propria dei grandi innovatori». (Primo Levi)

Il percorso che porta Rita Levi-Montalcini alla scoperta dell’NGF inizia nel 1947, quando il dott.Viktor Hamburger la invita a lavorare alla Washington University di St.Louis. Rita aveva a quel tempo trentotto anni e aveva una formazione scientifica di tutto rispetto per una donna della sua epoca. Nata nel 1909 a Torino da una colta famiglia ebrea sefardita, sfida giovanissima la contrarietà del padre e si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino dove si laurea nel 1930 sotto la guida di Giuseppe Levi, titolare della cattedra di Istologia e maestro di altri due futuri Nobel, Renato Dulbecco e Salvatore Luria, con cui Rita mantiene sempre rapporti di amicizia e di collaborazione scientifica. Ben presto tuttavia si rende conto di non avere il distacco emotivo necessario a far fronte alle sofferenze delle/dei pazienti e decide di «curare la malattia e non il malato», dedicandosi alla ricerca. Le leggi razziali emanate dal governo fascista nel 1938 la costringono ad emigrare in Belgio, ospite dell’Istituto di neurologia dell’Università di Bruxelles. Nel 1940 torna a Torino ma, in quanto ebrea, le è proibito lavorare all’università. Allestisce quindi un laboratorio di fortuna in casa dove, con il suo maestro Giuseppe Levi, studia lo sviluppo del sistema nervoso negli embrioni di pollo. Nel suo libro autobiografico Elogio dell’imperfezione racconta: «Malgrado le condizioni proibitive, dovute alle difficoltà di procurarmi le uova fecondate e alle continue interruzioni dell'energia elettrica da cui dipendeva il funzionamento del mio termostato e lo sviluppo degli embrioni, portai a termine alcune ricerche che avrei proseguito alcuni anni dopo, negli Stati Uniti».

L’invito di Hamburger a passare un periodo nel suo laboratorio di St.Luis è per lei «un salutare antidoto allo stato di sfiducia e di pessimismo sui risultati che avevo ottenuto fino a quel momento». Aveva previsto di restare sei mesi, ma lascerà definitivamente gli Stati Uniti solo nel 1977. Alla Washington University di St Louis insegna prima come professoressa associata (fino al 1958) e poi come ordinaria e prosegue le sue ricerche sullo sviluppo del sistema nervoso partendo dall’osservazione di un allievo di Hamburger, Elmer Bueker, che aveva scoperto che l’innesto di un frammento di tumore di topo negli embrioni di pollo promuoveva la crescita di fibre nervose nell’embrione stesso. Determinante per la scoperta del fattore di crescita neuronale è il periodo che Rita passa in Brasile tra il 1952 e il 1953, ospite nel laboratorio della sua amica e collega Hertha Meyer. Qui, utilizzando il metodo della coltura in vitro, evidenzia che il tumore rilascia un fattore di crescita solubile che stimola la crescita di fibre dai gangli sensoriali dell’embrione di pollo isolati e messi in coltura. Da Rio de Janeiro invia al dottor Hamburger immagini del modo spettacolare in cui questo agente, ancora sconosciuto, induce la crescita di fibre a partire dal ganglio nervoso.

Al suo ritorno dal Brasile Rita Levi-Montalcini inizia la preziosa collaborazione con il biochimico Stanley Cohen, che nel frattempo si era unito al gruppo di ricerca di St. Louis e con cui condividerà il Premio Nobel. Cohen purifica dai tessuti tumorali un estratto capace di stimolare la crescita nervosa in vitro, contenente sia proteine che acidi nucleici. Cercando di determinare quale delle due componenti fosse quella attiva aggiunge del veleno di serpente, un potente agente di degradazione degli acidi nucleici e, con grande sorpresa, scopre che il veleno di serpente è molto più efficace dell’estratto tumorale nel promuovere la crescita di fibre nervose. A questo punto il gruppo di St.Louis si concentra sulla ricerca del fattore di crescita, ormai battezzato ufficialmente NGF, in vari tessuti dimostrando che è contenuto in grandi quantità nelle ghiandole salivari di topo ed è presente in una grande varietà di specie, dai pesci ai mammiferi. La scoperta di NGF è presto seguita da quella del fattore di crescita epidermico (EGF), e di lì in poi all’identificazione, in vari laboratori del mondo, di un numero sempre crescente di fattori di crescita di natura proteica.

Gli studi sviluppati negli anni successivi dal gruppo di ricerca di Levi-Montalcini chiariscono che il NGF esercita la sua funzione in tessuti diversi controllando non solo la crescita e il differenziamento di cellule nel sistema nervoso ma anche nel sistema immunitario, endocrino ed epiteliale. Negli anni Sessanta Rita lavora tra gli Stati Uniti e Roma, dove organizza il Centro di ricerche di neurobiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr): «Nell'atmosfera pervasa di allegria e ottimismo della prima metà degli anni Sessanta, nell'aria tersa e luminosa di Roma, ogni nuovo risultato suscitava grandi speranze, e il problema di decifrare il meccanismo d'azione del NGF si prospettava di vicina soluzione».

Dopo il suo rientro definitivo in Italia nel 1977, dirige il Laboratorio di Biologia cellulare del Cnr fino ai “raggiunti limiti di età”, che per lei non sono un limite, tanto è vero che prosegue le sue ricerche sullo spettro di azione dell'NGF fino al 1995 collaborando con l'Istituto di neurobiologia del Cnr. All’attività scientifica affianca l’impegno in campo sociale e politico prodigandosi a favore dell'alfabetizzazione delle donne africane attraverso l'assegnazione di borse di studio erogate dalla Fondazione che porta il suo nome. Negli anni Settanta partecipa all'attività del Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell'aborto. Dal 1993 al 1998 presiede e rilancia l'Istituto dell'Enciclopedia italiana e nel 1999 è nominata ambasciatrice della Fao per contribuire alla campagna contro la fame nel mondo. È membro delle maggiori accademie scientifiche nazionali e internazionali, tra cui la National Academy of Sciences, la Royal Society, l'Accademia dei Lincei ed è stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia Accademia delle scienze. Nel 2001 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la nomina senatrice a vita per gli altissimi meriti in campo scientifico e sociale. Nello stesso anno Rita Levi-Montalcini fonda a Roma l'Istituto Europeo di Ricerca sul Cervello (Ebri), dove prosegue, fino a poco prima di morire, la sua attività di ricerca. Muore nella sua casa nella capitale il 30 dicembre 2012, all'età di 103 anni.

«Quando muore il corpo, sopravvive quello che hai fatto. Il messaggio che hai dato». (dall’intervista di Paolo Giordano a Rita Levi-Montalcini, La Repubblica, 19 febbraio 2009)



Traduzione francese

Guenoah Mroue

En 1986, le Prix Nobel de Physiologie ou de Médecine est décerné conjointement à Rita Levi-Montalcini et Stanley Cohen pour des découvertes d’une importance fondamentale pour la compréhension des mécanismes qui régissent la croissance des cellules et des organes. Le modèle de croissance cellulaire est connu depuis longtemps, mais c’est la biologiste du développement italienne Rita Levi-Montalcini et le biochimiste américain Stanley Cohen avec leur découverte respectivement du facteur de croissance nerveux (NGF) et du facteur de croissance épidermique (EGF)qui pourraient montrer comment la croissance et la différenciation d’une cellule sont régulées. NGF et EGF ont été les premières substances régulatrices de croissance à être découvertes et caractérisées. La découverte de NGF et d’EGF a ouvert de nouveaux domaines de grande importance pour les sciences fondamentales qui élargissent notre compréhension de beaucoup d’états pathologiques comme les malformations de développement, les altérations dégénératives dans la démence sénile, maladies tumorales et retard dans la cicatrisation des plaies. La caractérisation de ces facteurs de croissance devrait donc conduire, dans un proche avenir, au développement de nouveaux agents thérapeutiques et à l’amélioration du traitement de diverses maladies».

« La découverte du NGF au début des années 1950 est un exemple fascinant de la façon dont un observateur avisé peut extraire des hypothèses valables d’un chaos apparent. Auparavant, les neurobiologistes n’avaient aucune idée des processus qui intervenaient dans l’innervation correcte des organes et des tissus de l’organisme. L’exploration du rôle du NGF tant dans le développement que dans l’organisme adulte a fait l’objet d’une enquête à laquelle Rita Levi-Montalcini a consacré toute sa vie». (par Eloge de l’imperfection)

«Une petite dame à la volonté indomptée et à l’allure de princesse, qui sur la route choisie il y a tant d’années continue encore avec une énergie géniale, et avec cette rare combinaison de patience et d’impatience qui est propre aux grands innovateurs». (Primo Levi)

Rita Levi-Montalcini découvre le NGF en 1947 lorsque le Dr Viktor Hamburger l’invite à travailler à l’Université de Washington à St.Louis. Rita avait alors trente-huit ans et avait une formation scientifique respectable pour une femme de son époque. Née en 1909 à Turin d’une famille juive séfarade cultivée, elle défie très jeune l’opposition de son père et s’inscrit à la faculté de médecine de l’Université de Turin où elle obtient son diplôme en 1930 sous la direction de Giuseppe Levi, Titulaire de la chaire d’histologie et maître de deux autres futurs Nobel, Renato Dulbecco et Salvatore Luria, avec qui Rita maintient toujours des relations d’amitié et de collaboration. Mais elle se rend vite compte qu’elle n’a pas le détachement émotionnel nécessaire pour faire face aux souffrances des patients et décide de « soigner la maladie et non le malade », en se consacrant à la recherche. Les lois raciales promulguées par le gouvernement fasciste en 1938 l’obligent à émigrer en Belgique, hôte de l’Institut de neurologie de l’Université de Bruxelles. En 1940, elle retourne à Turin mais, en tant que juive, il lui est interdit de travailler à l’université. Elle installe ensuite un laboratoire de fortune à la maison où, avec son maître Giuseppe Levi, elle étudie le développement du système nerveux chez les embryons de poulet. Dans son livre autobiographique, Éloge de l’imperfection elle raconte : «Malgré les conditions prohibitives, dues aux difficultés de me procurer les oeufs fécondés et aux interruptions continues de l’énergie électrique dont dépendait le fonctionnement de mon thermostat et le développement des embryons, j’ai mené à bien des recherches que j’aurais poursuivies quelques années plus tard, aux États-Unis».

L’invitation de Hamburger à passer un moment dans son atelier de St.Luis est pour elle « un antidote salutaire à l’état de méfiance et de pessimisme sur les résultats que j’avais obtenus jusque-là ». Elle avait prévu de rester six mois, mais elle ne quittera définitivement les États-Unis qu’en 1977. À l’Université de Washington à St Louis, elle enseigne d’abord en tant que professeur associée (jusqu’en 1958), puis comme professeur ordinaire et poursuit ses recherches sur le développement du système nerveux à partir de l’observation d’un élève de Hamburger, Elmer Bueker, qui avait découvert que la greffe d’un fragment de tumeur de souris dans les embryons de poulet favorisait la croissance des fibres nerveuses dans l’embryon lui-même. La période de passage de Rita au Brésil entre 1952 et 1953, invitée dans le laboratoire de son amie et collègue Hertha Meyer, est déterminante pour la découverte du facteur de croissance neuronal. Ici, en utilisant la méthode de culture in vitro, elle souligne que la tumeur libère un facteur de croissance soluble qui stimule la croissance des fibres des ganglions sensoriels de l’embryon de poulet isolés et mis en culture. De Rio de Janeiro, elle envoie au Dr Hamburger des images de la façon spectaculaire dont cet agent, encore inconnu, induit la croissance des fibres à partir du ganglion nerveux.

À son retour du Brésil, Rita Levi-Montalcini commence une collaboration précieuse avec le biochimiste Stanley Cohen, qui entre-temps avait rejoint l’équipe de recherche de St. Louis et avec qui elle partagera le prix Nobel. Cohen purifie des tissus tumoraux un extrait capable de stimuler la croissance nerveuse en vitro, contenant à la fois des protéines et des acides nucléiques. En essayant de déterminer lequel des deux composants était le plus actif ajoute du venin de serpent, un puissant agent de dégradation des acides nucléiques et, à sa grande surprise, elle découvre que le venin de serpent est beaucoup plus efficace que l’extrait tumoral pour favoriser la croissance des fibres nerveuses. À ce stade, le groupe de St.Louis se concentre sur la recherche du facteur de croissance, désormais officiellement appelé NGF, dans divers tissus démontrant qu’il est contenu en grandes quantités dans les glandes salivaires de souris et il est présent dans une grande variété d’espèces, des poissons aux mammifères. La découverte de NGF est rapidement suivie par celle du facteur de croissance épidermique (EGF), puis par l’identification, dans divers laboratoires du monde, d’un nombre toujours croissant de facteurs de croissance de nature protéique.

Les études développées dans les années suivantes par l’équipe de recherche de Levi-Montalcini précisent que le NGF exerce sa fonction dans différents tissus en contrôlant non seulement la croissance et la différenciation de cellules dans le système nerveux mais également dans le système immunitaire, endocrinien et épithélial. Dans les années 60, Rita travaille entre les États-Unis et Rome, où elle organise le Centre de recherche en neurobiologie du Conseil national de la recherche (CNR) : «Dans l’atmosphère omniprésente de joie et d’optimisme de la première moitié des années Soixante, dans l’air clair et lumineux de Rome, chaque nouveau résultat suscitait de grands espoirs, et le problème de déchiffrer le mécanisme d’action du NGF s’annonçait de proche solution».

Après son retour définitif en Italie en 1977, elle dirige le Laboratoire de Biologie cellulaire du CNR jusqu’aux "limites d’âge atteintes", elle poursuit ses recherches sur le spectre d’action du NGF jusqu’en 1995 en collaborant avec l’Institut de neurobiologie du CNR. Parallèlement à l’activité scientifique, elle s’engage dans le domaine social et politique en œuvrant en faveur de l’alphabétisation des femmes africaines à travers l’attribution de bourses d’études fournies par la Fondation qui porte son nom. Dans les années 1970, elle participe à l’activité du Mouvement de Libération Féminine pour la réglementation de l’avortement. De 1993 à 1998 elle préside et relance l’Institut de l’Encyclopédie italienne et en 1999 elle est nommée ambassadrice de la FAO pour contribuer à la campagne contre la faim dans le monde. Elle est membre des plus grandes académies scientifiques nationales et internationales, dont la National Academy of Sciences, la Royal Society, l’Accademia dei Lincei et a été la première femme à être admise à l’Académie pontificale des sciences. En 2001, le Président de la République Carlo Azeglio Ciampi la nomme sénatrice à vie pour les plus grands mérites dans le domaine scientifique et social. La même année, Rita Levi-Montalcini fonde à Rome l’Institut Européen de Recherche sur le Cerveau (Ebri), où elle poursuit, jusqu’à peu avant sa mort, son activité de recherche. Elle meurt dans sa maison de la capitale le 30 décembre 2012, à l’âge de 103 ans.

«Quand le corps meurt, ce que tu as fait survit. Le message que tu as donné ». (de l’interview de Paolo Giordano à Rita Levi-Montalcini, La Repubblica, 19 février 2009)



Traduzione inglese

Syd Stapleton

In 1986, the Nobel Prize in Physiology or Medicine was awarded jointly to Rita Levi-Montalcini and Stanley Cohen "for discoveries of fundamental importance for understanding the mechanisms that regulate cell and organ growth. The pattern of cell growth has long been known, but it is Italian developmental biologist Rita Levi-Montalcini and American biochemist Stanley Cohen with their discovery of nerve growth factor (NGF) and epidermal growth factor (EGF), respectively, who could show how a cell's growth and differentiation are regulated. NGF and EGF were the first of many growth-regulating substances to be discovered and characterized. The discovery of NGF and EGF has opened up major new areas of basic science that expand our understanding of many disease states such as developmental malformations, degenerative changes in dementia, cancer diseases, and delayed wound healing. Characterization of these growth factors should therefore lead to the development of new therapeutic agents and improved treatment of various diseases in the near future." 

"The discovery of NGF in the early 1950s is a fascinating example of how a keen observer can extract valid hypotheses from apparent chaos. Previously, neurobiologists had no idea what processes were involved in the proper innervation of the body's organs and tissues. Exploration of the role of NGF in both development and the adult organism were subjects of investigation to which Rita Levi-Montalcini devoted her entire life." (from In Praise of Imperfection)

"A little lady with an indomitable will and the confidence of a princess, who, on a path chosen so many years ago, is still continuing with brilliant energy, and with that rare combination of patience and impatience that is characteristic of great innovators." (Primo Levi).

The path leading Rita Levi-Montalcini to the discovery of NGF began in 1947, when Dr. Viktor Hamburger invited her to work at Washington University in St. Louis. Rita was thirty-eight years old at the time and had an impressive scientific background for a woman of her time. Born in 1909 in Turin to a cultured Sephardic Jewish family, at a very young age she defied her father's opposition and enrolled in the Faculty of Medicine at the University of Turin. She graduated there in 1930 under the guidance of Giuseppe Levi, holder of the Chair of Histology and teacher of two other future Nobel Laureates, Renato Dulbecco and Salvatore Luria, with whom Rita always maintained friendly relations and scientific collaboration. Soon, however, she realized that she lacked the emotional detachment necessary to cope with the suffering of patients and decided to "treat the disease and not the sick," devoting herself to research. The racial laws enacted by the fascist government in 1938 forced her to emigrate to Belgium, a guest of the Institute of Neurology at the University of Brussels. In 1940 she returned to Turin but, as a Jew, was forbidden to work at the university. She then set up a makeshift laboratory at home where, with her teacher, Giuseppe Levi, she studied the development of the nervous system in chicken embryos. In her autobiographical book In Praise of Imperfection, she recounts, "In spite of prohibitive conditions, due to the difficulties of procuring fertilized eggs and the constant power outages on which the operation of my thermostat and the development of the embryos depended, I completed some research that I would continue a few years later, in the United States."

Hamburger's invitation to spend some time in the St. Louis laboratory was for her "a healthy antidote to the state of distrust and pessimism about the results I had achieved up to that time." She had planned to stay six months, but didn’t actually leave the United States for good until 1977. At Washington University in St. Louis, she taught first as an associate professor (until 1958) and then as a full professor. She continued her research on nervous system development, starting with the observation of a Hamburger student, Elmer Bueker, who had discovered that grafting a mouse tumor fragment into chicken embryos promoted the growth of nerve fibers in the embryo itself. Crucial to the discovery of the neuronal growth factor was the period Rita spent in Brazil between 1952 and 1953, a guest in the laboratory of her friend and colleague Hertha Meyer. Here, using the in vitro culture method, she showed that the tumor released a soluble growth factor that stimulated the growth of fibers from the sensory ganglia of the chicken embryo isolated and placed in culture. From Rio de Janeiro she sent Dr. Hamburger images of the spectacular way in which this as yet unknown agent induced fiber growth from the nerve ganglion.

Upon her return from Brazil, Rita Levi-Montalcini began a valuable collaboration with biochemist Stanley Cohen, who had meanwhile joined the St. Louis research group and with whom she would share the Nobel Prize. Cohen purified from tumor tissue an extract capable of stimulating nerve growth in vitro, containing both proteins and nucleic acids. Trying to determine which of the two components was the active one, he added snake venom, a potent nucleic acid-degrading agent, and, much to his surprise, discovered that the snake venom treated compound was much more effective than the untreated tumor extract in promoting nerve fiber growth. At this point the St. Louis group focused on finding the growth factor, now officially christened NGF, in various tissues, showing that it is contained in large quantities in mouse salivary glands and is present in a wide variety of species, from fish to mammals. The discovery of NGF was soon followed by that of epidermal growth factor (EGF), and from there on to the identification, in various laboratories around the world, of an ever-increasing number of growth factors of a protein nature.

Studies developed in subsequent years by Levi-Montalcini's research group clarified that NGF exerts its function in different tissues by controlling not only the growth and differentiation of cells in the nervous system but also in the immune, endocrine, and epithelial systems. In the 1960s Rita worked between the United States and Rome, where she organized the National Research Council's Center for Neurobiology Research (CNR): "In an atmosphere pervaded with the cheerfulness and optimism of the first half of the 1960s, in the clear, bright air of Rome, every new result aroused great hope, and the problem of deciphering the mechanism of action of NGF loomed close to solution."

After her definitive return to Italy in 1977, she directed the CNR Laboratory of Cell Biology until "reaching the limits of age," which for her were not much of a limitation. She continued her research on the spectrum of NGF action until 1995, collaborating with the CNR Institute of Neurobiology. Alongside her scientific activity, she was committed to social and political work, doing her utmost for the literacy of African women through the awarding of scholarships provided by the Foundation that bears her name. In the 1970s she participated in the activities of the Women's Liberation Movement for the legalization of abortion. From 1993 to 1998 she chaired and relaunched the Italian Encyclopedia Institute, and in 1999 she was appointed Goodwill Ambassador for the FAO (Food and Agriculture Organization of the UN) to contribute to the campaign against world hunger. She was a member of major national and international scientific academies, including the National Academy of Sciences, the Royal Society, the Accademia dei Lincei and was the first woman to be admitted to the Pontifical Academy of Sciences. In 2001, President of the Republic Carlo Azeglio Ciampi named her a senator for life for her high merits in both scientific and social fields. In the same year Rita Levi-Montalcini founded the European Brain Research Institute (EBRI) in Rome, where she continued her research activities until shortly before her death. She died at her home in Rome on December 30, 2012, at the age of 103.



Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

En 1986, el Premio Nobel de Fisiología o Medicina fue otorgado conjuntamente a Rita Levi-Montalcini y Stanley Cohen “por los descubrimientos de fundamental importancia para la comprensión de los mecanismos que regulan el crecimiento de células y órganos». El modelo de crecimiento celular se conoce desde hace tiempo, pero son la bióloga del desarrollo italiana Rita Levi-Montalcini y el bioquímico estadounidense Stanley Cohen con su descubrimiento, respectivamente, del factor de crecimiento nervioso (NGF) y del factor de crecimiento epidérmico (EGF), quienes podrán mostrar cómo se regulan el crecimiento y la diferenciación de una célula. NGF y EGF fueron las primeras de muchas sustancias reguladoras del crecimiento en ser descubiertas y caracterizadas. El descubrimiento de NGF y EGF abrió nuevos sectores de gran importancia para las ciencias básicas que amplían nuestra comprensión de muchos estados patológicos como malformaciones del desarrollo, alteraciones degenerativas en la demencia senil, enfermedades tumorales y retraso en la cicatrización de heridas. Por lo tanto, la caracterización de estos factores de crecimiento debería conducir, en un futuro próximo, al desarrollo de nuevos agentes terapéuticos y a la mejora del tratamiento de diversas enfermedades.

«El descubrimiento del NGF a principios de los años cincuenta es un ejemplo fascinante de cómo un observador agudo puede extraer hipótesis válidas de un caos aparente. Anteriormente, los neurobiólogos no tenían ni idea de qué procesos intervenían en la correcta inervación de los órganos y tejidos del organismo. La exploración del papel del NGF tanto en el desarrollo como en el organismo adulto ha sido objeto de investigación al que Rita Levi- Montalcini ha dedicado toda su vida». (en Elogio de la imperfección).

«Una pequeña dama con una voluntad indomable y un aspecto de princesa, que todavía continúa en el camino elegido hace muchos años con una energía genial, y con esa rara combinación de paciencia e impaciencia propia de los grandes innovadores». (Primo Levi)

El camino que lleva a Rita Levi-Montalcini al descubrimiento del NGF comienza en 1947, cuando el Dr. Viktor Hamburger la invita a trabajar en la Universidad de Washington en St. Louis. Rita tenía, en aquella época, treinta y ocho años y tenía una formación científica respetable para una mujer de su época. Nacida en 1909 en Turín de una culta familia judía sefardí, desafía muy joven la oposición de su padre y se matricula en la Facultad de Medicina de la Universidad de Turín, donde se gradúa en 1930 bajo la dirección de Giuseppe Levi, titular de la cátedra de Histología y maestro de otros dos futuros premio Nobel, Renato Dulbecco y Salvatore Luria con los que Rita mantiene siempre relaciones amistosas y de colaboración científica. Sin embargo, pronto se da cuenta de que no tiene el desapego emocional necesario para hacer frente al sufrimiento de los pacientes y decide «Curar la enfermedad y no al enfermo», dedicándose a la investigación. Las leyes raciales promulgadas por el gobierno fascista en 1938 la obligan a emigrar a Bélgica, invitada por el Instituto de Neurología de la Universidad de Bruselas. En 1940 regresó a Turín pero, como judía, se le prohibió trabajar en la universidad. A continuación, instala un laboratorio de fortuna en su casa donde, con su maestro Giuseppe Levi, estudia el desarrollo del sistema nervioso en los embriones de pollo. En su libro autobiográfico Elogio de la imperfección.cuenta: «A pesar de las condiciones prohibitivas, debidas a las dificultades para conseguir los huevos fecundados y a las continuas interrupciones de la energía eléctrica de la que dependía el funcionamiento de mi termostato y el desarrollo de los embriones, terminé algunas investigaciones que continuaría unos años después, en los Estados Unidos».

La invitación de Hamburger a pasar un tiempo en su laboratorio de St. Louis es para ella «un saludable antídoto al estado de desconfianza y pesimismo sobre los resultados que había obtenido hasta aquel momento». Había previsto quedarse seis meses, pero no dejará definitivamente Estados Unidos hasta 1977. En la Universidad de Washington en St. Louis enseña primero como profesora titular (hasta 1958) y luego como catedrática y continúa su investigación sobre el desarrollo del sistema nervioso a partir de la observación realizada por un alumno de Hamburger, Elmer Bueker, que había descubierto que el injerto de un fragmento de tumor de ratón en embriones de pollo promovía el crecimiento de fibras nerviosas en el propio embrión. Es determinante para el descubrimiento del factor de crecimiento neuronal el período que Rita pasa en Brasil entre 1952 y 1953, invitada en el laboratorio de su amiga y compañera Hertha Meyer. Aquí, utilizando el método de cultivo in vitro, observa que el tumor libera un factor de crecimiento soluble que estimula el crecimiento de fibras a partir de los ganglios sensoriales del embrión de pollo aislados y en cultivo. Desde Río de Janeiro le envía al doctor Hamburger imágenes de la espectacular forma en que este agente, aún desconocido, induce el crecimiento de fibra a partir del ganglio nervioso.

A su regreso de Brasil, Rita Levi-Montalcini comienza la valiosa colaboración con el bioquímico Stanley Cohen, que mientras tanto se había unido al grupo de investigación de St. Louis y con quien compartirá el Premio Nobel. Cohen purifica un extracto de los tejidos tumorales capaz de estimular el crecimiento nervioso in vitro, que contiene tanto proteínas como ácidos nucleicos. Tratando de determinar cuál de los dos componentes era el activo, añade veneno de serpiente, un potente agente de degradación de ácidos nucleicos y, para gran sorpresa, descubre que el veneno de serpiente es mucho más eficaz que el extracto tumoral para promover el crecimiento de fibras nerviosas. A estas alturas, el grupo de St. Louis se concentra en la investigación del factor de crecimiento, ahora bautizado oficialmente como NGF, en varios tejidos, demostrando que se encuentra en grandes cantidades en las glándulas salivales de ratón y está presente en una gran variedad de especies, desde los peces hasta los mamíferos. Al descubrimiento de NGF pronto le sigue el del factor de crecimiento epidérmico (EGF), y de ahí se llega a la identificación, en varios laboratorios del mundo, de un número cada vez mayor de factores de crecimiento de naturaleza proteica.

Los estudios desarrollados en los años siguientes por el grupo de investigación de Levi-Montalcini aclaran que el NGF ejerce su función en diferentes tejidos controlando no solo el crecimiento y la diferenciación de células en el sistema nervioso, sino también en el sistema inmunológico, endocrino y epitelial. En los años sesenta Rita trabaja entre Estados Unidos y Roma, donde organiza el Centro de Investigación de Neurociencia del Consejo Nacional italiano de Investigaciones (CNR): «En la atmósfera impregnada de alegría y optimismo de la primera mitad de los años sesenta, en el aire despejado y luminoso de Roma, cada nuevo resultado suscitaba grandes esperanzas, y el problema de descifrar el mecanismo de acción del NGF parecía tener una solución cercana».

Después de su regreso definitivo a Italia en 1977, dirige el Laboratorio de Biología Celular del CNR hasta los “límites de edad”, que para ella no son un límite, de hecho continúa su investigación sobre el espectro de acción del NGF hasta 1995 colaborando con el Instituto de Neurociencia del CNR. A la actividad científica se une la dedicación en el campo social y político prodigándose a favor de la alfabetización de las mujeres africanas a través de la concesión de becas otorgadas por la Fundación que lleva su nombre. En los años setenta participa en la actividad del Movimiento de Liberación Femenina para la regulación del aborto. De 1993 a 1998 presidió y contribuyó al relanzamiento del Instituto de la Enciclopedia Italiana y en 1999 fue nombrada embajadora de la FAO para contribuir a la campaña contra el hambre en el mundo. Es componente de las principales academias científicas nacionales e internacionales, como la National Accademy of Sciences (NAS), la Royal Society, la Accademia dei Lincei y fue la primera mujer en ser admitida en la Pontificia Accademia di Scienze. En 2001 el Presidente de la República italiana, Carlo Azeglio Ciampi, la nombra senadora vitalicia por sus altísimos méritos en el campo científico y social. Ese mismo año, Rita Levi-Montalcini funda en Roma el Instituto Europeo de Investigación del Cerebro (Ebri), donde continúa, hasta poco antes de morir, su actividad de investigación. Fallece en su casa de Roma el 30 de diciembre de 2012, a la edad de 103 años.

«Cuando el cuerpo muere, sobrevive lo que has hecho. El mensaje que has dado». (de la entrevista de Paolo Giordano a Rita Levi-Montalcini, «La Repubblica,» 19 de febrero de 2009)



Traduzione ucraina

Alina Petelko

У 1986 році Нобелівська премія з фізіології та медицини була присуджена спільно Ріті Леві-Монтальчіні та Стенлі Коену «за відкриття, що мають фундаментальне значення для розуміння механізмів, що регулюють ріст клітин і органів. Модель клітинного росту відома давно, але саме італійський біолог Ріта Леві-Монтальчіні та американський біохімік Стенлі Коен відкрили фактор росту нервів (NGF) і епідермальний фактор росту (EGF), які можуть показати, як ріст і диференціація клітини регулюється. NGF і EGF були першими з багатьох речовин, що регулюють ріст, які було відкрито та охарактеризовано. Відкриття NGF і EGF відкрило нові сфери, які мають велике значення для фундаментальних наук, які розширюють наше розуміння багатьох патологічних станів, таких як вади розвитку, дегенеративні зміни при старечому недоумстві, ракові захворювання та уповільнене загоєння ран. Таким чином, характеристика цих факторів росту має призвести в найближчому майбутньому до розробки нових терапевтичних засобів і до вдосконалення лікування різних захворювань».

Відкриття NGF на початку 1950-х років є захоплюючим прикладом того, як проникливий спостерігач може витягнути дійсні гіпотези з явного хаосу. Раніше нейробіологи не здогадувалися, які процеси задіяні в правильній іннервації органів і тканин організму. Вивчення ролі NGF як у розвитку, так і в організмі дорослої людини було предметом дослідження, якому Ріта Леві-Монтальчіні присвятила все своє життя». (з Elogio dell'imperfezione)

«Маленька леді з незламною волею та виглядом принцеси, яка все ще продовжує йти шляхом, обраним багато років тому, з блискучою енергією та тим рідкісним поєднанням терпіння та нетерпіння, яке є типовим для великих новаторів». (Прімо Леві).

Подорож, яка привела Риту Леві-Монтальчині до відкриття NGF, почалася в 1947 році, коли доктор Віктор Гамбургер запросив її працювати у Вашингтонському університеті в Сент-Луїсі. Ріті на той час було тридцять вісім, і вона мала поважний науковий досвід для жінки свого часу. Вона народилася в 1909 році в Турині в родині культурних сефардських євреїв, вступила на медичний факультет Туринського університету, який закінчила в 1930 році під керівництвом Джузеппе Леві, завідувач кафедри гістології та викладач двох інших майбутніх лауреатів Нобелівської премії, Ренато Дульбекко та Сальваторе Лурії, з якими Ріта завжди підтримує дружбу та наукову співпрацю. Однак невдовзі вона розуміє, що їй не вистачає емоційної відстороненості, необхідної для того, щоб зіткнутися зі стражданнями пацієнтів, і вирішує «лікувати хворобу, а не пацієнта», присвятивши себе дослідженню. Расові закони, видані фашистським урядом у 1938 році, змусили її емігрувати до Бельгії, як гостя Інституту неврології Брюссельського університету. У 1940 році вона повернулася до Турина, але, як єврейка, їй було заборонено працювати в університеті. Потім вона створює вдома імпровізовану лабораторію, де разом зі своїм учителем Джузеппе Леві вивчає розвиток нервової системи курячих ембріонів. У своїй автобіографічній книзі Elogio dell'imperfezione вона розповідає: «Незважаючи на заборонні умови, через труднощі з отриманням запліднених яйцеклітин і постійні перебої в електриці, від якої залежало функціонування мого термостата та розвиток ембріонів,я завершила деякі дослідження, які продовжила би через кілька років у Сполучених Штатах».

Запрошення Гамбургера провести деякий час у його лабораторії в Сент-Луїсі є для неї «здоровою протиотрутою від стану недовіри та песимізму щодо результатів, які я отримала до того моменту».Вона планувала залишитися тут на шість місяців, але назавжди залишить Сполучені Штати лише в 1977 році. У Вашингтонському університеті в Сент-Луїсі вона викладає спочатку як ад’юнкт-професор (до 1958 року), а потім як повний професор і продовжує свої дослідження розвитку нервової системи, починаючи зі спостережень студента з Гамбурга Елмера Букера, який відкрив що трансплантація фрагмента мишачої пухлини в курячі ембріони сприяла росту нервових волокон у самому ембріоні. Вирішальним для відкриття фактора росту нейронів є період, який Рита провела в Бразилії між 1952 і 1953 роками, будучи гостем у лабораторії своєї подруги та колеги Герти Майєр. Тут, використовуючи метод культури in vitro, вона підкреслює, що пухлина вивільняє розчинний фактор росту, який стимулює ріст волокон сенсорних гангліїв ізольованого та культивованого курячого ембріона. З Ріо-де-Жанейро вона надсилає доктору Гамбургеру зображення вражаючого способу, за допомогою якого цей досі невідомий агент індукує ріст волокон нервових гангліїв.

Повернувшись із Бразилії, Рита Леві-Монтальчині починає свою дорогоцінну співпрацю з біохіміком Стенлі Коеном, який тим часом приєднався до дослідницької групи Сент-Луїса і з яким вона розділить Нобелівську премію. Коен очищає з пухлинних тканин екстракт, здатний стимулювати ріст нервів in vitro, що містить як білки, так і нуклеїнові кислоти. Намагаючись визначити, який із двох компонентів був активним, він додає зміїну отруту, потужний агент, що руйнує нуклеїнову кислоту, і, на свій подив, виявляє, що зміїна отрута є набагато ефективнішою, ніж екстракт пухлини, у стимулюванні росту волокон. У той момент група Сент-Луїса зосередилася на пошуку фактора росту, який тепер офіційно називають NGF, у різних тканинах, продемонструвавши, що він міститься у великих кількостях у слинних залозах мишей і присутній у багатьох видах, від риб до ссавців. За відкриттям NGF незабаром послідувало відкриття епідермального фактора росту (EGF), а згодом у різних лабораторіях по всьому світу було виявлено дедалі більшу кількість білкових факторів росту.

Дослідження, проведені в наступні роки дослідницькою групою Леві-Монтальчині, уточнюють, що NGF виконує свою функцію в різних тканинах, контролюючи не тільки ріст і диференціацію клітин у нервовій системі, але також в імунній, ендокринній та епітеліальній системах. У 1960-х Ріта працювала між Сполученими Штатами та Римом, де вона організувала Дослідницький центр нейробіології Національної дослідницької ради (Cnr):«В атмосфері, пройнятій радістю й оптимізмом першої половини шістдесятих років, у чистому й світлому повітрі Риму кожен новий результат породжував великі надії, а проблема розшифровки механізму дії NGF обіцяла близьке вирішення».

Після свого остаточного повернення до Італії в 1977 році вона керує Лабораторією клітинної біології Cnr до «вікових меж», які для неї не є межею, настільки, що вона продовжує свої дослідження спектру дії NGF. , до 1995 р., співпрацюючи з Інститутом нейробіології CNR. Поряд з науковою діяльністю, вона віддана соціальній і політичній сферах, роблячи все можливе для сприяння грамотності африканських жінок через призначення стипендій, наданих Фондом, який носить її ім'я. У сімдесятих роках брала участь у діяльності Жіночого визвольного руху за регулювання абортів. З 1993 по 1998 рік вона очолювала та відновила Інститут італійської енциклопедії, а в 1999 році її призначили послом ФАО, щоб сприяти кампанії проти голоду у світі. Вона є членом основних національних і міжнародних наукових академій, включаючи Національну академію наук, Королівське товариство, Академію Лінчея, і була першою жінкою, прийнятою до Папської академії наук. У 2001 році президент республіки Карло Азельо Чампі висунув її на посаду довічного сенатора за видатні заслуги в науковій і громадській сферах. У тому ж році Рита Леві-Монтальчіні заснувала в Римі Європейський інститут дослідження мозку (Ebri), де продовжувала дослідницьку діяльність незадовго до своєї смерті. Вона померла у своєму будинку в столиці 30 грудня 2012 року у віці 103 років.

«Quando muore il corpo, sopravvive quello che hai fatto. Il messaggio che hai dato». (dall’intervista di Paolo Giordano a Rita Levi-Montalcini, La Repubblica, 19 febbraio 2009)

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia